NOTE: Promessa mantenuta, stavolta ho
aggiornato
puntualmente (che poi, quella dell’essere in ritardo
è un’ansia esclusivamente
mia; so benissimo che per voi un giorno o due non fa alcuna differenza,
quindi annuite
e fingete di assecondarmi).
John e Sherlock alle
prese con Lady Caroline, seconda parte. Che altro succederà?
Buona lettura e a
risentirci alla fine!
Ora di pranzo.
“Allora, come sta andando
l’incontro con la temibile suocera? Pensi di riuscire a
sopravvivervi?” lo
raggiunse la voce, venata di preoccupazione, di Harriet.
“Ti dirò, ero
preparato
al peggio”, rispose John tamburellando con le dita sul
cellulare, “e invece non
avrei potuto sperare in una signora più affabile e
cordiale”.
“No, giura!”
“Croce sul cuore.
Davvero, Harry, è completamente diversa dalla squilibrata
descritta da
Sherlock. E’ un filino eccentrica, non lo nego, ma tutti
abbiamo le nostre
piccole stranezze. I suoi figli sono molto più difficili da
gestire, a mio
parere” sospirò il dottore, lanciando
un’occhiata all’acquaforte (un Goya originale,
se non andava errato) che faceva bella mostra di sé appesa
alla parete di
fronte a lui.
“Beh, meglio
così, no?”
commentò la sorella, incoraggiante. “Ai bambini
sta simpatica?”
“La adorando almeno
quanto adorano te”.
“Un successo su tutti i
fronti, insomma” esclamò lei, per niente gelosa.
“Ti confesso che muoio dalla
voglia di conoscerla, questa superdonna”.
“La incontrerai al
matrimonio, se riesco a distrarre Sherlock il tempo sufficiente per
consegnarle
l’invito. Però ti impedisco sin da ora di flirtare
con lei” la ammonì John.
“Oh, ti prego”
protestò.
“Avrà almeno una sessantina d’anni,
giusto? Troppo matura per i miei gusti, se
ti può tranquillizzare. Mi piace la carne fresca”.
“Potresti anche cambiare
idea” la canzonò. “Sai quanto
l’ago della mia bussola sia orientato su
Sherlock, eppure non ho potuto astenermi dal fare il cascamorto con
Caroline”.
“Ah, Caroline? Vi date
già del tu? Entro la fine della vostra visita sarete
diventate ottime amiche”
Harriet scoppiò in una risata argentina.
“Scema”
ridacchiò di
rimando lui. “A proposito, c’è un cambio
di programma. Siamo stati invitati a
fermarci per il tè e ho faticato non poco per costringere
Sherlock ad
accettare, sicché non riusciremo a tornare in tempo per
cena”.
“Ok, non
c’è problema.
Tra mezzora stacco e faccio un salto a casa per pranzo;
avviserò Mrs. Hudson
del vostro ritardo”.
“Grazie, Harry, e
scusaci. Mi dispiace che tu debba trascorrere la serata da sola a Baker
Street”
mormorò, contrito.
“Va tutto bene, Johnny
Boy” lo rassicurò lei. “Anzi, mi sa che
ne approfitterò per prendermi la serata
libera. Molly ha promesso di farmi provare la cucina thailandese,
conosce un
ristorantino che-”
“Molly?” la
interruppe il
fratello un po’ bruscamente.
“Molly Hooper,
sì.
Qualcosa non va?” il tono di voce di Harry si fece perplesso.
“Molly Hooper, la
patologa nonché ginecologa che lavora al St
Bart’s?” incalzò.
“Precisamente. Quante
Molly Hooper pensi che esistano a Londra, Johnny Boy?”
“E come l’hai
conosciuta,
se mi è lecito saperlo?”
“Quando ho preso
appuntamento per il Pap test, circa un mesetto fa. Lei stava
concludendo il
tirocinio e faceva da assistente al primario del reparto di
ginecologia. Mi ha
riconosciuta -a quanto pare Sherlock le aveva parlato di me,
va’ a capire
perché- e abbiamo cominciato a chiacchierare”
spiegò disinvoltamente, noncurante.
Anche troppo.
“Harriet.
C’è niente che
devi dirmi al riguardo?” si insospettì John.
“Affatto, fratellino.
Saresti il primo a saperlo, se ci fosse qualcosa da
annunciare” si affrettò a
replicare.
“Uhm”
mugugnò. “Per
stavolta fingerò di non aver mangiato la foglia. Ti chiedo
solo di trattarla
bene, intesi? Vacci piano. Molly è una ragazza dolcissima e
con il cuore
spezzato da un genio del crimine e da quel sociopatico del mio uomo,
perciò… cautela”
si raccomandò.
“Fidati di me, Johnny. Mi
prenderò cura di lei” promise Harriet.
“Bene”,
tossicchiò un
filino a disagio lui, “è ora che riattacchi. Ho
lasciato abbastanza a lungo
Sherlock nelle amorevoli grinfie della madre e aspettano me per servire
il
dessert. Ti mando un sms quando abbiamo finito qui”.
“D’accordo.
Salutami la
famigliola e da’ un bacio ai cuccioli da parte mia”.
“Sarà fatto.
Divertiti
con Molly” le augurò John prima di chiudere la
telefonata.
Uscito che fu dalla
stanza si ritrovò nel lunghissimo corridoio del piano terra
della villa,
ripassò mentalmente il percorso fatto all’andata e
infine si diresse a colpo
sicuro verso la sesta porta a sinistra. La prodigiosa memoria visiva di
Sherlock -pensò distrattamente- doveva essergli stata
fondamentale per imparare
ad orientarsi in una casa (magione) con venticinque camere da letto,
una decina
di bagni e addirittura una sala del telefono, dove per
l’appunto Caroline aveva
gentilmente invitato John ad appartarsi quando gli era squillato a
tradimento
il cellulare tra una portata e l’altra.
Bussò, poi
abbassò la
maniglia. “Perdonate l’attesa, mia sorella aveva
urgenza di parlarmi” esordì,
constatando con sollievo di aver scelto la porta giusta.
“Niente di grave, mi
auguro” si accigliò Caroline, porgendo il dito
indice ad Hamish perché lo
succhiasse.
“Fortunatamente no. Le
manda i suoi saluti, comunque, e un bacio ai nipotini”.
Così dicendo John si
chinò a baciare sul capo Boswell, accomodato sul seggiolone,
ed i gemelli,
rispettivamente in braccio alla nonna e al babbo.
“Che zia
affettuosa”
chiocciò Caroline in segno di approvazione. “Se ti
somiglia anche solo la metà
di quanto immagino, deve essere una donna deliziosa”.
“Lo è. Le
voglio molto
bene” ammise il dottore, stringendosi nelle spalle.
“Spero di conoscerla
presto” continuò la nobildonna, alzatasi per
riporre un assonnato Hamish nella
carrozzina.
“E’ proprio
questo lo
scopo della nostra visita, Caroline” la assecondò
allegramente.
“Oh. Ed io che mi
illudevo
che non vedessi l’ora di conoscermi, John caro”
scherzò a sua volta.
“Anche”
ridacchiò lui,
guardando di sottecchi Sherlock.
Il detective, intuite le
intenzioni dell’altro, si affrettò ad adagiare
delicatamente Irene nella
carrozzina e gli si affiancò. “John”
mormorò, posandogli una mano sulla spalla.
“Andiamo, Sherlock.
Comunica a tua madre la lieta novella” lo esortò
in risposta l’altro con il suo
sorriso più smagliante.
“Quale novella? Mycroft
non mi ha anticipato nulla” cascò dalle nuvole
Lady Spencer.
“Perché
l’avevo pregato
di tenere la bocca cucita” borbottò Sherlock,
incupitosi. “Almeno lui sembra
aver rispettato il mio desiderio” fissò truce il
compagno.
“Su, non fare il
bambino”
fu la risposta divertita dell’altro.
“Non ho con me
l’invito,
John” mormorò a denti stretti.
“L’ho dimenticato”.
“Per tua fortuna, tesoro,
avevo previsto che te ne saresti casualmente scordato, così
ci ho pensato io!
Sono o non sono la tua ancora di salvezza?”
esclamò gioviale, sventolando una
busta di pesante carta color crema. “Considerala una piccola
vendetta per non
avermi detto nulla dei tuoi sordidi traffici per far mettere insieme
mia
sorella e Molly; so che ci sei tu dietro” sibilò
senza vero rancore.
“Ragazzi, non vi
seguo”
disse Caroline, confusa da quello scambio di battute.
“Per lei” John
le porse
la busta.
Le mani di lei tremarono
un poco nell’aprirla. “Non
sarà…” si
interruppe, per leggere le poche righe vergate sul cartoncino.
Trattenne il
fiato. Posò lo sguardo sui due uomini di fronte a lei. Un
braccio di Sherlock
era possessivamente allacciato alla vita di John, che dal canto suo
aveva
appoggiato la testa sulla sua spalla in un gesto di fiducia e abbandono
totale.
Entrambi erano radiosi.
“Mamma” il
figlio non
riuscì a trattenersi dal sorriderle. “Mamma, John
ed io ci sposiamo” disse.
“Oh, mio Dio”
singhiozzò
Caroline mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
“Ragazzi, non avreste
potuto farmi una sorpresa più gradita. Venite qui,
lasciatevi abbracciare!”
trillò e, senza permettere ai promessi sposi di reagire in
alcun modo, andò
loro incontro e li strinse in un abbraccio energico.
John ricambiò con
altrettanto entusiasmo, seppure leggermente imbarazzato dal fatto che
anche la
suocera fosse più alta di lui. Sherlock, apparentemente
più distaccato, dovette
riconoscere che non era poi così male cedere alle effusioni
di sua madre.
“Cari, cari
ragazzi”
ripeté la donna, commossa. “Sono così
orgogliosa di voi. La fortuna mi ha
arriso. Non solo ho messo al mondo due figli intelligenti, tsundere e pieni di fascino, ma ho fatto in
tempo a vederli gay ed accasati –e addirittura con prole, nel
caso di Sherly!
Certo, se anche Mycroft ed il suo amabilissimo marito riuscissero a
figliare la
mia felicità di fangirl e di madre sarebbe
completa” sospirò sognante.
Fangirl?
John
cominciò ad inquietarsi. Ma poi, per quieto
vivere, decise che preferiva non approfondire.
“Quanto a questo, mamma,
credo
che verrai presto accontentata” ghignò Sherlock,
sibillino.
Note
dell’autrice: il Pap test esiste davvero (http://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Papanicolaou) ed è un esame di
routine per le donne che hanno almeno venticinque anni.
La
definizione di tsundere, nel caso
vi
stiate chiedendo cosa significhi, la trovate qui (http://it.wikipedia.org/wiki/Tsundere).
Questa,
se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per
seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Buon
finesettimana e a risentirci presto. Un bacione a tutti!