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Autore: Nenredhel    09/06/2012    1 recensioni
Edoras, la grande dimora dei signori dei cavalli. Da tempo manca un re a questa nazione, ma questo non significa che non ci sia qualcuno a governare e difendere il suo popolo. Adesso, però, una minaccia arriva da sud, e Dean le corre incontro con la spada sguainata e la sensazione di non avere più nulla da perdere.
Crossover, Terra di Mezzo!AU, elf!Castiel/Wanderer!Dean. Parte della serie "Middle Earth 'verse"
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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I Amrûn en Estel (L’Alba della Speranza)

"Out of doubt, out of dark to the day's rising
I came singing into the sun, sword unsheathing.
To hope's end I rode and to heart's breaking:
Now for wrath, now for ruin and a red nightfall!
"
[J.R.R. Tolkien _ The Lord of the Rings]

 

Gli occhi di Sam vagarono ancora una volta verso la schiena di Dean, che cavalcava alcuni metri davanti a lui, affiancato da Jo, apparentemente intenzionata a tenerlo costantemente d’occhio. Davanti a loro, si snodava, grossa lenta come un gigantesco serpente, l’interminabile colonna dei profughi di Edoras. Gran parte degli abitanti del Mark aveva già trovato rifugio nelle Grotte Scintillanti, oltre le possenti mura che, dall’antica ed imponente torre del Trombatorrione, andavano fino all’altra parete di quella stretta ma verdeggiante gola che gli uomini chiamavano Fosso di Helm. Una guarnigione occupava normalmente le stanze del Trombatorrione, ma ora da tutte le terre di Rohan giungevano cavalieri e guerrieri: coloro che erano scampati alle armi di Mordor che già si abbattevano sulle verdi vallate del Mark scortavano la gente dei propri villaggi al sicuro, pronti a dare manforte alla loro regina. Uno sparuto gruppo di soldati presidiava, inoltre, le antiche e ormai danneggiate mura della diga, che chiudeva il fosso più a valle: era una postazione difficile da difendere, a causa della larga breccia che si apriva in quella vetusta costruzione, ma era una prima linea di difesa a cui Ellen non voleva rinunciare. Il Fosso di Helm era da sempre l’ultimo rifugio degli uomini del Mark, e fino ad allora non li aveva mai traditi: le sue mura perfettamente lisce erano tanto spesse che quattro uomini potevano tranquillamente camminare affiancati sulla sua sommità. I cancelli del Trombatorrione erano l’unica via d’accesso, se si eccettuava il piccolo canale di scolo che permetteva al fiume Fossato di fluire liberamente a valle.

Il gruppo delle guardie della Regina Ellen, che chiudevano la lunga colonna di profughi, stava entrando in quel momento nella valle, guidati dalla regina stessa e da Bobby il grigio, da tempo immersi in una fitta conversazione. Sam rivolse loro un’occhiata fugace, poi riportò i chiari occhi verdi sulle spalle curve di Dean. Lo conosceva da sempre, e sebbene non appartenessero neppure alla stessa razza, era arrivato a considerarlo un vero fratello, eppure era certo di non aver mai visto le spalle del ramingo così curve sotto il peso del destino. Dean era un uomo forte e determinato, ma tutto ciò era troppo perfino per lui: non solo il destino di un popolo, di una nazione gravava su di lui e su di una lama spezzata che appariva ora tanto leggendaria quanto inutile, ma il futuro dell’intera Terra di Mezzo, ora che l’oscurità aveva ricominciato ad avanzare.

Cercava da giorni di consolarlo, di fargli coraggio, di ricordargli che se Bobby lo aveva condotto in questo viaggio non era sicuramente stato invano, ma sebbene egli avesse annuito e sospirato, scrollando le spalle e vuotando con un la fiaschetta che riempiva ad ogni locanda disponibile, Sam poteva vedere bene nei suoi occhi che la speranza stava svanendo da essi, scivolando via in silenzio come la neve che si posa sui primi germogli di primavera. Eppure non poteva cedere, non poteva arrendersi: Dean era la speranza degli Uomini, Sam ne era certo perché aveva fiducia in Bobby e nelle parole dei tempi antichi, ma vedeva anche che non poteva affrontare tutto questo da solo. Gli mancava Rufus, che per anni era stata una guida per lui, e ancor più gli mancava Castiel, che era in grado di far nascere il sorriso sul suo viso con la stessa facilità con cui il sole spunta dietro le colline al mattino. Le parole non potevano bastare per cacciare disperazione e solitudine da suo cuore, doveva fare qualcosa di concreto per aiutarlo, per mostrargli che non era solo, che ancora molti credevano in lui e combattevano al suo fianco. E ora, grazie ad un consiglio e ad un’amica inaspettata, pensava di sapere cosa doveva fare.

Sam spostò i propri penetranti occhi di Elfo sulla lunga colonna in cammino, e finalmente incrociò lo sguardo scuro di Ruby: Bobby l’aveva chiamata Vermilingua e l’aveva maltrattata nella casa di Ellen, ma lui aveva trovato in quella ragazza un creatura intelligente, scaltra, ed un’alleata preziosa. La ragazza fece un rapido cenno del capo in sua direzione e spronò il cavallo, correndo in avanti e staccandosi dalla colonna per deviare verso nord appena prima dell’imbocco della gola. Sam portò di nuovo l’attenzione su Dean: avrebbe voluto parlarne anche con lui, dirgli cosa aveva intenzione di fare, ridargli speranza, ma non c’era tempo, e non voleva che l’uomo cercasse di fermarlo. L’Elfo si abbassò a sussurrare poche parole nella sua lingua all’orecchio della fiera cavalcatura, quindi tirò leggermente le redini, facendone rallentare l’andatura fino a che il gruppo delle guardie della Regina lo ebbe superato, infine fece voltare il muso del suo cavallo verso nord e lo spronò con decisione, allontanandosi senza voltarsi indietro.

 

~~~

 

Il fosso di Helm era un brulicare di umanità varia e disperata. I suoi cancelli spalancati continuavano ad inghiottire contadini, cavalieri, serve e combattenti che sembravano sempre troppo giovani o troppo vecchi per portare una spada. I bambini correvano fra le zampe dei cavalli, che si lasciavano docilmente condurre alle immense stalle approntate vicino all’ingresso delle Grotte Scintillanti, mentre le madri si avviavano nella medesima direzione, portando sulle spalle curve immense ceste di viveri e sacchi delle più varie forme e dimensioni. Tutti, ogni singolo abitante del Mark che fosse riuscito a raggiungere i cancelli del Trombatorrione, si preparava ad un lungo assedio, alla battaglia ed alla paura.

Dean scese dalla propria giumenta nera, affidandola con riluttanza al ragazzo che ne attendeva paziente le redini, quindi attraversò con passo svelto il cortile, per raggiungere Ellen e Bobby, che già si inerpicavano per le scale che portavano ai piani superiori della fortezza. Senza che neppure se ne rendesse conto, la sua mano sfiorò il sacchetto in cui ancora portava i frammenti della spada di Colt. Si accorse di quello che stava facendo solo quando le sue dita toccarono inavvertitamente quelle di Jo, ancora al suo fianco. Il ramingo incrociò il suo sguardo solo per un secondo, poi le parole irate della regina giunsero al suo orecchio, richiamandolo alla realtà.

“Bobby, vecchio rompiscatole! Non ho uomini neppure per difendere il Fosso e tu ancora insisti perché io affronti gli eserciti di Mordor in campo aperto?! Non è un suicidio che sto cercando! Voglio salvare la mia gente!” sbottò la donna, allontanandolo con un gesto tanto imperioso quanto stizzito della mano.

“Mia signora” richiamò la sua attenzione Dean, salendo i gradini quattro alla volta per raggiungerla più in fretta “Avete molti uomini in armi qui, il Fosso reggerà sicuramente, ma quanto a lungo? I cavalli sono la vostra forza…”

“Ragazzo! Smetti di ascoltare le parole di questo vecchio scorbutico e apri gli occhi” lo redarguì immediatamente la regina “Ci sono molti meno cavalieri in armi e abili alla battaglia di quanto mi aspettassi. Mordor ha già colpito duramente, e i miei vassalli hanno dovuto difendere strenuamente le loro terre. La maggior parte degli uomini adatti e addestrati alla guerra giace morta sul terreno di casa propria o ferita nelle Grotte. Sono vecchi e bambini, contadini e allevatori ad impugnare adesso le armi e ad aspettare la guerra sulle Mura Fossato. E allora dimmi, ragazzo mio, come pensi che questo esercito possa sconfiggere quelli Mordor?” c’era amarezza nella voce di Ellen, rabbia e frustrazione, ma anche il fuoco di chi non vuole arrendersi, e vuole combattere fino alla fine.

“Chiedi aiuto, Ellen!” esclamò Bobby d’un tratto, incrociando le braccia al petto con fare combattivo e un’espressione sul viso che avrebbe potuto essere quella di un bambino cui avevano appena detto che non poteva avere il suo gioco preferito.

“E a chi? Gondor è contro di noi! Chi verrà in nostro aiuto? Gli Elfi forse? Se non sono già tutti partiti con le loro navi grigie, sono sicura che comunque non scomoderanno le loro immortali terga per giungere in nostro aiuto!” concluse Ellen, voltandosi per allontanarsi da piccolo gruppo con passo deciso, lasciando dietro di sé le facce preoccupate di Dean e Bobby, e quella combattuta di Jo.

“Mia madre ha ragione, come possiamo combattere questa guerra da soli? Ogni uomo del Mark morirà su queste mura per difendere la propria libertà e i propri cari, e se fosse necessario, le donne raccoglieranno poi le armi dei loro mariti, ma a quel punto?” una spada pendeva al fianco di Jo, e la sua mano stringeva tanto la sua impugnatura che le nocche erano divenute bianche come latte. Nei suoi occhi chiari ardeva la stessa combattiva determinazione di sua madre, ma la paura non poteva fare a meno di insinuarsi dietro il coraggio.

“Non siamo soli” replicò immediatamente Bobby, poggiando una mano sull’esile spalla della ragazza con fare paterno, quindi portò l’altra ad afferrare saldamente il braccio del ramingo, mentre incrociava i suoi occhi verdi con determinazione “Dov’è Sam?”

Dean aprì la bocca per rispondere ma la voce gli morì in gola quando si accorse di non avere la risposta. Non lo vedeva da quella mattina, quando avevano levato l’ultimo campo per raggiungere finalmente il riparo del Fosso di Helm. Aveva cavalcato con lui per un lungo tratto, prima di affiancare quella serpe, quella intrigante giovane consigliera che Ellen ancora non aveva allontanato dalla sua corte, per chissà quale motivo. Da allora non l’aveva più visto, era stato troppo immerso nei propri cupi pensieri, o assorbito dalla conversazione che Jo aveva tentato di intavolare, con l’apparente intento di distrarlo dallo scuro velo che si posava sulla mente ogniqualvolta si trovava solo a riflettere. E ora che si soffermava a pensarci, non ricordava di averlo visto attraversare i cancelli del Fosso. Dean si voltò, portando lo sguardo sull’ampio cortile antistante alle porte del Trombatorrione, facendo spaziare la propria vista in lungo e in largo fin dove poteva arrivare, approfittando della propria postazione elevata, ma non trovò traccia dei chiari abiti verdi dell’Elfo, né del suo particolare manto grigio.

 

~~~

 

Sam sollevò di scatto la testa e i suoi occhi verdi saettarono nell’oscurità, solo parzialmente disturbati dalla vaga macchia di luce che il fuoco aveva stampato in essi. L’aria era immobile ma impregnata di umidità, e l’atmosfera ne era resa greve fino a sembrare insopportabile. Samuel di Imladris conosceva gli alberi snelli delle proprie terre così come quelli più imponenti ed antichi del fitto intreccio di Bosco Atro, ma nessun essere arboreo gli era mai parso tanto inquietante come l’impenetrabile muraglia di legno e rami contorti che era il bosco di Fangorn. Ad ogni più piccolo rumore i suoi muscoli si tendevano, e non poteva fare a meno di scrutare il buio della notte con ansia, sicuro che qualcosa stesse per emergere dall’oscurità. Eppure non era all’intrico di alberi che incombeva su di loro che i suoi si volgevano continuamente, non era quell’aria immobile e gravida di pioggia che gli opprimeva il cuore, bensì l’inestinguibile dubbio di avere preso il sentiero sbagliato, di avere abbandonato quello che ormai riteneva un fratello a combattere solo quella battaglia.

Ruby si mosse in un punto indistinto alla sua destra, ma i suoi occhi verdi si volsero alla sua figura minuta solamente quando la sentì sedere a terra accanto a lui, e percepì il suo sguardo nero fisso sulla propria nuca.

“Sei inquieto” disse la giovane consigliera di Rohan, e nella sua voce non v’era traccia di quesito.

“Come potrei non esserlo?” Sam condusse il proprio sguardo alla foresta, un piccolo inganno giocato senza sapere neppure bene il perché.

“Fangorn è un luogo pericoloso, ma se non ci avventureremo fra i suoi rami non c’è motivo di temerla…” iniziò la ragazza, ma l’Elfo la interruppe prima che potesse proseguire.

“I pastori di alberi” sussurrò senza sapere bene che cosa stesse dicendo, seguendo solamente uno strano istinto che gli sussurrava di non lasciarla parlare, di non ascoltare più le parole di questa ragazza “Molte delle vecchie canzoni parlano degli Ent. E’ per questo che temi il bosco?”

“Fangorn è una foresta antica, e si dice che non ami i visitatori. Non so se vi siano i pastori di alberi, ma so che molte creature si sono smarrite per questo bosco senza più uscirne” replicò Ruby seccamente, con il chiaro intento di chiudere subito un discorso inutile “Ma non è questo che ti preoccupa” ancora una volta, nessuna ombra di domanda sfiorò la sua voce o il suo sguardo deciso.

“L’ho lasciato solo senza neppure salutarlo” confessò infine Sam, riportando i propri occhi sulle fiamme sempre più flebili del piccolo fuoco da campo “Non avrei dovuto”

“Lui capisce. O capirà” replicò la ragazza con un sospiro “E se anche non dovesse capire, non è questo il punto. Era necessario che tu partissi, era ed è necessario che tu vada a nord. Non potevi continuare a seguirlo in una assurda marcia suicida verso sud” le parole di Ruby erano abbastanza brusche da sembrare vere, ma quando gli posò la piccola mano sul braccio, nei suoi occhi c’era comprensione e anche un velo di tristezza “Tu sai che è così. Gli uomini sono corrotti, sedotti dal fascino dell’oscurità e del potere. La Terra di Mezzo cadrà nell’ombra senza l’aiuto degli Elfi, e loro non si riuniranno sotto la guida di un uomo, un ragazzo, un semplice ramingo… dev’essere un principe degli Elfi a chiamarli a raccolta a guidarli in quest’ultima guerra. Spetta a te”

Sam si voltò ad incrociare il penetrante sguardo scuro della ragazza, e cercò di leggere dentro di lei, o forse dentro se stesso, quale fosse la verità, la cosa giusta da fare.

“Ma Bobby, il Consiglio… la spada di Colt appartiene di diritto a Dean” balbettò, senza riuscire a davvero a definire, dentro di sé, cosa fosse questa costante sensazione di pericolo che gli appesantiva il cuore. Era come se qualcosa avesse offuscato il suo giudizio e nascosto la strada, in modo che nulla fosse più chiaro, e giusto o sbagliato divenissero semplicemente l’abbaglio della medesima figura.

“Forse un tempo, quando questo viaggio è iniziato, Dean era forte abbastanza ma… lo hai visto anche tu. Qualcosa in lui si è rotto, è già un uomo sconfitto, spezzato come la spada che si porta appresso. Cosa potrà mai fare contro gli eserciti di Mordor? Cosa potrà fare da solo?” la voce della ragazza era gentile e carezzevole, e le sue parole parevano quanto d più saggio potesse venire pronunciato in quei tempi oscuri.

Sam lo aveva visto con i propri occhi, aveva visto Dean spezzarsi il giorno in cui Castiel era caduto a Moria, e quindi accartocciarsi giorno dopo giorno, sotto un peso che non riusciva a portare. Come poteva pensare che potesse salvare la Terra di Mezzo in quelle condizioni? Come poteva pensare che potesse farlo da solo, con un sacchetto di frammenti d’acciaio vecchi e inutilizzabili? Dean aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno degli Elfi, e se l’uomo non era abbastanza saggio da vederlo, doveva essere lui a fare ciò che andava fatto. Ma allora perché si sentiva un fuggiasco, un disertore ed un traditore? L’Elfo si limitò ad annuire alle parole di Ruby, ma prima che potesse aprire bocca di nuovo, qualcosa attirò ancora la sua attenzione verso la notte.

Questa volta, anche Ruby aveva rizzato la schiena ed era allerta, il collo rigido e l’attenzione rivolta a cogliere il benché minimo suono. Era lontano ed indistinto, solo il suggerimento di un rumore, ma Sam poteva percepirlo sempre più chiaramente, come una ritmica vibrazione dell’aria: il suono di qualcuno che cammina, un nutrito gruppo di persone in movimento.

“Spegni il fuoco presto! Dobbiamo nasconderci!” sbottò la ragazza, buttando con urgenza terra sulle fiamme già basse, per poi finire di spegnerle con i piedi.

“Aspetta…” la fermò Sam, la fronte corrucciata e le orecchie ancora tese a cogliere rumori che sembravano ora ancora più lievi, eppure in qualche modo più vicini. Gli sembrava che qualcosa fosse cambiato nel modo di muoversi di questi viaggiatori notturni, come se si fossero a loro volta accorti della loro presenza e stessero reagendo in qualche modo. Avevano cambiato direzione, e sembravano muoversi con più cautela.

Ruby si era già buttata mantello e borsa sulle spalle, e stava afferrando le redini del proprio cavallo, cercando di convincerlo a muoversi in direzione di Fangorn “Dobbiamo nasconderci tra gli alberi, è l’unica possibilità” lo esortò ancora la ragazza, sebbene sembrasse altrettanto riluttante ad addentrarsi nel bosco quanto a restare all’aperto.

Ma Sam non si muoveva. Era perfettamente immobile, gli occhi fissi nel vuoto, le orecchie e tutti i propri ben sviluppati sensi di Elfo tesi ad ascoltare la notte, a capire cosa stesse succedendo. Ruby sembrava estremamente spaventata ma Sam era calmo, non percepiva l’ansia tipica del pericolo che si avvicina: c’era qualcosa di familiare nel modo in cui questi viaggiatori si muovevano, e nello stesse tempo capiva che c’era ancora qualcosa di minaccioso nei loro movimenti. Sembrava quasi che si fossero moltiplicati, tanto quei flebili, quasi impercettibili rumori parevano ora essere ovunque, nell’aria. Poi Sam si irrigidì, finalmente aveva capito cosa stava accadendo: il gruppo di viaggiatori si era diviso per accerchiarli. A causa del loro fuoco da campo, li avevano probabilmente avvistati molto prima che loro si accorgessero della presenza del gruppo, ed erano riusciti ad avvicinarsi abbastanza da coglierli di sorpresa. Ma come avevano potuto cogliere di sorpresa lui? Non era facile giocare un tiro del genere ad un Elfo, soprattutto quando era tanto teso ed irrequieto quanto era stato lui per tutta la sera.

“Ferma Ruby” intimò Sam senza urlare, la voce decisa ma bassa, quasi un sibilo nella notte, mentre armava il proprio arco, tenendosi pronto a scoccare non appena fosse riuscito ad individuare un bersaglio. Era inutile cercare di scappare, o nascondersi nella foresta. Chiunque fossero i nuovi venuti, li avevano già accerchiati,  si erano infilati fra le fronde di Fangorn, coperti dalla notte e dalla propria abilità, e li stavano aspettando. Avventurarsi tra gli alberi non sarebbe stato altro che un suicidio. Tutto quello che potevano sperare di fare era aspettare e cercare di vendere cara la pelle.

 

~~~

 

Un pioggerella fine e fastidiosa aveva iniziato a cadere al tramonto del terzo giorno da quando avevano raggiunto il Fosso di Helm e Bobby era ripartito per andare a chiamare a raccolta chissà quali alleati. Tre giorni erano trascorsi dall’ultima volta che aveva parlato con Ellen, prima di iniziare a preparare le fortificazioni e ad addestrare in qualche modo i ragazzi a cui era stato tolto di mano il forcone per sostituirlo con una spada. Tre giorni dall’ultima che aveva visto Sam. Non sapeva dove fosse andato, se si fosse separato volontariamente dalla colonna o meno, ma anche Ruby era scomparsa durante il viaggio, e Dean non poteva fare a meno di essere preoccupato. Oltre che terribilmente in collera.

A giudicare dalle pesanti nubi che avevano ammantato il cielo, prima che si facesse troppo scuro per vederlo, la pioggia non sarebbe cessata tanto presto, e questo non poteva che peggiorare le cose. La maggior parte dei soldati che Dean vedeva disposti sugli spalti delle Mura Fossato aveva difficoltà a portare sulle spalle la propria cotta di maglia, per non parlare di sollevare la spada: la pioggia non li avrebbe certo aiutati. Sul bordo delle possenti mura erano disposti grandi massi, ognuno con un grosso bastone incastrato sotto di esso, pronto a farlo rotolare giù per la nuda roccia, sopra le teste degli assalitori; mentre, non molto distante, erano state accumulate intere montagne di pietre più piccole, pronte per il lancio. Dean sperava solamente che quei contadini non dovessero mai arrivare a dover estrarre le spade, altrimenti sarebbe stato una massacro. Dietro la prima fila di ‘soldati’ di fortuna, erano disposte due file di arcieri. Tutti gli uomini d’armi in grado di reggersi in piedi erano stati reclutati e posti sulle mura con un arco in mano e secchi pieni di frecce al fianco. Le donne e i ragazzi avevano lavorato incessantemente per preparare quante più frecce fosse possibile. Dean passò le dita, leggermente, sulle soffici piume del pennaggio, quindi le portò a stringersi intorno all’elsa della propria spada.

Il sacchetto con la spada di Colt era sempre legato al suo fianco: si rendeva conto di quanto fosse pericoloso portarlo con sé nel mezzo di una battaglia, ma non poteva farne a meno. Mentre fissava i propri occhi verdi nell’oscurità quasi impenetrabile della notte sempre più inoltrata, gli pareva di vedere i volti di coloro che erano partiti con lui, i suoi amici e coloro che erano sempre stati al suo fianco e che ora non erano più lì con lui. Rufus, Bobby, Castiel e Sam… erano caduti o se n’erano andati, in fondo non aveva importanza, il punto era che si trovava solo, ora, ad impugnare la spada contro questi nemici senza volto e senza pietà, e il fatto di avere al fianco quel mucchio di metallo spezzato ed inutile in cui giaceva ancora l’ultima flebile speranza della Terra di Mezzo lo faceva sentire meno solo. Non sapeva perché, ma ogni volta che sfiorava quel sacchetto gli sembrava che Castiel fosse ancora con lui, come se dando la vita per recuperare quella spada avesse in qualche modo legato la propria esistenza, la propria anima, al suo freddo metallo. Era un’idea stupida, se ne rendeva conto, ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi.

D’un tratto, il silenzio teso della notte venne interrotto dal suono chiaro di un corno in lontananza, seguito immediatamente da altri, e altri ancora, più cupi, rombanti e lontani, mentre qualche timido fuoco iniziava a brillare, sui resti della Diga, in fondo alla valle, nonostante la pioggia fine ed insistente.

“E’ cominciata” disse a se stesso, o forse alla notte, ma il ragazzo che era rimasto immobile accanto a lui fino a quel momento, con l’arco già armato stretto nel pugno, si voltò ugualmente a guardarlo.

Dean non incontrò il suo sguardo: non voleva conoscere gli occhi di nessuno dei ragazzi, troppo giovani per essere chiamati uomini, che avrebbe mandato a morire quella notte. Rimase solo a fissare la valle immersa nell’oscurità, tentando di penetrare il buio e la distanza con i suoi occhi inadatti, per cercare di capire quale fossero gli esiti della battaglia che la scarsa guarnigione della Diga aveva ingaggiato. Non ci volle molto perché i primi soldati in ritirata arrivassero ai cancelli del Trombatorrione. Dean abbassò lo sguardo ad osservare gli armati che si precipitavano all’interno prima che i cancelli fossero richiusi e sbarrati, quindi riportò la propria attenzione sulla vallata e sul brulicare di figure che vi stava dilagando sopra. Le stime delle sentinelle sembravano essere state quasi ottimistiche: guardando quella marea nera occupare la valle e spingersi sempre più temerariamente sotto le mura, sembrava che il numero dei nemici superasse gli uomini del Mark di almeno dieci a uno. Ma anche solo pensare a queste cose era controproducente. Il ramingo accarezzò senza pensarci il solido sacchetto di cuoio in cui teneva i frammenti della spada di Colt, quindi strinse l’elsa della propria e la sfoderò, osservandola riflettere l’improvvisa luce del lampo che aveva attraversato il cielo.

Sentì qualcuno sobbalzare al suo fianco quando il tuono seguì finalmente il suo compagno luminoso, ma lui non lo temeva, gli sembrava, anzi, che lo chiamasse alla battaglia. Teneva la spada bassa e l’attenzione puntata sul frastagliato fronte dell’esercito nemico, osservando ed aspettando il momento opportuno. Erano vicini, sempre più vicini, poteva sentire le loro grida inumane e il clangore sommesso delle loro armi, poi un lampo illuminò di nuovo la vallata e finalmente Dean li scorse: un cuore di acciaio chiaro, candido come l’albero che cresceva nei giorni antichi sulla torre bianca di Echtelion, circondato da un corpo mostruoso e più nero della notte che li avvolgeva con il suo umido manto. Perché? Cosa facevano lì quelle armature bianche? Dean sentì il proprio cuore sprofondare di disperazione e ribollire di rabbia nel vedere quelli che avrebbero dovuto essere suoi fratelli, il suo popolo, pronti a combattere contro la propria stessa razza. Fu allora che sollevò la spada.

“Pronti!” gridò nella notte, e altre voci risposero da un punto all’altro delle Mura Fossato mentre gli uomini si muovevano come una cosa sola, tendendo gli archi, impugnando le leve e sollevando pietre.

Dean lasciò che tutti fossero pronti e nuovamente immobili, tesi come le corde dei loro archi e pronti a scattare, attese che il silenzio fosse tornato a calare sulle mura e nei cuori degli uomini, prima di gridare “Incoccare!”. Il ramingo sentì le frecce frusciare mentre le dita ne carezzavano l’impennaggio prima di incastrarle sulla corda degli archi, riuscì a percepirlo nonostante il rumore assordante delle armi che battevano in un ritmo osceno contro le armature dei mostri neri, sotto le mura. “Tendere!” gridò Dean, la voce ancora più alta, ruggendo nella notte così forte da graffiarsi la gola e l’anima con quel grido. Poteva sentire l’elettricità della battaglia che cresceva e si accumulava fino ad arrivare al limite, al punto di non ritorno, poteva percepirla sulla pelle, esattamente come sentiva le gocce che si staccavano dai suoi corti capelli chiari per corrergli sulla guance, come le lacrime che non poteva permettersi di versare.

Poi, il grido inumano della nera marea di Mordor riempì la notte, e l’orda si lanciò contro le possenti Mura Fossato, senza un piano, senza ordine, semplicemente spinti dall’istintivo, distruttivo istinto del sangue, e Dean abbassò la sua spada. “Tirare!” il suo grido questa volta si perse nel clangore assordante della battaglia che già si consumava fra la furia di Mordor e le vetuste, indifferenti pietre del Fosso di Helm. Salve di frecce scoccarono all’istante dalle decine e decine di archi tesi sulla lunga muraglia di Helm, perdendosi all’istante nel nero della notte, mentre sibilavano in direzione dei propri oscuri obiettivi, e sebbene le grida di guerra continuassero a sovrastare quelle di morte, Dean pregò silenziosamente gli dei in cui aveva smesso di confidare che mucchi di corpi neri e contorti giacessero già ai piedi delle mura. Il ramingo sollevò di nuovo la spada per ripetere l’ordine di lancio, ma quando vide il ragazzo dai lunghi capelli biondi, al suo fianco, scoccare già la seconda freccia, rinfoderò la lama per afferrare l’arco che aveva lasciato ai propri piedi, mentre le prime rocce iniziavano a rotolare giù per le alte mura, schiacciando impietosamente ogni cosa si trovasse sul loro percorso. Le frecce nei secchi diminuivano rapidamente, ma Dean sapeva bene che presto sarebbe stato necessario passare alle spade, e ne ebbe la conferma quando sentì le urla che provenivano dalla sua sinistra, dove si trovavano i cancelli del Trombatorrione.

Il giovane ramingo abbandonò l’arco con la stessa velocità con cui l’aveva impugnato e tornò ad estrarre l’acciaio della sua spada mentre i suoi occhi verdi correvano a verificare la situazione. Una lunga colonna nera si era fatta strada sotto i cancelli, i grossi scudi scuri alzati sopra le teste per proteggersi dalle pietre e dalle frecce, e sebbene molti continuassero a cadere, colpiti, dal sentiero sopraelevato, subito altri oscuri mostri arrivavano a prenderne il posto, per trasportare il più grosso ariete che Dean avesse mai visto.

La sua voce attraversò di nuovo la notte, in un richiamo imperioso, dimenticando i dubbi e le paure, dimenticando ogni incertezza sul suo ruolo di capo e Re, e sebbene nessuno fosse il potere di comando che nominalmente aveva su quegli uomini, un gruppo di giovani Rohirrim bene armati fu all’istante al suo fianco, rispondendo istintivamente alla voce del Re che era in lui.

“I cancelli sono minacciati. Dobbiamo disperdere gli orchi in modo che si possa erigere una barricata” spiegò velocemente ai giovani cavalieri intorno a lui, chiedendo con lo sguardo a coloro che conoscevano la fortezza meglio di lui la via più sicura per attaccare i nemici.

Il ragazzo biondo che era rimasto accanto a lui per tutto quel tempo gli rispose immediatamente “C’è una porta laterale che conduce a quel sentiero”

Dean non disse nulla, fece semplicemente un cenno di assenso e gli cedette il passo perché guidasse il piccolo gruppo verso la porta, mentre si attardava ad indirizzare le frecce degli arcieri più vicini ai cancelli verso coloro che trasportavano l’ariete. La porta a cui il giovanissimo soldato li aveva condotti era nascosta nel buio di una insenatura del muro, e gli orchi non videro i Rohirrim balzare loro addosso fino a che non sentirono il loro selvaggio grido di battaglia e l’acciaio abbattersi impietoso su di loro. La spada del ramingo balenava nel mezzo della mischia, abbattendo ogni cosa che gli si parava davanti, spalla a spalla con i compagni che erano accorsi al suo richiamo. Gli orchi li superavano di gran lunga per numero, ma la sorpresa dell’attacco e lo spazio angusto del sentiero aveva dato loro un discreto vantaggio. Ciononostante, tre dei valorosi combattenti che si erano lanciati sulla nera orda caddero in pochi minuti insieme ai nemici, e Dean aveva appena affondato la lama nella gola dell’ennesimo orco quando vide la mazza di uno di quei mostri colpire l’elmo del giovane biondo, abbastanza violentemente da scalzarlo dalla sua testa. Un grido si soffocò nella sua gola quando riconobbe finalmente gli occhi che avevano invano cercato i suoi per tutta la sera, e il braccio che fino a poco prima aveva difeso il suo fianco. La sua spada si abbatté fulminea sul nemico prima che la mazza potesse calare di nuovo, e pochi minuti dopo era di nuovo al sicuro, all’interno delle mura con il sangue di Jo che gli imbrattava la spalla, scorrendo copioso da una profonda ferita alla testa.

“Cosa diavolo credevi di fare?!” sbottò il giovane ramingo, circondandole il busto con un braccio per tenerla in piedi e guardandola al tempo stesso con espressione severa.

“Combattere per il mio popolo” ribatté immediatamente la ragazza, puntando uno sguardo risoluto in quello del numènoreano, ma sebbene le sue labbra socchiuse lottassero per aggiungere qualcos’altro, la pelle del suo viso si faceva ogni secondo più pallida e il suo sguardo sembrava sul punto di mancare.

Dean aprì la bocca per ribattere, ma il clangore della battaglia richiamò immediatamente la sua attenzione, e gli uomini che si affannavano disordinatamente ai cancelli avevano bisogno di una guida, di un ordine immediato, quindi si limitò ad afferrare il braccio insanguinato di uno dei compagni che erano appena rientrati insieme a lui “Porta la tua principessa alle Grotte prima che si faccia ammazzare”. Jo gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma Dean non aveva tempo per questo in quel momento, quindi si voltò immediatamente a gridare ordini agli uomini in preda al panico dietro ai cancelli.

Quando l’uomo tornò sugli spalti, c’era una barricata di legno e pietra a sostenere i cancelli, eppure poteva già vedere una nuova colonna nera avvicinarsi con un ariete altrettanto possente, e sapeva che non avrebbero potuto reggere all’infinito. Se almeno fosse giunta l’alba… odiava quella notte senza luna e in cuor suo sapeva, o forse sperava, che la luce del giorno avrebbe potuto scacciare almeno in parte le espressioni disperate che vedeva sui volti degli uomini che si affannavano a respingere le scale e corde che sembravano a spuntare da ogni pietra. Vecchi e giovani inadatti alla battaglia giacevano già sulle scure pietre delle Mura Fossato, ma i nemici che erano riusciti a valicarle erano ancora pochi, e molti cavalieri valorosi ancora impugnavano le loro spade, imbrattate di sangue nero fino all’elsa. Dean affondò la propria nel corpo nero che era appena spuntato dalle pietre di fronte a lui e con un calcio respinse la scala che lo aveva sostenuto, quindi, ansimante, si fermò un secondo a guardarsi attorno. Le frecce erano finite, le pietre scarseggiavano, la pioggia continuava, incessante, a pesare sugli animi di uomini sempre più stanchi. Non sapeva da quanto tempo stavano combattendo, ma l’alba non poteva essere così lontana.

Fu allora che il terreno su cui poggiava i piedi fu squassato dall’interno da un enorme boato. Dean si ritrovò a terra prima di capire cosa fosse accaduto, e riuscì a malapena a liberarsi dal orco, che si era avventato su di lui, cercando di affondare la sua immonda spada ricurva nelle sue carni. Togliendosi di dosso quel peso morto e maleodorante, si rialzò e si guardò freneticamente intorno, vedendo le espressioni attonite dei suoi uomini, che straniti cercavano di capire cosa di li avesse improvvisamente colpiti, poi le grida richiamarono il suo sguardo verso il basso. Al centro delle possenti Mura Fossato, lì dove si apriva l’unico varco, l’unica debolezza di quella invincibile fortezza, si apriva ora un enorme squarcio, dal quale il bianco cuore di quell’armata nera si riversava all’interno del fosso, arrancando nel fango e facendo strage di ogni cosa vivente che si muovesse lì sotto. Non sapeva quale diavoleria avessero usato, quale sorta di magia avesse potuto, in un secondo, allargare a quel modo il piccolo canale di scolo dal quale il fiume Fossato passava per riversarsi a valle, ma capiva chiaramente che la fortezza era ormai perduta.

I primi raggi del sole mattutino iniziarono a rischiarare il cielo, ma non portarono alcuna speranza nel cuore greve di morte del ramingo. La luce che non faceva che mostrare con ancora più impietoso nitore la devastante disfatta degli uomini del Mark: non c’era scampo, gli uomini valorosi che avevano combattuto fino allo stremo durante la notte cadevano come mosche davanti all’acciaio traditore di Gondor, il sangue si riversava a fiotti imbrattando di rosso ogni cosa, sotto lo sguardo disperato di Dean non c’era altro che sterminio e morte. Il ramingo strinse l’elsa della sua arma fino a farsi male, mentre dentro di lui lottavano la voglia di rassegnarsi e lasciarsi cadere, e la bruciante rabbia del combattente che non voleva arrendersi, che sarebbe morto con la sua lama in pugno e non voleva credere che i regni degli Uomini della Terra di Mezzo sarebbero davvero finiti così, travolti da una putrida marea nera e seppelliti nel fango.

La sua spada si levò di nuovo, alta e scintillante nel chiarore di quella grigia aurora, e la voce spezzata di Dean richiamò di nuovo gli arcieri, con le poche munizioni che ancora avevano, indirizzandoli a tirare verso l’interno, verso le chiare armature che si stavano facendo strada a colpi d’acciaio fra i feriti e gli indifesi, tingendo di rosso le acque del Fossato. La punta della sua lama affondò, di nuovo, nel corpo dell’ennesimo orco, ma ormai sembravano sbucare dovunque, poi qualcosa afferrò il braccio del giovane uomo, e mancò poco che calasse ciecamente la sua lama su quel ragazzo, quasi un bambino, che tenendo una mano sulla spalla squarciata, quasi potessi richiudere la ferita solo premendo con le dita, lo guardava implorante.

“Cosa dobbiamo fare?” biascicò, la bocca tanto impastata e la voce talmente tremante del medesimo terrore che si leggeva sul suo volto coperto di sangue e sporcizia, che Dean capì a malapena le sue parole “Cosa dobbiamo fare?” ripeté con più urgenza, mentre la mano che ancora stringeva il braccio del ramingo tentava di scuoterlo e aggrapparsi a lui al tempo stesso.

Fuggite. Questo avrebbe voluto dirgli. Scappa, corri e non ti fermare finché avrai fiato, sguscia via fra quei corpi neri e forse riuscirai a vedere il tramonto di questo giorno. Era così giovane, troppo giovane per portare una spada, troppo giovane perfino per riempire l’elmo ammaccato che gli avevano messo in testa, sicuramente troppo giovane per morire su quelle mura, ma era davvero giusto dirgli di scappare, alimentare il suo panico con la disperazione che lui sentiva nel cuore? Fissò quegli occhi chiari, come spesso erano chiari gli occhi dei discendenti di Eorl (?), che lo fissavano al limite della pazzia, sprofondati nella paura, nel panico cieco e che pure proprio in lui cercavano ancora un appiglio, un barlume di speranza, un modo come un altro per non abbandonarsi alla follia e al terrore.

“Corri alle Grotte ragazzo, e raccogli tutti gli uomini che puoi. Proteggete le Grotte, proteggete le donne e i bambini” lo esortò, afferrandolo a sua volta per tirarlo in piedi e quindi trattenendolo quando vide che stava già cercando di barcollare via “Hai combattuto coraggiosamente ragazzo, ma questa battaglia non è ancora finita, non è ancora persa”

Dean sperò con tutto il cuore che la sua voce fosse stata più certa delle parole che stava pronunciando di quanto non lo fossero il suo cuore, o la sua mente, ma nel fondo degli occhi azzurri di quel ragazzino, gli parve quasi di veder rinascere la forza. La battaglia continuava ad infuriare intorno a lui, i corpi si accumulavano con una velocità agghiacciante. Quello che aveva detto al ragazzo era giusto, almeno in parte: era necessario radunare gli uomini e portarli all’imboccatura delle Grotte, perché donne e bambini avrebbero avuto bisogno di tempo per fuggire tramite i cunicoli nella montagna. Dean brandì la spada con forza e gonfiò il petto per ricominciare a gridare gli ordini di quegli uomini avevano bisogno, ma il suo sguardo fu di nuovo attirato altrove. Un discreto gruppo di orchi si stava avvicinando alle porte divelte del Trombatorrione, e il giovane uomo ricordò infine che le Grotte non erano l’unico punto da proteggere: la fortezza ospitava ancora la regina Ellen, e gli uomini del Mark avevano bisogno di lei tanto quanto avevano bisogno della luce del giorno.

Quindi, con tutta la velocità che le sue gambe distrutte dalla stanchezza gli permettevano, corse verso il Trombatorrione, nel tentativo dissennato e disperato di raggiungere la Regina, nelle stanze più alte della fortezza. Nella sua corsa, intanto, richiamava ogni uomo a sé, gridando il pericolo ad ogni occhio che ancora non lo avesse veduto, urlando di raggiungere le Grotte o la fortezza, perché quelli sarebbero stati gli ultimi avamposti di una difesa disperata. Non degnò di uno sguardo l’ampia distesa della vallata ancora brulicante di vita, i suoi occhi non colsero le nuove, chiare armature che scintillavano ai primi raggi rosa di un sole finalmente libero che stavano invadendo il cielo, non videro gli strani, imponenti alleati che si assiepavano in fondo alla valle, sotto la guida di un grigio cavaliere.

Dean raggiunse la fortezza, maciullando senza neppure pensare ogni singolo mostro che gli si parava innanzi, solo quando, di fronte alle porte del Trombatorrione, una chiara armatura gli sbarrò la strada, improvvisamente il suo braccio si fermò, e non poté impedire ai suoi occhi di fissarsi nel limpido azzurro dello sguardo terrorizzato del ragazzo di fronte a sé. Avrebbe voluto fare un milione di domande, gridare un milione di insulti e poi ricominciare da capo, ma si limitò a calare la spada con rabbia. Ammaccò la candida armatura senza romperla, ma abbatté ugualmente il giovane soldato intontito dalla paura. Il giovane ramingo lo scavalcò d’un balzo e si gettò all’interno della fortezza, aiutando i numerosi cavalieri già presenti ad abbattere gli ultimi nemici e chiudere le porte, prima di concludere la sua corsa di fronte alla regina Ellen.

La donna indossava la sua armatura, mentre la sua semplice corona giaceva dimenticata sul tavolo che dominava la grande sala. La sua mano destra stringeva la corta ma possente spada reale, mentre sul braccio sinistro era fissato un tondo scudo di legno e metallo, colorato d’oro come lo erano le pareti del palazzo di Edoras. Alle spalle della regina, più di dieci cavalli scalpitavano, nervosi, e completamente bardati per la battaglia. Dean spostò lo sguardo dalle regine alle cavalcature, quindi, ansimante e quasi distrutto dalla battaglia, senza badare ai suoi abiti a brandelli, al volto coperto di sporcizia e di sangue mischiato di amici e nemici, ai capelli appiccicati al capo dal sudore e dal rosso che continuava a sgorgare dalla ferita che gli apriva la fronte senza che lui se ne fosse neppure reso conto, rimase in piedi, di fronte a Ellen, uno sguardo risoluto fino alla disperazione puntato su di lei.

“I miei uomini hanno parlato di te come di un eroe, una furia mandata dai Valar a proteggerci” esordì la regina, allungando la mano che fino ad un secondo prima teneva la spada, per posarla sulla sua spalla “Cavalca con me per l’ultima volta, cavalca verso una morte gloriosa e forse cavalcheremo insieme nelle aule di Mandos”

“No” rispose Dean, la voce profonda rotta dalla stanchezza ma non dall’incertezza, e la sua risposta dipinse la sorpresa sul volto della regina “Cavalca per combattere, cavalca per il tuo popolo, cavalca per vivere e io sarò al tuo fianco fino alla morte, ma non uscirò con te per offrire la mia carne a quel branco di animali, non cavalcherò per immolarmi sull’altare di un ideale eroico che vive solo nelle canzoni” aggiunse rapidamente, le dita strette per la furia attorno all’elsa imbrattata della sua spada “Cavalca per vincere, Ellen di Rohan. Fai risuonare il corno del Trombatorrione ancora una volta, fai tremare i tuoi nemici  e cavalca per vivere!” concluse, la voce roca per la rabbia mentre andava ad afferrare le redini di una sempre più irrequieta giumenta.

Ellen lo seguì con lo sguardo, senza proferire una parola, semplicemente avvicinò lo stallone grigio che era il suo cavallo, e sorrise al giovane ramingo mentre montava in sella e sfoderava la spada, insieme ai suoi cavalieri più fedeli. “Sarai un grande Re, Dean di Numenor” disse la regina senza più voltarsi a guardarlo, prima di spronare la cavalcatura, non appena le porte della sala furono nuovamente aperte di fronte a lei.

Nella luce chiara di un’alba appena cominciata, la sua armatura accecò i nemici, e l’elsa della sua spada risplendette d’oro nel sole invincibile del mattino, che scacciava le nubi come lei ricacciava il nero dei suoi nemici e il bianco gelido dell’acciaio traditore di Gondor, mentre il cupo suono del corno di Helm faceva risuonare la vallata scuotendola fin dalle fondamenta. Come una furia d’acciaio e membra possenti i cavalieri di Rohan si abbatterono sui loro nemici, seguendo la loro regina e il giovane uomo che cavalcava al suo fianco mulinando ancora una volta la propria lama nell’aria finalmente tersa del mattino. La spada di Dean brillava di furore e speranza tra i caduti e coloro che anche allora combattevano, con rinnovata forza e una nuova speranza, nell’udire finalmente le grida di dolore degli orchi e quelle di giubilo di chi ancora sugli spalti lottava fino allo stremo, e vedeva sopraggiungere, insieme al nuovo giorno, lo spettro luminoso di una vittoria in cui non avevano creduto.

 


Lo so, lo so... ogni volta ci metto di più! Sembra che lo faccio apposta vero? Ma la colpa è della mia vita, che mi rapisce, e questa volta anche del fatto che scrivere della battaglia del Fosso di Helm è stato un parto trigemellare, per questo alla fine mi sono più o meno attenuta a quello che ha scritto il nostro amato Tolkien! Spero di non avere combinato troppi casini... mi rimetto al vostro giudizio e ricordo a tutti i miei pochi ma affezionatissimi ed amatissimi lettori che i commenti, le recensioni, le critiche non sono solo bene accette, ma vivamente richieste!
Al prossimo capitolo!
La vostra Autrice (ritardataria)

   
 
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