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Autore: Nenredhel    28/02/2012    4 recensioni
Edoras, la grande dimora dei signori dei cavalli. Da tempo manca un re a questa nazione, ma questo non significa che non ci sia qualcuno a governare e difendere il suo popolo. Adesso, però, una minaccia arriva da sud, e Dean le corre incontro con la spada sguainata e la sensazione di non avere più nulla da perdere.
Crossover, Terra di Mezzo!AU, elf!Castiel/Wanderer!Dean. Parte della serie "Middle Earth 'verse"
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Middle Earth'
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Lo so, lo so... anche stavolta avevo detto che avrei cercato di fare in fretta, e anche stavolta sono passati dei mesi. Non so più cosa dire per scusarmi, quindi dico solo che spero che sia valsa la pena di aspettare tanto! Come sempre, ogni tipo di commento è molto ben accettato e sentitamente sollecitato.
Buona lettura...


 

Meduseld (Il Palazzo d’Oro)

 

“The world is indeed full of peril and in it there are many dark places.
But still there is much that is fair. And though in all lands, love is now
mingled with grief, it still grows, perhaps, the greater”*
[J.R.R. Tolkien]

* Il mondo è davvero pieno di pericoli e vi sono molti luoghi oscuri. / Eppure vi sono ancora molte cose belle. E nonostante in tutte le terre, l’amore sia ora / mischiato al dolore, esso germoglia, forse, ancora più forte. (traduzione mia)

 

I raggi obliqui di un sole appena sorto facevano brillare come pietre di rara bellezza le piccole gocce, che costellavano verdi e rigogliosi steli d’erba ormai quasi estiva, distesi a perdita d’occhio, come un mare di fili silenziosi tra le ampie valli insinuate fra i colli, che prendevano ormai il posto delle montagne nebbiose. Il terreno, morbido sotto gli zoccoli delle fiere cavalcature, sembrava abbracciare ogni loro rapido passo, attutendone i suoni in quel mattino primaverile, come se un Vala dal tenero cuore avesse improvvisamente messo le ali alle bestie ormai stanche.

Le chiare acque dell’Acquaneve scintillavano di vita cristallina, serpeggiando fra le colline ed inoltrandosi svelte e leggiadre nella più ampia delle valli che si aprivano di fronte ai loro occhi, correndo a circondare con il loro allegro sciabordio un colle, la cui sommità pareva risplendere del medesimo oro del sole mattutino. Gli occhi di Dean si strinsero fino a divenire due fessure mentre cercava di scrutare di fronte a sé, oltre l’abbaglio dei primi chiari raggi del giorno, l’imponente delinearsi di quello che appariva come un palazzo d’oro, circondato di alte mura e abbracciato dalle proprie case come un padre circondato dalle piccole braccia dei propri figli.

La testa del ramingo quasi ciondolava per la stanchezza del lungo viaggio, che aveva affrontato insieme ai due amici. Da quando avevano lasciato le sicure sale di Caras Galadhon non avevano più conosciuto la piacevolezza di un letto comodo, e neppure la consolazione di un’intera notte di sonno. Mano a mano che si spingevano a sud, le strade divenivano sempre più pericolose, ed era necessario vegliare costantemente. E come se questo non fosse stato sufficiente, Dean si sentiva braccato dalle immagini che aveva scorto nello specchio di Pamela: non poteva riposare tranquillo per un’intera notte, sapendo quali cupi giorni attendevano la Terra di Mezzo, e a quale tremulo filo era appesa la speranza. Il giovane volto, spaccato da una ferita di morte, che aveva visto nello specchio perseguitava tutti i suoi sogni, e si stagliava nitido e minaccioso contro le sue palpebre chiuse, ogni volta che fermava il loro viaggio per riposare: per non cadere da cavallo a causa della stanchezza, per non uccidere la sua stessa cavalcatura con una corsa troppo sfrenata ed inutile. Sentiva il bisogno impellente di raggiungere Rohan immediatamente, e porre il proprio corpo fra il volto di quella ragazza e l’arma che l’avrebbe uccisa, e allo stesso tempo una voce cupa sul fondo della sua anima gli diceva che tutto sarebbe stato inutile, che non sarebbe riuscito a salvare nessuno, proprio come non era riuscito a salvare Castiel dalle fiamme e dall’ombra.

Dean tirò le redini d’improvviso, e il suo cavallo dal manto nero si impennò leggermente, protestando per il brusco comando e sbuffando sonoramente, quando Bobby fermò la propria cavalcatura solo a poche leghe di distanza dal palazzo d’oro, che avevano scorto brillare in lontananza alcuni minuti prima.

“Edoras, dimora dei signori dei cavalli.” Annunciò con la sua voce piena, indicando con la punta del suo bastone l’altura che si ergeva proprio di fronte a loro.

“Avevo sentito parlare di Meduseld, il palazzo d’oro dei Rohirrim, ma non credevo che gli uomini fossero in grado di costruire qualcosa di così bello” commentò Sam, fermandosi alla sinistra di Dean e puntando uno sguardo ammirato verso la cittadella.

“Aspetta di posare gli occhi sulla città bianca di Gondor prima di giudicare di cosa gli uomini sono capaci, Sam” lo ammonì Bobby, burbero ma sorridente “I Rohirrim sono gente valorosa ed orgogliosa. Tenete le vostre armi nel fodero e badate alle vostre lingue, quando passeremo oltre le porte del palazzo d’oro, o sarà la sua regina a rimettervi al vostro posto” aggiunse lo stregone con uno strano sorriso, prima di tornare a spronare il suo cavallo grigio, gettandosi giù per il leggero declivio di fronte a loro, pronto a raggiungere la strada che saliva serpeggiante verso le mura di Edoras.

Dean fece appena in tempo ad intercettare lo sguardo perplesso di Sam, prima che anche lui riprendesse la cavalcata con un scrollata di spalle. Il ramingo si fermò ancora solo un secondo, con gli occhi fissi sul palazzo d’oro, che risplendeva in bagliori accecanti, cercando di non vedere in quelle luci risplendenti il riflesso del fuoco che avrebbe divorato quelle terre e tutti i suoi abitanti di lì a poco.

 

~~~

 

Le strade di Edoras erano un unico, ininterrotto via vai di persone, cariche di borse e sacchi, cibo ed abiti appallottolati. I bambini venivano sbatacchiati qui e là da madri indaffarate che non avevano tempo di dar retta alle loro proteste, né tanto meno di rincorrerli per chissà quali sentieri, se avessero decisero di lasciarli andare a giocare da soli; gli uomini confabulavano tra loro o trattavano a voce alta per il prezzo di chissà quale merce; mentre carri, cavalli e pony erano allineati davanti alle case, con le bisacce assicurate alle cinghi, mezze piene, aperte ed in attesa di essere colmate del tutto. Tutta quella gente si stava preparando ad un viaggio, ad un lungo viaggio che portava solamente verso la paura. Dean poteva leggere l’apprensione sul viso di ogni madre e ragazza, negli occhi sfuggenti di ogni uomo o bambino. Erano corsi ad avvisare i signori dei cavalli del pericolo imminente, ma questa nazione stava già facendo i bagagli per fuggire.

Davanti ai grandi portoni di Meduseld, quelli che parevano gli unici due uomini immobili della città attendevano silenziosamente i visitatori nelle loro armature leggere di cuoio. Solo gli elmi erano di metallo, e ornati da una lunga chioma di crini chiari che apparivano come la criniera di un destriero. Le lance dei due soldati scattarono all’unisono quando Bobby si avvicinò alle porte, poggiandosi più pesantemente del solito al suo bastone.

“Chiedo udienza alla signora del Mark. Sarà felice di vedermi in queste ore oscure” annunciò con la sua voce roca lo stregone, fissando alternativamente gli occhi chiari sui due giovani volti delle guardie.

“Non potete accedere al palazzo d’oro armati” replicò il giovane sulla destra, che aveva il volto di un ragazzo che aveva appena imparato a tenere in mano un rasoio, e gli occhi, di un marrone chiaro che pareva quasi giallo, puntati sulle due figure alle spalle dello stregone, i cui volti erano nascosti dall’ombra dei propri cappucci.

Bobby si voltò immediatamente, facendo loro un gesto brusco accompagnato da un grugnito eloquente, quindi slegò la spada che teneva egli stesso alla cintura e tornò poi a poggiarsi pesantemente al proprio bastone, in attesa. Sam tolse dai foderi due lunghi pugnali elfici, depositandoli nel sacco che la guardia teneva aperto di fronte a lui, ma esitò quando dovette lasciare anche il proprio arco e le frecce. Dean abbandonò il proprio pugnale ed il proprio arco, mentre alla strana occhiata che il soldato lanciò al fodero vuoto della sua spada, posò la mano su di esso come per nasconderlo, replicando “Ho perduto la mia spada nelle miniere di Moria”

Quasi vero. Pensò tra sé, mentre sentiva distintamente, nel fagotto che teneva legato alla schiena, il peso dei frammenti della spada di Colt, che aveva tolto dal fodero e nascosto in quel sacco per chissà quale motivo. Si era detto che era per nasconderla ad occhi indiscreti, ma qualcosa, dentro di lui, gli diceva che era stato piuttosto per nasconderla ai propri occhi. Il solo vedere, ogni volta, l’impugnatura di quella vecchia spada inutilizzabile, bastava a fargli stringere le viscere in una morsa dolorosa.

Il giovane, con il sacco delle armi in mano, fissò il bastone cui si poggiava Bobby con fare eloquente, ma prima che potesse aprire bocca, lo stregone lo anticipò: “Non vorrai privare un vecchio del suo sostegno per camminare?”[1] c’era una nota sospesa fra l’infastidito e l’ironico nella voce dell’Istari, quando pronunciò la parola ‘vecchio’, ma nessuno parve farvi troppo caso.

Le due guardie si scambiarono un’occhiata perplessa ma, alla fine, quello che sembrava il più vecchio dei due, si strinse nelle spalle e si voltò finalmente per spingere i battenti della porta del palazzo d’oro.

La grande sala che accolse i tre viandanti era immersa da una penombra, interrotta solo dalle lame di luce che penetravano sporadiche dalle poche finestre volte ad oriente, mentre nell’enorme focolare brillava un fuoco che appariva perpetuo, da quanto le pareti s’erano fatte nere intorno ad esso. Il grigio freddo della pietra di cui le pareti erano composte era interrotto, qui e là, da preziosi intagli d’oro, e rune d’ogni tipo ornavano il pavimento sotto i piedi dei tre amici. Anche le possenti colonne, che sostenevano il basso soffitto del grande salone, non erano solamente colonne, ma sculture le impreziosivano, incrostate e rilucenti d’oro, mentre fili dorati tessevano perfino gli arazzi che in più punti adornavano le pareti.

I tre viaggiatori avanzarono nella grande sala, gli occhi impressionati dallo sfarzo semplice ma imponente di quel palazzo, eppure ancora le menti fisse nei loro propositi e l’attenzione puntata soprattutto sul grande trono che si ergeva, solitario e vacante, sopra tre gradini, sul fondo della sala. Lo stendardo dei cavalieri di Rohan faceva bella mostra di sé alle spalle del trono, ma nessun Re sedeva su di esso ad attendere i propri ospiti, e solo Bobby non ne sembrava sorpreso.

“Ricordavo che l’educazione fosse tenuta in maggior conto nella sale del Palazzo d’oro, evidentemente non ricordavo poi tanto bene” borbottò la voce burbera dello stregone ad un sala vuota, come stesse parlando allo stendardo di fronte ai suoi occhi chiari.

“L’educazione è per gli ospiti graditi, non per chi arriva sempre solo a portare disgrazia” commentò una voce calma e melliflua, mentre una minuta figura di donna emergeva dalle ombre alla destra dei tre compagni.

Un lungo abito bianco, stretto sui fianchi da una pesante cintura d’anelli d’oro, e coperto in parte, sulle spalle, da un leggero manto nero, vestiva la piccola figura che avanzava con passi tranquilli per andare a posizionarsi tra il piccolo gruppo ed il trono ancora vuoto.

“Bobby Corvotempesta, dovrebbero chiamare questo stregone. Il malaugurio è un cattivo ospite!”[2] annunciò di nuovo, con un sorrisetto trionfante sulle labbra carnose, ed una scintilla di sfida negli occhi scuri.

“Non sono venuto a parlare con chi tenta da tempo di versare veleno nell’orecchio di una vecchia amica, quindi togliti dalla mia vista prima che perda la pazienza, Ruby Vermilingua[3]” tuonò Bobby, senza cedere d’un passo la propria posizione, ma anzi sostenendo senza il minimo timore lo sguardo della giovane donna “Vengo in questo luogo con notizie e con consigli. Sarà quindi il caso che la Signora del Mark non si faccia attendere oltre” riprese, riportando il proprio sguardo determinato sull’arazzo che permaneva immobile e silenzioso alle spalle del trono.

“Vieni con una ben strana compagnia, a portare le tue notizie” commentò Ruby, avvicinandosi di un passo a Sam, che stava alla destra di Bobby, il volto ancora in buona parte coperto dal cappuccio del proprio grigio mantello elfico “Cosa fanno un ramingo e un Elfo in giro per le terre del Mark, insieme ad uno stregone? Io voglio solo il bene della mia Signora, è mio dovere diffidare di chi giunge a queste porte pretendendo di dare ordini” insinuò con la propria voce fintamente cordiale, nascondendo una nota di ironia dietro il proprio sorriso.

Bobby tornò immediatamente a puntare il proprio sguardo di ghiaccio verso la ragazza, che era ora abbastanza vicina da essere a portata di braccio per i tre viandanti. Lo stregone sembrò soppesare freddamente la sua minuta figura ancora per alcuni lunghi istanti, prima di tornare finalmente ad ergersi in tutta la propria statura, senza più fingere di appoggiarsi al bastone che teneva nella destra, per levare poi quello stesso braccio, puntando minacciosamente quello che aveva chiamato il suo sostegno verso Ruby.

“Se vuoi fare il bene della tua Signora fatti da parte, o perlomeno taci! La tua lingua avvelenata non è fatta per le sue orecchie, né per le nostre, dovresti averlo capito ormai” sbottò infine lo stregone, e per un attimo parve che avesse intenzione di colpire la ragazza con il proprio bastone.

Sam stava puntando uno sguardo stupefatto sul volto dello stregone, completamente sconvolto dal fatto che egli fosse pronto a colpire una ragazza che appariva indifesa, oltre che intenta a fare al meglio possibile quello che evidentemente era la sua mansione nel palazzo, ma in quel momento un’altra voce irruppe nella sala silenziosa, fendendo l’aria carica di tensione con un ordine perentorio.

“Ferma la tua mano Bobby, vecchio pazzo!”

I due ‘quasi fratelli’ impiegarono alcuni lunghi secondi per capire da dove provenisse la voce che aveva apparentemente sventato l’aggressione dello stregone, mentre Bobby sembrava sapere esattamente dove guardare: i suoi occhi non avevano mai smesso di tenere d’occhio lo stendardo, che appariva ora scostato di lato dalla mano della donna che era apparsa dietro di esso. Il volto della Signora era decisamente femminile, così come i suoi lunghi capelli castani, lasciati sciolti sulle spalle, ma il seno prominente si intuiva solamente, nascosto sotto la pesante cotta che completava il militaresco vestiario maschile che avvolgeva il suo corpo maturo. Una maglia verde spuntava dalla ferrea cotta, coprendole le braccia ed in parte le gambe, che erano infilate in un paio di pantaloni scuri e pesanti stivali di cuoio marrone. Una grossa cintura pendeva, un po’ storta, sul lato sinistro, ove era appesantito da un fodero con la sua lama. Sul petto, faceva bella mostra di sé il cavallo bianco dei Rohirrim.

“Pensi davvero che colpirei chiunque, perfino questa creatura, nella tua casa e senza il tuo permesso” replicò Bobby, sorridendo con un misto di compiacimento ed irritazione che rendeva la sua espressione quantomeno buffa.

Ruby rispose solo con una smorfia veloce al commento dello stregone, ma mentre si allontanava discretamente, tornando a rintanarsi nelle ombre, i suoi occhi scuri erano fissi sull’alta figura dell’Elfo che era parso così indignato dal comportamento dell’Istari.

“Penso che faresti qualunque cosa per attirare la mia attenzione ed indurmi a fare come vuoi tu” ribatté a tono la strana dama, mentre si portava davanti al trono sedendo quindi al suo legittimo posto “Su una cosa Ruby aveva ragione, però, porti con te una strana compagnia questa volta. Non mi presenti i tuoi amici?” i penetranti occhi nocciola della Signora di Rohan si puntarono alternativamente su Sam e Dean, per poi tornare, le sopracciglia corrugate, sullo stregone al centro, un sorriso a metà sulla bocca sottile, in attesa.

Bobby esitò solo un secondo, quindi sospirando si voltò prima da un lato e poi dall’altro, facendo loro cenno di lasciar cadere i propri cappucci, per rivelare i loro volti solo in parte celati.

“Mia Signora, ti presento Dean di Nùmenor, erede di Gondor, e Samuel di Gran Burrone, figlio maggiore di Sire John il Mezzelfo” lo stregone fermò un attimo le proprie parole, lasciando che i nomi che aveva pronunciato arrivassero e sedimentassero nella coscienza della dama che li aveva appena uditi, quindi rivolgendosi ai propri compagni aggiunse “Ragazzi, questa è Ellen di Rohan, Signora del Mark”

“Mi correggo, non viaggi con strani compagni, ma con nomi importanti” le sopracciglia della regina si erano inarcate nell’udire i nomi che Bobby aveva pronunciato, ma se i suoi occhi avevano osservato con curiosità il bel volto e le puntute orecchie dell’Elfo, si erano poi fermati con insistenza sullo sguardo verde del giovane ramingo, che pareva imbarazzato nel sostenere quell’attenzione.

“Mentre tu… per quale motivo ti tieni affianco al trono quella specie di diabolico pinguino?” domandò Bobby, con la voce roca colma di infastidito risentimento, facendo saettare i propri occhi chiari verso l’angolo in penombra dove ancora la ragazza si celava, sorvegliando ogni loro mossa.

La risposta della regina fu però preceduta dal mezzo commento di Dean, che Sam non riuscì a fermare in tempo. “Pingu…che?” domandò senza pensare a dove si trovava, o a chi aveva di fronte, dando semplicemente una gomitata nel fianco dello stregone, suo vecchio amico. Solo quando Sam gli strinse il braccio abbastanza forte da fargli male, e Bobby il Grigio si voltò per riservargli la sua migliore occhiata fulminante per poi alzare gli occhi al cielo, come si farebbe con un bambino particolarmente indisciplinato, Dean si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a tacere.

La regina Ellen osservò tutta la scena con un sorriso divertito sulle labbra, che sparì, facendo ricomparire un’espressione dura e risoluta, che sembrava non voler concedere nulla al suo interlocutore, quando Bobby tornò a rivolgere a lei la sua attenzione.

“Perché ha sempre le migliori informazioni, prima degli altri. E perché dà buoni consigli al momento giusto, cosa che non si può dire di te, vecchio vagabondo in grigio” era la seconda volta che la regina lo appellava con tanta disinvoltura, e sebbene Dean non avesse mai sentito Bobby parlare di lei, aveva ora l’impressione che non solo si conoscessero da lungo tempo, ma anche che si conoscessero estremamente bene.

“I consigli non sempre sono buoni come sembrano. Sono qui per…” ricominciò a parlare lo stregone, ma la regina lo interruppe con un gesto della mano, levandosi dal trono e scendendo i pochi gradini sotto di esso per avvicinarsi ai suoi tre ospiti.

“Tu sei venuto per dirmi che un esercito di uomini e orchi marcia in direzione dei miei confini, ma io ne sono già stata informata” annunciò la regina, fermandosi direttamente di fronte allo stregone, guardandolo dritto negli occhi, alla sua stessa altezza.

“Uomini e orchi?” domandò d’istinto lo stregone, corrugando la fronte in un’espressione più preoccupata che sorpresa.

“Vedo che le tue preziose informazioni non sono poi tanto dettagliate” commentò la regina con un sospiro, per poi proseguire, spostando il proprio sguardo nuovamente sul giovane volto del ramingo “Una volta Rohan e Gondor erano amici ed alleati, ma ora il Sovrintendente manda le sue scintillanti armature contro di noi. Forse l’erede al trono di Minas Tirith è qui per fermarli?”

Dean si irrigidì sotto lo sguardo duro, seppure non accusatore, della regina, e la sua mente andò istintivamente all’inutile lama che portava nel fagotto sulle proprie spalle, e subito di seguito a quel compagno che aveva perso lungo la via di questo assurdo viaggio. Lui avrebbe saputo consigliargli cosa dire, come comportarsi, lui avrebbe saputo ridargli la speranza che aveva perduto nell’abisso di Moria. Ma Moria lo aveva inghiottito, e ora doveva percorrere da solo questa strada, trovando da solo le parole, la forza, la speranza. Il ramingo aprì la bocca per replicare, ma la mano di Bobby sul petto lo bloccò.

“Dean è qui per lottare al tuo fianco, per offrire tutto l’aiuto di cui sarà capace, sperando che poi potrai aiutarlo nella sua guerra per la riconquista di ciò che suo. Sai bene che Crowley si è seduto su quel trono con l’omicidio e con l’inganno…” nuovamente, la regina lo interruppe, senza neppure darsi la pena di alzare la mano per zittirlo.

“Io so solo quello che tu vuoi dirmi, Bobby!” lo attaccò con voce perentoria, voltandosi per tornare al proprio trono “Per questo sono andata a cercare altrove consigli ed informazioni. Ho già preso i provvedimenti che sono necessari: la mia gente sta raccogliendo le proprie cose e le proprie forze, è pronta a partire e combattere. Le possenti mura del fosso di Helm ci hanno salvato in passato, lo faranno ancora” illustrò la regina, tornando a posare il proprio sguardo sui tre compagni, mentre poggiava una mano sul proprio alto trono, come traendo dal legno stesso la propria autorità.

“Questa è una follia” sentenziò Bobby, borbottando la sua indignazione mentre tornava a poggiarsi al suo bastone con un sospiro, pronto ad una lunga battaglia.

 

~~~

 

La notte era calata rapidamente, o almeno così era parso a Dean, mentre sedeva sul muretto di pietra che costeggiava la stretta strada che incideva il lato della collina, poco più in basso delle possenti mura del palazzo d’oro. A quanto ne sapeva, Bobby era ancora all’interno, a discutere con Ellen sulla sua decisione di andare a rintanarsi al fosso di Helm. Personalmente, pensava che lo stregone avesse ragione: la forza di Rohan era nei suoi cavalieri, chiuderli in una fortezza poteva essere controproducente, sarebbe stato molto meglio condurli in campo aperto a cogliere di sorpresa l’esercito che marciava verso di loro. Ma lui era sempre stato più propenso all’azione che alla strategia e, in fondo, per quando continuassero a chiamarlo erede al trono di Gondor, lui non era che un ramingo, e non aveva voglia di essere considerato niente di più, al momento.

A fianco a lui, sulla superficie irregolare delle pietre del muretto, era posato l’involto in cui erano conservati i frammenti della leggendaria spada di Colt. Aveva fatto molta strada, e aveva perso un amico… un compagno… il filo dei suoi pensieri si incagliò sull’immagine del volto sempre pacato e serio dell’Elfo che era stato per lui prima un mentore, quasi un fratello, poi un amico, e poi qualcosa di tanto intenso che non riusciva a dargli un nome. Era come uno scoglio sul quale la sua mente naufragava continuamente, come il punto dolente che la lingua continua ad andare a torturare nella bocca, come traesse un qualche sadico piacere nel seguitare a rinnovare quella sofferenza.

Sentì gli occhi iniziare a bruciare della pena che aveva nel cuore, e li chiuse un secondo per poi spalancarli nell’oscura aria notturna, lasciando che fosse la sua fresca carezza ad asciugarli e resistendo all’impulso di lanciare lontano da sé quel piccolo sacchetto di cuoio ripieno d’acciaio, quando la sua mano vi si posò casualmente sopra. Abbassò lo sguardo quando fu sicuro che nessuna goccia indesiderata se ne sarebbe staccata, e prese tra le mani l’involto. Aprì il laccio che lo avvolgeva stretto e scostò il drappo scuro, per rivelare l’acciaio lucente, che malgrado i lunghi anni e l’oblio, riusciva ancora a rilucere della sua egregia fattura anche nella luce incerta della luna. Passò prima le dita sull’elsa, semplice ma elegante, e il suo dito si tinse di una goccia di rosso quando ne accarezzò il filo: quella lama non avrebbe mai perso la sua affilatura, eppure era ancora solo un inutile ammasso d’acciaio. Non sapeva che farsene di quel peso che continuava a portare sulla schiena, così come non sapeva che farsene del nome e del titolo che Bobby gli aveva scaricato sulle spalle. Avrebbe voluto tornare a casa, solo che la sua casa era scomparsa tra le fiamme e l’ombra.

Dean trasalì quando il freddo acciaio si posò alla sua gola, mentre un braccio sottile ma forte gli circondava il collo e una mano gli si posava alla schiena, sorvegliando senz’occhi ogni sua mossa.

“Chi sei? E cosa fai qui nell’ombra, a due passi dalla dimora dei signori del Mark?” domandò una voce alle sue spalle, troppo sottile per essere quella di un uomo.

“Riposo e guardo le stelle” replicò, insinuando l’ironia nella propria voce, mentre, scivolando giù dal muretto, si appendeva al braccio che gli teneva saldamente le spalle, abbastanza forte da allontanarlo dalla propria gola, e quindi ruotava velocemente su se stesso, tenendo stretto nel pugno il giovane polso e torcendolo fino ad indurlo a lasciar cadere la lama che aveva minacciato la sua vita.

Quello che proprio non si aspettava, era che il suo aggressore scavalcasse agevolmente il muretto, facendo sgusciare una mano più piccola e delicata di quanto avesse pensato fra le sue dita, per poi attaccarlo con una ginocchiata lì dove ogni uomo è più debole, e raccogliere la lama che aveva appena lasciato cadere mentre lui tentava affannosamente di riprendersi dal colpo.

“Non è un buon posto per guardare le stelle questo, straniero.” Lo apostrofò nuovamente la voce, leggermente affaticata, mentre tornava a puntargli la lama alla gola, tenendosi però a discreta distanza.

“Qualsiasi Elfo ti risponderebbe pân sad nardh maer an tiri in elenath (ogni luogo è buono per guardare le stelle)” rispose Dean, rimettendosi in posizione eretta, mentre constatava che la fitta sorda che sentiva nel petto al solo usare i suoni della lingua della sua infanzia era molto peggiore di qualunque colpo potesse infliggergli il suo aggressore. I suoi occhi verdi cercarono di penetrare l’ombra per vedere il volto di chi lo aveva appena colpito, ma il cappuccio che portava sul capo nascondeva gran parte del suo viso, sebbene ancora potesse riconoscere che doveva trattarsi di un ragazzino, a giudicare dalla linea dolce del mento.

Il ragazzo parve esitare, quando sentì i suoni della lingua degli Elfi, che molto evidentemente aveva riconosciuto, pur senza comprenderne il significato. Il pugnale che era ancora puntato al suo petto si abbassò di poco, mentre l’aggressore sembrava studiarlo con diffidenza.

“Spero che tu non mi abbia appena insultato, straniero” lo canzonò infine la giovane voce proveniente dalla penombra del cappuccio “Parli la lingua degli Elfi, ma a meno che la mia vista non sia ingannata da un sortilegio, non sei uno di loro. Chi sei straniero? e perché stai da solo fuori dalla porta della mia casa?” domandò ancora, e quando sporse di poco la testa verso di lui, Dean poté cogliere un lampo dei suoi occhi attenti e prudenti al tempo stesso.

“Sono un ospite del palazzo d’oro, e se quella è la tua casa, mi chiedo, come puoi non saperlo?” ribatté Dean prontamente, indicando con un gesto noncurante del capo la massiccia sagoma di Meduseld,  mentre ancora stringeva i denti per non cedere alle ultime ondate di dolore che gli provenivano dall’inguine, gentile dono del suo interlocutore.

“Perché da giorni sono occupata altrove, ad aiutare la mia gente nei preparativi” replicò la voce, scontrosa, mentre una piccola mano andava finalmente a scostare il cappuccio, lasciandolo cadere sulle spalle e rivelando una lunga chioma di capelli biondi e un viso inequivocabilmente femminile, che fece sobbalzare Dean quando riconobbe in quei lineamenti armoniosi e giovani, i medesimi che aveva veduto nello specchio di Pamela, spaccati da un’orrenda e funerea ferita “Sono Jo, figlia di Ellen di Rohan, adesso vuoi dirmi il tuo nome straniero… e magari anche cosa facevi qui al buio con una spada rotta in grembo?” proseguì la ragazza, gettando un’occhiata perplessa ai frammenti della spada, che ora giacevano tra l’erba bassa, sfuggiti almeno in parte alla loro protezione di cuoio.

Dean represse l’impulso di chinarsi immediatamente a raccoglierli, per rimetterli al sicuro nella loro sacca: certo un gesto del genere avrebbe attirato l’attenzione su di essi, ed era proprio ciò che intendeva evitare.

“Sono Dean…” il giovane ramingo esitò, incerto sul nome da dare, poi gettò una nuova, fugace occhiata ai pezzi sparsi della spada di Colt e proseguì “Dùnedain del Nord. Sono arrivato qui insieme a Bobby il Grigio e a Samuel di Gran Burrone, perché ci sono giunte notizie di guerra imminente” spiegò mantenendosi sul vago, pensando che avrebbe dovuto pensarci qualcun altro a spiegare anche a questa ragazza chi egli fosse, se proprio questo doveva accadere “Ma non credevo che le fanciulle di sangue reale si aggirassero nella notte a custodire le mura del proprio palazzo” aggiunse quindi, con un mezzo sorriso ad inarcargli le labbra, mentre osservava finalmente lo strano abbigliamento della ragazza.

Jo indossava un abito azzurro di lana grezza, non certo un tipo di vestiario adatto ad un principessa, il pesante mantello che portava sulle spalle sembrava più conoscono ad un cavaliere che ad una fanciulla, mentre ai piedi si intuivano un paio di vecchi stivali. Alla vita della ragazza si intravedeva una grossa cintura di cuoio, ove erano infilate alcune scarselle chiuse da modeste fibbie di metallo, insieme al fodero del pugnale che ancora teneva nella mano, e ad una spada ancora riposta al suo posto.

“Le donne di Rohan non sono del tipo che fuggono a rintanarsi davanti alla battaglia. Noi combattiamo al fianco dei nostri uomini, o ci gettiamo di fronte ai loro corpi morti per proteggere la nostra terra” la ragazza tornò a stringere con più forza la preziosa elsa della sua corta lama, e la levò nuovamente contro il ramingo, mentre nei suoi occhi brillava la luce della battaglia “Non temo né morte né dolore” affermò quindi con fierezza, mentre Dean estraeva veloce la propria lama, per incontrare quella della dama.

Il giovane ramingo fece roteare il braccio, e le due lame lo seguirono all’unisono strisciando una contro l’altra accompagnata dal loro stridere metallico, finché il movimento non le tolse di mezzo, inducendo entrambi ad abbassarle, al proprio fianco.

“Cosa temi, mia signora?” chiese allora Dean, il sorriso più largo sulle sue labbra, affascinato suo malgrado da questa fanciulla che pareva poco più di una bambina ma parlava con la forza che molti uomini non avrebbero mai avuto.

“La gabbia” replicò immediatamente la ragazza, e il suo viso delicatamente ovale si illuminò di una regale risoluzione mentre rispondeva, la schiena dritta e la testa alta “Stare dietro le sbarre finché l’abitudine e la vecchiaia le accettino, e ogni occasione di valore sia diventata un ricordo o un desiderio”[4]

Mentre Jo di Rohan ancora finiva di pronunciare quelle parole, Dean non poté impedirsi di pensare che questa ragazza gli piaceva. Ammirava la sua forza, e la determinazione che trapelava dal suo sguardo ogni volta che parlava. Era, certo, una compagna che avrebbe voluto avere al suo fianco nelle battaglie a cui stava andando incontro e, solo per un secondo, la sua mente smise di impigliarsi con dolorosa insistenza su di una macchia di blu che spariva inghiottita dalle fiamme.


 

[1] Ok, questa scenetta l’ho presa in prestito da Peter Jackson… l’avete riconosciuta tutti no? ;P

[2] Parafrasando Tolkien, o meglio, Grima… u.u

[3] Beh… è una donna, no? VermilinguA! XD

[4] Questa scena DOVEVO rubarla! E’ assolutamente perfetta per Dean e Jo, non vi pare? *____*

   
 
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