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Autore: Black_Eyeliner    09/06/2012    3 recensioni
Perché vorrei essere speciale come te. Perché invece sono così imperfetto rispetto a te. Perché sono brutto. Perché mi vergogno. Perché sono tuo fratello più piccolo e tutto questo è sbagliato...
[ItaSasu]
[Buon compleanno Itachi]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Nda: Second step tonight. Buon compleanno Itachi. Nb. La storia non contiene lemon incestuosa, ragion per cui non si intende violare in alcun modo il regolamento di EFP. Enjoy ^.^

Bruciature

You’re so fucking special. I wish I was special…

[Creep – Radiohead]

Quella dannata pomata faticava paurosamente a uscire. Per quanto tentasse di premere il fondo del tubetto d’alluminio, arrontolandolo e accartocciandolo su se stesso finchè i pollici non gli divennero bianchi per lo sforzo, non riusciva a cavarne la benchè minima quantità. Non aveva neppure controllato la data di scadenza sulla scatola. Forse era stata la fretta, forse l’arrabbiatura nell’aver constatato che quella vecchia crema doveva essere finita. Fatto stava che doveva pensare a un modo per attenuare o, meglio, mimetizzare quegli obbrobriosi segni rossastri.

Sasuke deglutì, scoccando un’occhiata nervosa all’orologio. Le ventidue virgola quattordici minuti. Gli bruciavano, dannazione. Non tanto quelle orrende bruciature attorno alle labbra, posto già di per sé imbarazzante e difficile da nascondere. Più di tutto gli bruciava che solo lui riuscisse a farlo sentire in quel modo. Ansioso, suscettibile: maledettamente infantile.

Un moccioso. Ecco come si sentiva, esattamente. Un moccioso insignificante e per di più un moccioso perverso, un tredicenne sprovveduto cui il solo pensiero del proprio fratello maggiore bastava a fargli venire le vertigini, caldo sotto la pancia e una dolorosa tensione all’inguine che solo certe carezze, all’inizio incerte poi sempre più insistenti, riuscivano ad alleviare.

Non si ricordava di preciso quando era stata la prima volta che quel calore, quasi ustionante, gli aveva riempito il cuore e lo stomaco. Forse era stato nell’istante in cui, qualche anno addietro, Itachi gli aveva sussurrato : “Non sarai mai solo finchè ci sarò io”, stringendo la sua piccola figura singhiozzante al proprio petto dopo il funerale dei loro genitori; o quel giorno che dapprima Itachi lo aveva rimproverato per aver rovesciato tutto il tè sul sofà e subito dopo, vedendo la sua espressione mortificata e piccoli lucciconi iniziare a formarsi ai lati dei suoi occhi brillanti e neri, gli aveva picchiettato la fronte con l’indice e il medio, apostrofandolo stupido otouto.

Forse, ancora, era stato qualche mese prima, quando con quelle due stesse parole Itachi gli aveva fatto realizzare di essere appena entrato nella sua camera senza bussare e di essere rimasto per chissà quanti minuti con gli occhi e la bocca spalancati a fissare le goccioline d’acqua che, dopo che lui era appena uscito dalla doccia, ancora imperlavano ogni centimetro della sua pelle completamente nuda. O forse era stato qualche settimana prima che, senza preavviso, Itachi si era sporto verso di lui da sopra il tavolo apparecchiato per la colazione, senza dir nulla, e gli aveva passato il pollice sulle labbra. Evidentemente le macchie del latte che Sasuke stava sorseggiando dalla propria tazza non erano venute via così facilmente; magari per questo Itachi gli aveva intrappolato il mento fra l’indice e il pollice e lo aveva attirato verso di sé. Il fatto che la sua lingua calda ed umida fosse passata poi dal leccargli dolcemente le labbra allo schiudergliele con forza, finendo così nella sua bocca, era stato tutto un altro discorso.

Sasuke avvampò a quel pensiero, percependo le ustioni sul viso bruciargli di più; una goccia di sudore gli solcò la tempia e sentì di nuovo caldo al basso ventre. Itachi, non si sapeva come e soprattutto perché, qualche settimana prima lo aveva baciato. Così, senza proferire parola; incurante del succo d’arancia a gocciolare sul parquet e sul giornale della mattina sgualcito, della tazza buona caduta dal tavolo ridotta a quattro o cinque cocci e della lacrima solitaria che aveva rigato la guancia del suo fratellino, un po’ per chissà quali emozioni un po’ perché sicuramente una di quelle era stata la vergogna di aver appena ricevuto il suo primo bacio. Dal suo bellissimo e bravissimo, perfetto fratello diciottenne.

Inizialmente, smarrito e tremante, Sasuke si era lasciato baciare. Ma poi lo aveva spinto lontano da sé ed era corso via. Il “gomen” mormorato alle sue spalle lo aveva raggiunto appena. Ansimante e rosso in volto, si era richiuso la porta della sua camera alle spalle. E infine aveva pianto un poco nel cuscino, realizzando che Itachi lo aveva baciato per davvero e nemmeno le lacrime a bruciargli le guance avevano impedito alle sue labbra di vibrare nella parola niisan e alla sua mano di farsi strada oltre l’elastico dei boxer. Inconsapevolmente bello, si era persino domandato fra i gemiti soffocati nel palmo della mano libera che diavolo ci avesse trovato Itachi in uno come lui. Troppo magro, troppo pallido, troppo piccolo. Sicchè al culmine di tutto, si diede da solo del brutto e del pervertito, si scordò persino il proprio nome e articolò quello di lui in un ultimo ansito smorzato dall’orgasmo.

Questo ed altri turpi pensieri quasi impedirono a Sasuke di udire il suono tintinnante di una chiave girare nella toppa della porta d’ingresso. Fu un nanosecondo, poi rinsavì, realizzando il realizzabile. Il tubetto di Cicatriz gli scivolò dalle mani, il cuore dal petto gli saltò in gola e mentre correva su per le scale il sangue cominciò a pulsargli troppo forte nelle tempie che gli ovattò l’udito, senza fargli sentire il…

-Sono a casa.

Itachi sospirò, levandosi il giubbino di pelle nera e richiudendosi l’uscio alle spalle. Finse solo di ignorare il suono sommesso dei passi che udì allontanarsi su per le scale. Alzò rassegnato gli occhi al soffitto, gettò con noncuranza il giubbino sul sofà e si evitò di domandare se ci fosse stato qualcuno in casa.

Per favore personale, per puro masochismo o solo perché odiava le cose scontate. Le ovvietà. Sapeva che Sasuke c’era, così come sapeva che preferiva non parlargli. Dopotutto erano trascorse quasi tre settimane e, saluto a parte, suo fratello si era chiuso in una sorta di snervante quanto cocciuto mutismo. Non riusciva a biasimarlo completamente, a dirla tutta. Lo aveva baciato. E poi lo aveva ignorato, come se nulla fosse successo, tutto lì. Non avevano più avuto modo di parlarne, né perlomeno di chiarirsi. Come se ce ne fosse stato bisogno poi. Sasuke aveva tredici anni, quasi quattordici, vero. Ma non era poi così stupido. O forse sì?

Stupido otouto, si ripetè fra sé e sé, sfilandosi gli anfibi neri e infangati e rimanendo a piedi nudi sul parquet. Tentò in tutti i modi di scacciare il ricordo di quel bacio –che diavolo gli era preso?- e si avviò verso il frigorifero. Nonostante fosse fresco aveva cominciato a sudare, l’arsura sulle labbra reclamava qualcosa da bere. Fece appena in tempo a spalancare la porta del frigo e a tirarne fuori il cartone di succo d’arancia che per poco non imprecò dal dolore di qualcosa di contundente che gli si ficcò proprio sotto la pianta del piede sinistro.

-Ma che cavolo… ??

Da sempre, sin dalla prima volta che lo aveva preso in braccio da lattante fino a quel momento, uno spiccato senso di protezione si era fatto sempre più prepotente in lui per tutto ciò che riguardava Sasuke; e probabilmente fu quello stesso senso di protezione a farlo sbiancare quando raccolse da terra il tubetto e lesse l’etichetta. Cicatriz. Che cosa aveva combinato stavolta? Era mai possibile che fra i tanti talenti,

Non fece in tempo a farsi ulteriori domande che si avviò verso le scale con una fretta inaspettata, che riconobbe solo nell’istante in cui si ritrovò fuori la porta della camera di suo fratello.

Bussò piano per un paio di volte, poi, ostentando una calma che non riusciva a mantenere, disse semplicemente:

-Sasuke… Si può?

Odiava le ovvietà. E ovviamente non ottenne risposta, scontato. Bussò con maggiore insistenza, accostando l’orecchio all’uscio.

-Sasuke, lo so che sei lì. Apri, per favore?

Rimarcò con più convinzione, le ultime due parole nettamente in contrasto col tono sempre più esasperato della voce. Si chiese com’era possibile che solo lui riuscisse a farlo sentire così, come fosse capace quel suo fratellino esile e perennemente imbronciato a scalfire tanto facilmente la sua proverbiale flemma.

Sasuke strinse le labbra sottili, un’espressione di dolore gli fece aggrottare le sopracciglia e strizzare forte le palpebre. Il cuore gli galoppava nel petto, si sentiva morire. Aprì gli occhi a fatica, poggiò le mani sul lavabo e si guardò allo specchio. Un’immagine pietosa, orribile. I capelli corvini scomposti, la frangia a cadere disordinata sulla fronte, asimmetrica; il viso spigoloso ma ancora infantile, la t-shirt nera sgualcita e troppo grande per lui e, come ciliegina sulla torta, quelle brutte e rosse ustioni.

-Sasuke, se non apri la porta, sarò costretto ad aprirla io.

Le dita magre e nervose frugarono frenetiche nello stipetto accanto allo specchio; con ogni colpo del pugno di Itachi contro la porta un sussulto gli scuoteva il corpo e le mani, che si lasciarono cadere un po’ di cose, fra cui un pettine mai usato, un rasoio da barba mai usato e un pacchetto di garze sterili usate l’ultima volta da sua madre, quando da piccolo gli aveva medicato delle ustioni, guarda caso, nello stesso posto dove se l’era procurate adesso.

-Dammi solo un attimo, Itachi…

-Adesso.

Sasuke pregò a denti stretti che quell’adesso non fosse proprio adesso adesso. Prese le garze facendo cadere il pettine, il rasoio e tutto il resto  e provò a fissarsele con dei cerotti intorno alla bocca nel modo più veloce che potè. Infine tirò un lungo sospiro di sollievo quando ogni rumore al di là della porta parve cessare. Possibile che il suo vigoroso e determinato fratello maggiore avesse davvero desistito, pensò mentre tentava di tenere al loro posto quelle odiose medicazioni.

Passò qualche minuto in cui nessun suono turbò il silenzio, se non quello del suo stesso riprendere finalmente a respirare.

Sasuke si guardò di nuovo allo specchio. Le tempie imperlate di sudore, rosso in viso, gli occhi lucidi. Si scostò un po’ la frangia dalla fronte madida, borbottò un patetico seccato alla propria figura oltre la superficie riflettente e spense la luce, uscendo dal bagno ed entrando nella sua stanza attigua.

Non fece però in tempo a darsi ancora una volta dello stupido, né ad arrovellarsi in ulteriori congetture su Itachi, né a raggiungere il proprio letto per sdraiarcisi sopra e porre così fine a quella infausta giornata. Lo scatto della serratura seppure sommesso bastò da solo a farlo sussultare.

In panico, si guardò freneticamente intorno, le pupille nere e vigili rotearono alla ricerca di una qualsiasi via di fuga e la finestra gli sembrò quasi una soluzione più ragionevole di quella di arrendersi e farsi vedere da Itachi in quello stato: stanco, con le occhiaie, vestito male e pure ustionato. Tuttavia voltarsi velocemente di spalle fu tutto quello che riuscì a fare nel breve lasso di tempo che separò il suono dei passi felpati dal fiato caldo di Itachi a sfiorargli la pelle esposta e bianca del collo, appena sotto l’orecchio.

-Volevi sfuggirmi?

-Niisan… Io…

Sasuke trasalì, un brivido gli percorse la schiena nel percepire quel respiro caldo contro l’orecchio e si immobilizzò di colpo, incapace di concludere la frase.

-Non puoi evitarmi per sempre.

Itachi asserì senza scomporsi e Sasuke spalancò i grandi e profondi occhi neri; rimase a guardare la finestra aperta. Adesso avrebbe voluto buttarcisi, davvero.

-Non ti sto evitando. E’ solo tardi ed io ho sonno, quindi se non ti spiace, vorrei dormire…

Sebbene non l’avesse nemmeno toccato, Itachi non riuscì ad ignorare il modo in cui le spalle gracili del suo fratellino si mossero visibilmente, come scosse da un fremito. Lo guardò intensamente, memorizzando ogni particolare: i suoi capelli d’ossidiana spettinati e scomposti sulla nuca, le piccole vertebre delicate e sporgenti sotto la pelle bianca a disegnare una dolce linea che andava a svanire oltre l’orlo della maglietta scura che indossava. Non negò a se stesso che avrebbe voluto toccarne la loro fragilità e gli sarebbe piaciuto immensamente contarle, accarezzandole coi polpastrelli, una ad una, come le perle di una collana. Una ad una, fino alla fine, fino al punto in cui quella schiena candida andava a disegnare la curva dei glutei di Sasuke. Nemmeno si premurò di pensare alla sconcezza di voler toccare il suo ingenuo e puro fratello minore proprio lì, che dopo un po’ aggiunse.

-Se non vuoi parlarne non importa.

Le parole uscirono in un mormorio che precedette il suo accorciare ulteriormente le distanze con la schiena del suo adorabile fratellino.

-Però almeno… Mi dici cos’è questo?

Quando vide il tubetto di crema penzolare proprio davanti ai suoi occhi, a Sasuke parve quasi di sentire il respiro di suo fratello spezzarsi in una mezza risata a stento repressa.

-R-ridammelo!

Allungò le mani tentando di afferrarlo, ma non ci riuscì; provò ancora, sollevandosi sulle punte dei piedi e protendendo le braccia in avanti. Arrancò per mantenere l’equilibrio e soprattutto per continuare a dare le spalle ad Itachi. Ma fu il riflesso di agguantare ad ogni costo quella stupida crema a costringerlo infine a voltarsi, per sfuggire allo scherno e sottoporsi invece così ad uno ancora peggiore.

I cerotti, improvvisati alla meglio con tanto sforzo, inevitabilmente si staccarono, svolazzando un po’ qua e là prima di andare a toccare il tatami come due foglioline appassite.

Sasuke avvampò; sfilò inviperito il tubetto di mano a Itachi e se lo lanciò nervosamente alle spalle. Aggrottò le lunghe sopracciglia nere, corrucciò la bocca in un broncio adirato.

Interdetto, Itachi restò a propria volta a guardare quell’inusuale rossore tingere le guance pallide di suo fratello, il dorso del suo naso perfetto; socchiuse le labbra in un’espressione appena stupita e si accorse di come quegli occhi nero carbone cominciarono vagamente ad annacquarsi, a brillare di più. A fissarlo quasi con odio.

-Contento, adesso?

Sasuke lo rimbeccò aspro, la voce tremante e i pugni chiusi dalla rabbia.

-Ma si può sapere come hai fatto?

-Non ti riguarda. E non mi toccare…

Quasi urlò, schiaffeggiando via la mano che si era protesa per sfiorargli la pelle bruciata attorno alle labbra. Ma poi si addolcì quasi subito e senza volerlo non appena notò lo sguardo di Itachi farsi dal divertito al leggermente preoccupato.

-… Per favore…

Concluse stremato, sentendo il cuore battergli così forte che gli parve volesse trapanargli lo sterno per balzare fuori.

Ingoiò un singhiozzo, cacciò indietro le lacrime che già avevano cominciato a pizzicargli le lunghe ciglia scure. Oltre che del bambino imbranato, Sasuke non voleva che Itachi gli desse anche del frignone. Non avrebbe pianto davanti a lui, non davanti al suo forte e perfetto fratello maggiore.

Fece per voltarsi di nuovo, ma la presa poderosa di una mano sulla spalla glielo impedì, smorzandogli il respiro.

-Tu non vuoi davvero che io non ti tocchi, vero?

Itachi parlò con una calma quasi glaciale, senza scomporsi: non un’ombra di turbamento scalfì il suo viso spigoloso, l’ovale perfetto, gli occhi neri dal taglio allungato, le lunghe sopracciglia corvine e diritte, come due linee di inchiostro.

-No!... Io voglio… Cioè… Non devi!!

Non puoi. Dannazione… Non possiamo…

-E perché non devo?

Itachi interloquì insistente, i suoi occhi di un nero infinito puntati in quelli contraddittoriamente fieri e velati di pianto del suo fratellino.

Occhi così terribilmente, insopportabilmente simili ai propri.

-Perché…

Perché vorrei essere speciale come te. Perché invece sono così imperfetto rispetto a te. Perché sono brutto. Perché mi vergogno. Perché sono tuo fratello più piccolo e tutto questo è sbagliato...

-Mpf… Sei proprio uno stupido, otouto, allora, se pensi di essere brutto…

La medesima mano che fino a quel momento gli aveva stretto una spalla, strinse la stoffa nera della sua maglietta e Sasuke si sentì tirare in avanti, ritrovandosi col corpo esile avvinto a quello più forte ed alto del maggiore, il suo odore nelle narici, la guancia contro il suo petto muscoloso e solo il cotone della maglia di Itachi ad evitare il contatto di pelle nuda contro pelle nuda.

Sasuke chiuse più fervidamente le palpebre come se quel gesto valesse a fargli percepire di più il profumo rassicurante di suo fratello; non si domandò neppure com’era che Itachi ancora una volta gli aveva letto nel pensiero. Dopotutto già conosceva la risposta.

Perché sei mio fratello maggiore.

Sorrise appena e allo stesso tempo voleva scoppiare in un pianto dirotto; si aggrappò con più foga alla maglia di lui, il cuore a rimbombargli furiosamente nelle orecchie.

-Lo pensi davvero?

Mormorò, senza preoccuparsi di fingere ancora una forza che aveva già finto troppo a lungo; la lasciò dissolvere in un fremito di ciglia, in un’unica lacrima che riuscì a districarsi da esse, nelle ginocchia molli come gelatina.

Non seppe dire per quanto tempo rimasero in quella posizione, né per quanto ancora attese una risposta che non arrivò. Finché  le dita di Itachi non si intricarono fra i suoi capelli e li tirarono per far sì che Sasuke si scostasse da sé, facendogli male. L’indice e il medio che gli colpirono la fronte scesero lungo il suo naso, si fermarono agli angoli delle sue labbra e lì rimasero esitanti. Sasuke gemette dal dolore di sentirsi tirare per i capelli, strizzò forte le palpebre prima di sbarrare nuovamente gli occhi. Si aspettò di sentirsi strattonare di nuovo e invece la voce di Itachi giunse come una carezza, il suo respiro quasi gli si condensò sulle labbra e si sentì morire ricordando quel bacio.

-Queste ti fanno male?

Gli chiese soltanto, carezzandogli le ustioni coi polpastrelli, carezzandogli le labbra chiare e sottili, disegnandone amorevolmente il contorno.

Sasuke annuì flebilmente, lasciando cadere esausto le palpebre quando sentì che la lingua si era sostituita alle dita di Itachi. Sulle bruciature, sulle proprie labbra. Fra di esse.

In bocca.

Non ebbe il coraggio né volle aprire gli occhi, per tutto il tempo.

Non mentre Itachi lo baciava, non mentre le sue scapole sporgenti cozzarono contro la parete; né mentre i jeans gli scivolarono alle caviglie e le mani esploravano posti proibiti, mai toccati da nessuno prima.

Si sentì ardere le guance, si sentì caldo sotto la pancia. Ma ciò che a Sasuke bruciò di più mentre il suo primo orgasmo macchiava i jeans e la mano di Itachi non erano le sue ustioni, ormai umide di baci; quanto il fatto che suo fratello sicuramente gli aveva letto nel pensiero di nuovo mentre lo toccava e non gli aveva risposto ti amo anche io.

Quando l’indomani Itachi si svegliò, si ritrovò da solo, nel proprio letto. Nonostante non ci avesse fatto l’amore e dopo averlo fatto venire lo avesse messo a letto, coprendolo e baciandogli la fronte, aveva ancora l’odore di Sasuke addosso. Il suo dolce e inconfondibile odore fra le dita, nelle narici e il suo sapore di lacrime nella bocca.

Si scrollò le coperte di dosso e si legò i capelli, imprecando quando una volta coi piedi per terra calpestò la forcina che aveva usato per forzare la porta della camera del suo fratellino, la sera prima. Si annusò le mani e sospirò Sasuke; poi si avviò giù per le scale e con ogni gradino sentì quell’odore farsi più forte, più intenso. Irresistibile.

L’odore di Sasuke era lì. Insieme a quello del cioccolato proveniente dalla piccola torta che Sasuke gli porse non appena entrò in cucina stropicciandosi gli occhi e con solo i pantaloni troppo larghi di una vecchia tuta addosso.

-Buon compleanno, Itachi.

Il sorriso raro e il profumo dolce di Sasuke. Insieme all’odore dello zolfo dei fiammiferi che alla fine il suo fratellino doveva aver imparato ad usare per accendere i fornelli e fargli quella piccola sorpresa.

Preludio della sorpresa più grande di averlo sotto di sé la notte dopo, quando sospirò ti amo anch’io contro un suo capezzolo prima di chiuderci attorno le labbra, nel suo letto, mentre facevano l’amore.

*

Owari

   
 
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