Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Mrs C    09/06/2012    8 recensioni
[Cap1]
John non sa che ore sono. In Afghanistan teneva sempre l'orologio di Harry nel taschino della divisa, sincronizzato sul fuso orario di Londra. Si ripeteva spesso che se avesse continuato a tenerlo lì, guardandolo quando lo riteneva necessario, sarebbe tornato a casa. E l'ha fatto, John è tornato, eppure l'abitudine di sapere sempre che ore sono è rimasta. Ha pensato che non se ne sarebbe mai più liberato, almeno finché non ha conosciuto Sherlock. Con lui, tenere conto dell'ora, è assolutamente impossibile perché non ha un orario e non gli interessa minimamente averne uno. E John non sa che ore sono.
[Crossover: Sherlock/Criminal Minds]
Genere: Azione, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Dietro la schiena III
Dietro la schiena
III







Non sempre le cose sono quello che sembrano. La prima impressione inganna molti. L'intelligenza di pochi, percepisce quello che è stato accuratamente nascosto.
Fedro








- John? John, rispondimi, for God's sake.
E' tutto ovattato, confuso. Una bolla di sapone che John non riesce a far scoppiare, avvolge il suo corpo come una calda coperta. Sente solo caldo, tanto caldo. Deve avere la pressione alle stelle. Non riesce a distinguere bene i colori, e le facce sono mischiate in uno strano accozzo di nasi e bocche. John non è neanche sicuro di ricordarsi dov'è, quando un potente schiaffo gli fa sbattere la palpebre e ritornare, con un vortice, dritto nella realtà. E fa male, cazzo, più male della pelle che brucia.
- Mycroft, non azzardarti mai più ad alzare le mani su John o ti ritroverai con un arto di meno!
- Era il metodo più sbrigativo per farlo rinvenire, fratello. Non torcerei mai un capello al mio futuro cognato. A meno che non si renda necessario, certo.
- Capitano Watson, si sente bene?
I colori tornano al loro posto, la testa gira ancora ma almeno John non sente più l'aria asfissiante che gli ottenebra i polmoni. E' in piedi, sì, e gli occhi sono ancora fissi sul foglietto in cui spicca la tinta rossa. Tutti lo guardano in maniera allarmata, e da medico, intuisce una specie di mancamento, pur rimanendo concentrato solo ed unicamente su quel pezzo di carta. Dalla faccia preoccupata - sul serio? - di Sherlock, immagina almeno un paio di minuti di vuoto totale.
Gli occhi spalancati per la paura.

- John, stai bene?
Il Dottore annuisce con non poca fatica, un braccio di Sherlock a cingergli la vita, protettivo e  possessivo.
- Come... come facevate a sapere che era riferito a me?
Lo sputa fuori dai denti, schiudendo appena le labbra e gli occhi in direzione di Hotchner che è rimasto fermo immobile a guardarlo per tutto il tempo. John è lucido ora, si regge in piedi perfettamente, e la rabbia che gli sta montando dentro non è eguagliabile a nessun altro sentimento che l'ha animato fino a quel momento.
- Abbiamo i nostri informatori, lei capirà le norme di sicurezza che regolano questi scambi non possono essere violate-
- Sì, sì, tutte quelle stronzate sulla privacy e il pericolo di morte imminente, ne sono a conoscenza. Non è quello che le ho chiesto.
Hotchner socchiude appena gli occhi.
- Nessuno sa che ho partecipato a quella missione. I nostri superiori nelle forze armate non erano a conoscenza delle nostre identità, per preservare la nostra e la loro incolumità. E' un ordine che è partito direttamente dall'alto, se capisce cosa intendo. Non c'è documentazione, non ci sono fogli, non esistono nomi. Solo questo, solo White Spider. L'unica persona che sapeva chi ero è morta durante la missione. E ho tutto il diritto di sapere chi ve l'ha riferito.
John non sa a cosa sta andando incontro. Nell'animo ha anche un po' paura di scoprirlo, ma la mano ferma di Sherlock sul suo fianco è salda, e lui non ha paura di cadere di nuovo.
- Se le dicessi che il suo compagno non è morto.
John sente distintamente il suono del suo stomaco che ribolle, unito allo sdegno di Sherlock che mormora un disgustato compagno in risposta alla frase del capo del BAU.
- L'ho visto saltare in aria. Con i miei occhi.
David Rossi ghigna leggermente.
- Ha anche visto il suo migliore amico lanciarsi giù da un palazzo. E ha toccato il suo corpo senza riuscire a misurarne i battiti. Eppure mi sembra che lui sia ancora qui, vivo e vegeto.
John vede rosso e tanto basta per farlo scattare.
- Brutto bastardo!
- John.
Sherlock lo ferma. Lo trattiene per un braccio proprio quando è a un centimetro dalla faccia di quello schifoso agente dell'FBI che solo per aver scritto due o tre libri e aver lavorato per il Governo si crede superiore a chiunque incroci la sua strada. Ma la voce di Sherlock lo calma, gli soffia dritto nell'orecchio poche parole che gli fanno ritrovare la solita flemma perduta. Inspira profondamente e il profumo dell'amico gli schizza dritto nel cervello. Il cuore accelera leggermente, ma non per la rabbia. E' un sentimento diverso che ora John non ha tempo né pazienza di analizzare. Non ora che la porta della stanza si è aperta.
- Capitano Watson, suppongo lei conosca già il Colonnello Sebastian Moran. - Hotchner fa un cenno con il capo verso l'uomo dinanzi alla porta - Non volevamo tenerglielo nascosto, ma per motivi di sicurezza nazionale, gli amici del Governo Inglese ci hanno chiesto... un piccolo favore. Lo abbiamo tenuto al sicuro fin quanto abbiamo potuto e ci è stato molto utile in tante indagini, compresa questa. Ci ha fatto capire che nell'Esercito c'è una talpa che è conoscenza del suo passato, Dottor Watson, una talpa potente. E a noi tocca stanarla, possibilmente con il vostro aiuto. Per questo siete qui.
John afferra Sherlock per un braccio tanto forte da fargli scappare un singulto. Sebastian Moran è sempre stato un uomo appariscente, dai lineamenti marcati, di una bellezza strana e particolare. Una pelle chiara e costellata di macchie solari, capelli neri e occhi verdi. Dannatamente freddi. Ha sempre attirato l'attenzione di tutti, persino al campo di addestramento. Era bravo, era un cecchino in gamba, per questo ha fatto carriera in fretta ed è stato assegnato a una missione speciale, segreta, pericolosa all'ennesima potenza. Hanno lavorato insieme, ma non sono mai stati veramente amici, nonostante John gli fosse profondamente affezionato. A ripensarci ora - a quella dannata missione, a quelle dannati notti insonni in cui lui parlava e Sebastian acoltava in silenzio - si chiede come abbia fatto - o, a questo punto, abbiano - a uscirne vivi.
- Deve essere colpa di un germe transoceanico che impedisce alle persone di trovare una via alternativa alla morte che non sia la morte presunta.
Sherlock si lascia scappare uno sbuffo divertito. John non lo è così tanto ma lo imita. Il calore umano del Consulting Detective riesce a stabilizzare la sua, di temperatura, che è crollata sotto zero. Non fosse umanamente possibile, si sarebbe ibernato seduta stante.
- Avremo modo e tempo di spiegarvi cos'è successo, ma non è questo e non è adesso. Dottor Watson, voglio che lei veda i cadaveri, e dia un suo parere specialistico, possibilmente.
John annuisce, come se fosse in trance. Sebastian gli si è fatto più vicino, gli ha stretto la mano con forza, gli ha sussurrato poche parole all'orecchio e John si sente trasportato indietro nel tempo con il rumore delle bombe che sembra farsi più forte che mai. La gamba torna quasi a far male come prima, ma questa volta il soldato scaccia quel dolore con un ringhio basso da bestia ferita.
- Mi fa piacere rivederti, John - Sebastian ha un tono di voce calmo, come se avesse aspettato quel momento da tutta una vita e ora lo stesse pregustando al meglio - ci sono un sacco di cose da... raccontare. Da dirci. Ci sarà il tempo. Te lo garantisco. E capirai.
No, John non capisce e non si sforza nemmeno di provarci. Non riesce a sillabare più di qualche parola di senso compiuto in fila all'altra e il suo dopobarba pungente gli invade lo spazio vitale mentre gli occhi di ghiaccio del suo coinquilino, collega e amico gli trapassano la schiena. Contemporaneamente. Non è una sensazione piacevole. Sherlock storce le labbra in un'espressione di disappunto che si propaga fino agli occhi.
- Evitando convenevoli che non sono necessari - il Detective scocca una rapida occhiata astiosa a Moran che ricambia con un sorriso luminoso - vorrei che il Dottor Reid venisse con noi. Ci farà da guida.
Le parole di Sherlock spezzano quel silenzio carico di aspettativa che ha invaso lo studio del BAU. Il Consulting Detective saltella nervosamente da un piede all'altro, abbandonando quell'aria di aristocrazia che lo circonda da quando John l'ha conosciuto. Con la coda dell'occhio, il Dottore vede Mycroft ridere in un angolo e si sente preso in mezzo in un triangolo tutt'altro che simpatico.
- Considerando che c'è un Serial Killer sulle vostre tracce preferirei venisse anche Morgan, con voi.
Sherlock alza appena un sopracciglio, fissando Hotchner con un sorriso storto.
- Volevo cercare di essere gentile ma se vuole sarò più chiaro. L'Agente Reid mi sembra l'unico del gruppo senza un cervello sottosviluppato con cui conversare senza incorrere in un ictus cerebrale. Non è la prima volta che un assassino cerca di uccidermi e temo per le forze armate che non sarà l'ultima. Per cui mi risparmi la commedia. Non abbiamo bisogno di nessuno.
Gli occhi di Sebastian seguono il Dottore oltre la porta. Avremo modo di parlare. Di chiarire, gli ripete, prima che Sherlock lo trascini via con un impeto per lui inusuale. Gli occhi di Sebastian sono freddi, più freddi da come John li ricordava. Ha quasi paura di quegli occhi e ancora non ha capito un accidente di quella storia. Di cosa devono parlare? Cos'hanno da chiarire? Ma oltre il corridoio e l'ingresso del BAU, il suo cervello riesce solo a registrare il rumore di una porta sbattuta con violenza e il ticchettio prepotente delle scarpe di Sherlock sul pavimento chiaro dell'FBI.
 
- Stai bene, John?
Sono in macchina. John ha fatto appena in tempo a guardare l'alta figura di Sebastian prima di venir trascinato via quasi di peso da Sherlock. Non è riuscito neanche a rivolgergli la parola come si deve. Reid è seduto di fronte a loro, accanto a Mycroft che sta animatamente parlando al telefono con uno dei suoi collaboratori in Inghilterra. Prepara la tua roba, Anderson, e fammi il favore di liberarci della tua presenza. Hai fatto abbastanza danni per una vita intera, in un moto di lucidità, John si chiede se l'Anderson di Mycroft sia parente dell'Anderson di Scotland Yard. Non è sicuro di voler avere una risposta.
- Sure, sto bene. Mai stato meglio.
Sherlock inarca un sopracciglio. Non avrebbe potuto utilizzare un tono di voce più falso neanche se l'avesse fatto apposta. Ha visto un amico - di nuovo, ancora - tornare dalla morte, non ha avuto quasi il tempo di parlargli. E per i suoi gusti è successo decisamente troppo in fretta. No, non stava bene, proprio per niente.
- Hai le pupille dilatate, stai sudando anche se la temperatura è stabile e non eccessivamente calda, senza contare che il tuo battito cardiaco è decisamente superiore al tuo normale-
John non lo fa apposta. Sul serio, non è premeditato né tanto meno lo fa di proposito. E' una reazione involontaria, ma lo fa. Scaccia la mano di Sherlock che gli ha appena afferrato un polso, come se fosse rovente. Ferro caldo sulla pelle. Ustionante. Il cuore galoppa così veloce che John teme che l'udito fine di Sherlock possa sentirlo. Se non l'ha già sentito, con la mano sospesa a mezz'aria. John apre la bocca un paio di volte. Sherlock lo fissa con gli occhi ridotti a fessure. Poi c'è solo silenzio. Reid non dice niente, non ha detto nulla da quando sono saliti in macchina. Mycroft sta ancora parlando al telefono. Sherlock e John non si rivolgono la parola per il resto del viaggio.

L'obitorio del Governo Federale puzza. John storce il naso. Non è odore di cadavere decomposto né di membra in putrefazione né di cervelli andati a male. A quelli ci è quasi avvezzo, per quanto sia sgradevole anche solo pensarlo ma fra l'Afghanistan, Sherlock Holmes e i suoi esperimenti, uno si abitua. E' puzza di qualcos altro, ma per il momento Sherlock - ma specialmente John - accantonano quell'informazione. Il medico patologo che compare dalla cella frigorifera - sul serio? Una cella frigorifera comune per i cadaveri? Come quella per i maiali? -  non assomiglia per niente a Molly. Prima di tutto è un maschio. Ne ha la costituzione, l'aspetto e sopratutto l'odore. In secondo luogo è palesemente alticcio, e questo non piace a John.
- Oh, lei deve essere il Signor Watson, tanto piacere.
Gli stringe una mano umidiccia, e Sherlock non riesce a trattenere il disgusto rifiutandosi di imitare John nel gesto più comune di cortesia.
- Dottore. Dottor Watson. - Replica John, piccato.
- Oh, sì, sì, Dottore, Signore, per me non fa differenza. Venga, venga. Queste sono i primi tre cadaveri, li hanno trovati in una zona periferica della città, erano morti da almeno tre giorni quando sono andati a cercarli, attirati probabilmente dall'odore fetido, il vento porta con sé molte cose, comprese quest-
Sherlock alza gli occhi al cielo, sfilandosi la sciarpa con stizza e lanciandola da qualche parte.
- Se avessi voluto leggere i referti li avrei chiesti all'Agente Hotchner, gradirei facesse silenzio e, se possibile, uscisse fuori dalla stanza. Nel caso non fosse possibile esca lo stesso, il suo cervello che fatica a utilizzare la giusta dose di sinapsi per collegare i pensieri più semplici mi disturba, mi irrita e mi annoia. Fuori.
Il medico patologo apre la bocca senza far uscire un suono. John tossisce, Reid aggiunge un per favore e l'uomo non se lo fa ripetere due volte. Lascia tutto esattamente com'è ed esce dalla stanza come se avesse visto uno dei suoi cadaveri alzarsi dal tavolo dell'obitorio. O peggio.
- Dovresti cercare di essere meno scontroso, Sherlock. I medici sanno maneggiare taglierini meglio dei criminali borseggiatori a cui sei abituato.  
- Considerando il suo grado di alcolismo e il principio di Alzheimer che lo sta colpendo e lo renderà incapace nel giro di pochi mesi, mi stupisce che abbia ancora il suo posto di lavoro, dovrebbe essermi grato del fatto che non ho tempo di occuparmi di lui ora. Reid, fammi un riassunto veloce delle conclusioni dell'FBI. Confido nel fatto che non dirai cose inutili e che so già.
Spencer Reid, dall'alto dei suoi 24 anni, batte le palpebre leggermente sorpreso.
- Ma lei ha detto-
- So cosa ho detto. Vi state mettendo d'impegno per farmi perdere tempo?
John non sa se sentirsi sollevato oppure offeso dal fatto che non sia stato consultato per una visita approfondita sui cadaveri. Ma sta zitto. Si sente ancora in colpa per prima, e non vuole sollevare altra polvere.
- I primi tre cadaveri ce li hanno fatti trovare insieme. Avevano delle bruciature sul braccio che non siamo ancora riusciti a identificare. Il quarto e il quinto invece-
Sherlock lo interrompe con un gesto della mano, scoprendo i cadaveri fino a questo momento nominati. Non hanno alcun segno di violenza fisica, eccezion fatta per un cerchio nero al centro del petto. Buco ai polmoni. Professionista. John rabbrividisce e Sherlock se ne accorge. Lui si accorge sempre di tutto.
- Dici che ve li hanno fatti trovare. Perché?
Reid fa spallucce, leggermente a disagio.
- Perché in ogni vittima hanno fatto in modo di lasciarci l'indirizzo di dove avremmo trovato quella successiva. Una caccia al tesoro piuttosto macabra, ma estremamente efficace.
John inarca le sopracciglia.
- Come hanno fatto? Il biglietto non era l'unico? - Chiede, curioso.
Spencer Reid scuote la testa. Si guarda intorno circospetto per pochi istanti, lancia un'occhiata di traverso alla telecamera nell'angolo a destra e poi si avvicina ai due, stranamente silenziosi.
- Piastrine. Ai piedi delle vittime venivano abbandonate delle piastrine militari. All'inizio non sapevamo perché ma, a forza di guardarle, ho pensato che, se davvero il Killer era un cecchino, giocare su questo fatto non sarebbe stato difficile per lui. Abbiamo fatto dei controlli incrociati e Garcia ha scoperto che tutti i proprietari delle piastrine si erano trasferiti in America, dopo essersi ritirati dall'Esercito. I cadaveri sono stati abbandonati nelle loro case. Nessuno si è accorto della loro assenza finché una certa puzza non ha infestato le strade, se mi capisce.
- Non tutti i cadaveri sono stati trovati a Quantico, suppongo. Per questo avete tardato tanto a chiamarci, anche se i soldati morti sono tutti inglesi.
Reid annuisce leggermente alle parole di Sherlock.
- Senza contare che le piastrine, per un po', non ci sono state consegnate per via di problemi burocratici. Hotch e Morgan si sono arrabbiati moltissimo per questo.
- Tipico delle persone incapaci. - Mormora Sherlock, schioccando la lingua.
- Comunque - continua a un certo punto, recuperando la sciarpa da sopra un tavolo libero - non c'è motivo di rimanere qui. Possiamo andare.
John rimane fermo per un secondo, tirando Sherlock per un braccio un istante dopo.
- Ma Sherlock, Hotchner mi ha detto di esaminare i cadaveri. Non ti sarà utile sapere qualche cosa in più su come sono morti?
- Non mi serve a niente il tuo constatare l'ovvio, John. Foro di proiettile ben visibile, nessun livido né violenza di altro tipo post-mortem escludendo l'escoriazione da bruciatura che ci ha già indicato Reid poco fa, assolutamente colti di sorpresa. Una morte chiara persino agli occhi di un principiante. Non mi servi, ora.  
John esce dall'obitorio con le mani in tasca e una gran voglia di urlare che gli raschia la gola. Il silenzio della morte è quasi più leggero del silenzio che sente dentro se stesso.

La meta di questo viaggio è, probabilmente, il centro federale del BAU. John lo sa, ma chiede comunque a Sherlock - solo ed esclusivamente a Sherlock - dove sono diretti. Il Consulting Detective sbuffa in risposta. John si sente stupido per la decima volta nel giro di mezza giornata. Decide che non è giusto continuare così, che devono chiarire... quella cosa, qualunque cosa sia.
- Senti, Sher-
- Non chiedere scusa. - John si blocca, con la bocca spalancata e gli occhi di Sherlock puntati nei suoi e si sente avvampare dall'imbarazzo - Non hai niente di cui scusarti, per cui non chiedere scusa.
Una parte della sua dignità cerca di resistere...
- Non volevo chiederti scusa.
- Stavi per farlo.
- Non è vero!
- Smettila di farmi ribadire cose ovvie, John, ti dirò sinceramente che oggi ti stai davvero davvero mettendo d'impegno per irritarmi. Hai qualche problema neurale improvviso che t'impedisce di formulare una frase logica?
... per poi capitolare subito dopo. E John decide, saggiamente, di stare zitto, avvinghiato al sedile della macchina per non alzargli le mani addosso. In ogni senso e doppiosenso che una frase del genere può avere. L'aria è pesante, John quasi non respira ma non muove neanche un dito per provare ad abbassare il finestrino. Sherlock si ostina nel suo silenzio e non lo guarda nemmeno. E' crollato un muro freddo fra di loro, e quel muro sono i suoi occhi di ghiaccio.
Il cellulare di Mycroft -  quando diavolo è entrato in macchina? - squilla, cancellando per un secondo il senso di colpa che stringe le viscere del soldato. Sherlock è allerta e anticipa il fratello con un sorriso storto.
- Un altro cadavere. Divertente. Amo i Serial Killer che sanno divertirmi.
John avrebbe da ridire in merito ma per la seconda volta - la terza? La quarta? - non dice niente, constatando come, rassegnarsi a Sherlock Holmes sia ormai diventata l'abitudine di tutta una vita.







Ps. I'm a Serial Addicted

Quest'oggi ho finalmente completato questo capitolo! Non sono tanto soddisfatta di come ho gestito Moran, è un personaggio davvero difficile e gli ho dato relativamente poco spazio anche se, prometto, ne avrà assolutamente negli altri capitoli, anche perché le sue gesta si snoderanno con quelle degli altri protagonisti... ho giocato sporco, perché avrei potuto usare decine di ruoli diversi per immischiarlo nella storia e io utilizzato quello più semplice: John. Me ne vergogno un po', ma ormai è fatta u_u a dirvela tutta volevo un capitolo un po' più fluffoso degli altri perché siamo quasi a metà (sì, ho deciso più o meno quando e come sarà la fine) e questo è uno dei capitoli centrali per il rapporto Johnlock e per quello che succederà alla fine... non dirò altro, giuro, altrimenti è decisamente spoiler u_u premetto un'altra cosa: io adoro David Rossi, ma il suo atteggiamento all'inizio della serie mi ha sempre urtato i nervi e ho pensato che potesse risultare fastidioso anche per i nuovi arrivati come Sherlock e John. A parte qualche dettaglio, ammetto sinceramente che questo è il capitolo che mi è piaciuto di più scrivere, specialmente per le battute di Sherlock. Ho adorato scrivere di lui, più che di tutti gli altri. Per il resto, spero che a voi piaccia, e di non aver sforato troppo nel ridicolo *si abbraccia le gambe dondolando* grazie ancora per tutte le recensioni, tutte le vostre letture e i complimenti, mi rendete davvero felice! A rileggerci!

See ya,


Jess
   
 
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