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Autore: mannie    09/06/2012    7 recensioni
Elena combatterà con un qualcosa più grande di
lei,un demone che la farà scomparire a poco a poco. Letteralmente.
Un segreto mortale, dal quale tutti quelli che lei ama verranno tenuti all’oscuro.
TEMI FORTI:
Sucidio,
Anoressia,Abusi. / PRESTO RATING
ROSSO
Non una semplice storia, ma il bisogno di far aprire gli occhi di
fronte ad una crudele realtà che ci circonda. E che troppo
spesso viene ignorata.
Sperando possa cambiare
qualcosa in ognuno di voi, magari riuscendo a farvi riflettere per un
po su questo mondo oscuro.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Damon/Elena, Elena/Katherine, Katherine/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ciao, Gente!

 Ho pensato di aggiornare ogni lunedì, se riesco ad ottenere un minimo di cinque recensioni per capitolo.  Insomma, un po’ di motivazione ci vuole sempre?Vero?

 Quindi fatevi sentire, ditemi ciò che pensate sulla storia. So che siete, lì, voi lettori silenziosi! LOL

 Ed io non mordo, purtroppo!

 

 Buona Lettura,

 Mannie

 

Acuti Ricordi

 

 

“Carino il reggiseno” una voce improvvisa, proveniente dal nulla – ma tutto fuorchè sconosciuta- per poco non mi provocò un attacco di cuore.

Ricomponni la mia espressione, provando a deviare i lineamenti contorni nel dolore del mio viso in qualcosa che assomigliasse a rabbia e indignazione.

  Quando mi resi realmente conto di stare in piedi, di fronte a Damon, in solo intimo , fu allora che gli occhi quasi non mi uscirono fuori dalle orbite.

 Lui se ne stava compiaciuto sull’uscio della porta , le braccia conserte sul petto possente.

“Esci immediatamente!” gli urlai contro, nel mentre mi precipitai alla ricerca della salvezza di un asciugamano con il quale coprirmi.

 

“Ti ho portato qualcosa” annunciò, ignorando completamente la mia richiesta di privacy, ed avvicinandosi cauto, in bagno.

 Nel dire così, lo vidi sollevare un elegante pacchetto color blu, richiuso da un nastro molto chic che dava al tutto un’aria di un oggetto alquanto costoso.

  Fissai, non sicura su cosa tutto ciò volesse dire.

“Prego” recitò sarcastico, nel momento in cui me lo porse.

  Portai gli occhi al cielo. “Grazie”

 

Quando riuscii finalmente ad aprire il pacco, incontrai il suo sguardo leggermente impaziente ed incuriosito.

  Seguii la sua traiettoria, e incontrai – ben piegati e resi molto presentabili – lo stesso paio di jeans che mi ero provata quella mattina.

 Li riconobbi all’istante.

 “Seriamente?” mormorai, esistante.

Come diavolo era riuscito, in così poco tempo, ad acquistarli? E poi, soprattutto, perché mai Damon mi avrebbe fatto un regalo?

 Mi studiò con un’espressione tra l’incerto ed il sospettoso, sollevando un definito sopracciglio.

“Non ti piacciono?”

 Scossi la testa, rilasciando un mezzo sospiro.

“Ho sentito quanto ti stavano bene, ed oggi è la giornata della generosità, quindi…” si spiegò, facendo spallucce.

  Continuai a fissare il pantalone tra le mie mani, non molto sicura sul come sentirmi.

“Non li provi?” domandò, urgente, e l’ombra di un ghigno apparve, creando una linea provocante sul confine delle sue labbra.

  “Non se tu non esci” gli rigettai, quasi sul punto di lanciarli un pezzo di cartone addosso per come i suoi occhi sembrarono effettuare una scansione a raggi infrarossi, al di là dell’asciugamano.

 “E’ la seconda volta in una sola giornata che mi si dice di uscire dalla mia camera da letto” sollevò l’indice, scuotendolo drammaticamente. “Non se ne parla.”

 “Damon!” lo ripresi.

“Allora mi giro. Sbrigati. Hai trenta secondi” il ghigno diventò un sorriso malefico.

 

 Esasperata, sospirai e portai nuovamente gli occhi al cielo.

“A partire da adesso!” mi affrettò, dandomi le spalle.

 Conoscevo Damon. E sapevo bene che non stesse scherzando.

Così, dandomi da fare, fui in grado di essermi infilata il pantalone alla fine del penultimo secondo.

 

Quando si voltò verso di me, l’espressione divertita mutò per un istante in ciò che riconobbi come approvazione.

 “Ti piace?” mormorai, voltandomi in diverse angolazioni verso l’enorme specchio.

 “Mhm” si limitò a rispondere.

Sollevai ancora un po’ di più l’asciugamano che avevo arrotolato al posto della mancante maglietta, scoprendo ulteriormente le mie gambe, fasciate dal jeans .

 Erano troppo stretti.

 I miei fianchi, troppo esposti. Ed odiai tutto ciò.

 

  Quasi ripresa da quello stadio di trance di quella stessa mattina, pizzicai il grasso che avevo in vita, ma alcuni istanti dopo venni fermata da qualcosa.

 Le sue mani .

 

 Sussultai.

“Damon…” richiamai in un mormorio,chiudendo gli occhi.

La sua bocca indugiava sul lobo del mio orecchio. Il suo odore mi pervase.

 E rabbrividii .

 Era lo stesso profumo che mi aveva svegliato quella mattina, nel suo letto. Solo che adesso non sentivo nient’altro che non fosse ciò .

 Avvertii il mio stomaco rivoltarsi su se stesso, quasi dolorosamente, quando le sue dita – scansando abilmente l’asciugamano- iniziarono a tracciare piccoli circoli sulla mia schiena nuda

“Non azzardarti a toglierli.” Sussurrò, portando il suo corpo così vicino al mio che potei sentire ogni parte di lui.

 Niente venne a mancare.

 

“Credo che..” provai a rispondere, ma mi risultò difficile.  “Credo che dovresti fermarti.”

 Persino la mia voce non sembrò accompagnare ciò che le parole richiedevano.

 Ma non avrei potuto dargliela vinta. Dovevamo finirla.

Cosa diamine mi era passato per la testa?

  Un’improvvisa scarica si rabbia e frustrazione si impossessò di me, ma Damon fu più svelto: era già affrettato verso la soglia.

 

 

 

Andai a lavarmi.

 Avevo bisogno di una doccia fredda, per mettermi a posto le idee .

E bruciare calorie.

 

 Inoltre, il suo profumo era rimasto troppo forte, troppo palpabile, per darmi abbastanza spazio per pensare chiaramente sul mio comportamento di poco prima.

 

 Damon.

 Cos’era per me?

 Un fratello? Il mio miglior confidente? Un miglior amico?

O nessuna delle tre?

 

 Quando si parlava di sentimenti riguardanti la sua persona, ciò che potevo immaginare era l’indefinito.

  Lui sapeva essere tutto ciò di cui avevo bisogno.

Ma non era abbastanza. Non per lui.

  Tante volte, in precedenza, gli avevo pregato di non toccare mai più quel tasto dolente che aveva fatto finire le sue confessioni in cuori feriti e senso di colpa.

 Tante volte lo avevo rifiutato.

Ma lui era sempre tornato.

 Ed io, sbagliando, gli avevo permesso di restare.

Perché avevo bisogno di lui .

 

 

 

Quando ebbi finito, Bonnie e Jeremy vennero alla mansione per ordinare il pranzo.

  Indossai un maglioncino nero, appena acquistato, abbinato a quei jeans, e mi avviai furtivamente al piano di sotto, sperando di passare quanto più inosservata possibile.

 “Sto uscendo” la voce di Damon mi spaventò.

Mi fermai alla base delle scale, e lo vidi avvicinarsi alla grande porta d’ingresso, con aria altrettanto vaga.

  “Mi piace l’abbinamento” complimentò, ancora una volta il ghigno gli apparve, e fui sicura stesse per dirne una delle sue.

 Incrociai le braccia sul petto, sollevando un sopracciglio,in attesa.

“E’ molto.. Katherine” trattenne una risata quando per poco non gli lanciai un pezzo di argenteria antica, l’unica arma più vicina alla mia portata .

 

 Nel momento in cui lui uscì, ancora ben divertito, mio fratello e la mia migliore amica entrarono  in casa Salvatore.

 Uno strano senso di ansia si fece strada dentro di me, domandandomi quale scusa avrei adottato questa volta per saltare il pasto.

 Sospirai .

Improvvisamente, una voce tanto forte da sembrare reale, ma abbastanza sconosciuta da spaventarmi , mi donò la forza.

 Erano passati sei giorni.

Sei giorni da quando non avevo avuto un pasto normale.

 Per il resto, quel poco che mi era stato forzato, ero vittoriosamente riuscita a rimetterlo .

 

 Mi bloccai, sentendo il freddo scorrermi nelle vene, nel momento in cui mi resi conto quanto stessi rischiando con il fuoco.

 E la cosa più inquietante, tremendamente spaventosa, fu per me rendermi conto che tutto era cominciato inconsciamente, nei meandri della mia mente, ben prima che capissi che ci fosse qualcosa che non va.

 Ciò che non conosci può ucciderti.

 Rendermene conto adesso, non sarebbe servito più a nulla.

 Poiché non potevo fare altrimenti, se non sentirmi così interamente inutile e degna solo di disprezzo.

 E mai come prima, ingarbugliata in quelle catene d’acciaio,così impossibili da sciogliere.

 

Pensione Salvatore – Tarda serata

 

 Damon, Rick, Caroline, Katherine e Stefan si erano riuniti per discutere sul piano “Libera gli Originali”, escludendomi e tenendomi all’oscuro del luogo da loro prescelto.

 Nervosa, passeggiavo avanti e indietro nel lungo corridoio del piano terra.

Avrebbero informato Bonnie più tardi, la quale – come vogliosamente richiesto – provava a distrarmi ,camuffando il fatto mi stesse facendo da baby sitter.

 E ciò mi irritava. Seriamente.

 

  Passò mezz’ora, ed ancora nessun segno del loro ritorno.

Mentalmente stanca, decisi di salire al piano di sopra, e di sfogarmi con qualcosa che non avesse avuto voce per riprendermi su come la mia visione della vita fosse errata.

 Il mio diario.

Dove l’avevo messo?

 Oh,sì.Certo.

In camera di Damon.

 

 Mentre gli indirizzai, mentalmente, alcuni insulti, mi avviai verso la sua stanza e vittoriosa trovai ciò che stavo cercando.

  Mi sedetti sul suo comodo letto, e, con la penna in mano, osservai al di fuori dalla finestra, pensando alle prime righe da inserire.

  La luna era piccola e la luce da essa emanata sembrava soffusa,e sottili strati grigi di nuvole la nascondevano brevemente e avaramente per alcuni secondi.

  Ciò che sembrò essere un soffio di vento gelido si insinuò nella stanza.

La pelle d’oca non aspettò molto ad arrivare.

 “Ma guarda un po’” una voce fin troppo familiare giunse alle mie orecchie.

 La mia.

  Quella di Katherine.

“Scrivere nel diario segreto. E’ qualcosa che i Gilbert ti hanno tramandato?” il suo tono sarcastico mi arrivò da qualche parte eccessivamente vicina alla mia persona.

 Mi alzai di soprassalto, guardandomi intorno nella camera malamente illuminata.

 

 Lei, di tutta risposta, fece la sua apparizione da un buio angolino vicino il bagno .

 “Cosa vuoi?” domandai, piattamente.

“Non essere così avventata” mi suggerì lei, prendendo pochi ma sicuri passi verso di me.

Era vestita con dei pantaloni neri, sin troppo aderenti. E la solita giacca di pelle nera abbinata ad una canotta viola.

 

Tutto, in lei, sembrava urlare quanto fosse sfacciata ed inibita di fronte qualsiasi situazione.

“Sono più vecchia di te. Ricordi?” un sorriso malizioso accompagnò il silenzioso avvertimento.

  Indietreggiai di alcuni millimetri, ma seppi tenere l’istinto di sopravvivenza a bada.

“Ma non ti impedisce di uccidere egoisticamente qualcuno solo per uno spasimo personale” sputai, senza pensare a quanto la stessi provocando in quel momento.

 “E’ stato tanto tempo fa” vidi come le sue labbra corrucciarono per alcuni istanti. “E tutti quanti abbiamo visto dove il tuo amore di ha trascinato” aggiunse, rilasciando altrettanto veleno, mentre sollevava con orgoglio il mento verso la mia persona.

 “Non sono affari tuoi, Katherine” tagliai corto, inasprita.

“Pensaci Elena. Damon farebbe mai lo stesso errore che ha fatto il suo fratellino?” mi mise alla prova, con acidità.

  Tanti insulti mi vennero in testa, ma nemmeno uno lasciò le mie labbra.

“Ho ragione” esultò con un tono vittorioso, ma contenuto. “Come sempre.” Aggiunse poi, arrogante.

  Facendo una cosa che non avrei mai immaginato potesse fare, si venne a sedere di fianco a me.

Indietreggiai, presa alla sprovvista.

  “Non ti ucciderò, Elena” Katherine annunciò in un sospiro, l’ombra di un sorriso illuminando i suoi lineamenti alla luce della luna.

 Pericolo era tutto ciò che la sua presenza sembrava gridare.

“Non ti azzarderesti. Perché sai bene che Stefan ti odierebbe troppo.” Volli strozzarmi con le mie mani, quando mi resi conto di quanto troppo oltre mi fossi spinta con le parole, e con le mie certezze.

 Fece un mezzo sorriso, amaro.

“Questo è il fuoco delle Petrova di cui parlavo. Sono contenta che è ancora presente in famiglia”

Non risposi.

  Tutto ciò mi riportò alla mia conversazione con Damon, quando mi ero domandata il perché lei fosse così piena d’odio.

 “Mi vorresti morta, Katherine?” domandai di getto, fin troppo onesta.

 Il sottile tono di sfida,però, non lasciò mai la mia voce.

Lei si accigliò.

 “Bhè, considerato il fatto che crei solo casini … sì. Sì, lo vorrei” rispose, sincera e diretta.

  Fece male?

In qualche modo sì. Poichè sapevo quanta ragione avesse.

 Mystic Falls non era stata più la stessa da quando avevo messo piede nel supernaturale.

Ma  Katherine ignorò la mia probabile espressione, e continuò. “Ma d’altra parte, Klaus si incavolerebbe seriamente. Quindi no. Mi vai bene viva, per ora.”

  “Tu non mi uccideresti.” Fui presa da un’improvvisa sicurezza delle mie parole, e la ragione per tale motivazione fu nascosta nei meandri del mio inconscio.

   “Non mi sottovalutare.” Pronunciò ogni parola lentamente, i suoi –i miei- occhi apparvero di una tonalità più scura, pronti a smascherare la loro vera facciata diabolica.

  “Sono frutto del tuo stesso sangue. O mi sbaglio?” il mio corpo si era sporso verso il suo, una maniera per dimostrarle quanto poco intimorita fossi da lei.

  In fin dei conti, cos’avevo da perdere?

 

Lei, d’altra parte, era senza parole.

“E pensi che mi importi della tua esistenza? Il fatto che non ti possa uccidere non cambia nulla” sputò, inacidita da come avessi punto nel vivo.

“Sì. Perché hai avuto tante occasioni per uccidermi.” Risposi, calma. E poi ecco che l’ultimo pezzo del puzzle che da fin troppo tempo stavo cercando di risolvere, venne messo al suo posto.

 “Sono parente di tua figlia.” Rivelai, ad alta voce, ammettendo ciò che entrambe avevamo sempre saputo. “Non vorresti mai farle del male .”

 Capii che avevo toccato il tasto sbagliato quando, esterrefatta,  osservai i suoi occhi bagnarsi di un misto tra sangue e … lacrime? Poteva essere possibile?

  Non ebbi tempo di razionalizzare l’intera scena, poichè Katherine mi aveva già afferrata dal collo e appesa con violenza contro il muro di fianco la porta.

 “Non mettere mai più in mezzo la mia bambina” l’inizio della sua minaccia fu acida, maligna, sputata. Ma il suo tono di voce non durò così a lungo, mutando in un sussurrato ordine che perse la sua pericolosità.

 La sua voce tremò .

 Ed il senso di colpa per ciò che avevo appena fatto mi investì completamente.

 

 Mai, prima d’allora, avevo visto Katherine mostrarsi così scossa e toccata riguardo qualcosa.

 Stemmo in silenzio.

Fino a quando non trovai difficile respirare.

 

 Lei lo notò, e dopo mezzo secondo rilasciò la presa mortale dalla pelle arrossata del mio collo.

Si girò, ignorandomi, e si avviò verso la porta.

 

 “Katherine” chiamai, tra un respiro laborioso ed un altro.

 Il suo udito acuto fece sì che mi potesse sentire. Si fermò, ma non si girò a guardarmi.

“Mi dispiace.” Mormorai, con la forza che avvertivo stavo velocemente perdendo. “Vorrei non avessi passato tutto ciò”

 Poi tutto divenne nero.

 

 

 

 

   
 
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