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Autore: Ranessa    28/12/2006    4 recensioni
«Cos'è?»
«E' un pesce rosso, Narcissa».
«E' nero».
«E' un pesce rosso, nero».
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Rodolphus Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Nota: Questa storia nasce come un gioco durante un'ora di lezione particolarmente tediosa. Rodolphus Lestrange e un pesce rosso, e il tentativo di mantenere tutto il più serio possibile. La storia in effetti è seria, talmente seria che è fatta quasi esclusivamente di sottintesi, tanto che dubito possa essere compresa da chi non abbia mai letto nulla di mio in precedenza. In particolare da chi non abbia letto perlomeno un'altra one shot, Calamity of touch.


[ Vorrei che mi uccidesse ora ]


[...] Indossi il vuoto con classe
Ma è tutto ciò che avrai
Perché quando il dolore è più grande
Poi non senti più
E per sentirmi vivo
Ti ucciderò
Vedrai, vedrai se il mio amore
E' una patologia
Saprò come estirparla via
Torneremo a scorrere
Torneremo a scorrere
Lo so, lo so che il mio amore
E' una patologia
Vorrei che mi uccidesse ora

«Ci sono molti modi», Afterhours


Quando entro nella stanza lo trovo seduto scompostamente su una vecchia sedia.
Mi dà la schiena e poggia il braccio sinistro sullo schienale scolorito. Sottili spirali di fumo si innalzano verso il soffitto oltre le sue spalle. Rodolphus è lievemente chinato in avanti, assorto nella contemplazione di qualcosa che non riesco a scorgere al di là della sua figura secca e scura, innaturalmente nitida.
Mi dirigo verso di lui, domandandomi se abbia udito i miei passi.
Quando lo vedo lì, sul tavolo di fronte a lui, per un momento dubito che sia reale.
«Cos'è?» gli chiedo, non riuscendo a mitigare la nota di puro stupore che sapevo si sarebbe impadronita della mia voce.
Rodolphus non sembra sorpreso dalla mia presenza, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla piccola boccia di vetro lucido continua a sbuffare fumo nell'aria fredda e viziata dell'ambiente.
«E' un pesce rosso, Narcissa».
«E' nero» constato gentilmente, sedendomi a fatica al suo fianco, impacciata dal mio ventre ormai decisamente prominente.
«E' un pesce rosso, nero» replica lui, lievemente infastidito, quasi lo stessi costringendo a puntualizzare l'ovvio. «Ti piace?» domanda poi sorridendo appena, come per scusarsi, con il tono eccitato e infantile di un bambino intento a scartare un grande pacco regalo.
«Non avrai intenzione di tenerlo? Bellatrix non te lo permetterà mai...»
«Credi davvero che vorrà separarmi da Jonny?» si gira di scatto a guardarmi per la prima volta, l'espressione oltraggiata sul suo volto incredibilmente comica.
«Hai dato un nome al pesce?» rido, portandomi una ciocca ribelle di capelli dietro l'orecchio destro.
Mio cognato spegne la sigaretta sul ripiano polveroso del tavolo e posa delicatamente un dito sulla superficie di vetro della boccia. Lo muove lentamente da una parte all'altra, indispettito dall'apparente indifferenza del pesce che non mostra alcuna reazione.
«Che origine ha?» domando, cercando una posizione più comoda sulla sedia in legno scuro.
Rodolphus si volta cautamente per osservarmi.
«Sai mantenere un segreto?» mi chiede con aria cospiratrice, alzando un sopracciglio.
Io annuisco divertita, attendendo curiosa la sua risposta. Lui si china rapido verso di me sino a sussurrarmela all'orecchio, i suoi capelli corvini a carezzare la mia guancia fredda.
Quando torna ad appoggiarsi allo schienale rigido della sua sedia tira fuori dalla tasca interna della veste il suo accendino d'argento, con la sottile lingua di serpente attorcigliata intorno, e si accende un'altra sigaretta.
«Stiamo davvero discutendo di un pesce rosso?» ride.
Rimango in silenzio qualche istante prima di rispondere, improvvisamente in imbarazzo.
«Nero» replico poi in tono piatto, neutro, distogliendo lo sguardo dai suoi affilati occhi viola.

+ + + + + + + + + +

Quando Lucius entra dalla porta alle nostre spalle Rodolphus sta dando da mangiare a Jonny.
Fa comparire con la bacchetta piccole briciole di pane sulla superficie dell'acqua. Una alla volta, per osservare il pesce che nuota velocemente da una parte all'altra della palla di vetro per inghiottirle silenziosamente.
«Ciao» la sua voce stupita ci giunge ovattata, come da una grande distanza.
Mi soffermo sorpresa sul suo volto teso, arrossato dal vento primaverile.
Le scarpe e la veste lievemente macchiate di terra.
Non si è materializzato. È venuto a piedi.
Materializzarsi è rendere noti i nostri spostamenti all'Oscuro. Subire direttamente il rigido controllo del Marchio.
Camminare è inquietudine, segreto, agitazione.
«Lucius...»
«Cosa ci fai qui?» domanda in tono stanco, quasi dolorosamente deluso. «Non dovresti più uscire di casa da sola, la sera».
«Già» interviene Rodolphus, rimettendosi in tasca la bacchetta. «Cosa ci fai qui?» mi chiede osservandomi intensamente, sollevando un sopracciglio scuro in quell'espressione detestabile che spesso riserva al suo prossimo.
«Io... cercavo Bella, ma non c'è...»
«No, non c'è» sospira mio marito sfilandosi i guanti. Attraversa la stanza con passo pesante, andandosi a sedere sul divano di fronte al camino. Si accomoda senza nemmeno guardare in viso il padrone di casa.
«Sai dov'è?» gli domanda Rodolphus, apparentemente senza alcuna traccia di preoccupazione nella voce calda, lievemente roca. Lascia la sedia al mio fianco per dirigersi a sua volta verso il divano e iniziare a riempire tre bicchieri di liquore.
«L'Oscuro l'ha convocata» annuisce Lucius, accettando il drink che mio cognato gli porge. «Narcissa non beve» lo ammonisce poi indirizzando uno sguardo severo al terzo bicchiere squadrato, leggermente sbeccato in un angolo.
«Non è per lei» ghigna Rodolphus, in piedi di fronte a lui.
Si guardando negli occhi.
Ed io porto una mano al ventre. Lo accarezzo attraverso la stoffa candida della veste.

«E tu cosa ci fai qui?»
Rabbia quello che provo osservando in volto mio marito, e senza nemmeno conoscerne il perchè.
«Dovevo parlare con Rodolphus...»
«Dovevi?» sottolineo acida, chiedendomi dove giaccia la linea di confine tra ira repressa e isteria, e quanto sia sottile. Rodolphus quasi sorride alla mia replica. Agli occhi preoccupati di Lucius.
«Devo parlargli, Narcissa, ma non posso farlo in tua presenza, dovresti saperlo ormai».
Porta il bicchiere alle labbra, bagnandole appena.
«Mi stai intimando di lasciare una casa che non è la tua?» domando gelida, sentendo le guance avvampare di calore.
Mio marito apre la bocca per ribattere quando un rumore sordo ci raggiunge dal piano inferiore.
«Bellatrix dev'essere già tornata» interviene rapido Rodolphus. «Perchè non vai da lei, Narcissa? Sei qui per questo... giusto?» suggerisce accomodante.
Sbuffo in una brevissima risata, alzandomi lentamente per dirigermi verso la porta.
Prima di uscire rivolgo un ultimo sguardo all'interno del salotto.
Ma non guardo Lucius.
Guardo mio cognato.
Ha finito i due bicchieri di liquore.
Sta accendendo l'ennesima sigaretta.

+ + + + + + + + + +

«Scusa».
«Per cosa?»
«Narcissa è molto tesa, ultimamente» lo dico a voce bassa, stringendo maggiormente la presa intorno al bicchiere sino a sentire tutto il calore delle mie mani defluire via, catturato dal vetro lucido, dal liquore ambrato.
«Non preoccupati» Rodolphus si alza per andare a posare i bicchieri vuoti sopra al camino. Mi aspetto che voglia accenderlo, se non altro per liberare l'ambiente dalla pesante penombra che lo opprime. E invece si dirige verso la finestra e la apre, lasciando che l'aria frizzante della sera invada la stanza e ci investa di tutta la sua eccessiva frescura. Si siede sul davanzale, abbandonando la gamba sinistra lungo il muro. Getta la sigaretta, fumata solo per metà, di sotto, a cadere da qualche parte tra i fiori morti e i cespugli di erbacce del suo giardino incolto.
Se non lo conoscessi non penserei che potremmo rimanere così in eterno, che se non prendessi io la parola lui continuerebbe a scrutare assorto fuori dalla finestra, passandosi distrattamente una mano tra i capelli scuri.
«Ho paura» esordisco senza troppi giri di parole.
«Per Narcissa ed il bambino» mi interrompe Rodolphus lanciandomi un breve sguardo acuto. È sempre difficile credere che stia realmente ascoltando con attenzione, eppure è raro riuscire a coglierlo di sorpresa.
«Esatto» sibilo, trovandolo quasi più arduo della precedente ammissione spontanea di debolezza. «Ho paura che rimanendo in città non siano più al sicuro ormai».
«Vorresti che lasciassero Londra?» domanda in tono grave. Ha preso il suo accendino dalla tasca della veste e se lo passa tra le mani, come per carezzarlo dolcemente.
Accende la fiamma a intervalli regolari, producendo bagliori sinistri e giochi d'ombra.
«No, non credo che Narcissa accetterebbe mai... Vorrei che si trasferisse qui con te e Bellatrix» concludo d'un fiato, sperando di non risultare eccessivamente patetico ai suoi occhi.
Rodolphus chiude di scatto l'accendino antico per osservarmi intensamente.
«Perchè casa nostra dovrebbe essere più sicura della tua?» mi chiede, con l'atteggiamento cauto del cacciatore che attende il momento giusto per colpire o della preda che studia ogni possibile via di fuga.
«Perchè tu non lavori, e nemmeno Bella» rispondo, stupito dalla sua repentina e glaciale reazione. «Uno di voi sarebbe sempre presente. Tuo fratello viene a trovarti...»
«Ti sbagli» mi interrompe lui ancora una volta, in un tono che ha molto di definitivo.
«Rabastan non viene quasi mai».

+ + + + + + + + + +

«Narcissa».
«Oh, ciao» lo saluto sorpresa. «Credevo fossi Bella».
Rabastan sorride divertito, nonostante l'enorme stanchezza che gli grava palesemente sulle spalle.
«Sono qui per vedere mio fratello» spiega, facendo qualche passo nervoso nell'ingresso.
«E' di sopra. Lucius... Stanno parlando».
«L'avevo immaginato» commenta precedendomi nella veranda e sorridendo ancora. In realtà è soltanto una piega appena accennata delle labbra pallide, uguali in tutto e per tutto a quelle di Rodolphus.
Prende posto su una delle grandi sedie di vimini, invitandomi a fare lo stesso con un cenno della mano.
«Ti vanno due chiacchiere mentre attendiamo che finiscano?» domanda gentilmente, senza però sembrare sinceramente interessato ad intraprendere alcun tipo di conversazione.
«Certo. Come va il lavoro?»
«Non c'è male. Al Ministero non scarseggia mai».
«Già».
Traccio piccole spirali concentriche con le dita intirizzite sulla stoffa che ricopre le mie ginocchia, ascoltando il silenzio.
Rabastan osserva fuori dalle grandi vetrate le fronde degli alberi che si muovono al vento, la nebbia che lentamente si sta impadronendo del paesaggio.
È come se entrambi sapessimo che dovremmo sentirci in imbarazzo per il fatto di non riuscire a trovare nulla da dirci, quasi colpevoli, quando in realtà non ce ne importa nulla. Una sorta di pace inaspettata e incredibilmente piacevole, con un effetto calmante e ristoratore.
Un rumore di vetri infranti giunge però a disturbare la nostra quiete.
«Avrà rotto un bicchiere» sbuffa sorridendo appena Rabastan, alludendo chiaramente a Rodolphus. «Sarà meglio che li raggiunga...»
«No!» esclamo, impedendogli di alzarsi trattenendolo per la manica della veste.
Rabastan mi osserva incredulo, ritraendosi verso lo schienale della sua sedia quasi lo avessi spaventato.
«Scusa. Vado io e gli dico che sei qui».
Mi alzo facendo leva sui braccioli e gli do le spalle.
«Io e Lucius ormai dobbiamo andare» aggiungo poi, rivolta alle scale.

Quando lascio l'ultimo gradino per attraversare il corridoio le loro voci mi giungono all'orecchio dalla porta socchiusa del salotto, alterate. Entro silenziosamente, per osservarli senza che notino la mia presenza.
La figura scura di Rodolphus si staglia contro la finestra spalancata, quasi completamente inghiottita dalle tenebre che invadono l'ambiente. Non è stato lui a rompere il bicchiere; i vetri in frantumi sono ai piedi di mio marito, il liquore a macchiare il tappeto scolorito.
Lucius sta urlando qualcosa a mio cognato, furibondo, i pugni bianchi serrati.
«Da quando ti costa tanto aiutare un amico a proteggere la sua famiglia?»
«Narcissa non...» si blocca, scorgendomi vicino alla cornice della porta. Seguendo il suo sguardo Lucius incontra di sfuggita i miei occhi.
«Tuo... tuo fratello è di sotto. Credo abbia bisogno di parlarti».
Dopo un attimo di silenzio, durante il quale guarda quasi incredulo Rodolphus, Lucius scoppia a ridere di gusto alle mie parole, tornando a sedersi sul divano.
«Suo fratello?»
Calpesta inavvertitamente alcuni pezzi di vetro. Tintinnano sotto le suole delle sue scarpe.
Rodolphus invece rimane serio, annuendo nella mia direzione. Si passa una mano sulle labbra pensieroso e attraversa la stanza per raggiungere Rabastan. Prima di uscire spegne la sigaretta che ha in mano, gettandola nella boccia di vetro di Jonny.
Mi lascia a domandarmi cosa stesse per gridare a mio marito. Se devo tornare a preoccuparmi.
«Cos'è quello?» chiede Lucius. Ha seguito con lo sguardo ogni movimento di Rodolphus ed ora osserva stupito la palla di vetro per la prima volta. Dove la sigaretta galleggia, spargendo cenere sulla superficie dell'acqua.
«Un pesce rosso, nero» rispondo, osservando Jonny che si avvicina con aria sospettosa alla sigaretta.
Mio marito si volta a guardarmi stupito.
Dalla mia risposta.
O dalla mia risata.

   
 
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