Trecentotré
Sarà un bel giorno, quello che a te mi legherà
Ma se vuoi amare
l’amore
Tu non gli chiedere
Quello che non può
dare
(Ragazzo Mio,
Loredana Berté)
Sparta, 9 Maggio
1838
Dove vanno a finire
i tuoi pensieri
Quando la mia mano lentamente, inutilmente ti accarezza?
Dove vanno a finire i tuoi sorrisi, quelli di ieri
Quando ti perdi in una incontentabile tristezza?
Io non capivo, non sentivo, non leggevo, non vedevo mai
Quello che avevi in cuore
Ma cosa avevi in cuore?
(Oh Amore Amore Amore, Roberto
Vecchioni)
Con il
ritorno di George, Natal’ja si era decisamente calmata.
S’era
raccolta i famosi -famosi in tutta la Grecia, a momenti- capelli dorati in una
lunghissima e morbida treccia che Gee le aveva spostato gentilmente su una
spalla dopo averle baciato sia i capelli sia la spalla, aveva indossato un
bell’abito blu Cina -la medesima tonalità del nastro
che aveva tra i capelli- sempre rubato al guardaroba di Talia da giovane, e un
paio di ballerine nuove dello stesso colore, comprate -beh, “comprate” è una licenza poetica non
indifferente- nell’unico negozio di scarpe di Sparta, e, dopo un ultimo,
dolcissimo bacio a fior di labbra, aveva chiesto a Gee di portarla all’Eurota.
-Devo
togliere una sensazione che mi è rimasta addosso... E spero di non provare mai più-
-La pelle morta?- domandò Gee, con un sorriso.
Natalys
scoppiò a ridere, come faceva sempre quando era con lui.
Era incredibile, Gee.
La faceva ridere sempre.
-Un
brutto ricordo- spiegò poi, tornando seria, anche se solo per un po’.
Con Gee
contava di dimenticare presto anche quella sensazione...
Le mani di John sul suo corpo,
sull’orlo di un abuso sessuale.
Le aveva
chiesto di perdonarlo, il Capitano della Magna Graecia, mentre cercava di
spogliarla.
Come se lei potesse farlo.
-Recente?-
volle sapere Gee, notando il cambio di tono.
-Sì,
abbastanza...-
L’ “abbastanza” avrebbe potuto risparmiarselo, in
effetti.
Era successo meno di un’ora prima.
-Molto recente- si corresse
infatti, e Gee si accigliò.
-Non mi
dici cosa?-
-Ma no,
dai...-
-Non vuoi?-
Sembrava
ferito, il bel George.
Si erano sempre detti tutto, loro.
Anche i
loro ricordi peggiori.
-Non il
nostro ultimo giorno!-
-Non è il
nostro ultimo giorno... E’ il nostro ultimo giorno di Maggio, forse di
quest’anno, ma non è il nostro ultimo
giorno!-
Natal’ja
alzò gli occhi al cielo.
-E adesso come faccio a tranquillizzare il
mio amore isterico? Dai, Gee. E’ ovvio che non sarà il nostro ultimo giorno. Hai capito cosa
intendevo-
-Sì... Forse sono isterico davvero- disse Gee,
quasi sputando quelle parole, come se fosse colpa sua.
Colpa di Lys che partiva domani.
E di chi,
se no?
-Gee, io...-
-Non me ne frega un accidente. Dovevamo
uscire? Usciamo. In questi giorni ho
fatto qualsiasi cosa per te... E lo farei ancora, ucciderei per te. Ucciderei perfino mio padre-
Alja
rabbrividì, perché Gee non sapeva niente, ma con il suo esempio si era
avvicinato pericolosamente alla realtà.
-Ti ho
tolto la pelle morta quando ti sei scottata, adesso ti porto a togliere anche
“un brutto ricordo, una sensazione”, che ovviamente non mi è dato conoscere...
A momenti
finisco pure incatenato a una rupe del Caucaso, che tanto è vicino alla
Siberia, come quel povero disgraziato di Polifemo...-
Gee si
coprì la bocca con una mano, incredulo, dopo essersi sentito dire quel nome,
quel nome e non quello che avrebbe dovuto dire.
-Prometeo. Mio Dio, Prometeo! Certo,
Prometeo. Ora mi fai sbagliare anche i miti greci, Lys? Non ti sembra di esagerare, piccina?-
-Non è
grave... Jàn li sbaglia sempre-
Negli
occhi di George divampò un’autentica fiamma, e Lys ne fu quasi spaventata.
-Amore...-
-Sai cosa
me ne faccio, io, del tuo amore?-
Gee alzò
su di lei due occhi disperati, poi si sedette ancora sul letto e scosse la
testa, con un’aria malinconica da poeta maledetto dei boulevards parigini.
-Ci
vivo... Ci vivo, io, del tuo amore! Ci vivo,
Natal’ja...-
Natal’ja
socchiuse gli occhi, cercando la sua mano, ma Gee
l’allontanò bruscamente, fulminandola con lo sguardo.
Lei
questo non lo vide, però.
Lui
doveva riuscire a resistere...
Non essere sempre a disposizione
di quella ragazzina.
Oh, amore, amore,
amore
Quante bugie abbiamo detto all'amore
Oh, amore, amore, amore
Quante volte abbiamo tradito l'amore
Oh, amore, amore, amore
Come dev'essere offeso e triste l'amore
Per come l'abbiamo trattato
Per quel che abbiamo
fatto al nostro amore
Oh amore, amore,
amore
Quante volte avrei voluto dirti amore
Oh, amore, amore, amore
Potrà mai perdonarci, l'amore?
(Oh Amore Amore Amore, Roberto Vecchioni)
Ma Lys si
era stancata.
Come se la fitta al cuore la
sentisse solo lui!
-Vieni
con me-
-Dove?
Natal’ja, cosa...-
-All’Αθάνατος-
-Perché? Alja, non possiamo, ci sono gli
allenamenti... Se il nonno mi vede mi costringe a restar lì fino a domattina.
Ma forse a te nemmeno importa, di
passar l’ultimo giorno con me...-
Natal’ja
scosse la testa, ferita.
L’avrebbe visto, adesso, quanto le
importava.
-Ce ne
andremo subito. All’Eurota, come ti ho chiesto. Ora, però, vieni con me. E, se
è possibile, stai zitto-
Gli innamorati si
nascondono tenendosi per mano
E non calpestano nemmeno il segno delle loro ombre
Gli innamorati contano le stelle e sanno benissimo quante sono
E conoscono per nome tutte le foglie gialle di novembre
E tutto il resto non esiste, non c’è stato e non ci sarà mai
Il resto è vivere
E’ vivere
(Oh Amore Amore Amore, Roberto
Vecchioni)
Come
entrò in palestra, Alja non degnò nemmeno di uno sguardo gli altri soldati.
Cercava Leonida e Dekapolites, che del resto si riconoscevano facilmente,
essendo i maestri, e quelli che se li incontravi di notte in un vicolo cieco ti
prendeva un colpo.
-Leonida e Dekapolites. Devo parlare con
voi- affermò risoluta, poi si accorse di averli davanti.
Leonida
Zemekis, quarantasette anni, capelli neri gocciolanti di sudore, occhi di
carbone ardente e una fantastica carnagione bruna, un metro e sessantaquattro,
agile e muscoloso, e con uno sguardo da dio della guerra, quattro figlie e due
nipoti.
Dekapolites
Calie, cinquantun anni, capelli neri e ricci e luminosi occhi grigiazzurri,
stessa pelle da egiziano dell’amico e un fisico atletico, un metro e
settantadue, una figlia e tre nipoti.
Facevano venire i brividi, quei
due, da tanto ch’erano belli e minacciosi.
-Quale
onore, piccola Natal’ja!-
La
biondina russa fece un passo indietro.
-Io...-
-Non te
la concedono, la grazia, ragazzina! Non sai contro chi ti sei messa...- le sussurrò malignamente un soldato dai capelli
biondi e gli occhi verdi.
Le
ricordava qualcuno...
Theodorakis.
-Meletis
Dounas, trentasei anni, molto piacere- si presentò infatti
il ragazzo, notando che lo sguardo di Natal’ja si era soffermato a lungo su di
lui.
Era il padre di Theo.
-Meletis,
lasciala stare- lo rimproverò Dekapolites, con un’occhiataccia.
-E’ tutto
a posto. E’ la fidanzata di Geórgos. La
sua ragazza, la sua promessa. Allora, Lys, che succede?-
Quando il
suo sguardo di spostò su Natalys, le sue iridi
cristalline assunsero una tonalità quasi più azzurra del solito.
Le
sorrise, e lei fece altrettanto, grata di quell’accoglienza
tutto sommato rassicurante, considerati i soggetti.
Natal’ja
respirò profondamente, poi s’inginocchiò.
-Con chi
devo parlare?-
-Natalys,
davvero, non ne hai bisogno... Non abbiamo nessuna intenzione di ucciderti! Ci
stai pure simpatica...-
-Leonida,
tu sei il nonno di Gee, anche se sembri suo padre... E tu, Dekapolites, gli hai
regalato il tuo xiphos, gli hai insegnato a tirare con l’arco e di spada, gli
hai insegnato tantissime cose...
Vi prego
di concedermi la mano di... Vostro
nipote. La mano di Geórgos. Io morirei, senza di lui... Posso sposarlo?
Mi date
il vostro permesso, la vostra benedizione? Vi
prego...-
-Certo-
sorrise Leonida, facendo l’occhiolino a Gee, che, poco lontano, davvero non
riusciva a crederci.
-Lys!- gridò, e lei si voltò.
-Rialzati,
Lys-
Corse da
lei e le tese la mano.
-Come ti
è venuto in mente? Sei matta, tu...-
Lei
scrollò le spalle, con noncuranza.
-Un po’-
-Baciala,
cretino!- gli disse Dekapolites, tirando una gomitata al suo allievo preferito.
Geórgos
annuì, e il suo sorriso meraviglioso tornò a brillargli sulle labbra come il
primo giorno che Lys aveva passato a Sparta.
La baciò come il primo giorno che
Lys aveva passato a Sparta.
Non
troppo bene, in realtà, perché aveva la febbre alta e in fondo sapeva che lei
sarebbe rimasta ancora a lungo, e gli avrebbe dato sicuramente l’occasione di
rifarsi, e di recuperare due anni di devastante lontananza.
Era
troppo emozionato e felice, estasiato e commosso.
E adesso trovatemela, signori,
trovatemela, una ragazza che abbia fatto lo stesso per il suo amore!
Era così
orgoglioso che neanche se, dopo di lui, Natal’ja avesse baciato tutti gli altri
soldati presenti nella palestra, sarebbe riuscito a smettere di sorridere come
un ebete.
-E davanti a me non t’inginocchi? Io sono
il suo migliore amico...-
Theodorakis,
con il sorriso strafottente di sempre, le si parò davanti, indicandole ancora
il pavimento dell’Αθάνατος.
-No... A te no- sibilò lei, gelida.
-Chiedilo
anche a me, se puoi sposare Gee! Tu provaci, biondina. Non so come hai fatto a incantare Leo e
il nonno, ma con me non ce la farai-
-Lasciami
stare, Theo...-
-Perché?- sussurrò lui, lanciandole uno
sguardo di fuoco.
-Lo sai, perché!-
Di quel
breve scambio di battute, per fortuna, si erano accorti in pochi, e l’avevano
attribuito al pessimo carattere del giovane Dounas.
Anche
Gee, che per il suo migliore amico e la sua Lys aveva sempre un occhio di
riguardo, cercò d’ignorare le poco rassicuranti scintille tra i due.
-Non vuoi
più andare all’Eurota?- le sussurrò dolcemente all’orecchio, e lei s’illuminò.
-Oh, sì...-
Febo è bello come il
Sole
Forse un principe,
un re
Sveli a me l’amore
che
In me non c’era e
adesso c’è
E’ un soldato e
scapperei
Ma più mi stringe e
più mi attrae
(Bello come il sole,
Notre Dame de Paris)
All’Eurota
fu tutto un attimo, fu tutto un brivido.
Sciogliersi
i capelli, togliersi i vestiti.
Natal’ja
lasciò l’abito blu sulla riva e prese per mano Gee, che la guardava incantato,
e seguiva con lo sguardo i suoi crini biondissimi ondeggiare al vento e confondersi
con la sua pelle nivea, l’indaco chiaro dei suoi occhi confondersi con i bagliori
più azzurri del fiume.
L’acqua
era fresca e limpida, scintillava al sole e sotto le sue dita, e Lys la trovava
meravigliosa.
Si era
lavata via quella sensazione, finalmente.
John non
poteva più raggiungerla.
Gee,
ovunque ci fosse qualcosa di liquido e azzurro, ovunque ci fosse dell’acqua,
era simile a un dio, perché l’acqua gl’illuminava gli occhi e il sole gli
baciava la schiena e le spalle già bronzee.
Raggi di
luce sui capelli di Alja, riflessi argentei negli occhi di George.
Un nodo
di nostalgia nel cuore, dolore in anticipo, uno strappo al cuore per il giorno
dopo.
Come
potevano non pensarci, come potevano non morirci?
Come
potevano dimenticare quei sogni, nudi e abbracciati tanto forte da non
respirare quasi, grati all’aria testimone dei loro mille modi di amarsi, con
gli occhi lucidi di una tenerezza impossibile da vivere senza distruggersi da
soli?
Come
potevano perdere un solo istante di quei giorni di baci e lacrime, insulti e
promesse, luce vibrante e prepotente, luce sotto la pelle, luce fin dentro le
ossa, luce solo per loro.
Una Rivoluzione per Natal’ja e
George.
Ti lascerò un
sorriso
Ciao, ciao
E rabbia nuova in
viso
Ciao, ciao
La tenerezza che
Ciao, ciao
Fa il cuore in gola
a me
(Il suono della
domenica, Zucchero)
Note
Sarà un
bel giorno, quello che a te mi legherà: La fede di diamanti, Notre Dame de
Paris.
L’ultimo
giorno di Alja e Gee, quando John ormai se n’è andato, quando Gee torna
dall’Αθάνατος.
Il
rancore di Gee, e poi il gesto di Alja in palestra, davanti a Leonida e
Dekapolites, per rassicurarlo...
Il bagno
nell’Eurota, e...
Una lieve
stretta al cuore, bruciata dalla loro immensa felicità.
Il giorno
dopo Alja partirà, il giorno dopo staranno male, tanto, ma ora no.
Spero
davvero che vi sia piaciuto ;)
A presto!
Marty