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Autore: Iwuvyoubearymuch    10/06/2012    22 recensioni
Ho provato a mettere nero su bianco ciò che può essere accaduto dopo gli eventi dell'ultimo libro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Nono
Anche al Distretto 13 le cose stanno tornando lentamente alla normalità. Come lo erano prima che la loro vita venisse sconvolta dall'arrivo della Ghiandaia Imitatrice. Almeno questo è quello che mi dice mia madre. Secondo lei, sono molti quelli che ormai si sono ripresi completamente dalla guerra, che hanno riafferrato in mano le redini della loro vita. Inutile dire che alcuni faticano ad abituarsi alle novità, ma tutti si dicono contenti della fine degli Hunger Games e del dominio di Capitol City sui distretti. Mi riferisce queste cose con una nota d'orgoglio che non mi sfugge. E' convinta che sia merito mio. Non sono d'accordo. Io ho semplicemente acceso la miccia e alimentato la fiamma di tanto in tanto. L'incendio vero e proprio l'hanno appiccato i ribelli ed è grazie a loro che i ragazzi dai dodici ai diciotto anni possono dirsi salvi.
"Le tue ferite come vanno?" chiede, dopo un attimo di silenzio.
"Sono rimaste solo le cicatrici" la informo, asciutta. Le odio. Nel vero senso della parola. E' come se mi guardassero, ogni volta a ricordarmi quello che mi è capitato negli ultimi anni. Con l'arrivo delle giornate calde, è da folli indossare maglie a maniche lunghe. Per questo, quando passo davanti allo specchio, evito apposta di osservare il mio riflesso. Già ci sono gli incubi a torturarmi costantemente, non c'è bisogno di ulteriori motivazioni.
Comunque, la ragione per cui ho chiamato mia madre non ha nulla a che vedere con le mie ferite. E tantomeno con le notizie riguardanti il Distetto 13. La verità è che avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Il Dr. Aurelius non è esattamente il tipo di persona con cui vorrei affrontare qualsiasi altro argomento diverso dalle mie condizioni mentali dopo la guerra. Sae si è comportata come una vera madre nell'ultimo periodo. Forse anche meglio, a giudicare dal comportamento che ostentato la mia dopo la morte di mio padre. Haymitch... E' semplicemente Haymitch. Non mi sentirei a mio agio a parlare con lui. E Peeta è il soggetto dei miei dubbi, quindi è da escludere a priori. L'unica che mi è rimasta è, quindi, lei. Non avrei mai e poi immaginato di poter sentire il bisogno di chiedere consiglio a mia madre su un ragazzo. Per due motivi. Primo: non mi sono mai posta il problema di capire i sentimenti che provavo per un ragazzo. Anche perché non ce n'è mai stato uno, a parte Gale. E allora, Gale era semplicemente il mio migliore amico; le cose con lui erano semplici. Comunque, ammesso che ne avessi avuto uno, non sarei mai andata a parlarne con mia madre. Ecco il secondo motivo: di mia madre era rimasta soltanto una pallida copia. Il fantasma della donna che era stata una volta aleggiava per casa in quelle rarissime volte che sembrava dare segni di vita. Non era la persona più adatta, quindi. E, invece, ora eccomi qui, al telefono con lei. Suppongo che ci sia una prima volta per tutto. 
Alzando la cornetta, mi sono detta chiesta cosa stavo facendo. Mi sono sentita estremamente stupida, perché con tutte le cose di cui dovrei preoccuparmi, mi preme sapere cosa provo per Peeta. Non ho avuto il coraggio di porle subito la domanda per cui l'avevo chiamata. Così le ho chiesto del Distretto 13. Ora che mi ha risposto, non so davvero come continuare. Vado al sodo. "Come hai capito che papà era quello giusto?" domando, con un solo filo di voce stentatamente udibile. 

Mia madre non dice nulla per un bel po'. Forse, avrei dovuto starmene zitta anche io. E' la prima volta che ne parliamo da quando è morto. Lasciato il Palazzo di Giustizia dopo aver ricevuto quella medaglia, mia madre non ne ha mai discusso. Non che abbia parlato di altre cose. La sua voce era diventata una chimera. Riuscivo a sentirla solo quando trapelava, un po' smorzata, tra gli gemiti che lei cercava di reprimere quando Prim ed io eravamo a portata d'orecchio. Evidentemente non era molto brava a nascondere il dolore. Non come lo ero io. Come ho dovuto fare io. Già, perché non mi sembrava giusto che Prim la sentisse e soffrisse più di quanto già faceva. Così, le passavo un braccio attorno alle spalle e la portavo fuori da Lady, oppure la stuzzicavo prendendo in giro Ranuncolo. 

Il sospiro che avverto dopo una manciata di minuti mi lascia intendere che mia madre sta per rispondermi. Mi aspetto che cambi discorso. "Te l'abbiamo raccontato già una volta" dice. La voce è debole e improvvisamente ha perso tutta l'allegria che la impregnava poco fa. 

Non ha cambiato discorso, comunque. Ha solo cercato di  liquidarlo. Ciò mi da il coraggio di insistere. "Non voglio la storia". Quella, è vero, me l'avevano raccontata un anno dopo la nascita di Prim. Precisamente il giorno in cui mia sorella imparò a camminare senza l'aiuto di nessuno di noi. Era domenica. Ricordo che domandai loro di quanto avessi impiegato io a camminare da sola e poi chiesi il racconto di come si erano conosciuti. Ascoltai rapita ogni singola parola. Al punto che, sebbene avessi solamente cinque anni, la ricordo ancora tutt'oggi. "Mi serve solo sapere quando hai capito che eri innamorata di lui" continuo, mettendo da parte la sensazione allo stomaco provocata dall'ondata di dolore che sto provocando di nuovo a mia madre. 

Lei sospira di nuovo. Più rumorosamente, ma questa volta ci mette meno a rispondermi. "Innamorarsi è facile" dice. Me la immagino seduta con lo sguardo perso nel vuoto. "Ci si può innamorare di chiunque, ma si ama solo una persona nella vita"
"E come faccio a capirlo?" chiedo, adesso lievemente infastidita.
"Stiamo parlando di Peeta, non è così?" domanda mia madre. Rimango in silenzio. La sua risposta mi ha spiazzato. In tutta onestà, avevo immaginato che la sua mente sarebbe corsa immediatamente a Gale, affrontando questo argomento. Potrei giurare di averla sentita parlare con Hazelle, qualche anno fa, di come Gale ed io fossimo una bella coppia. Non l'ho mai detto a nessuno. "Riesci a immaginare la tua vita senza di lui?" mi chiede improvvisamente.
Queste parole non hanno il risultato sperato. Né per mia madre e tantomeno per me. Invece di aiutarmi, riescono solo a farmi innervosire. "No" ammetto, senza pensarci. In effetti, il solo pensare la mia vita senza Peeta mi provoca sofferenza. "Ma pensavo la stessa cosa anche di Prim" dico, con una forza che non mi è appartenuta per parecchio tempo al ricordo di mia sorella.
"E' ora di andare avanti" dice lei, trattenendo un singulto. "Ormai non puoi farci niente"
Balzo in piedi con uno scatto. "E dovrei fare come hai fatto tu?" accuso, ritrovandomi a puntare il dito contro l'aria. "Dovrei semplicemente fare finta che non sia mai esistita?" esplodo, senza preoccuparmi del calore e del rossore che mi arriva alle guance.
"E' questo che pensi? Che me ne sia dimenticata?" chiede. Riconosco nel tono un velo di delusione, ma non rimangio nessuna delle parole che ho detto. Non dico proprio nulla. "Non è facile per me, così come non lo è per te" dice a mo' di difesa. Adesso sembra che si sia innervosita anche lei.
"Non si direbbe" mormoro non abbastanza a bassa voce da impedirle di sentirmi.
Dall'altro lato della cornetta avverto una specie di risatina amareggiata. Starà scuotendo la testa in questo momento. "Sei stata tu a dirmi di non andarmene di nuovo il giorno della tua prima Mietitura. Sto cercando di fare quello che tu mi hai detto!" conclude con veemenza.
Adesso è il mio turno di sollevare gli angoli della bocca in un sorriso amaro. "Peccato che nel processo ti sia dimenticata di avere un'altra figlia". Le parole di escono di getto. Ciò che mi stupisce è l'alone di delusione che stavolta impregna il mio tono. Ho pensato poco a mia madre da quando ci siamo separate - io al Distretto 12 e lei al 13 -. Probabilmente perché, in un certo senso, non ho mai potuto servirmene nei momenti disperati. Semplicemente non c'era quando Prim ed io ne avevamo bisogno. Per questo motivo, ho sempre immaginato di essermi abituata al suo comportamento. Che non mi toccava più di tanto, ormai. Telefonandole, oggi, mi sono resa conto che non è così. Come si spiegherebbe altrimenti la mia reazione? Devo aver dato per scontato che essendo rimaste soltanto noi due, ci saremmo fatte forza a vicenda. Che almeno adesso avrei potuto contare sull'appoggio di mia madre. Un pensiero stupido.
"Lo sai che puoi chiamarmi appena hai bisogno" dice.
Annuisco. "Lo farò" mi limito a dire, con finta indifferenza, prima di chiudere la telefonata. In realtà, ho il presentimento che non la chiamerò tanto presto. Non saprei cosa dirle dopo oggi. E poi non mi è stata particolarmente d'aiuto. Volevo sapere come capire cosa provo per Peeta e invece siamo finite per litigare. Non sono mai stata un tipo romantico. Mai avuto il tempo di interessarsi a queste cose, ammesso che ne avessi avuto la voglia. Eppure, ho sempre pensato che l'amore non dovrebbe essere una sorta di patto tra due persone al solo scopo di sopravvivere. E' questa impressione che mi hanno dato le parole di mia madre. Riesci a immaginare la tua vita senza di lui?, ha detto. La mia vita senza Peeta. No, non riesco a immaginarla. Ma, mettendola in questi termini, è soltanto grazie a quella sorta di istinto di protezione che abbiamo l'uno verso l'altra. Quello che ci ha spinto ad sacrificarci a vicenda durante gli Hunger Games, a spingere Peeta a darmi quei due pezzi di pane bruciacchiato a undici anni. Almeno da parte mia, non vedo nulla che sia legato a sentimenti profondi. Mi è impossibile capire se amo Peeta basandomi esclusivamente sulla mia capacità di sopravvivenza in sua assenza. Non può essere così. Deve esserci qualcos'altro.
Senza alcun tipo di preannuncio, la porta d'ingresso si apre. Vedo Peeta comparire sulla soglia di casa. Mi rivolge un gran sorriso appena mi vede. Lo ricambio con uno un po' smorzato, per poi abbassare il capo verso il pavimento. "Qualcosa non va?" chiede, inclinando la testa di quel tanto per riuscire a guardarmi in viso. Ormai non mi sorprende più come riesca a capire sempre che qualcosa mi turba.
Scuoto la testa in segno di diniego. Poi ci ripenso. "Ho parlato con mia madre" gli racconto, avviandomi verso il divano.
"E?" mi incita a continuare, la voce molto vicina alle mie spalle.
"Non ha nessuna intenzione di tornare" dico, scrollando le spalle. "L'ho persa di nuovo"
"Le serve tempo" afferma Peeta, comprensivo, posandomi una mano sulla spalla.
"E chi gliel'avrebbe negato qui?" domando retorica, ritrovando una parte del fuoco della telefonata. Peeta apre la bocca per dire qualcosa, ma lo fermo. Non mi interessa alcuna giustificazione a favore di mia madre. Se lo conosco anche un po', stava per dirmi che rimanere nel luogo in cui si è persi tante persone richiede molta forza. Eppure io ci sono rimasta. Lui ha fatto lo stesso. E così Haymitch; tutte le persone che sono ritornate qui. "Possiamo rimandare la sua parte a un altro giorno?" gli chiedo, alzandomi per prendere il libro al quale stiamo lavorando.
Lui annuisce. "Possiamo fare quella di Johanna" propone.
Non replico nulla. Mi limito ad osservare Peeta che brandisce una matita dalla punta molto affilata. La mantiene tra sole due dita delicatamente, senza stringere. La presa leggera lascia presupporre che la matita cada ogni pochi secondi. E invece quella non cade mai. Anzi, guidata dalla mano morbida di Peeta, traccia linee, curve e ghirigori con una perfezione sorprendente. Nonostante l'attenzione e la cura dei particolari, Peeta è abbastanza veloce. In una manciata di minuti riesco a intravedere, al di sopra della sua mano, il viso di Johanna. I grandi occhi marroni resi molto realistici grazie a delle brevi linee molto ravvicinate attorno a un cerchietto molto scuro che rappresenta la pupilla. Con la stessa tecnica ricrea fedelmente i capelli neri.
Il viso di Peeta è contratto in un'espressione attenta. I suoi capelli gli ricadono sulla fronte, lievemente spettinati. Di tanto in tanto apporta qualche cancellatura al disegno. In quelle occasioni mi lancia un'occhiata veloce e un mezzo sorriso gli anima il viso. Solo adesso mi viene in mente che, forse, per capire cosa provo per Peeta, devo parlarne con Peeta. Chi meglio di lui potrebbe darmi una mano? L'ha sempre fatto.
"Posso farti una domanda?" chiedo. Lui annuisce, senza staccare gli occhi dal foglio. "Quando hai scoperto che ti piacevo?"
La domanda secca lo sorprende. Riesco a dirlo dal fatto che il polso si irrigidisce e la mano si ferma di colpo. "Perché me lo chiedi?" domanda, confuso.
L'idea di raccontargli le mie intenzioni mi sfiora, ma l'abbandono molto velocemente. "Devo capire una cosa" dico solamente. Se la mia ricerca non dovesse concludersi con il finale che lui vorrebbe? Una vocina nella testa mi dice che non dovrei essere così sicura che Peeta mi ami ancora. Non posso fare altro che darle ragione. Non so più quali sono i suoi sentimenti nei miei confronti. Comunque, io ho bisogno di capire i miei. E se quelli di Peeta non sono cambiati, allora non voglio illuderlo se dovessi scoprire che ciò che voglio da lui è una semplice amicizia.
Peeta non aggiunge null'altro che non sia la risposta alla mia domanda, subito dopo essersi voltato per guardarmi meglio. "La prima volta che ti ho vista, mi sei stata subito simpatica" dice, con il suo tipico sorriso dolce sulle labbra al ricordo. "Soprattutto perché pensavo che fossi mia sorella e..."
Io, sua sorella? "Tua sorella?" chiedo, le sopracciglia arcuate.
Le guance di Peeta si colorano di un rosa acceso. "Avevo solo cinque anni e mio padre mi aveva appena detto che era stato innamorato di tua madre" si difende.

Quando lascio sfuggire una breve risata, il rossore peggiora. "Comunque" riprende, come se non ammettesse altre interruzioni. "Mi sono accorto che te ne stavi sempre in disparte e ho pensato di essermi sbagliato sul tuo conto. Forse, è per questo motivo che ho iniziato ad osservarti. Ti cercavo con gli occhi alla mensa, nei corridoi, fuori scuola … E, senza che me ne accorgessi, mi sei piaciuta. Non so di preciso quando è successo, se è questo che ti serve sapere” conclude, un po’ dispiaciuto.

Scuoto la testa impercettibilmente. “Non preoccuparti. Mi va più che bene questa risposta” ribatto, tranquilla. Non mi è molto di aiuto, a dire la verità, ma mi fa piacere averlo saputo. Mi fa sorridere ancora l’idea che Peeta possa aver pensato che fossimo fratello e sorella. Però, è come dice, era troppo piccolo per non confondersi.

Comunque, lo sembra anche adesso che mi guarda. “Non puoi ancora dirmi cosa devi capire?” chiede. Colgo nel suo tono la speranza che la mia risposta sia affermativa. Che abbia capito di cosa si tratta?

Prendo un breve respiro. “Sarai il primo a saperlo” dico soltanto. Gli dico anche di tornare a lavoro subito per distogliere l’attenzione dalla questione.

A ora di cena, sono io tirarla di nuovo fuori. “Se eri innamorato di me, perché non me l’hai mai fatto capire?” chiedo, curiosa. Calco bene la parola eri.

Questa volta Peeta non fa domande. “Avrei voluto, ma non sapevo come iniziare a parlarti” ammette.

La risposta mi stupisce. “Tu?”

Lui accenna un sorriso. “Non sono sempre stato bravo con le parole” scherza, facendo spuntare un sorriso anche sulle mie labbra. Poi, torna serio. “Alla morte di tuo padre, avrei voluto esserti d’aiuto in qualche modo …”

“E l’hai fatto!” lo interrompo, decisa.

“Avrei voluto fare molto di più”. Il dispiacere nella voce è come un pugno in pieno stomaco. “Ma non mi sembrava giusto approfittare di un tuo dolore per ottenere ciò che volevo. Poi è arrivato Gale” aggiunge, quasi sollevato di aver cambiato argomento. “La sua comparsa ha messo il sigillo su ogni mio tentativo di esserti anche solo amico” conclude, con una nota di rimpianto.

Fino a poco fa sarei stata d’accordo con questo pensiero. Non mi serviva un altro amico. E soprattutto, non lo volevo. Gale era la miglior cosa che mi fosse mai capitata. “Avresti potuto provarci lo stesso” dico, imitando perfettamente il rimpianto della voce di Peeta.
Lui solleva le sopracciglia. "Non diresti così se ti fossi accorta del modo in cui ti guardava". Aggrotto la fronte e Peeta si affretta a spiegarsi. "Era come se fossi solo sua, nessuno di noi poteva avvicinarsi"

Possibile che non mi sia mai accorta di nulla? Ripenso a come Gale sia sempre stato protettivo nei miei confronti. Non solo nel bosco e addirittura non solo con me. Il modo in cui ha portato via Prim il giorno della mietitura, le attenzioni che ha rivolto alla mia famiglia quando ero nell'arena. Una parte di me dice che l'avrebbe fatto anche se non fosse stato innamorato di me. L'altra cerca di farmi capire il contrario. L'ha fatto esclusivamente per me. Perché sapeva che non l'avrei mai perdonato se avesse lasciato mia madre e mia sorella a morire di fame. Però, anche lui non mi ha mai fatto capire niente. Non avrò mai l'occasione di chiederglielo. 

Dopo un po' Peeta riprende. "Alla fine mi sono rassegnato e ho cercato di accettare il fatto di non avere possibilità contro di lui, soprattutto in presenza dei miei fratelli" dice. "In qualche modo se ne accorsero e mi ripetevano sempre che ero geloso". Parlando il volto di lui si incupisce e l'espressione dolce che lo accompagna svanisce nel nulla. 

Vorrei mordermi la lingua tanto da far uscire il sangue. Avrei dovuto starmene zitta e capire tutto da sola. Anche se non potevo immaginare che la discussione sarebbe ricaduta sui fratelli. Occorre un cambiamento di argomento. "Anche io ero gelosa l'altra sera a casa tua" dico, senza nemmeno formulare il pensiero di dirgli una cosa del genere. Ma la sensazione è piacevole. Lo stomaco si alleggerito del peso enorme che mi opprimeva. Sembra che anche l'uccellino intrappolato adesso sia libero di volare via. "Il modo in cui tu e Delly eravate così a vostro agio, come parlavate ... il Distretto 13 ... e il pane alle noci ... mi ha dato fastidio" farfuglio, cercando di raccontargli la verità troppo in fretta. Molte parole le salto, altre le aggiungo dove non dovrei. Mi chiedo se abbia capito una parola di quello che ho detto. Il cipiglio interrogativo mi dice di no. 

"Di che stai parlando?" mi chiede, infatti, qualche istante dopo. "Ti ha dato fastidio che le abbia insegnato a mettere insieme acqua e farina?"

Detto in questo modo sembra molto stupido. Qualche sera fa, però, per me è stato insopportabile. "Tanto da andare via" confesso, abbassando gli occhi nella zuppa di verdure che ci ha preparato Sae la Zozza. 

"Immaginavo che non fossi realmente stanca" dice Peeta. "Ma non pensavo fosse dovuto alla gelosia" 

Colgo uno strano scintillio nello sguardo di Peeta che mi scalda il petto. Sembra che sorrida con gli occhi. E non posso fare a meno di sentirmi soddisfatta. Perché sono riuscita a distogliere i suoi pensieri dai due fratelli, perché per la prima volta ha riso per una cosa che ho fatto io. Non un sorriso vero e proprio con le labbra, ma per me vale anche di più. La cosa che mi fa stare meglio è che tiene su quest'espressione rilassata per tutta la durata della cena. Quando giunge il momento per lui di andare via, sono così desiderosa che non lo faccia, al punto di chiedergli di restare. "Sempre" promette lui. E' proprio la risposta e la dolcezza in essa intrisa che fa spuntare sulle labbra un'altra domanda. Una che, mi rendo conto, ha una rilevanza maggiore nella mia ricerca. 

"Peeta" sussurro, quando siamo entrambi a letto. Avverto il mento di lui sulla mia testa. Esito. E' strano che abbia paura? Ho affrontato cose che una ragazza di diciotto anni si sognerebbe e ora mi spaventa una risposta? Potrei dirgli qualsiasi altra cosa, ma non voglio. Ho bisogno di sapere. "Mi ami ancora?" 

Nel tempo che Peeta impiega per rispondere mi sembra di essere sollevata a mezz'aria. L'uccellino sembra essere ritornato, ma per una ragione ben diversa. Adesso non è la gelosia nei confronti di Delly che mi preoccupa, quanto la possibilità che Peeta non provi più nulla verso di me. Al solo pensiero ho la nausea. Vorrei tornare indietro e mordermi di nuovo la lingua, ma ormai è fatta. "Solo qualche mese fa ho capito perché hanno scelto di usare me a Capitol City come arma per ucciderti". Lo stomaco mi fa realmente male. Non è una mia semplice impressione. E' dolore vero adesso. "Sapevano che qualsiasi tuo gesto contro di me mi avrebbe dilaniato. Quale arma migliore se non un ragazzo pazzo d'amore che scopre, non solo di non essere ricambiato dalla persona che ama, ma addirittura che lei ha sempre cercato di ucciderlo? Ero perfetto perché sapevano che ti avrei amato per sempre e indipendente da ogni cosa tu avresti fatto". Fa un breve pausa, nella quale mi chiedo se ho capito bene. Per fortuna, me lo spiega lui. "Quindi, sì, ti amo ancora"

  
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