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Autore: Compostezza    10/06/2012    3 recensioni
«Sei peggio di mia madre quando ti ci metti.» sbuffò, aumentando il passo e scorgendo all’orizzonte il grande edificio in mattoni rossi.
«E’ per questo che sono la tua migliore amica.»
Si voltò verso di lei. «Perché sembri mia madre?»
«No, perché sono l’unica che riesce a non farti replicare ogni volta.»
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Efelidi.

Los Angeles.
April, 2010. h 08.42.







I tacchi lucidi, color salmone chiaro, picchiettavano sulle mattonelle bianche del pavimento, in contrasto con le pareti grigie chiare, svelte, aumentando il passo sempre di più e arrestandosi poi di fronte alla porta di vetro bianca con un piccola targhetta color oro, con su scritto il nome del suo capo a piccole lettere. Guardò il fine orologio al polso e spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio facendo un bel respirone. Era in ritardo solo di pochi minuti per colpa di un acquazzone primaverile, di quelli che ti sorprendono all’improvviso, nel giorno più importante della tua vita e quando hai piedi hai delle scarpe di venti centimetri e una camicia leggera bianca. Per fortuna non si era bagnata molto, era riuscita a trovare un piccolo ombrello turchese all’interno della sua borsa, così grande da far invidia a Mary Poppins, ma la testa le doleva e sentiva il raffreddore farsi larga. La sua salute faceva veramente schifo e le volte che non si era sentita male si potevano contare sulle dita della mano.
Passò un dito sulle labbra e impugnando saldamente i fogli del suo nuovo articolo, entrò all’interno dell’ufficio da cui si sentiva un nauseante odore di incenso. Non ideale per il suo mal di testa.
«Sam, questa pioggia ha sorpreso anche te?.»
«Sì, mi scusi per il ritardo. La sfortuna continua imperterrita a complicare la mia vita.» appoggiò le due borse, una di lavoro e una personale, a terra, vicino alla morbida, ma scomoda, poltrona blu notte, sedendosi poi su di essa. La gonna, a vita alta, la stava torturando e non vedeva l’ora di essere adagiata sulla sua -di poltrona- e bere la sua ninfa chiamata “caffè mattutino e rigeneratore” dalla sua collega Marta.
«Quante volte ti ho detto di non darmi del lei? So di essere il tuo superiore, ma mi fai sentire ancora più vecchio.» Sam sorrise e gli passò l’ammasso di fogli stropicciati agli angoli e con l’ombra di qualche gocciolina fresca.
Jeremy Paul Mckenny era il boss di tutto il piano, nonché direttore dell’intero giornale e della rete televisiva nel campo del telegiornale e delle news. Era un uomo alto, un fisico che mostrava tuttora i lunghi anni passati a giocare a calcio, due piccoli occhi castani, velati da degli occhiali dalla montatura grossa e nera, folti capelli brizzolati e delle tracce lievi di barba sulle guance e mento. Vestiva sempre elegante, come il suo lavoro richiedeva, e Sam non lo aveva mai visto senza una cravatta, era arrivata pure a pensare che anche in casa o quando correva non se li togliesse.
«Sei riuscita ad intervistare la psicologa da quello che vedo. E non c’è mai riuscito nessuno, quella donna ha una lista di clienti lunga come il fiume Missouri. Ottimo lavoro, davvero ottimo lavoro.» lasciò i primi fogli sul tavolo e passò a scrutare quelli sottostanti. «Per quanto riguarda l’omicidio di una settimana fa?»
«David è riuscito a contattare uno dei testimoni ed entro domani pomeriggio andrò a parlarci direttamente io. Spero non mi urli contro e sia uno dalle giuste intenzioni.» sospirò appoggiandosi allo schienale e guardando la bella Los Angeles dalla grande vetrata.
«Ben fatto, Reed.» ripose i fogli insieme ordinandoli come aveva fatto lei in precedenza. «Mi raccomando, stasera dovrai essere puntualissima, stare attenta a non fare errori e.. calmati. Andrai benissimo, sei una brava giornalista quando vuoi, perché hai un dono e devi metterci tutte le tue forze, okay?»
«Almeno spero che questa volta non ci siano errori tecnici. Se un collegamento non andrà bene, mi sotterrerò sotto alla scrivania scomparendo e strisciando via come un verme, giuro.»
Jeremy scoppiò a ridere, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, poi si alzò e si avvicinò a passo lento verso la ragazza.
«Ripeto: andrai benissimo. Adesso puoi andare, hai il resto della giornata libera a una condizione. Riordina quella sottospecie di scrivania piena di robaccia.» con il dito magro indicò una lunga scrivania in legno chiaro dall’altra parte della piccola finestrina con le tapparelle bianche, che usava per osservare i suoi dipendenti svolgere il rispettivo lavoro.
«Non è robaccia.» disse finta offesa, alzandosi e piegandosi leggermente per recuperare le sue migliaia di cose. Notò che per sbaglio le era caduto il suo vecchio specchio nero di quando era più piccola e che l’aveva sempre accompagnata portandole fortuna in tutto, o quasi tutto.
L’uomo sogghignò. «Finchè non ho sotto il mio bel naso un mio ritratto, non potrò dire il contrario. Lo hai fatto a tutto il piano e non a me. Mi odi per caso?»
Sam arrossì, grattandosi un braccio. «Non l’ho fatto a tutto il piano.»
«L’inserviente l’altro giorno lo stava mostrando fiero a un collega. Eppure da giovane ero fotogenico.»
«Lei è ancora fotogenico e, non si preoccupi, lo avrà sicuramente.» detto questo lo salutò, uscendo dal grande ufficiò e si diresse verso la sua scrivania. C’erano dei fogli sparsi ovunque; vecchi articoli, appunti, testimonianze, foto, disegni, fogli bianchi, foglietti, cartine per le sigarette e quelle delle caramelle, buste dei panini e contenitori di bevande. Storse la bocca disgustata e irritata.
«Odio dirlo ma il capo ha ragione, è un casino questa postazione.» mormorò.
«Quando lo dicevo io però nessuno mi considerava.» appena si voltò si ritrovò un bicchiere marrone e un odore pungente di caffè caldo appena fatto sotto il naso.
«Sei la mia benedizione, Marta.» le strappò la bevanda dalle mani abbronzate e fresche di manicure, lasciandosi cadere sulla sua amata poltrona di pelle nera.
«Hai passato di nuovo la notte in bianco?» la ragazza mora le si parò davanti e passò le mani sul suo tubino celestino chiaro che le metteva in mostra il fisico asciutto e le curve appena accennate. Quella ragazza, a primo impatto, non pareva una giornalista, ma una giovane modella; a ingannarla, infatti, oltre al suo fisico, erano la sua altezza e le sue lunghe gambe, il viso delicato e sempre truccato perfettamente, le labbra carnose e i capelli acconciati in maniera impeccabile e diversa tutti i giorni. La trovava bellissima in ogni modo.
«Si vede molto?»
«Le tue occhiaie e la tua voglia accentuata di caffeina lo confermano al cento per cento.» sospirò, incrociando le braccia e puntando gli occhi verdi nei suoi: segnale che non prometteva niente di buono. «Sam mi fai diventare logorroica e ripetitiva, capisci?»
Appunto.
«Tu, invece, capisci che è più forte di me? Ho fatto una fottuta promessa a me stessa e non sono riuscita a mantenerla.» sorseggiò la bevanda e incrociò le gambe. Dio benedica chiunque abbia scoperto il caffè.
«Ti stai solo facendo del male e mi stai costringendo a staccarti internet.»
«La data è fissata al sette maggio, da quello che ho letto.»
«Io non ti afferro, sono seria. Vuoi tenerti lontano da loro in tutti i modi e cerchi le notizie su internet come una fan, questo mi fa intuire che ti importa ancora. Ti importa di lui.»
Odiava quel lato di Marta, odiava il suo aspetto ingannevole da ragazza idiota, quando in realtà era intelligente e sveglia, odiava il suo studiare le persone nei minimi dettagli ed essere in grado di fare un resoconto degno di una delle migliori psicologhe, odiava lei in generale perché le ricordava Cass. La sua Cass che non vedeva da quattro anni. Forse era anche quello il motivo per cui, fra tutti, Sam, si era avvicinata maggiormente proprio a lei:
Le ricordava casa.




h22.20





Quello che ci voleva dopo una serata del genere era una bella coppa del miglior gelato alla stracciatella in commercio, un divano morbido, una televisione e un film decente da vedere. Naturalmente non vi era niente di dignitoso alla televisione quindi aveva optato per noleggiare il suo film horror preferito e guardarselo per la millesima volta. Pigiò il tasto d’avvio nel telecomando e sprofondò fra i grandi cuscini, coprendosi le gambe nude con una coperta ed evitando di udire la pioggia picchiare forte nei vetri delle finestre.
Appena mise in bocca il cucchiaio e percepì freddo colpirle i denti, sentì il suo cellulare vibrare nella taschina dei pantaloncini e lo tirò fuori.

Sono fuori dalla porta, aprimi testina, M.

Corrugò la fronte e scattò in piedi, con la coppetta e il cucchiaio saldo in bocca.
«Un ombrello ti faceva schifo?»
«Quando sono uscita io non pioveva, ho messo piede fuori dalla macchina ed è venuto giù il mondo. Come sempre ho trovato parcheggio dall’altra parte dell’isolato.» si tolse le superga bianche sporche e bagnate vicino alla porta. «Hai già iniziato brutta cicciona? E io che avevo portato le patatine.» in punta dei piedi si fece spazio nel grande soggiorno.
«Altolà, dove credi di andare zuppa così? Vai ad asciugarti in bagno, gli asciugamani sono..»
«Nello sportello in basso, lo so.» terminò lei, avviandosi verso la stanza.
Posò le buste bagnate sul tavolo da pranzo della cucina, coincidente con il soggiorno, e tirò fuori le patatine, aprendole e disponendole, tutte mischiate, in una ciotola arancione.
«Non mi dici nulla?»
«Spero in un attacco alieno e nella fine del mondo.»
«Oddio, basta, lo dici sempre.»
Sorrise. «Abitudini del passato.»
«Sei stata fantastica stasera. Ti sei solo imbrogliata verso la fine, quando al posto di dire “buonasera” hai detto “buongiorno”!» urlò, sovrastando il rumore del phon.
«Oh, ti prego non me lo ricordare. Possiamo parlare d’altro, per favore?» rispose.
«Vabbene. Avevi un vestito da urlo, te lo ha dato la costumista, vero? Sai di che marca è per caso? Lo voglio assolutamente.» Sam roteò gli occhi sorridendo, lasciò la ciotola sul tavolino di vetro e se ne andò nella sua spaziosa camera. L’aveva dipinta lei stessa di un celestino tenue mischiato a un verde, i mobili erano di legno, con un letto a una piazza e mezzo nel centro –le coperte erano rigorosamente con degli zombie disegnati sopra- le pareti ricoperte di fotografie in bianco e nero, fatte da lei e non, poster e dischi. Attaccato al grande armadio c’era il vestito di cui parlava Marta, lo prese con un dito e prima d’uscire, si diede un’occhiata allo specchio a onda. Esteriormente era davvero cambiata; i capelli erano più lunghi e con dei riflessi più chiari e rossi, mossi, un ciuffo all’indietro le cadeva sulla fronte, la pelle era più abbronzata e rosea, era diventata più alta di qualche centimetro e la tavola da surf si era trasformata in una terza abbondante ed era pure dimagrita. Invece, interiormente rimaneva la solita ragazza con la passione per la vera musica, il disegno, la fotografia e lo skateboard. Era riuscita anche a farsi un tatuaggio sulla spalla, di una geisha in bianco e nero, e un piercing sopra al labbro, che doveva nascondere a lavoro.
L’unica cosa che non le piaceva erano i suoi occhi. Non erano quelli di un tempo, erano spenti, velati, più scuri e non trasmettevano nessuna emozione.
Scosse energicamente la testa. Non voleva pensarci, non doveva. Uscì dalla stanza a passo svelto, scivolando con i calzini rosa per il parquet.
«Intendi questo vestito?»
«Dal vivo è più bello.» Marta spense il phon, raccolse i capelli in una coda alta e sbarazzina e lo sfiorò con le punta delle dita.
«E’ tuo.» gli occhi adoranti si spostarono dall’abito a lei.
«Mio?»
«Sì, te lo regalo. Tanto non sono un’amante degli abiti, ne ho uno sfare e preferisco altri generi» le saltò tra le braccia, avvolgendola in una stretta salda e la baciò su entrambe le guance ringraziandola.
«Okay, okay, mi uccidi così. Ci vediamo questo benedetto film?»
«Come sei impaziente, lo sai a memoria, se aspettiamo cinque minuti non muore nessuno!.» seguì l’amica di nuovo nel soggiorno, superandola poi e gettandosi, in un lancio, non troppo delicato, sul divano.
«Invece qualcuno, qui, muore e anche presto.» le lanciò un’occhiata truce, prendendo la ciotola con le patatine e sedendosi con in grembo essa vicino all’amica.
La mora impugnò il telecomando e, per sbaglio, accese la televisione normale che si sintetizzò subito su un canale di musica esclusivamente rock e metal.
«Marta, cazzo!»
«Scusa, ho sbagliato. Acidina stasera, eh?.»
«Non sono acida.» incrociò le braccia al petto. Detestava quel canale, non per la musica, era grandiosa quello sì, ma per il fatto che giravano sempre, ventiquattro ore su ventiquattro, i video di loro.
Infatti, non fece a tempo a toccare il telecomando, che sentì una voce che conosceva fin troppo bene rimbombarle negli orecchi. Alzò lo sguardo lentamente verso il grande televisore al plasma.
«Salve a tutti ragazzi, qui per voi Luke. Come tutti i giorni, oggi, parleremo di un artista, a seconda delle vostre votazioni sul nostro sito e come avete sentito pochi secondi fa, oggi parleremo proprio di Matt Shadows. Il frontman della band degli Avenged Sevenfold sarà ospite domani nei nostri studi. Ci racconterà della sua vita e per la prima volta in assoluto mostreremo delle foto del suo matrimonio segreto con la bellissima Valary DiBenedetto! Beh, mi raccomando, sinton..»
La televisione si spense subito; Marta con il braccio ancora a mezz’aria la guardò preoccupata.
«Allora, ce l’ha fatta. L’ha sposata davvero.» sorrise.



Huntington Beach.
April, 2010. h18.15





Tornare a casa dopo lunghi mesi in tour aveva sempre sia dei lati positivi, sia dei lati negativi. Quelli positivi erano che potevi vedere la tua famiglia e riposarti, quelli negativi, dall’altra parte, erano che, vedendo la tua casa, troppi ricordi riaffioravano, oltre a non poter suonare sui palchi per tutto il mondo. Huntington Beach non cambiava mai di una virgola, tutto rimaneva uguale e indissolubile, fossero passati anni e anni. C’era sempre quell’orrenda statua a forma di albero, in bronzo, in mezzo a un giardino troppo secco perfino per gli animali, quel laghetto artificiale pieno di rane e zanzare in qualunque momento dell’anno, quel supermercato costantemente scippato, quel molo con tavoli su tavoli pieni di scritte e quell’oceano che riusciva a spazzarti via ogni cosa dalla mente.
«Brian, tesoro. Stai bene?» sentì il tocco leggero di Michelle sul braccio. Si ricompose inforcando gli occhiali sul naso e si voltò verso la sua fidanzata e il suo anello di diamanti da migliaia di dollari.
«Vado da Matt. Se torno a cena ti chiamò, okay?» la baciò sulle labbra di sfuggita come era ormai solito fare e se ne andò in sella alla sua vecchia moto verso la casa del suo amico, senza aspettare la risposta della bionda. Eppure doveva averlo compreso o il biondo della sua tinta le aveva dato alla testa? Erano anni che, appena mettevano piede a casa, lui se ne fuggiva dal suo migliore amico. Un abitudine quasi un riflesso incondizionato fissato come un appuntamento a cui non poteva mancare.
«Forse se non avremmo sfondato con i Sevenfold, avresti trovato lavoro come psicologo.»
«Mh? Psicologo?» chiese confuso, dando un morso al pezzo di pizza ai peperoni.
«Sì, sai dare dei consigli decenti. Sai calmare la parte mostruosa di me da non farmi trasformare in un Hulk capace di fare una strage in pochi secondi.» si portò le mani dietro alla testa, appoggiato alla sedia della cucina, masticando velocemente la crosta della sua pizza ai funghi.
«L’ho imparato stando accanto a te per undici anni e soprattutto a Jimmy. Lui era l’anima calma del gruppo, un ossimoro in mezzo a bombe pronte ad esplodere al solo tocco, l’unico che riusciva a riportarti con i piedi sulla terra e nella direzione giusta.»
«Jimmy era un regalo magnifico.» abbozzò un sorriso.
Jimmy era soltanto Jimmy.
Sospirò e si alzò per prendere una birra nel frigo e lasciare il cantante nei suoi ricordi. Pure la cucina era tappezzata di fotografie della vita dei ragazzi, c’era un ingrandimento di Matt da piccolo, uno di Val e uno di tutto loro insieme al loro secondo concerto al Johnny’s. Spostò lo sguardo su ogni faccia finchè non si fermò su quella magrolina di una ragazza mentre stava ridendo e Johnny cercava di tirarla su in un tentativo in ,utile visto l’altezza maggiore rispetto alla sua. Sorrise amaro, bevendo un sorso dalla bottiglia ghiacciata: ghiacciata come il suo cuore.
Undici anni, undici anni senza vederla o sfiorarla. Il giorno dopo quello maledetto sulla spiaggia, se ne era tornata a casa sul primo pullman che aveva trovato senza dire niente a nessuno. Quando erano tornati lei se ne era andata una seconda volta da una sua zia e anche lì, nessuno aveva avuto sue notizie. Poi quel giorno, quel 28 dicembre. Aveva preso il suo cellulare, sperato che non fosse il suo numero ed sfortunatamente aveva detto quelle due fatidiche parole per riattaccare dopo poco. Al funerale l’aveva intravista vicino a sua madre e a Barbara, ma il dolore e le lacrime gli avevano offuscato la mente.
«Brian?»
«Ehi, Val.» salutò la ragazza ferma sulle scale con un cenno della mano e tornò a fissare la foto.
«Quella è stata la prima e unica volta in cui sono riuscita a scambiare quattro chiacchiere con lei.»
Brian si voltò nella sua direzione: non lo sapeva.
«Io e Mich eravamo ferme sul ciglio della strada ed è arrivata come un uragano in sella al suo skateboard. Ironica, buffa, strana e impulsiva.» sorrise.
«L’uragano Sam. E’ arrivata ed ha sconvolto le vite di tutti per scomparire all’improvviso e lasciare disordine ovunque.» sospirò.
«Matt è in uno stato comatoso sulla sedia, spero si sia ripreso.» continuò smorzando il silenzio sprofondato subito.
«Sanders sei tra noi?» urlò la biondina, facendo scoppiare a ridere il ragazzo.
«Sì, ehm. Brian, Val, fossi in voi verrei qua.» si scambiarono un occhiata confusa e entrarono in cucina. Il ragazzo era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato prima, però di spalle nella direzione della televisione da cui proveniva una voce squillante di una donna.
«Il telegiornale, perché?»
Brian superò Val, riconoscendo la voce immediatamente e riuscì finalmente a vedere una figura di una donna dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri spenti, guance arrossite e l’aria di una che ne sapeva tante.
«Cazzo.» sussurrò.
«Brian, la birra sul tappeto macchia!»























Salve, people :)
Ecco a voi il tredicesimo capitolo che sa molto di Ritorno al futuro.
No, okay, non c'entra niente LOL
Insomma, la nostra cara Sammina è riuscita a realizzare il suo sogno e sono passati molti anni e le cose sono cambiate. Già già.
Scusate eventuali errori, i personaggi non mi appartengono ed è tutto frutto della mia mente malata.
Ringrazio:
Amelie__
Mezmer_
zetavengeance
e chi l'ha messa fra seguite, preferite, ricordate e chi la legge semplicemente.
Secondo voi come andranno le cose?
Scusate come al solito sono di fretta D:
Buona lettura,
alla prossima Gheggo.
  
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