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Autore: Marghe    11/05/2004    0 recensioni
questa è una lettera che le profe ci hanno obbligato a scrivere per un concorso locale -.- lo scopo era metterci nei panni di un prigioniero in un lager nazista durante la seconda guerra mondiale e immaginare di scrivere una lettera alla propria famiglia... e questo è quello che mi è venuto fuori! ^_^
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carissima mamma,

Carissima mamma,

 

è nel furioso divampare delle fiamme di quest’inferno, nella mancanza di tutto ciò che un tempo avevamo avuto, nella completa privazione di qualsiasi cosa ci fosse appartenuta, che il ricordo di te è ancora vivido, come la luce di una stella. La stella che ogni tanto viene nascosta dalle nubi dell’inverno, ma sempre ricompare fulgida nel cielo, ad infondermi un attimo di gioia, di speranza. Ma che cosa spero, dopotutto? Cosa mi illudo di poter cambiare soltanto drogandomi di illusioni, nutrendomi di sogni irrealizzabili?

Ogni giorno siamo già svegli da un pezzo quando un livido sole malato sorge oltre il filo spinato della recinzione. E noi siamo lì, in piedi nella neve o nella terra fangosa, e talvolta quel sole non possiamo neanche vederlo, perché le nuvole o la foschia si ergono intorno alla Prigione come una muraglia. Una muraglia impenetrabile, una muraglia di lacrime, riflesso ingrigito e opaco delle nostre anime, che pure annegano nell’atonia di giorni tutti ugualmente pieni di angoscia, anime costrette in un corpo diventato troppo piccolo, anime in un involucro sudicio, misero, niente più che un guscio vuoto, una buccia essiccata al sole.

Freddo, fame, nausea, dolore, disperazione…. Mentre lo spirito e il corpo sono fustigati dalle fruste di queste orribili torture, la mente non reagisce e, passiva, accetta semplicemente tutto ciò che le viene imposto.

Strappati ai nostri cari, privati dei nostri affetti e d’identità propria, resi talmente insignificanti da non avere più nulla di diverso dal resto dei disgraziati che condividono con noi la Prigione. Non siamo più noi stessi, siamo prigionieri. Prigionieri dei tedeschi. Prigionieri, a volte, perfino incapaci di provare odio verso gli odiati carcerieri; tutti noi siamo così distrutti, così incommensurabilmente devastati da non renderci conto più di nulla, ormai.

C’è fra noi prigionieri chi conserva una scintilla di speranza, o lo spirito ardente di chi ancora ama la sua patria, e non vede l’ora di farvi ritorno; ma nessuno sa quando finirà tutto questo, nessuno sa se torneremo mai a casa. Infine anche le ultime speranze rimaste in quei pochi uomini capaci di conservarle verranno distrutte, macellate dalle percosse dei nostri aguzzini. Le fede di un tempo, la fede in una giustizia che tutti noi avremo un giorno ricevuto, non è più nient’altro che uno straccio logoro: sembra che ogni giorno altri innocenti muoiano, e che i responsabili del genocidio resteranno per sempre impuniti.

Eppure io ti scrivo, mamma, affido a un foglio di carta le mie parole, non so se per rammentare a me stesso che ancora una linfa di vita scorre nelle mie vene, o se per dimostrarti che il tuo ricordo perdura in me…. e per darti prova, ancora una volta, di tutto l’immenso amore che provo per te anche (e soprattutto) in questo frangente. Spero che questa mia lettera possa riuscire in tutti questi scopi.

Ma a te, mamma, chiedo di non piangere per me e per il destino che mi è stato riservato. A te chiedo di non perdere i tuoi giorni, i tuoi mesi, i tuoi anni in lacrime, perché se io sapessi che la malinconia e la tristezza hanno offuscato la luce della tua stella, sarei completamente perduto.

In qualche modo forse tornerò; ma anche se non dovessi farlo, se dovessi morire qui, vorrei che mi ricordassi per come sono stato un tempo, vorrei che tutti voi mi ricordaste in una forma migliore di quella in cui sono ora. Perciò, dopo che avrete letto queste parole, datele al fuoco del caminetto. E ricordate di come sono stato un tempo, perché un giorno, se esiste giustizia almeno in Paradiso, allora ci incontreremo, e tutte le sofferenze che abbiamo vissuto su quest’incubo terreno saranno dimenticate.

Un abbraccio dal fondo del cuore a te, a mio padre e ai miei fratelli e le mie sorelle, e a tutti gli amici che hanno avuto la fortuna di sfuggire ai tentacoli della piovra furiosa nazista, sperando nella felicità di voi tutti e inviandovi tutto il mio immenso amore,

 

Sergio.

  
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