Lettera alla mia famiglia
Beh,
niente da dire… spero solo che vi piaccia! Commentate!^__^
Cara
famiglia,
non voglio riempire
questa lettera di menzogne e di falsa speranza, di menzogne ne sono circondato,
la speranza l’ ho già persa da molto tempo, e quella poca che è rimasta in me arde sconsolata come una
piccola fiammella in mezzo ad una bufera: vi dirò quindi realmente dove sono,
cosa faccio e, solo se riuscirò a capirlo anch’io, che cosa mi hanno fatto
diventare.
Qui
nel Lager siamo in tanti, ma è come se ognuno fosse un universo a parte, che
tenta di sopravvivere. Tra noi parliamo pochissimo, mangiamo pochissimo.Siamo
tanti ma soli.
Non
ce la faccio più. I Nazisti, i tedeschi, loro, quelli che comandano qui in
questo gelido inferno, ci stanno opprimendo con tutte le loro forze. Lavoro
senza sosta dalle sei del mattino, fino alle dieci di sera, nella fabbrica. A volte le mani ed in piedi mi fanno un
male atroce, a volte non li sento più, come se il vento gelido me li avesse
portati via.
Faccio
incubi tremendi ogni sera. Sogno casa, poi subito dopo mi ritrovo nel Lager a
lavorare. Mangio solo una volta al giorno. Sono prossimo allo svenimento, ma se
malauguratamente ciò mi succedesse mentre sono al lavoro, sarei morto. Ma morto
lo sono già nell’anima: verrebbe ucciso solo il mio corpo.
Ho
visto con in miei occhi la Morte venire a prendere molti dei miei compagni di
camerata. Chi per malattia, chi per il freddo, chi per la fame. Giusto un mese
fa, uno si è strozzato con i lacci delle scarpe. Lo farei anch’io, forse, se
solo me li avessero lasciati: quando siamo arrivati le SS ci hanno buttato
sotto la doccia bollente, poi ci hanno rasato come se fossimo degli animali, e
ci hanno dato i vestiti. Se vestiti si possono chiamare, a strisce e con quei
numeri di matricola inesorabili.
Ma è
come se ce l’avessero tatuati sul cuore, quei maledetti numeri.
I
turni di lavoro sono tremendi, e non ve lo dico per farvi soffrire per me, ma
ve lo racconto perché voi sappiate. Lavoriamo sempre accompagnati da cinque o
sei tedeschi con il loro frustino, pronti ad usarlo non appena uno di noi da’
segni di cedimento.
Delle
volte mi ritrovò a pensare che tutto
questo non può essere vero. Un’atrocità tale non può esistere, non può esserci
qualcosa di così tremendo. Va al di fuori da ogni immaginazione, da ogni
concezione, sconfina in un universo parallelo, va fuori dal controllo di Dio.
Ma
invece c’è. Ed il suo nome è Lager.
Famiglia
mia, io so quanto voi state soffrendo per me in questo momento, anche io sto
soffrendo, e soffro ancora di più al pensare che voi stiate male.
La
vita al lager non esiste. Al Lager non esiste niente.
Esistono
solo le SS ed il lavoro:
Il
cibo non esiste, l’acqua non esiste, i prigionieri stessi non esistono, perché
sono solo la squallida proiezione degli uomini che erano prima di venir
catturati. Ma siamo tutti ormai svuotati, la voglia di vivere si è spenta, e
sono pochi quelli che, come me, stanno tentando di andare avanti, senza
lasciarsi andare tra le braccia della morte, che ormai sono quasi diventate
invitanti.Ormai mi sento solo una foglia in balia del vento tedesco, senza una
volontà propria, senza dei pensieri propri.
Il Lager mi ha fatto diventare questo.
Cosa
hanno ottenuto orai Tedeschi, con la morte di tutti questa gente?
Solo
sofferenza.
A
che cosa serve tutto questo?
A
niente.
Oramai,
cara famiglia, qui siamo solo dei burattini, ed i Tedeschi reggono, muovono e
tagliano i nostri fili a loro piacimento.
Ma
il Lager non riuscirà mai a far sparire l’amore che ho per voi, quello è eterno. Non so se questa lettera
arriverà mai a destinazione, ma comunque, voi, ne vostri cuori, sentirete che
vi sto pensando. E che questo pensiero è una flebile ma importante luce
nell’immensa oscurità del Nazismo.
Vostro
Pietro