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Autore: Beads and Flowers    12/06/2012    2 recensioni
Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
Non vi avvicinate a Mallaidh.
E’ pericolosa.
E’ una strega.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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 2- Mallaidh
 

He bare hym up, he bare hym down,
He bare hym into an orchard brown.



 Newlin sorrise, emozionato.
 Di fronte a lui, la Folle Mallaidh lo fissava con terrore. Nel suo sguardo pavido e sperduto, il ragazzo non lesse altro se non la voglia di fuggire. Avrebbe dovuto agire con calma e tranquillità, senza spaventarla ulteriormente.
 “Mia Signora, vi chiedo perdono. Non era mia intenzione spaventarvi. Io… la canzone che cantavate…”
 Newlin fu costretto ad interrompere subito le sue parole. Con uno scatto quasi felino, Mallaidh si era addentrata nell’oscurità della foresta, gli occhi verdi ancora sbarrati per la paura. Un piccolo grido fu tutto ciò che il ragazzo riuscì ad udire, prima di perdere completamente di vista la ragazza selvaggia.
 Era fuggita.
 Newlin non seppe come reagire. Da una parte, sapeva che avrebbe dovuto ringraziare il Signore per quell’improvvisa sparizione. In fondo, a detta di Iseut, la Folle Mallaidh non era altro che una strega, inviata da Satana per indurre gli uomini in tentazione. Dall’altra, però, il giovane si rendeva conto di essere attratto da quella ragazza. C’era qualcosa in lei, qualcosa di strano e misterioso. Come faceva a conoscere la lingua dei padri? La lingua di un passato sepolto e dimenticato?
 Voleva scoprirlo.
 Con il cuore in gola, attraversò agilmente il ruscello che lo separava dalla foresta in cui era sparita Mallaidh. Cercò di ricostruire il suo percorso, attraverso alcuni segni che la ragazza avrebbe potuto involontariamente aver lasciato dietro sé. Non trovò nulla, se non un ramo spezzato e qualche foglia smossa. Non sapeva che cosa fare, non poteva certo darsi per vinto senza neanche aver incominciato la ‘caccia’.
 Ad un certo punto, udì in lontananza le grida agitate di alcuni uccelli. Si stavano alzando in volo dalla chioma di un albero lontano. Qualcosa doveva averli spaventati. Sicuro di aver trovato la sua pista, Newlin corse in direzione dell’albero.
 Poco dopo, il giovane raggiunse la gigantesca quercia da cui erano fuggiti gli uccelli. La sua meraviglia fu tale da impedirgli di parlare. L’albero maestoso aveva i rami impreziositi da foglie autunnali, infuocate dalla luce del tramonto. I raggi del Sole illuminavano l’alta chioma, la quale sovrastava quelle di tutte le altre piante della foresta.  Numerose cordicelle erano state annodate con pazienza ai ramoscelli dell’albero. Ad esse erano legate delle pietre preziose. Riflettevano la luce del Sole, e splendevano come stelle terrestri.
 ‘Pare un albero interamente creato dall’oro e dalle gemme. Che sia un’opera di Mallaidh?’ si chiese Newlin. Il ragazzo non riusciva a capire. Dove si trovava la giovane selvaggia? Che si fosse addentrata ancora di più nella foresta? Eppure, non aveva lasciato alcuna traccia dietro sé.
 Newlin stava per procedere nell’esplorazione, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Si accorse della presenza di un piccolo squarcio di cielo azzurro, tra i rami infuocati di Sole ed il tronco dell’ albero. Era lì, un frammento di colore brillante, che in un attimo scomparve. Incuriosito, Newlin si avvicinò alla quercia. Corrugò la fronte, non capendo cosa fosse accaduto. Dove prima vi era stato quell’istante di azzurro e celeste, ora regnava il nero di un foro nel tronco dell’albero. Sempre più confuso, il ragazzo decise di arrampicarsi sulla sommità della quercia per esaminare quel largo buco nel tronco.
 Raggiungere il ramo più vicino al foro fu complicato e faticoso. La meta si trovava molto in alto, e la quercia era molto vecchia ed abitata da numerosi animaletti. Tra formiche, scoiattoli e fanelli, decisi a tutto pur di difendere la loro casa dagli intrusi, l’arrampicata di Newlin non fu esattamente agevole.  Ma ne valse la pena. Infatti, quando raggiunse il foro e guardò al suo interno, scoprì qualcosa di scioccante.
 L’albero era completamente cavo.
 Come era possibile? Se l’albero era vuoto, come facevano i rami ad essere coperti di foglie? Tutta quella faccenda non aveva il minimo senso… Newlin poggiò la mano all’interno della pianta, riflettendo. Toccò qualcosa di morbido. Sembrava essere… sì, era proprio un drappo. Un drappo azzurro, usato per bloccare l’entrata del foro. Ecco che cosa aveva visto in quell’effimero istante. Ma chi aveva posto in quel luogo il drappo? E dov’era Mallaidh?
 Purtroppo, Newlin lo intuì. In effetti, guardando il fondo dell’interno della quercia, si poteva distinguere una luce molto fioca. Il ragazzo si chiese come potesse raggiungere il fondo, e scoprì con sorpresa che la risposta era proprio di fronte a lui. Una robusta corda era stata fissata all’interno della pianta centenaria. Per raggiungere il fondo, non bisognava fare altro che calarsi nel buio, reggendosi ad essa.
 Con la massima cautela ed attenzione, il ragazzo prese a scendere lungo il tronco della vecchia quercia, udendo chiaramente i veloci battiti del suo cuore. Cosa avrebbe trovato in fondo a quel baratro? Che cosa emetteva quel fioco bagliore? Man mano che si avvicinava alla luce, ogni cosa attorno a Newlin si faceva più nitida e chiara. Alle pareti del tronco erano stati appesi altri drappi, tutti di colori molto chiari e visibili anche al buio. Su di essi erano raffigurati delle figure nere e slanciate, come ombre primordiali. Scene di caccia, di guerra, di vita quotidiana. Erano tutti puliti e ben curati, seppure fossero antichissimi. Che risalissero ai tempi antecedenti alla cristianizzazione d’Inghilterra? No, non poteva essere. Pochissimo era rimasto di quell’epoca: qualche maceria, antiche spade tradizionali o frammenti di pietre incise di rune. La lingua dei popoli antichi era stata dimenticata, solo qualche scarso appunto e delle piccole canzoncine erano ancora conservati nei manoscritti dei monaci. Eppure, quella ragazza… Mallaidh conosceva la canzone del Maretak. Conosceva la lingua dei padri.
 Che fosse in contatto con gli spiriti del passato?
 L’idea lo colse come il tradimento di un amico fidato. No, cosa andava a pensare? Quella ragazza era tutto, se non una strega. I graffi sul suo volto provavano la sua mortalità, la sua fuga la debolezza ed il terrore nei confronti degli uomini civilizzati. Selvaggia, certo, ma non strega.
 Eppure…
 Un urlo interruppe i suoi pensieri. Abbassò lo sguardo, e si rese conto di aver proseguito senza accorgersene, rapito dai suoi pensieri, ed aver raggiunto il fondo dell’albero. Con un piccolo balzo, toccò finalmente terra.
 Rimase incantato.
 La circonferenza del tronco della quercia secolare era davvero molto ampia. Le pareti erano completamente tappezzate da candidi arazzi, raffiguranti dolci cerbiatte e splendidi cigni. A terra era stato steso un tappeto di foglie secche, ed in un angolo vi era un giaciglio di soffice muschio. Al centro di quella grande tana umana, era stato posto su di un masso una lanterna accesa. Era stata probabilmente rubata al villaggio di Seabhag, essendo più moderno degli altri oggetti in quel luogo. Accanto al lume, vi era un vaso decorato con pitture nere e rosse, una ciotola d’acqua, un porta-gioie di legno intarsiato. Sul giaciglio di muschio, tremante e con gli occhi sbarrati dall’orrore, vi era la Folle Mallaidh.
 “Mia Signora… vi ho raggiunto…”
 In un istante, le parole di Newlin furono interrotte. Mallaidh aveva estratto dal giaciglio un pugnale di ferro battuto, decorato con rune antiche e ghirigori bluastri. Ora glielo puntava contro, le braccia tese e l’espressione minacciosa. Nel suo sguardo vi era la paura di un animale ferito, la ferocia di una belva selvatica e le preghiere di una schiava.
 “Seabhag mab, essi exopos? Emmi Mallaidh! Se derua moni esti! Emmi bellovesa… Ne ti lego moni kladios, orgetos ! Ueia ex ci! Essi an arjo anandognos, ci velo dusios. Orgetos! Ueia ex ci!”
 La voce era minacciosa, seppure terrorizzata. Il pugnale tremava nelle mani della giovane. I grandi occhi verdi erano fissi in quelli di Newlin, il quale non sapeva come comportarsi di fronte alla ragazza selvaggia. Scosse debolmente il capo, abbassando lo sguardo.
 “Non capisco…” mormorò.
 “Tanua! Orgetos… Assassino! Sei cieco, figlio di Seabhag? Io sono Mallaidh, la strega! La folle tentatrice! Questa quercia è la mia casa! Ed io non sono estranea all’omicidio… io non deporrò la spada di fronte a te, assassino! Ueia ex ci! Esci da qui! Sarai anche un signore tra gli stranieri, ma qui io non vedo altro che un demone! Un demone! Un assassino… Dusios et orgetos essi! Ueia!”
 “Io… io non sono un assassino, mia Signora. Perdonatemi, non avrei dovuto accedere alla vostra… dimora senza il vostro consenso. Sono desolato. Vi prego di perdonarmi, non volevo essere inappropriato.”
 “Ueia! Orgetos, Seabhag mab! Ueia!
 “Sì… sì, ora me ne vado…”
 Indietreggiando, gli occhi ancora a terra, Newlin urtò inavvertitamente qualcosa. Si girò di scatto, solo per vedere il vaso dipinto cadere a terra e frantumarsi. Dai cocci rotti, alla fioca luce del lume, il ragazzo poté appena distinguere una fine polvere chiara. Era simile a... a cenere.
 “Nage!”
 L’urlo disperato di Mallaidh ferì le orecchie di Newlin.
 No! No, nage! Nage! Mama! Mama Carey! Nage!
 La ragazza si alzò di scatto dal giaciglio, precipitandosi verso i resti del vaso. S’inginocchiò, urlando e gemendo di fronte alla creta frantumata. Raccolse con mani tremanti alcuni cocci. Accarezzò singhiozzando la cenere versata. Piangeva. Piangeva e tremava, come una bambina picchiata.
 “Mia Signora… sono davvero desolato, non volevo romperlo… se vi aggrada, domani tornerò con un vaso nuovo, identico a quello appena distrutto. Ve lo prometto, non riuscirete a notare la differenza.”
 “TANUA! Tanua, sta zitto! Sta zitto, assassino! Dimmi, perché l’hai fatto? Perché? Era tutto quello che restava di lei, e tu l’hai cancellato! Mia madre… mia madre me l’aveva detto… me l’aveva detto! Attenta al Falco, Mallaidh. Il Falco ti porterà rovina e dolore. Ti ucciderà, Mallaidh! Assassino, assassino… è il seabhag, è il Falco che ti porta!”
 “Io… io sono sinceramente desolato… oh, vi scongiuro mia Signora! Perdonatemi!”
 “Ti ho detto di andartene! Ueia! Ueia, orgetos Seabhag! Ueia!”
 Newlin, sconvolto dalla reazione della ragazza selvaggia, si diresse verso la corda con cui si era calato nella tana. Prese ad arrampicarsi fino all’apertura nel tronco. Una volta raggiunto il foro, scostò lentamente da esso il drappo azzurro, ed uscì. Le urla continuarono a riecheggiare dal fondo dell’albero, urla cariche di dolore e sofferenza. Ma perché? Per quale motivo il dolore di Mallaidh era così grande? Perché, se conosceva la lingua moderna, non spiegava agli abitanti di Seabhag di non essere folle e selvaggia? Era forse davvero pazza? E perché mai continuava a chiamarlo demone ed assassino?
 Il giovane scese dall’albero. Decise di tornare all’accampamento e di non rivelare a nessuno il suo incontro con Mallaidh. Una cosa era certa. Sarebbe tornato. Avrebbe portato via Mallaidh, via da quel luogo stregato e selvaggio. Voleva parlare con lei, renderla una donna per bene ed aiutarla a superare i pregiudizi degli abitanti di Seabhag.
 E, ad ogni costo, voleva scoprire che cosa nascondeva. Trovare risposte alle sue domande. Mallaidh era l’unica a conoscere la soluzione all’enigma del suo passato. Solo lei sapeva il perché. Perché era la donna selvaggia di Seabhag? E come conosceva la lingua del passato? Che cos’era quella cenere, quegli arazzi alle pareti della quercia, le pietre legate ai rami dell’albero? Perché Newlin era un assassino… perché il Falco era un demone?
 Prima di procedere verso la via dell’accampamento, il giovane si fermò. Le urla di Mallaidh erano cessate. Ora, dal tronco cavo della quercia, si levava un canto. Una voce stonata e roca, che tra i singhiozzi cantava una lenta nenia funebre.
 
Angolo dell’Autrice
 

Ehilà! Sì, come vedete, non ho desistito dallo scrivere la mia storiella. Devo ammettere di essere rimasta piacevolmente sorpresa dal numero di lettori e dal grande supporto di tutti voi! Un grazie speciale a Clitemnestra_Natalja  ed a Toshira_Chan per aver inserito la storia tra le seguite. Naturalmente, ringrazio anche DreamNini e Nana_Sensei per aver recensito.
Alcune note: la strofa iniziale della canzone è sempre di ‘Corpus Christi Carol’, di cui ho parlato nel primo capitolo. In questo capitolo, le parole sottolineate di Mallaidh sono in celtico. A proposito, una volta postato l’ultimo capitolo, scriverò nell’Angolo dell’Autrice i significati dei nomi dei personaggi.
Grazie ancora per il vostro appoggio, è veramente molto apprezzato! : )
Beads.
 

   
 
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