Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Beads and Flowers    09/06/2012    3 recensioni
Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
Non vi avvicinate a Mallaidh.
E’ pericolosa.
E’ una strega.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La Profezia del Falco

 

 Lulley, lully, lulley, lully,
The faucon hath bourne my mak away.





 Era una ragazza molto strana. Occhi verdi e spenti, capelli castani e lucidi di sporco. Viveva nelle foreste, da sola, sugli alberi. Non aveva una grotta o una capanna in cui rifugiarsi durante la notte. Al villaggio si vociferava che, nei giorni di pioggia, lei rimanesse seduta sul ramo di una vecchia quercia. Non si muoveva, rimaneva perfettamente immobile, mentre le gocce d’acqua le pungevano la pelle nuda. La ragazza si copriva unicamente con un vecchio mantello polveroso. Era corto, non riusciva a nascondere completamente le forme immature della giovane. Ma lei non emetteva comunque alcun suono, neanche il minimo sussulto. Immobile, ferma, come un cadavere nella pioggia.
 Faceva impressione, incuteva timore.
 Paura.
 La gente del villaggio sputava a terra quando sentiva nominare il suo nome. Portava sfortuna. Era il nome di una miscredente, di un animale. Un nome che non aveva più nulla di umano.
 Mallaidh.
 Folle Mallaidh.
 Un nome antico, pericoloso come la tentazione più nera. Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
 Non vi avvicinate a Mallaidh.
 E’ pericolosa.
 E’ una strega.
 

 Il nome di Mallaidh era giunto ad Newlin come quello di un mostro muta forma, non una semplice ragazza selvaggia. Era stata Iseut a parlargliene. Lei, a sua volta, ne aveva avuto notizia da una vecchia serva,  la quale conosceva una certa comare che ne aveva parlato con…
 Newlin aveva naturalmente riso ai pettegolezzi della sorella minore. L’anziana serva di Iseut era famosa per raccontare i più semplici avvenimenti aggiungendovi particolari incredibili e sconosciuti. Ma non erano che fantasie, sciocche fantasie infantili generate da menti legate alla loro superstizione. Newlin non voleva soffermarsi su di esse, non poteva. Aveva altro a cui pensare.
 Suo padre era vecchio e molto ammalato. Sarebbe morto, era questa l’unica certezza dei due fratelli. Newlin era il figlio maggiore e, alla scomparsa del genitore, avrebbe amministrato le terre di Seabhag. Avendo solo diciassette anni, percepiva questo compito come un dono rivoltante, che mai avrebbe voluto ricevere. Non voleva dire addio a suo padre, alla guida che gli aveva insegnato a vivere.   
 L’imminente perdita di suo padre era un pensiero doloroso e costante. Solo la caccia, unica vera passione di Newlin, riusciva a distrarre il giovane dal peso della straziante separazione. Il ragazzo era il felice possessore di uno dei più bei falchi di tutta l’Inghilterra. Il piumaggio incomparabile, la vista acuta e la salute perfetta erano le caratteristiche principali di Maretak.
 Il suo nome era antico quanto le leggende che giravano attorno alle foreste di Seabhag. Troll, fate e folletti convivevano, danzavano con il nome di un demone. Maretak. ‘Protettore che tutto uccide’. Newlin aveva battezzato così il suo falco in onore delle antiche credenze, ma anche per un disperato bisogno di giustizia e risposte. La sua fede in Dio non era assoluta, necessitava alcuni chiarimenti. Se il Signore era il creatore di ogni cosa, allora perché mai poneva fine alle vite degli uomini? Si trattava forse di una giustizia così arcana da non poter essere compresa dai mortali?
 Risposte, risposte. Non ve n’erano.
 La morte non era altro che un’infinita supposizione.
 “Maretak, Maretak… magu, maion et bodach” canticchiò tra sé e sé, attendendo con pazienza che i servi terminassero di sellare il suo destriero. Sua sorella Iseut era al suo fianco, le mani ai fianchi, un’espressione contrariata sul volto.
 “Noto con dispiacere che continuate ad intonare certe infantili canzoncine. Dovreste dimenticare le strofe dei nostri antenati, fratello mio, sono spesso portatrici di messaggi inutili e pericolosi. Non capirò mai perché avete battezzato il vostro falco da caccia con il nome di un dio pagano… I servi non eseguono a dovere i loro compiti: questa stalla odora di escrementi. Com’è ripugnante!”
 “I servi non hanno colpa. Le stalle non sono certo luogo adatto a dame raffinate come voi, sorella cara. E per quanto riguarda le antiche usanze dei nostri antenati, non ho nulla contro di loro. Anzi, le rispetto. La loro mitologia è vasta e piena d’insegnamenti, i loro dèi astuti e creatori di leggi giuste. Esse sono spesso simili a quelle emanate da Dio.”
 “Non bestemmiate in questo modo, fratello! Come osate paragonare la parola di nostro Signore a quelle dei demoni pagani? Se nostro padre vi sentisse, sarebbe alquanto addolorato dalle vostre insinuazioni.”
 “… Perché mi avete raggiunto qui nelle stalle? Non è mai stato un luogo di vostro gradimento.”
 “Volevo venirvi incontro.”
 “Per quale cagione?”
 “Per parlarvi delle vostre battute di caccia.”
 “Vorreste parteciparvi?”
 “Non esattamente. Un servitore mi ha informato delle vostre intenzioni sul visitare la parte ovest della foresta di Seabhag.”
 “Dovrei desistervi? Sono trascorsi numerosi anni da quando ho cacciato in quella parte di foresta. La selvaggina deve essere ricca e numerosa. Potrei portare a casa molta carne squisita, trofei meravigliosi e storie appassionanti. Perché mi sembrate contrariate, sorella? Vi era un tempo in cui le mie spedizioni vi donavano allegria.”
 “E’ come l’oppio, per voi, fratello caro. E’ peccato, poiché non uccidete per glorificare il Signore, ma per vostro puro divertimento. Vi nuoce, in quanto non potete farne a meno. Ma non sarò certo io a incitarvi ad abbandonare un’attività così dannosa per il vostro spirito. Piuttosto, volevo mettervi in guardia. Vi rammentate di quella… quella creatura di cui vi avevo parlato? La donna selvaggia che erra per le nostre foreste?”
 “Me ne rammento.”
 “Ebbene, si dice che ella dimori nella parte ovest della foresta. E’ probabile che voi non l’abbiate mai incontrata prima d’ora, in quanto vi siete concentrato principalmente sulla zona est. Ma vi rendete conto che questa volta sarà diverso. Mi raccomando, fratello, se doveste vedere quella strega, scappate. Scappate, non lasciate che vi induca in tentazione. Ho sentito storie terribili su dei giovani che, entrando nel bosco…”
 “Sì, cara Iseut. Voi avete udito delle storie. Nient’altro che storie. Sono stanco dei pettegolezzi della vostra serva, e voi dovreste essere abbastanza matura da riconoscere i fatti dalle frottole. Se questa Mallaidh esiste veramente, certamente non avrà la forma di un drago sputa fuoco. E nel caso fosse veramente un mostro, come affermate, vi assicuro che la distruggerò, portandovi la sua testa mozzata come trofeo. Avete altro da aggiungere?”
 “Sì, fratello.”
 Iseut si avvicinò ad Newlin, poggiando le labbra scarlatte sul suo orecchio. Le tremava la voce.
 “Vi scongiuro, mio Signore, tornate da noi. Nostro padre non ha molto tempo da trascorrere su questa terra. Egli vi vuole al suo fianco. Non può trovare conforto nelle parole di una donna, una figlia che non erediterà le sue terre. Tornate da noi, da lui.”
 Newlin corrugò la fronte. Sua sorella aveva introdotto un argomento spinoso. Il giovane uomo odiava visitare suo padre, vederlo debole e vecchio in quel letto di morte. Suo malgrado, riusciva a specchiarsi nello sguardo del genitore, a dirsi: ‘Un giorno, anche io…’
 Scosse la testa, montando agilmente a cavallo.
  “Sorella, dite ai servi che non tornerò prima di dopodomani. Sono desolato, ma dovrete desinare in solitudine, in questi due giorni. Vi prego, salutate nostro padre da parte mia.”
 “… Ma certo, fratello.”
 “Addio, Iseut.”
 “Addio.”
 

 I colori primaverili della foresta erano meravigliosi. Newlin era circondato da una festa di luce ed ombra, di verde e bruno. La luce del Sole filtrava attraverso le foglie, illuminando il suolo e i tronchi degli alberi. I fiori spuntavano timidamente dai fili d’erba. Il cielo che si specchiava nel ruscello richiamava l’immagine del Paradiso. I richiami delle rondini ricordavano i canti delle fate.
 Solo in quei momenti, Newlin riusciva a dimenticare ogni cosa. Ogni preoccupazione, ogni ricordo, ogni incubo. In quei momenti, il giovane riusciva davvero a sorridere con serenità.
 Il cavallo legato ad un palo conficcato nel terreno, i servi mandati all’ accampamento costruito per la notte, Newlin giaceva all’ombra di una grande quercia. Udiva le vicine acque del ruscello scorrere placidamente. Il suono era molto rilassante, conciliava il sonno, la pace. Il ragazzo portò la testa all’indietro, sorridendo con gli occhi chiusi.
 “Maretak, Maretak: magu, maion et bodach.
 Newlin aprì di scatto gli occhi. Si alzò velocemente in piedi, guardandosi attorno. Qualcuno… qualcuno aveva cantato la strofa della sua canzone preferita. Ma chi poteva mai essere? Quella melodia era stata ritrovata da Newlin in un antichissimo manoscritto della biblioteca di Seabhag. Nessuno, eccetto lui, poteva conoscerla, poiché era stata sepolta per centinaia di anni nella polvere del tempo.
 “Maretak, Maretak: magu, maion et bodach.
 Eccola nuovamente: una voce femminile, roca e stonata, cha cantava la musica sconosciuta del passato. Veniva da oltre il ruscello, nella parte più oscura della foresta. Newlin rimase perfettamente immobile, in allerta. La voce si stava avvicinando.
 
Maretak, Maretak: magu, maion et bodach,
 Dith dagovassa, anation ambicatassa.
 Essi capta et caranta.  Andedia thirona tarinca
 Orgeta deuxtonion,teutates anation.

 Newlin sgranò gli occhi, affascinato. Era incredibile: quella voce immatura cantava una canzone centenaria, con innaturale sicurezza. Persino alcune parole del testo, andate perdute col tempo sulla carta del manoscritto, erano state reinserite nella versione della voce femminile. Ora, finalmente, Newlin poteva dare un senso all’antica canzone.
 
 Maretak, Maretak: visiti il bimbo, l’uomo e l’anziano.
 Servitrice della morte, spirito che tutti sconfigge.
 Sei schiava ed amica. Punta di stella infernale.
 Assassina di dei ed umani, spirito protettore.
 
 Il ragazzo trattenne il respiro. Dall’oscurità della foresta, a passi lenti e titubanti, stava avanzando una figura. Era così esile da inizialmente apparire una semplice ombra, creata dai rami scheletrici degli alberi. Poi, a poco a poco, Newlin riuscì a distinguere un corpo magro e macchiato di fango, avvolto da un corto mantello nero.
 Istintivamente, indietreggiò di un passo. Riconobbe, nel volto scavato della ragazza, la descrizione d’Iseut nei confronti della Folle Mallaidh. Faceva davvero impressione. Il viso era macchiato e graffiato in diversi punti. Era leggermente spellato a causa del Sole estivo. Gli occhi verdi e socchiusi trasmettevano una tale vacuità, una tale follia selvaggia da instaurare nel giovane un fortissimo disagio.
 Mallaidh.
 Folle Mallaidh.
 Cammina, barcolla tra Inferno ed Oblio.
 “Orgeta deuxtonion,teutates anation”.
 La voce s’interruppe di scatto, ed un sussulto frantumò quell’atmosfera macabra, quasi fiabesca che si era creata tra i due. Ora la Folle Mallaidh ora lo guardava direttamente negli occhi. Paura. Tanta paura nei suoi occhi verdi, e spenti. Sembrano spiriti di fate calpestate.
 Newlin sorrise.



Angolo dell' Autrice:

Ehilà! Salve a tutti! Ebbene, sì. Rieccomi alla riscossa con le mie improbonibili storie romantiche. Be', guardate il lato positivo: almeno adesso non ho accompagnato le parole con gli improponibli testi delle mie canzoni scandinave preferite. E' un segno di miglioramente, giusto? Purtroppo no. In effetti, ascolto ancora quel genere di musica, e lo adoro. A dire il vero, sono peggiorata. Vedete la canzone chiamata 'Maretak'? Quella in celtico? L' ho composta io, con l'aiuto di un dizionario Celtico-Italiano. OK, è ufficiale, potete rinchiudermi in manicomio. Ehi, ma almeno vi ho messo una traduzione!
La canzone iniziale, invece, è una frase di 'Corpus Christi Carol', una canzone popolare Inglese che risale al 1504. La versione che preferisco è quella di Cècile Corbel, la mia cantante preferita. Ve la consiglio vivamente. Detto questo, quando aggiornerò? Spero presto, anche perché al momento non ho più scuse. Niente scuola o ex-ragazzo ad intralciarmi. A meno che non sopraggiungano indesiderati blocchi dello scrittore, dovrei aggiornare abbastanza presto.
Non mi rimane che ringraziarvi per aver letto ed invitarvi cordialmente a recensire. Naturalmente, sono ben eccette quelle positive, quelle neutre, quelle critiche, descrizioni sul vostro nuovo gattino, lamenti sulle pagelle andate male, urli isterici. Insomma, scrivete quello che volete, basta che recensiate! :D
Un bacio a tutti,
Beads.







 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Beads and Flowers