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Autore: Charlie_Punk    12/06/2012    1 recensioni
Ciao a tutti! Un po' di tempo fa l'utente Cimmino postò il suo racconto sottolineando che un suo amico stava scrivendo una storia intrecciata a quella del suo personaggio, la bretone Yangin.
Io sono quell'amico e ho deciso di postare la storia dal punto di vista della mia protagonista, Sephiae.
Io non sono uno scrittore, anche se mi piace fingere di esserlo.
Perfavore siate clementi, ma non risparmiate le critiche che servono sempre.
Che altro dire? Spero che il mio racconto vi piaccia. Buona lettura!
PS: Scusatemi sono davvero un rompiscatole lo so, ma ci tenevo a informarvi che l'introduzione al racconto è molto corta, ma non tutti i capitoli sono lunghi così
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ponte del Drago era un piccolo villaggio all’intero del feudo e distava solo un giorno a piedi da Solitude. Principalmente il luogo era conosciuto per il famoso ponte sospeso sopra le acque del fiume Karth, al cui centro si ergeva un’imponente statua raffigurante due teste di drago che sembrava vigilassero sulle imboccature della costruzione.
Essendo il fiume un confine naturale tra il feudo dell’Haafingar e quello dello Hjialmarch, ed il ponte l’unico tramite per giungere all’altra sponda senza dover attraversare a nuoto o in barca acque tutt'altro che piacevoli, il villaggio era sempre sovraffollato per via degli spostamenti delle carovane di mercanti.
Sephiae partì da Solitude che il sole era sorto da poco. Sibylle non le aveva imposto alcuna tabella di marcia e dunque si attardò lungo il sentiero per gustare il magnifico panorama di quella terra ghiacciata. Nonostante la sua razza provenisse da un’isola situata nella zona sud-occidentale di Tamriel in cui il clima era quasi tropicale, riusciva a sopportare di buon grado il freddo proprio come un vero Nord di Skyrim.
La ragazza giunse a destinazione verso mezzanotte e rimandò la sua commissione al giorno seguente, quindi si incamminò verso la locanda del villaggio e una volta arrivata spalancò la porta con i crampi allo stomaco e si diresse verso il bancone, che però era vuoto.
Dopo dieci minuti di attesa, spazientita, si mise in cerca dell’oste. Girovagò per le stanze degli ospiti ed entrò anche in una specie di ripostiglio, ma del proprietario di quel luogo non c'era traccia, così si risedette su uno sgabello in prossimità di un tavolo decisa a riposare un po’ il corpo stanco, appoggiò la testa sulle braccia conserte e chiuse gli occhi. Nonostante le piacesse camminare non era solita farlo per lunghi tragitti ed il suo fisico esile era certamente più adatto ai lavori della mente, piuttosto che a vagabondare per Tamriel.
Nell'arco di pochi minuti, cullata dalle canzoni di un bardo, il sonno tanto atteso venne a farle visita, ma forse nel momento meno opportuno, perché quando finalmente l'oste le si avvicinò per servirla, la sua voce la fece sobbalzare.
<< Buongiorno giovane! Desideri qualcosa? >> le chiese mentre con un panno asciugava un boccale.
La ragazza lo osservò completamente intontita. Era alto e imponente, aveva una lunga chioma bionda striata da qualche capello bianco e un ventre abbastanza voluminoso. Lo stomaco la spronò ad avanzare la richiesta. << Vorrei qualcosa da mangiare. >>
Non appena ebbe terminato la frase, vide il viso pallido del suo interlocutore tingersi di un lieve rossore.
<< Ti chiedo scusa, pensavo fossi un ragazzino. Sai…per via dei capelli corti >> disse quello in tono pacato.
<< Non fa niente >> rispose lei in imbarazzo.
L’oste dovette intuire la situazione di disagio in cui si trovata la sua ospite, così si appoggiò con i gomiti sul bancone e si sporse verso di lei porgendole la mano. << Di un po’, il mio nome è Olghert e il tuo? >>
Sephiae, impalata sul suo sgabello, esitò per un istante. << Mi chiamo Sephiae. >>
<< Che bel nome! Non sei arrabbiata con me, vero? >> disse l’uomo ritirando la mano.
<< No, no. È che ho una fame da lupi… >>
Olghert si batté la fronte con una mano. << Certo scusa, mi perdo sempre in chiacchiere. Dunque, cosa ti porto? >>
Ancora un tentennamento. 
<< Guarda, lascia fare a me. Per farmi perdonare oggi offro io >> disse ancora strizzandole l’occhio, dopodichè scomparve nel seminterrato e vi riemerse qualche minuto più tardi con un paio di cosciotti di coniglio al forno, una fetta di formaggio e qualche mela verde.
Come promesso Sephiae non dovette lasciare un solo Septim alla locanda: Olghert la prese in simpatia e le offrì l’intero pasto, ma lei insistette per pagare l’affitto della stanza e dopo aver chiacchierato a lungo riuscì a malapena ad arrivare al letto per evitare di cadere addormentata a terra. Si svegliò il mattino seguente avvolta nel tepore delle coperte. L’odore di pulito che permeava nell’aria e il silenzio proveniente dall’ambiente principale le fecero intuire che la locanda doveva aver riaperto da poco.
Quella pace e il letto caldo erano invitanti, ma alla fine si decise ad alzarsi. Al bancone Olghert stava sistemando le ultime cose e fu felice di vedere che la sua ospite era già sveglia.
<< Oh Sephiae! Dormito bene? >>
<< Certo! Il tuo letto era comodissimo, dovresti aumentare il prezzo delle camere >> scherzò lei.
<< Come no! Così non le affitterebbe più nessuno. Scusami tanto ma ora sono un po’ indaffarato, parleremo più tardi se per te va bene. >>
<< Potrei rendermi utile svolgendo qualche lavoro, che ne dici? >> 
Olghert rimase per qualche attimo pensoso, poi fece la sua proposta. << Potresti spostare la legna che si trova nel retro della locanda, ma attenta a non farti male. >>
<< Perfetto, a dopo! >> disse Sephiae mentre si incamminava verso la porta.
Sul retro della costruzione sorgeva un cortile completamente bianco di neve e ammucchiata in un angolo si trovava una catasta di legna scura. La ragazza vi si diresse e si rimboccò le maniche della casacca. Utilizzare la magia per le azioni quotidiane poteva rivelarsi un ottimo allenamento e così decise di esercitarsi con la telecinesi, che riusciva a controllare poco, per spostare i ciocchi di legno da una parte all’altra e a lavoro terminato si sentì spossata. Le gambe le tremavano e non riusciva a reggersi in piedi. Dannazione! Ogni volta che utilizzo questo incantesimo finisco sempre con il prosciugare le mie energie, dovrei imparare a regolarmi. 
Sephiae era praticamente incapace di alzarsi. Dopo aver sciolto per l'ultima volta l'incantesimo era letteralmente crollata a terra e non le passò nemmeno per la testa di alzarsi e solo faticando parecchio riuscì svariati minuti più tardi a tornare dentro alla locanda.
Per per sdebitarli Olghert le offrì ancora il pasto e dopo una lunga chiacchierata a stomaco pieno i due dovettero separarsi, ma la ragazza promise che sarebbe tornata a Ponte del Drago di tanto in tanto per trovare il suo nuovo amico.
Al piacevole tepore della locanda, si sostituì un freddo ancor più pungente di quello che si era lasciata alle spalle aprendo la porta della costruzione il giorno prima. Durante il primo pomeriggio, infatti, era montata una vera e propria tempesta di neve e non si riusciva a vedere nulla a più di due braccia dal proprio naso.
Sephiae si diresse verso la sua meta arrancando tra la neve che già ricopriva abbondantemente il suolo e sebbene la strada da percorrere non era molta, la ragazza arrivò all’Avamposto del Penitus Oculatus praticamente congelata. I soldati la scambiarono per un senzatetto in cerca di un riparo e la accolsero senza esitazione. Dopo essersi scaldata dinnanzi al fuoco però, la giovane rivelò ai suoi interlocutori la sua vera identità ed essi non rimasero poco stupiti.
<< Sibylle Stentor hai detto? Beh, in ogni caso il Legato Caius in questo momento non è a Ponte del Drago. Puoi lasciare a noi la sua spada, ci assicureremo che gli venga consegnata >> disse uno di loro.
Dopo aver consegnato l’arma, le venne anche proposto di rimanere all’avamposto fino a che la tempesta non fosse almeno calata d’intensità.
Prima di partire, aveva riposto il libro preso dalla biblioteca del padre qualche giorno prima in una bisaccia sperando, una volta terminato il suo incarico, di inoltrarsi nella foresta e di concedersi un po’ di tempo per leggere. Non sarà incantevole come un bosco, ma potrebbe andarmi bene anche una morbida branda.
Sephiae accettò di buon grado la proposta che le era stata inoltrata, quindi si distese sul suo giaciglio con il suo libro, ne contemplò per un po’ la copertina inesorabilmente rovinata dallo scorrere del tempo e poi si immerse nella lettura.

La tempesta imperversò su tutta la zona occidentale della regione per il resto del pomeriggio e solo verso sera Sephiae poté fare ritorno a Solitude. Una volta rientrata in città, il desiderio di recarsi immediatamente al Palazzo Blu per parlare con Sibylle le si presentò prepotentemente perché moriva dalla voglia di mostrare alla sua maestra il suo primo successo, ma strada facendo convenne che sarebbe stato più saggio rimandare l’incontro al giorno successivo e quando finalmente raggiunse la sua abitazione, vi sgattaiolò dentro sperando di non svegliare nessuno, però trovò la madre seduta ad un tavolino dell’ambiente principale. I suoi occhi gonfi e le sue guance rigate dalle lacrime.
Sulle prime la ragazza rimase impassibile, ma quando la donna le si avvicinò singhiozzando, sentì un nodo stringerle la gola.
<< Sephiae per grazia degli dei sei a casa. Almeno tu stai bene >> disse abbracciandola.
Almeno tu? Sephiae non riusciva a capire.
La madre fece una pausa, si staccò dalla figlia e riprese a parlare.
<< Tuo padre sta male, molto male. Vorrei che gli stessi vicino. >>
Un brivido percorse lento la schiena di Sephiae, che non perse un istante e si lanciò in una corsa disperata verso le scale. Il suo moto si arrestò solo dinnanzi al letto dei genitori. Fino a quel momento aveva cercato di mantenere la calma, nonostante la situazione fosse visibilmente drammatica, ma quando vide il volto del padre scoppiò anche lei in un pianto senza ritegno. L’uomo aveva il viso pallido solcato da numerose piaghe e ansimava in un bagno di sudore e sangue.
La sacerdotessa che si stava occupando di lui riuscì a portarla via dalla stanza e la fece accomodare ad un tavolo in prossimità delle scale; quando vide che la giovane si era un po’ calmata decise di parlarle.
<< È un uomo forte, vedrai che ce la farà >>
Sephiae non la degnò neanche di uno sguardo. << Com’è successo? Chi lo ha ridotto così? >>
<< Non è stato aggredito da nessuno. Quelle ferite sono opera dell’Alchimia: tuo padre stava lavorando ad un nuovo tipo di pozione, ma qualcosa è andato storto. Si trova in questa condizione dal momento dell’assunzione del miscuglio, ma farò di tutto per guarirlo. >>
La ragazza non volle sentire altro, si trascinò verso la sua stanza e ricominciò a piangere sommessamente. In cuor suo già sapeva che non avrebbe più rivisto l’uomo che l’aveva cresciuta.
La conferma le giunse in nottata, annunciata dalla voce concitata della sacerdotessa che incitava il padre a non mollare e dalle urla della madre, che quando terminarono in un pianto disperato, sancirono il definitivo trapasso del marito.
  
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