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Autore: abbey    13/06/2012    1 recensioni
E non ha salvato solo me ma anche il mio cuore che stava vivendo un sonno senza fine sul letto di spine sul quale era caduto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le panchine dei parchi pubblici mi facevano letteralmente cagare. Non schifo,non vomitare:cagare. Erano sporche,puzzavano ed erano sempre bagnate anche se il giorno prima c’era stato un sole che spaccava le pietre. Per non parlare poi del prato spelacchiato e umido che migliaia e migliaia di piedi calpestavano ogni secondo e che i cani trovavano decisamente interessante per bisogni personali e faccende intime che non volevo nemmeno indagare. Odiavo quel posto con tutta me stessa eppure ogni mattina – alle sette in punto,non un minuto prima o più tardi – chiunque mi incontrasse mi trovava seduta sotto l’albero più grande di quell’area detestabile con un libro in mano che leggevo fino a che non era terminato,anche a costo di stare lì intere ore. Amavo leggere,era la mia passione più grande,quella che avrei potuto tenere per sempre senza che nessuno arrivasse e me la portasse via in un batter d’occhio.
Anche quel ventotto aprile avrei voluto stare tanto tranquilla e rilassata con “La Lettera Scarlatta” tra le mani e nei miei occhi e nella mia mente ma qualcuno decise di farmi compagnia.
Probabilmente se non fosse stato lui avrei dato di matto e me ne sarei andata via senza neanche dare una minima spiegazione ma poichè quel ragazzo era l’unica cosa che alleviasse la mia solitudine perenne non potei fare a meno di dipendere da lui anche solo per qualche minuto.
«Hey Abbey,cosa abbiamo qui oggi?» alzai un poco il libro per mostrargli la copertina senza perdere il segno e gli feci un piccolo sorriso a mo’ di saluto. Con la coda dell’occhio lo vidi imitarmi per poi sdraiarsi completamente sul terreno.
Era probabilmente una delle droghe di qualità migliore – quel ragazzo – e il lato positivo era che potevi farne uso senza doverti rovinare.
Quel giorno il sole era atroce,era davvero forte e maledii Joseph per essersi messo addosso quegli stupidi occhiali che coprivano i suoi occhi così estremamente cioccolatosi.
Avevano una forma particolare – tutta sua – e si illuminavano tantissimo ogni volta che sorrideva oppure che era profondamente dispiaciuto per qualcosa che gli era successo. Conoscevo ogni sfumatura che il colore assumeva,cambiava ad ogni emozione che provava perché anche la sua anima viveva in quei pozzi d’ambra talmente profondi che se ti ci tuffavi non c’era verso di tornare a galla. Com’era successo a me la prima volta che ci avevo guardato dentro.
«Sai a cosa penso a volte?» la sua voce mi riportò per un momento alla realtà e mi spinse a chiudere definitivamente il libro che avevo aperto sulle ginocchia,tanto non sarei mai riuscita a leggerlo con lui intorno.
«No,non lo so. Dimmi,a cosa pensi?» si appoggiò sui gomiti.
«Che sei strana.» sbarrai per un nano secondo gli occhi – avevo sentito bene? – e poi distolsi lo sguardo dai suoi folti capelli neri che stavo fissando un po’ troppo insistentemente.
«Io non sono strana!»
«Stai scherzando? Lo sei eccome!» insisteva.
«E dimmi,dunque,perché lo sarei? Ti avverto che se non mi dai una spiegazione plausibile me ne vado!» patetica. Davvero fottutamente patetica ma tanto valeva giocare un pochetto.
Si mise seduto – in una posizione più comoda,diciamo – e dopo essersi tolto gli occhiali – erano stati il mio regalo per i suoi diciotto anni – finalmente mi fece perdere negli oceani infiniti che aveva proprio ai lati di quel bel nasino.
«Hai vent’anni e l’unica cosa che ti piace veramente è leggere. Mai una volta in discoteca,mai una volta con un’amica,mai una volta che ti abbia vista fare qualcosa di diverso. Ah e poi un’altra cosa: odi tutto. E tutti,soprattutto. Ci credo che sei sola,Abbey,non lasci avvicinare nessuno!» dio mio,cosa dici Jay?
Cosa dici? Cosa diavolo stai blaterando? Io non odio tutti,o meglio. Tutti tranne i libri e te,che sei un miracolo.
«Oh,hai davvero torto marcio Jay,sei proprio fuori strada. Non hai capito niente di quello che sento e quello che penso e di com’è la situazione. Nessuno capisce mai niente.»
«Vedi? È vero,ho ragione,tu odi ogni cosa. E non capisco perchè.»
«Ma non lo vedi? Nessuno mi accetta,nessuno si prende la briga di venirmi vicino e dirmi “hey ciao,come ti chiami?”. Se gli altri lo fanno con me perché non posso farlo anche io con loro?»
«Ma non è vero che tutti di odiano!»
«Oh andiamo Jay! Dici sul serio? Avanti,non diciamo cazzate!» raccolsi il mio libro e lo riposi accuratamente nello zaino. Ecco perchè stavo sempre con cose fatte di carta e non di ossa: stavano zitte e non mi ferivano. Anzi,mi insegnavano tante cose e con loro non dovevo scusarmi per essere ciò che ero. Mi tirai su – prima di andar via mi scrollai di dosso un po’ di roba appiccicosa perchè il giorno precedente avevo girato per strada con foglie e fango appiccicati al sedere e non era proprio il massimo – e cercai con lo sguardo la strada che mi avrebbe portata dritta a casa.
«Ab aspetta!»
«Che vuoi ancora?» i miei sguardi taglienti ferivano anche la pietra,a volte.
«Non hai capito tu,questa volta. Io amo le cose strane,se non te ne fossi accorta, e amo le cose diverse da tutto il resto.» si era alzato in piedi e sfoggiava quell’aria da “ti devo tanto dire una cosa”. La usava più che altro per le cose serie e non sapevo se ne sarebbe arrivata una anche a me oppure la solita cavolata che a volte non c’entrava proprio niente.
«Sei talmente bella,talmente affascinante che non sopporto di vederti ogni santissimo giorno qui,seduta sotto l’albero più nascosto del pianeta a leggere e leggere e leggere senza fermarti mai. Sola con pezzi di carta tra le mani a tenerti compagnia.» okay,mettiamo tutto in pausa un secondo e prendiamo un respiro molto molto profondo. Cos’erano quel “bella” e quell’”affascinante” piazzati lì come aggettivi che alle orecchie di tutti sono sempre risultati positivi?
«Voglio dire,ti conosco da una vita ormai e non sei mai cambiata di una virgola. Avevo cinque anni la prima volta che ti ho vista,e tu tre,e mi ricordo benissimo quel momento perché tu eri rannicchiata in un angolo della stanza con uno di quei libri minuscoli e pieni di figure tra le mani che lo guardavi con quegli occhioni neri,giganti,stupendi. Avevi un vestitino carinissimo e quei capelli così belli e boccolosi e io avrei veramente voluto conoscerti ma non parlavi con nessuno,ascoltavi e basta. Così ti dissi che volevo diventare tuo amico,sai come si fa da bambini no?,e tu eri tipo “è strano questo qui” però ti vidi annuire così mi sedetti vicino a te e ti guardai,proprio come faccio adesso dopo diciassette anni. Forse gli altri possono vederti come qualcosa di negativo ma io,dio io ti vedo come il sole che ama nascondersi dietro le nuvole e forse non hai capito nemmeno che tu sei sempre stata il mio punto di riferimento,che quando avevo bisogno eri la prima che cercavo e sapevo sempre dove trovarti. Eri silenziosa,sempre persa chissà dove,ma ascoltavi sempre e mi hai davvero aiutato ogni santissimo istante e davvero,in tutti questi anni non ho mai trovato nessuno che ti assomigliasse neanche per metà. Esisti solo tu fatta in questo modo e non c’è niente di meglio. E non volevo farti soffrire,prima,quando ho detto quelle cose. Ho sbagliato semplicemente parole e invece che dirti “guarda che mi piaci tanto” ho rovinato tutto,come faccio sempre. Scusa,Abbey.» mi cadde solo una lacrima,gigante e silenziosa proprio come quello che provavo per lui da anni e anni,forse proprio da quel momento in cui lui capì tutte quelle cose. Mi cadde non so nemmeno per quale motivo dato che l’ultima volta che piansi risale al giorno della mia nascita.
«Non avevi mai detto così tante parole tutte insieme.»
«Lo so e credimi,non ricapiterà mai più. Adesso capisco perchè non parli mai,viene una sete incredibile!» risi ed era l’ennesima vera risata che quel ragazzo mi faceva fare. Era destino,era proprio destino che lui mi salvasse dallo sprofondare sempre più giù.
«Tu mi hai salvata.» lo vidi fare un passo avanti – quasi involontario – e fissarmi negli occhi ancora più intensamente e soprattutto sottolineare l’abissale differenza d’altezza tra di noi – mi aveva sempre presa in giro per questo,fin da bambini. E così,in quella posizione favorevole,mi sollevai in punta di piedi e lo abbracciai tanto tanto forte fino a sentire la sua barba solleticarmi il viso e i piedi fare male per la troppa tensione. Non avevo nemmeno mai abbracciato mia mamma o mio papà in quel modo,o comunque mai così spontaneamente.
«E questo? Devo segnarmi questa data,cavolo!» sorrisi contro la sua guancia calda e tornai con i piedi per terra – in tutti i sensi.
«E’ una sorta di “mi dispiace” e “anche tu mi piaci tanto” allo stesso tempo,mettiamola così.» sorrise tanto da socchiudere gli occhi e far diventare quelle guanciotte due soffici batuffolini e giurai di non aver mai visto niente di più bello in vita mia.
«Sai Joseph,so perfettamente di non essere il tipo di ragazza a cui sei abituato,io non sono come le altre e mi farei veramente schifo se prendessi ad imitarle. Mi sta bene come sono,mi stanno bene le cose che amo e che faccio e anche quelle che non faccio e magari ci sono persone che ti farebbero vivere cose migliori di quelle che potrei farti vivere io ma non ci sarà mai nessuno ..»
«Come te. E non voglio nessuno che non sia tu,capisci?» uffa,perchè mi interrompeva? Sapeva che lo detestavo e detestavo anche quando era tremendamente dolce da farmi uscire il miele dalle tasche e dagli occhi. Ma era lì per me,quelle cose le aveva spedite alle mie orecchie e anche agli organi che abitano dentro di noi e si auto controllano (purtroppo). Infatti tutti quegli animali che cominciarono a ballare la conga nella mia pancia mica li avevo chiamati io. Eh,no. Figuriamoci poi quando mi baciò – tanto forte che quasi ci facemmo male – e i panda ciccioni che avevo dentro rotolarono senza fermarsi un secondo.
È proprio vero che non bisogna piangere e che bisogna tenere duro perchè prima o poi qualcuno accenderà gli interruttori del nostro mondo facendoci scoprire qualcosa che non pensavamo potesse esistere davvero. E lui lo ha proprio illuminato tutto – il mio mondo – con quella luce che si ritrova addosso ogni volta che ride o che mi guarda negli occhi.
E non ha salvato solo me ma anche il mio cuore che stava vivendo un sonno senza fine sul letto di spine sul quale era caduto.


Eravamo comodamente sdraiati sul divano di casa nostra che era ancora invasa da scatoloni e roba incartata. Stavamo chiacchierando tranquillamente,come facevamo di solito dopo una giornata pesante. «Che cos’è per te l’amore?» fu una domanda che mi colse abbastanza alla sprovvista – stavamo parlando di tutt’altro – così lo guardai per vedere se fosse serio e intendesse pormi davvero quella questione. Nel suo sguardo vidi una nota di curiosità che gli balenava nello sguardo già da quando era bambino. «Per me l’amore è quando ti bacio e mi pungi con la barba perché è vero,mi graffi,però mi guarisci subito.»
  
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