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Autore: Aesir    13/06/2012    1 recensioni
Questa fiction è il seguito di "Leggende del Mondo Emerso: La Strada di Dubhe"
Mano nella mano nelle tenebre
Il prezzo per una vita assieme
Una missione in cui non credono
Dubhe e Aster
Riusciranno nel loro obiettivo?
Se giochi secondo le regole, non ti sogneresti mai di infrangerle. Ma io non ho voglia di giocare secondo le regole. E quando queste si fanno troppo pressanti, e t’ingabbiano, e t’incasellano, e t’infilano a forza in un’esistenza che detesti con tutta te stessa, l’unico modo per sfuggirle è mettere fine al gioco. Mettere fine a tutti i giochi. Perché quando i giochi finiscono, nessuna regola vale più
[DubhexAster]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Aster, Dubhe
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Mondo Emerso'
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Scena Quarta (IV): LA SPIRA DEL SOLE

 

I believe that dreams are sacred
take my darkest fears and play them
like a lullaby
like a reason why
like a play of my obsessions
make me understand the lesson
so I'll find myself

so I won't be lost again

- Evanescence, All That I'm Living For

Le dita sciolsero in fretta i legacci del corsetto. Il vestito dalle pallide tinte pastello si afflosciò al suolo. La gonna, sfilata bruscamente, venne calpestata senza alcun rispetto per il delicato tessuto. Come una fenice, da quegli abiti emerse Dubhe, nera come la morte e quasi altrettanto tetra. Gli occhi timidamente abbassati, le labbra atteggiate ad un sorriso pudico, le mani congiunte in grembo, i capelli del colore del grano da ragazzina angelica, i passi delicati e timorosi sparirono, sostituite dal volto serio, dai movimenti scattanti, dalla consueta treccia castana. E soprattutto dai grandi, tormentati occhi grigi, troppo spesso impegnati a scrutare non davanti, ma dentro di lei. Le sue armi la salutarono come vecchie amiche, il manto nero le scivolò sulle spalle come la veste talare di un sacerdote. Sorrise, accogliendo con gioia il ritorno di sé stessa. E dal sorriso con cui le rispose, anche Aster doveva esserne parecchio contento.
Rispiegami un po’ com’è possibile che io abbia avuto quest’idea assurda”, chiese la ladra, sbuffando.
Vediamo… teoricamente tu stessa hai affermato, testuali parole, di essere stanca che tutti si voltassero quando passavi. E questo travestimento è stato perfetto, lasciatelo dire. Eri irriconoscibile.”
Mmmh. Fortuna che è finita”, commentò Dubhe, poco convinta.
Lanciò una lunga occhiata divertita ad Aster: ”Spero che nel frattempo tu non ti fossi innamorata di quella specie di damigella cretina e senza una goccia di sangue nelle vene”, osservò, sarcastica come sempre.

Mai!”, protestò il mezzelfo, soddisfatto di ritrovare anche quel tratto della personalità della ragazza. Gli Antichi sapevano quanto le era mancata, sepolta quei sì, mio signore, no, mio signore e subito, mio signore. Allungò una mano e le carezzò la treccia morbida che le ricadeva lungo la schiena: “E poi, è un dato di fatto, mi piaci troppo castana.”
Dubhe si concesse per un po’ le sue coccole - aveva sentito anche lei la loro assenza - poi con gentilezza si scostò e incitò: “Forza, dai, dobbiamo montare la tenda. Farà freddo fra poco.”

Aster non riusciva a dormire. La tenda in cui giaceva era vuota, ma non era questo che lo preoccupava. Sapeva che l’assassina, prima di una missione, era solita riposare molto poco. In più, quella era la notte che precedeva immediatamente lo scontro, e sapeva che, freddo o non freddo, la ragazza doveva essere immersa in un torrente. Attraverso la tela, la vide accovacciarsi sull’erba, immobile, e meditare. A volte le invidiava la voce calma e lo sguardo sereno che manteneva proprio nei momenti cruciali della loro crociata. Dubhe affrontava ogni prova come se si stesse preparando per andare a morire, e così riusciva a mantenersi tranquilla. Sono già morta. E una ragazza morta non ha paura di nulla. Riusciva a sentirla sussurrare, là fuori. Sentiva anche la sua paura, e lo sforzo che stava compiendo per non corrergli fra le braccia. Non voleva darli preoccupazione. Dubhe aveva cercato di tenere lontani da sé i sentimenti per tutta la vita, e ora proprio all’amore si appoggiava per tirare avanti.
Aster si distese sulla schiena, ripensando ad uno dei precedenti santuari.
Sarephen, o dell’odio degli uomini
, era scritto sulla porta. E l’odio aveva affrontato. In tutta la sua vita, non credeva di aver detestato nessuno di più di quel maledetto gnomo che gli era apparso davanti. Lui era il responsabile di tutti i suoi tormenti, lui gli aveva strappato Reis, lui l’aveva trasformato nel Tiranno. Vero, senza di lui, non avrebbe mai conosciuto Dubhe, ma la cosa era marginale, dato che di certo quello non era stato il proposito di Oren. Si era sentito invadere dalla rabbia, aveva cominciato a recitare la stessa Formula Proibita con cui l’aveva già ucciso una volta… quando una mano si era posata sul suo braccio. Si era voltato, sorpreso, incontrando gli occhi grigi della giovane ladra. “Ti amo”, gli aveva detto Dubhe, e gli aveva posato un bacio sulle labbra. Aster aveva capito. Aveva evocato una lama innaturale dall’avambraccio e aveva trafitto lo gnomo. Un colpo solo, letale, e, a suo modo, clemente.
Aveva depositato il cadavere al suolo. “
In pace requiescat”, aveva mormorato.* Quando si era girato di nuovo verso di lei, la ragazza semplicemente aveva piantato i suo occhi grigi nei suoi e gli aveva sorriso.
A quel punto si erano ritrovati entrambi in acqua e inzuppati fino alle ossa. Avevano riso, iniziando a schizzarsi come bambini. Erano salvi ed erano insieme, il resto non era importante. Quando furono stanchi, si erano presi per mano e avevano pronunciato l’Incantesimo del Volare.
Una in meno.

Perchè continuano ad agire così stupidamente?, si erano chiesti varie volte. Non c'era niente di nuovo. Gli dei sembravano adottare sempre la medesima, scaduta tattica. E perchè non avrebbero dovuto farlo? Erano mere espressioni di emozioni umane, neanche vere divinità come il nome avrebbe dovuto indicare. Forme concretizzatesi grazie alla magia, vulnerabili come e più di loro, se solo lo volevano. Dipendenti dalla volubilità della specie a loro sottoposte, perchè, per quanto effimere, quelle stesse creature potevano provare i sentimenti che a loro erano preclusi e che dovevano assorbire per nutrirsi.
'Fanculo,
pensò Aster. Saranno anche dei, ma che dei? Dei di seconda categoria, dei inutili, se questo Mondo Emerso è il risultato della loro azione. Pezzi di scarto, un mondo che si nutre del dolore di chi lo lo abita, vampiri che succhiano le emozioni per poter vivere. Se gli esseri mortali non provassero emozioni, non esisterebbero neanche gli dei. Dei perversi, che alleviano la loro inutilità facendo scontrare le pedine fra di loro, guidando il ciclo di Sheireen e Marvash come meglio credono, permettendo che un ragazzo e una ragazza abbiano da patire tutto il male possibile, che si debbano scontrare confusamente, in una lotta eterna, se... costringono... queste oscure materie...
Aster scivolò nel sonno.

La ragazza faceva correre la mano sopra alla spada. Sentiva l’aria gelida della notte circondarla, avvolgendola nel suo manto ma, sebbene facesse davvero freddo, non fece alcuno sforzo per scaldarsi. Avrebbe potuto accendere un fuoco, se l’avesse desiderato. Invece non mosse un muscolo, a parte continuare ad accarezzare la lama. Si passò le due spade davanti agli occhi. Normalmente era solita riflettere davanti al suo pugnale, ma, chissà perché, stavolta le sue dita si erano serrate d’istinto sulle else gemelle che portava strette ai fianchi. Era strano impugnare quelle ami e saperle istintivamente usare, lei che la spada l'aveva sempre detestata: il Maestro diceva che non era un'arma da assassina. E adesso si rigirava quelle lame fra le mani, come a cercare in loro una sicurezza che in sé non provava. Eppure, avrebbe dovuto essere tranquilla. Non poteva morire, l’aveva sperimentato parecchie volte. Provò a calmarsi com’era solita fare, a chiudere gli occhi e a rallentare il respiro, eppure ancora qualcosa la disturbava.
Le lame erano nere, l'idea stessa del nero, di una tinta che non è definibile come un colore quanto piuttosto come cimitero di tutti gli altri. Il vetro dalle sfumature violacee riluceva alla luce della luna, mentre l liquido rosso scivolava a riempire e svuotare sempre aree diverse, ogni volta che lei le muoveva. Era come essere fissata dagli occhi de Grande Cthulhu, come li ricordava troppo bene, senza espressione, uno sguardo eterno in cui si fondevano tutto e nulla. Cthulhu non era il mala, perchè persino il male per essere tale deve possedere una certa vitalità. Era colui che stringeva in mano la medaglia della quale bene e male erano le due facce. E ricordando lo sguardo di quella statua, Dubhe si perse nelle sue riflessioni.
Sono già morta. E una ragazza morta non ha paura di nulla
, si ripeteva come un mantra. Ma no, non era paura di morire. Almeno non credeva. Lei non aveva mai temuto la morte, anzi, per lungo tempo l’aveva attesa come un’amica. Paura di perdere Aster, allora? Sì, ma sapeva quanto stupido fosse il suo cruccio in questo caso. Il mezzelfo condivideva la su immortalità, e non c’era nulla sulla faccia del Mondo Emerso che fosse in grado di nuocere a loro due o al loro rapporto. Riusciva quasi a sentire fisicamente le catene che la li legavano indissolubilmente. E allora, che cos’era quello strano sentimento che le inquietava l’animo?
Chiuse gli occhi, provando a ripercorrere gli ultimi eventi, uno ala volta. E lo trovò. Quella mattina, al villaggio. Bambini che giocavano, correvano e scherzavano. Un piccolo litigio accanto ad un torrente. Si era sentita straziare il cuore nel petto quando l’aveva visto, le era sembrato che il mondo fosse sul punto di crollarle in testa. Fortuna che un eventuale svenimento sarebbe stato in linea con il personaggio che interpretava. Ma poi aveva visto i piccoli, apparentemente dimentichi delle loro beghe, correre via e prendere ad inseguirsi fra le case. E qualcos’altro l’aveva lacerata dentro. Un senso di inaspettata
invidia. Quante cose lei non aveva mai fatto, e non avrebbe mai potuto fare!
Si era sentita abbracciare senza una sola parola. Però, si era detta, ci rinunciava volentieri, se quello era il compenso. Rischiando di tradirsi, aveva lasciato andare il suo capo contro il corpo di Aster. Una misera damigella e un potente come il mezzelfo. Beh, che quei villici pensassero ciò che gli pareva. Lui la stringeva protettivo, e questo era tutto ciò che le importava.
Tornò al presente, contemplò la causa del suo turbamento e, accettatala, fu capace di metterlo da parte. I suoi pensieri, ora calmi, tornarono all’indomani. Sì, ora lo vedeva con chiarezza, aveva paura. Paura di fallire, paura che qualcosa andasse storto. Paura che, nonostante tutto, accadesse qualcosa - un nodo d’apprensione le strinse lo stomaco - ad Aster. O anche a lei, oramai, se ne rendeva conto. Si può avere paura di morire solo quando si ha qualcosa per cui vivere. E adesso aveva paura per sé stessa.
Sei una stupida,
si rimproverò.
La comprensione del motivo della sua angoscia l’aiutò a superarla. Osservò la lama svasata delle spade. Le aveva usate, più e più volte, ma neanche una dentellatura interrompeva il filo, neanche un graffio intaccava la superficie nera. Aster le aveva detto di aver provato ad analizzare il materiale di cui era composta, senza esito. DI sicuro, nonostante la somiglianza praticamente perfetta,
non era cristallo nero. “Un materiale incredibilmente duro. Non c’è nulla che non riesca a tagliare, compreso il cristallo nero.” E a giudicare da com’era dentellata la lama della spada di Nihal dopo lo scontro fra le due, di sicuro doveva essere così. Il mezzelfo aveva avuto la premura di imporre un incantesimo sulla sua spada - lungo e difficile e che lo lasciò spossato - per evitare che venisse danneggiata durante gli allenamenti. La ladra aveva fatto la sua parte, imponendo alla realtà di fare in modo che l’arma di Aster non si spezzasse. Dubhe sollevò le due lame, mettendole fra i suoi occhi e la luna, osservando il cambio di colore fra le due spade sovrapposte, da sole e il semplice cielo notturno, e come il filo scomponesse la luce dell’astro. Riprese poi a passarsele fra le mani, facendo compiere al liquido che circolava al loro interno delicati arabeschi. Poi le abbassò; sconfitta. Il disagio non se ne andava del tutto; per quanto potesse essere diventata in grado di usarle, quelle armi non erano parte di lei, fra le sue mani suonavano nella maniera sbagliata. Non aveva mai dimenticato quel desiderio di usarle che aveva provato al prima volta che se le era sentite in mano, un sentimento così estraneo a lei che ancora oggi si sentiva fortemente a disagio, pensandoci.
Sospirò:
quando arriverò alla Rocca le sostituirò con qualcos'altro. Qualcosa di meno vistoso, possibilmente.
Rincuorata da quel pensiero, si ripetè che quelle spade non doveva farsele piacere per forza, che erano uno strumento e così sarebbero rimaste. Non c'era niente da fare, non sentiva la stessa intesa che c'era fra lei e il pugnale, l'arco, il coltello, la cerbottana e il laccio. Quelle erano le sue armi, non la spada. Almeno non doveva allenarcisi, le sapeva usare istintivamente, e questo le rendeva più sopportabili. Magari due armi nuove e anonime, che non portassero costantemente impresso il marchio del suo compito, sarebbe riuscita... beh, non a farsele piacere, ma almeno ad ignorarle. Con la mente tranquilla, temporaneamente rasserenatasi sapendo che il problema si sarebbe risolto di lì a breve, riuscì a trovare la pace e la consapevolezza che il giorno dopo sarebbe andato tutto bene, e, rientrata nella tenda, posò il capo sulla spalla del mezzelfo assopito. Il suo braccio le circondò la vita e la ragazza sorrise, e con quel sorriso sulle labbra sprofondò anche lei in un dolce sonno.

I suoi piedi si poggiarono sulla neve appena caduta. Un vento gelido la sferzava: sembrava che anche la natura avesse deciso di schierarsi contro di loro. Un’altra folata, che portava con sé tutto il gelo invernale che in alta montagna diventava ancora più rigido, le fece cadere il cappuccio, rivelando il suo volto pallido e serio. I suoi profondi occhi grigi ardevano come braci nelle cavità oculari. Aster la raggiunse, poggiandole le mani sulle spalle. “Dubhe, che cosa c’è?”, le chiese.
Lei chinò il capo. Quando sospirò, il respiro si condensò in una nuvoletta che le danzò davanti al volto: “Niente”, rispose.
Il mezzelfo le sollevò il mento con le dita: “Riprova”, le suggerì, fra il preoccupato e il canzonatorio, riuscendo a strapparle un timido sorriso. “Stai bene?”

No”, sussurrò la ladra, mesta. “Ma non importa. Lo sai anche tu, che sono fatta così. Stai tranquillo. Fisicamente, va tutto bene.”
No, che non va tutto bene.” Si era fermato, e il suo tono era serio.
Però non c’è niente che uno di noi due possa fare.”
Lui le sfiorò la guancia con la punta delle dita, un gesto timido, quasi da adolescente qualsiasi.

Dubhe…”
La ragazza si era appena voltata: “Dimmi, Aster.”

Avrai sempre quello sguardo quando sei preoccupata? Dai, sorridi. Anche solo un po’ va bene…”
In reazione a quelle parole, volontario o no, un timido sorriso apparve sulle labbra dell’assassina.

Ecco. Sei così bella…”
Ma i suoi occhi restavano pieni di ombre.
Così bella e così triste...

Dubhe?”
Mmmh?”
Ci credi negli Altri Dei?”
La ragazza lo fissò, confusa dalla domanda: “Se intendi chiedermi se li ritengo le mie divinità, allora no, io non mi inchino davanti a nessuno. Se invece mi stai domandando se esistono o no... beh, certo che sì. Tu ne sei la prova vivente.”

E data la loro natura, credi che siano onnipotenti?”
Lei fece spallucce: “Non ne ho mai avuto la prova contraria, quindi suppongo di sì.”

Quindi, se sono onnipotenti, possono anche creare un mondo come lo desiderano loro, no?”
Dubhe sbuffò: “Mi pare ovvio.”

Quindi possiamo supporre che in questo momento possano creare un mondo uguale identico al nostro, giusto?”
Non capisco dove tu voglia andare a parare, ma sì.”
E se creassero un mondo uguale al nostro, potrebbero esserci anche i suoi abitanti, con una memoria storica già definita...”
Che cos'è la memoria storica?”
Praticamente significa una memoria con i ricordi già in essa.”
Ok... Ah, ho capito dove stai andando a parare.”
Dubhe abbassò gli occhi e quando li sollevò di nuovo le brillavano.

Grazie, Aster. Mi hai fatto meglio di quanto tu non creda... forse... anche se mi conosci così bene... comunque grazie. Ho capito.”
Si fermò e si leccò le labbra un momento: “Forse…”, iniziò timidamente. Le sue guance avevano assunto una sfumatura di rosso assolutamente adorabile.
Affanculo la missione. “Mi dai un bacio?”
Aster la tirò a sé e fece come lei gli aveva chiesto. “Meglio?”, le chiese poi.
La ragazza annuì. Il gelo che la proteggeva era tornato, e aveva portato con sé la freddezza di cui aveva bisogno. Respirò a fondo, concentrandosi su sé stessa, finchè non le parve di poter percepire ogni stilla del fluido che le scorreva nelle vene, caldo al tatto, ma ghiacciato, lo sapeva. E così stava bene.
Le ombre che le offuscavano gli occhi si erano dissolte.

Meglio. Grazie.”

Camminavano su quel pavimento lastricato d’oro, senza che le loro calzature producessero alcun rumore. Si muovevano lentamente, attenti, guardandosi intorno. Un minimo dettaglio poteva salvar loro la vita. Quel posto dava sui nervi. Ricordava troppo Makrat, opprimente nel suo splendore. Dubhe, totalmente insensibile alla magnificenza del posto, osservava con sguardo calcolatore gli ordini di colonne delle navate. Se si giungesse ad uno scontro, riflettè, logica e fredda come al solito, sarebbero un ostacolo non indifferente. Ma potrebbero costituire anche un buon riparo. Mmmh…
Fra le statue c'era quella di una fanciulla, vestita di un peplo, con in mano una lancia e una saetta. La giovane ladra ebbe un fremito. Continuò a guardare la statua, cercando di capire cosa ci fosse in lei che la infastidiva così tanto, quando riconobbe il familiare formicolio al braccio.
Ma all’improvviso, una melodia ruppe il silenzio e lei sobbalzò, stupita, rimproverandosi aspramente per quella mancanza di attenzione. Anche Aster aguzzò le orecchie a punta: l’aria aveva iniziato a riempirsi di una specie di canto, declamato dalla voce di una fanciulla. Era in elfico, ma i due lo comprendevano perfettamente, un'altra abilità acquisita dopo il patto che avevano stipulato.

Luce, mia luce,
Dovè la mia luce?
Lombra lha avvolta
Nel suo tenebroso seno lha accolta.
Sole, mio sole,
Dovè andato il mio sole?
La notte lha rubato
Nel buio profondo lha agguantato.
Vita, mia vita,
Dov’è la mia vita?

Dalle mie dita è fuggita
Come un fiore tra i rovi è appassita

Dubhe fu svelta a tirare Aster dietro una colonna. “Ci siamo”, sibilò. La luce si stava cristallizzando in una sagoma. Non appena fu riconoscibile, la ladra sentì la rabbia salirle nel petto. Tu. Represse a forza l'ira, lasciando che fossero solo il gelo e la lucidità a guidarla in quel momento prossimo alla battaglia, ma l'irritazione per quella figura restava. Quanto, quanto aveva odiato quel volto delicato, spruzzato di efelidi, quei ricci biondi, quello sguardo vivace! Cavarle gli occhi con le unghie, strapparle quei maledetti capelli, spellare quel dannato volto da ragazzina innocente, squartarle la gola a morsi così che non potesse più ripetere le sue fottute ipocrisie, ecco cos’avrebbe voluto.
Troia…”, sibilò. Si voltò verso Aster, piantò i suoi occhi grigi in quelli smeraldini di lui. Il ragazzo si perse in quello sguardo: come fa ad esserci così tanto odio nel tuo sguardo, Dubhe, e come fai ad essere nel contempo tu così perfetta e così pura? Non conosceva la risposta, sentiva solo che era... ingiusto, ecco, che negli occhi bellissimi di quella ragazza covasse tanto disprezzo. Provò un moto d'ira nei confronti di quella figura che aveva intravisto solo di sfuggita: per aver fatto provare simili sentimenti a Dubhe, chiunque essa fosse, semplicemente non era degna di vivere. La voce dell'assassina, fredda e dura come raramente l'aveva sentita, lo riscosse: “Qualunque cosa accada, con lei me la vedo da sola, hai capito?”
Il mezzelfo fece cenno d'aver capito. “Sappi però che se ti vedrò nei guai interverrò, che tu lo voglia o meno.”
Dubhe annuì brusca: ”Sta bene.”
Girò il capo e tornò a concentrare la sua attenzione sulla figura che si agitava sotto la cupola, probabilmente, pensò, cercando di capire che cosa ci facesse lì. Gli dei non avevano bisogno di mettere il loro zampino: quella puttana la odiava già abbastanza di suo.
Uscì dal suo ricovero, stagliandosi in controluce, affinchè la sua nemica potesse vederla bene così come la vedeva lei.

Rekla”, sputò con astio.

La Vittoriosa si voltò. Un ghigno parve disegnarsi sul suo volto di porcellana: “Dubhe.”
Sì, sono proprio io. Dimmi, che sono curiosa, cosa si prova a venir fatta a pezzettini?”, la irrise.
La bionda strinse i pugni. Troppo facile, pensò la ladra, di quel passo non si sarebbe neanche divertita a sfotterla come aveva previsto. Altre due battutine, e avrebbe avuto praticamente la bava alla bocca. “Thenaar mi saprà ricompensare del mio sacrificio, non temere.”

Sei sempre stupida e fanatica come ti ricordavo”, replicò beffarda la ragazza. “La Gilda non esiste più, Yeshol ha fatto una fine mille volte peggiore della morte e il culto del tuo Dio Nero è stato cancellato dalla faccia del Mondo Emerso.”
Ma Thenaar è ancora con me! E anche tu, Dubhe, anche se lo neghi, sei anche tu una creatura di Thenaar! Sei un’assassina! Non osar dire che non è vero!”
Sì, sono un’assassina. Ma non sono una Vittoriosa. Guarda me, e guarda cosa sei tu. Io non sono più la ragazzina debole che avevate soggiogato nella Setta. Ho fatto cose che gli uomini neanche immaginano. Non hai neppure la minima idea di che genere di sangue abbia macchiato le mie armi. E qual è stata invece la tua vita, a parte inchinarti e blaterare idiozie?”
Qualunque fosse stata la risposta, fu cancellata da un ruggito di rabbia. Rekla le balzò addosso come un animale ferito, con un pugnale in una mano e una spada nell’altra. Senza scomporsi, Dubhe sguainò le lame gemelle e parò i colpi, per poi contrattaccare. Le quattro lame si scambiavano colpi ad una velocità sovrannaturale. La Vittoriosa calò un fendente, e le due sciabole della ladra furono pronte ad intercettarlo. Poi toccò a lei colpire, e un largo strappo si disegnò nel mantello dell’Assassina.

Non mi hai fatto niente”, sputò Rekla.
Dubhe non si degnò nemmeno di replicare. Il suo core batteva calmo nel petto, scandendo i movimenti delle sue armi. La sua concentrazione era assoluta. Ad ogni battito corrispondeva una parola.
Aster. Aster. Aster.
Ma quel nome, anzichè distrarla, semmai aumentava la sua concentrazione. Dubhe non era mai stata così determinata. Mosse le due spade parallelamente, e sfiorarono il corpo della donna, ad un paio di centimetri di distanza. “C’è mancato poco”, osservò questa, ma neanche stavolta la ragazza la degnò di una risposta. All’improvviso, a Rekla parve di vedere uno spiraglio nelle difese della nemica. Affondò la spada: “Non mi mancherà mai la forza di servire il mio dio!”, esultò. Poi si accorse di una cosa. La giovane non era a terra sanguinante, stringendosi una ferita mortale, no. Le due lame che impugnava avevano intrappolato la sua spada in un morsa letale.

No”, mormorò l’Assassina.
Sei patetica,
pensò Dubhe. Hai il nome di Thenaar sulle labbra, ma dov’è il tuo dio, adesso? Poi torse bruscamente le sciabole, e l’arma che Rekla impugnava le si frantumò fra le mani. La Vittoriosa gridò di rabbia e le si scagliò addosso, puntandole contro la daga. Le lame della ladra sibilarono, attraversando l’aria e mozzandole di netto la mano. Stavolta l’urlo che si alzò fu di dolore. L’Assassina la guardò furente, stringendosi il moncherino. Le restava una cosa da fare. Prese lo slancio e saltò addosso alla sua nemica a mani nude.
Dubhe accettò la sua scelta. E mentre la donna le balzava contro, tese la spada e la inchiodò alla parete, trafiggendola e infilandole la lama nel petto fino all’elsa.

Rekla sputò un fiotto di sangue. La ladra ringuainò la seconda spada e le strinse la mano libera attorno al collo. Estrasse dal suo corpo l’arma con cui l’aveva infilzata e rimise anche quella nel fodero. Prese il pugnale. La donna perdeva molto sangue, ma la cosa non le interessava. Sarebbe stato ben altro che l’emorragia ad ucciderla.
La Vittoriosa sogghignava: “Non ne sei capace, stronza.”
Questo commento la fece davvero arrabbiare, perché era capacissima di ammazzarla, e lo sapevano entrambe. L'aveva già fatto, in fin dei conti. La questione era un’altra.
Vuoi sbatterla nella stessa cenere in cui ha gettato te. Vuoi vederla soffrire come ti ha fatto soffrire. Vuoi vederla supplicare pietà, e poi negargliela.
Gli occhi di Dubhe passavano in un lampo confuso dal grigio, ad un rosso rubino, tanto scuro da sembrare nero, per poi tornare grigi. La ragazza serrò e rilassò la presa sul pugnale e si passò la lingua sulle labbra, nervosamente.
Vuoi tagliarle la gola, e contare quattro minuti di agonia. Vuoi godere del suo sangue e danzare nel suo dolore. Vuoi tutto ciò che rifiuti, ma che dentro di te in fondo brami.
Si deterse la fronte imperlata di sudore con la mano con cui reggeva il pugnale.
Vuoi ammazzarla nella maniera peggiore possibile
.
La ladra scosse la testa, ma quella voce non se ne andava.
E allora io avrò vinto.

Rekla credette di avere un’allucinazione, perché altro non poteva essere. Dietro alle spalle di Dubhe, era apparso un ragazzo stupendo. Non vide i suoi capelli blu, la pelle alabastrina, le orecchie a punta. Quelli furono dettagli che apparvero ad una seconda occhiata. Ma la prima impressione venne dai suoi grandi occhi verdi, gli stessi occhi sotto i quali aveva pregato per quarant’anni.
Aster”, mormorò.
Il mezzelfo la squadrò con freddezza, quasi disgustato. “Sì, Aster.”
Poi posò la mano sulla spalla della ladra, e si chinò a bisbigliare al suo orecchio, a voce talmente bassa che solo lei lo sentì: “Dubhe. Mi senti? Ti amo.”
La ragazza spalancò gli occhi.
Rekla sogghignò: “Non riesci a far nulla. Va' all'inferno, puttana.”

Ci sono già stata”, rispose fredda la ladra, e calò il pugnale.

Il corpo cadde per terra con un tonfo. Dubhe aprì gli occhi e si arrischiò a guardare. Aveva trafitto la sua nemica al cuore. Aveva avuto l’occasione di vendicarsi per tutto ciò che aveva fatto. Nessuna tortura sarebbe stata troppo crudele per una persona che le aveva inflitto tanto dolore. Ma non l'aveva fatto. Si avvicinò al cadavere, ed estrasse il pugnale.
Io non sono come te, maledetta.”
Si rialzò, puntellandosi sulle braccia e traendo un profondo respiro: “Siamo tutti mortali.”
Vacillò, sentendo la vista che le si appannava. Chiuse e riaprì gli occhi per schiarirsela.
”Tutto bene?”, le chiese gentilmente il mezzelfo.
La ragazza annuì piano: “Sì, io…” S’interruppe bruscamente, e piegandosi in due, rigettò il contenuto del suo stomaco sul pavimento dorato. Si asciugò la bocca con la mano: “No”, disse amaramente.

Sai che ti capisco.”
Aster le passò una borraccia per sciacquarsi la bocca. Nel frattempo, diede un’occhiata alla sala. “Mi presti le spade?”, chiese. Dubhe, confusa, gliele porse senza domandare il perché. Il mezzelfo camminò a grandi passi fino alla statua che già la ladra aveva notato in precedenza. Le si fermò davanti e calò bruscamente le spade. La scultura d’oro oscillò e cadde a terra, divisa diagonalmente. Il raggio di luce che danzava nella sala scomparve.
Aster tirò fuori il talismano e lo osservò, soddisfatto. La pietra gialla aveva assunto un colore grigio opaco e spento. Sorrise.
Passò accanto alla ragazza e le restituì le spade. “Grazie.”
Lei le prese senza un commento. Si portò una mano al volto, ma la vide rossa di sangue e sentì un secondo conato di vomito salirle su per la gola. Deglutì e allontanò l'arto dal viso, disgustata e allo stesso tempo imbarazzata. “Odio uccidere, eppure è la cosa che so far meglio”, mormorò. A fatica si alzò e indicò con il capo il corpo di Rekla.

La mia mamma mi diceva sempre che non esistono i mostri… non quelli veri… invece ci sono”, disse con un filo di voce. Si fermò, e riprese con un tono ancora più basso: “Perché dicono sempre queste cose ai bambini?”
Aster la prese per le spalle e incontrò il suo sguardo. Gli occhi tormentati di Dubhe lo supplicavano. La verità, chiedevano, nulla di più. E lui gliel’avrebbe detta, costasse quel che costasse: “Perché nella maggior parte dei casi, è vero”, mormorò.**

____________________________________________________
*Alla Assassin's Creed
* Aliens

A quanto pare sono vivo, e Dubhe e Aster anche.
Qui sotto c'è Dubhe, più o meno come è nel racconto (fatta con il programma di creazione del personaggio di Dragon Age e le mod Pineappletree Vibrant Colours, Bidelle Cosmetics e More Hairstyles.

http://image.forumfree.it/4/5/3/7/6/6/9/1339598759.jpg

   
 
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