Capitolo
37
Tanto lui è
peggio di me
Se avesse avuto
coraggio, quella mattina, sigillata Isa fuori dal suo mondo, sarebbe corso da lei. Conosce la strada, in auto o con
l’autobus. Avrebbe indugiato sulla sua porta, ma giusto un po’, il tempo di
scrollarsi via la nebbia dagli occhi, e si sarebbe gettato tra le sue braccia
con quel senso di liberazione che gli serpeggia lungo la schiena e gli si avvita
allo sterno, sciogliendo il nodo in un languore insopportabile. Ci avrebbe fatto
l’amore. Libero. Dal suo fantasma,
dalla parte rinnegata di sé, dal dubbio impronunciabile che la sua faccia
insinua negli altri. E dopo, forse, avrebbe pianto. A lungo. Se non fosse caduto
in deliquio seduta stante, con quel sollievo insopportabile che gli cola dalle
ciglia.
Ma lui non è
coraggioso. Non lo è mai stato. È paura del rifiuto, del suo ritratto distorto
scolpito negli occhi di chi guarda. Dopotutto, lui ed Elena sono dannatamente
simili nel chiudere ermeticamente fuori dalla loro vita intere schegge di sé.
Sezionare la loro identità in frammenti separati e
inconciliabili.
Raggiungere di
nuovo la sua stanza, scuotersi di dosso la polvere e l’amarezza, reduce dallo
scontro fisico, l’unico proposito che
riesca a ruminare nella mente, mentre si lascia andare contro il muro. E per un
attimo la sua visuale è un turbinio di macchie scure in campo
bianco.
Sorride, Andrea.
Ripassa mentalmente il tragitto fino a casa di Elena, morbido e rassicurante
come una melodia già scritta. Mettersi alla guida adesso, proprio no. Non con la
mente che vacilla, la nausea che sale; non se potrebbe svenire in corridoio da
un momento all’altro e restare lì, spalmato tra il pavimento e la parete con
l’intonaco giallo piscio, come una cosa squallida e
dimenticata.
Il modo peggiore
per catapultare l’attenzione su di sé.
Non ora, Andrea,
non ora. Con calma: adesso te ne torni un attimo in camera, te ne stai
tranquillo, e tutto andrà bene.
Sforzarsi di
stare bene e trascinarsi a far colazione è un’ipotesi trascurabile, quando sei
reduce dall’amputazione a sangue freddo di un lembo del tuo
vissuto.
Barcolla, la
sensazione di morire dissanguato con la pelle strappata via a brandelli. O
lobotomizzato da un ingegnoso sistema a risucchio. La faccia di Isa scolpita
nella mente, la voce accusatrice, i capelli come fiamme che urlano per
fagocitarlo nelle loro spire: solo un attimo, poi il sollievo di respirare. Non
gli darà più fastidio, ora: è semplicemente scomparsa dalla sua esistenza come
una cosa vetusta, come una brezza fastidiosa che non lo toccherà più, cancellata
dai suoi orizzonti e dalla faccia della terra. Potrebbe dormire sonni
tranquilli, da ora in avanti, persino guardare Gabriele negli occhi senza che
una smorfia ostinata gli incurvi le labbra. Il resto non è che un turbinio di
luminescenze confuse davanti agli occhi.
Andre? Andre?!
Santo Iddio, che succede? Andava tutto bene…
Zitto, Patrizio,
zitto. Sei tu? Grazie al cielo, perché io non ce le ho proprio, le palle di
affrontare Gabriele o Elena, dopo Isa.
Vorrei
assicurarmi che lei non sia ancora nei paraggi. Lei e i suoi occhi azzurri
impastati di mascara che ti mangiano vivo…
Va tutto bene.
Forse. Dopo che me ne sono andato, con lei che cercava di incatenarmi a sé...
Quando ho riabbassato le dita sulla maniglia, di colpo tutto ha ripreso a
girare.
Respira, Andrea.
Va tutto bene.
Fottutamente
bene.
Andre?! Vuoi che
chiami qualcuno?
Zitto! Non
chiamare nessuno. E meno male che sei tu. Perché non sarebbe facile spiegare.
Allontanare da me questa patina d’inchiostro…
La maglia nera di
Patrizio, simile a una seconda pelle, è il primo aggancio con la realtà che lo
rigetta nel mondo dei vivi. Stringe la stoffa tra le dita, possessivo, come
un’ancora di salvezza. Come se mollare fisicamente comportasse poi il non poter
risalire più in superficie.
Meno male che c’è
lui. Che lo conosce ma non
abbastanza. Nella sua gradazione buona di ragazzino liceale che gli moriva
dietro. Non ha conosciuto la sua metà oscura, il suo limbo delle cattive
intenzioni, la sua deriva. Il piede in fallo.
Cadrebbe a terra
e resterebbe lì, se non ci fosse lui a mantenerlo vigile, a schiaffeggiargli le
guance. A premerselo addosso in un abbraccio infinito, sorreggendolo dalla
pesantezza del distacco che lo attrae verso il suolo.
- Andre, allora?
Mi spieghi cosa succede?
La sua voce di
velluto lo riscuote in via definitiva. È come una scrollata decisa, una carezza
alla base della nuca.
Niente. Non è
successo niente…
- Uhm… cos’è? –
borbotta, confuso.
- Questo devi
dirmelo tu, Andre – Patrizio se lo rigira tra le braccia come una bambola rotta:
lo scuote per le spalle, gli afferra il volto tra le mani e cerca il suo
sguardo, divorando lo spazio che li separa – Stavi per svenire qui in mezzo al
corridoio.
Andrea sbatte le
palpebre. Si osserva intorno: è quasi miracolo che si sia retto sulle sue gambe
per tutto il tempo. Afflosciato contro Patrizio, okay, ma è l’ennesimo dettaglio
di poca importanza.
L’ho appena
mandata al diavolo.
Isa: ricordi? No,
non puoi ricordare. Tu sparisci e ricompari quando vuoi, quando può esserci
bisogno di te: sai evitarti il peggio e scegliere di me le parti che preferisci
per aggiungerle al tuo collage.
Fortuna o calcolo
sapiente? Non mi importa. Non saresti fiero di me.
- Pulizie di
primavera – Andrea cincischia nervosamente con le chiavi della macchina che
sprofondano sempre più in fondo alla tasca: troppo tardi, davvero troppo
tardi, per passare a prenderla e mostrarle la sua faccia nuda e ripulita – Mi
sono solo sbarazzato di cose vecchie e inutili. Roba
pericolosa.
Lo sente, il
sorriso crudele che gli stira le labbra fino a far male. Ridacchia. Per lei
sarebbe un colpo al cuore sentirlo parlare così. È un’idea malsana che quasi lo
fa sentire meglio.
La parte più
preoccupante è che, dal momento in cui Isa è piombata nel suo campo visivo, le
labbra arricciate come se avesse inghiottito un limone, è stato il volto di
Loria a vibrargli nella testa, vergato a fuoco sulla sua pelle. Lei che non l’ha
abbandonato.
Lei, che avrebbe
voluto avere accanto, che vorrebbe in questo preciso istante. Ma non è più
tempo, perché i minuti sono tiranni e lui è un vigliacco. Perché lo sa, di
fronte a lei non ci sono maschere che tengano. La lingua gli si scioglierebbe, e
si confesserebbe tutto.
C’è solo Patrizio
che lo culla tra le braccia, Patrizio che è capitato da quelle parti, tirato
dentro per caso nelle sue paturnie della giornata, e che di lui serba uno strano
ricordo.
Si è appena
liberato della sua parte scomoda, Andrea, e l’urgenza di un pianto liberatorio
se n’è andata via come sabbia tra le dita. La sua unica paura è che il passo non
sia definitivo come vorrebbe. Che per Isa non sia e non sarà mai una resa
condizionata.
Qualcosa dovrebbe
essere cambiato intorno a lui – pensava che avrebbe sentito le campane e i cori
angelici, o almeno di camminare sotto una luce diversa. Eppure è tutto
squallidamente come prima, grigio e instabile davanti ai suoi
occhi.
C’è Gabriele che
continua a fuggire da lui, che non sopporta di averlo vicino e si nega: finge di
aver dimenticato il passato, lo stringe a sé per poi mollarlo sul più bello,
lasciandogli addosso un languore insopportabile; c’è Isa che diceva di amarlo,
ma ha amato solo la sua maschera, la riduzione in scala delle sue emozioni; c’è
Riccardi che uno di questi giorni si prenderà la sua testa, con buona pace di
tutti, e il quadro è completo.
La verità è che
nessuno l’ha mai preso per ciò che è, con tutta la fuliggine della sua
ambiguità. Ma lei è sempre stata la
sua prima scelta. Lei che sospira
condiscendente alle sue uscite da perfetto nevrotico, lei e il biondo sporco dei suoi capelli
che le accarezzano la vita. Il punto fermo quando tutto sembra andarsene alla
deriva.
- Va meglio
adesso? – le dita leggermente ruvide di Patrizio scorrono sulla sua guancia come
farfalle.
Ha ignorato i
suoi deliri, il suo sguardo che scivola sul pavimento; ha preferito alzare un
muro e pensare alla realtà concreta piuttosto che alle sue parole criptiche.
Alla sua faccia pallida e al suo continuo barcollargli addosso come sull’orlo
del collasso.
- Una meraviglia
– Andrea china il capo, lasciando che i riccioli scomposti calino a schermargli
il viso. Il ricamo di un madore gelido inchiodato alla
fronte.
- Ci ho parlato –
quasi si costringe a sputare le parole – Abbiamo parlato. È stato
imbarazzante.
Patrizio corruga
la fronte, stranito.
La verità è che
lui non è mai stato un libro aperto, neanche con Patrizio, che pensa di
conoscerlo come le sue tasche. Lui non parla chiaro: allude, si limita a
sfiorare la realtà con dita di fata.
Non sono un Alex
Thompson qualunque, che pensi di poter plasmare come
creta.
- Isa. L’ho mandata al diavolo – sussurra,
oscillando in avanti fino a sfiorargli la spalla con la propria
fronte.
- Isa? – Patrizio
sembra smarrito.
Smarrito nella
nebbia e nella vertigine di un mattino dai toni grigiastri. I contorni troppo
decisi che spiccano in quel biancore surreale.
Oh, non
preoccuparti. Ti sei perso qualche dettaglio fondamentale. Per fortuna. E non
hai perso nulla. Lo sporco, le menzogne.
- Andiamo,
dai.
Niente di nuovo.
Tranne lei che brucia da qualche parte dentro di me, vicino al
cuore.
- No, non andiamo
da nessuna parte – Patrizio lo afferra per le spalle,
perentorio.
E dagli coi
deliri da amico più grande, con la macchina nuova e la testa attaccata al
collo…
Gli straccia di
mano le chiavi della sua stanza con facilità disarmante e le fa girare nella
toppa al suo posto.
- Adesso ti siedi
un attimo e cerchi di riprenderti – conclude, scostandogli i capelli dalla
fronte sudata – Hai fatto colazione? – adesso la sua faccia è a tre centimetri
esatti dalla sua.
Così vicino da
poter apprezzare la grana della sua pelle, la linea nera sottilissima sulla rima
inferiore dell’occhio, che fa del suo sguardo di cobalto un abisso senza fondo.
E il brillantino alla narice sinistra a impreziosire quella sua aura
rassicurante da pizzo di Sangallo.
- Certo che no,
mamma – Andrea sorride, corrosivo,
rimarcando bene ogni sillaba.
- Bravo idiota! –
Patrizio gli passa una mano tra i capelli, arruffandoglieli di
gusto.
- No, grazie –
Andrea si stropiccia gli occhi, la testa leggera – Avrei vomitato sul
serio.
* *
*
Non è la giornata
giusta per trascinarsi in Accademia e pretendere di tenere il proprio caos
esistenziale fuori dalla porta, e concentrarsi solo sul quaderno degli appunti e
sulle parole della Longoni – lezione delle nove in punto, il minuto spaccato in
due.
Non è la giornata
giusta per pretendere da sé stessi un cervello perfettamente carburato e al
pieno delle sue funzioni. Perché succede che lo sguardo fugge via e l’attenzione
va per conto suo, persa nei meandri della semincoscienza.
E poi c’è il
pensiero di lei che continua a
urlargli nella testa come una sirena continua. A farlo sorridere tra sé come un
idiota.
La prima volta
che l’ha vista nell’aula a gradoni, accoccolata al suo posto qualche fila più in
basso. Mitologia della sua gloriosa parentesi goldoniana.
Seduta al suo
fianco, Isa aveva scelto quel momento per insinuare un’ipotetica somiglianza tra
Loria e una delle tre mogli di Dracula. La risatina sprezzante che era seguita,
gli era rimbombata fino al cervello in un tintinnio di cristalli, ma qualche
arcano istinto di sopravvivenza gli aveva fatto rimuovere all’istante
l’accaduto. Isa e Alessandro avevano continuato a blaterargli nelle orecchie, ma
il suo sguardo era calato su quello di lei di caffè forte.
Solo che non era
aria. Non era il momento giusto.
Nell’intervallo,
Isa l’aveva raggiunto tutta pimpante per inoculargli a piccole dosi l’idea di un
appuntamento al buio ma non troppo – come dimenticare? La scelta era ricaduta su
una sua amica, la bionda ossigenata che gli faceva l’occhio gattamortesco
durante la pausa-caffè. Giorgia? Giulia? Juliet? Com’è che si
chiamava…?
- Potresti
chiederglielo tu, di uscire – Isa gli
aveva dato di gomito, e per poco non gli aveva rovesciato sulla maglietta il the
delle macchinette.
Niente caffè,
quel giorno: lo ricorda come fosse ieri, il sentirsi sull’orlo di una crisi di
nervi. Non è mai riuscito a spiegarsi il perché. Punti interrogativi rimasti
tali, sopravvissuti tra una scossa di riassestamento e
l’altra.
- Non so – si era
stretto nelle spalle, sperando che la sua reticenza convincesse Isa a mollare la
presa.
Cambiare
argomento: imperativo categorico. Pure il colore fuori moda della carta da
parati o la tinta color menopausa della Balducci avrebbero fatto al caso
suo.
- Secondo me, un
po’ le interessi – Isa aveva assottigliato le palpebre, felina – Ti guarda
sempre!
- Non è il mio
tipo. Troppo appariscente… sembra aggressiva.
L’avrebbe
sperimentato a sue spese. Ma Isa sembrava decisa a parcheggiargli Barbie Formato
Famiglia tra stomaco e pancreas.
- E chi sarebbe…
il tuo tipo? Sentiamo! – Isa aveva tamburellato col piede sul pavimento come
Shirley Temple, squadrandolo con occhi da squalo.
- Mah, qualcuno
tipo… – Andrea si era osservato intorno alla disperata: un diversivo, ora –
Tipo… lei.
E aveva posato lo
sguardo su Loria.
L’errore
fatale.
Loria.
- Oh, Cristo
santo! – Isa si era battuta una mano sulla fronte,
rassegnata.
Aveva biascicato
qualcosa a labbra socchiuse, scaglie di vetro tagliente schizzate via per caso
tra un insignificante, un mi sta antipatica e un ma chi diavolo è; poi gli aveva preso il
braccio e l’aveva trascinato in aula.
Ma dai, bella
quella lì?! È una ragazzina. Fa la dark lady asociale per darsi un tono, ma non
c’è, non ha personalità, il numero non regge…
A me pare che di
personalità ne abbia eccome, se preferisce soprassedere pur di non entrare nel
giro e accettare passivamente un gioco al massacro. A meno che con “personalità”
non si intenda gridare più forte…
Avrebbe voluto
obiettare, capovolgere la sua visione, insinuarle almeno il dubbio, dar voce ai
pensieri confusi che gli urlavano nella testa, ma qualcosa gli calcificava le
parole in punta di lingua. Isa aveva archiviato l’intoppo sotto la voce
“incidente di percorso”, gli aveva allacciato un braccio intorno alla vita e se
l’era portato via.
Meriti di
meglio.
Se lo chiede
ancora, Andrea. Cosa fosse quella strana frenesia, da parte della sua amica, di
vederlo accoppiato a breve con un partito da lei suggerito con amore. Paura che
se ne andasse via come il pane, che qualcuno mettesse in discussione il suo
posto privilegiato nella sua vita, o chissà che altro. La smania
destabilizzante, il miraggio di essere per lui il faro, l’alfa e l’omega, il
telaio che tesse per lui la strada.
Non ricorda se se
lo fosse chiesto prima di allora, ma la verità spicciola era che nessuno gli
interessava. Uomo o donna. C’era lei
con i capelli che le sfioravano i fianchi, il volto impermeabile, e poi boh,
chissà. Isa diceva no: non valeva la
pena di perdere tempo con una come quella. Prevedibile e scontata. Superba
e musona a guardare in cagnesco il mondo, come se lasciarla cuocere nel suo
brodo fosse una colpa capitale. Una così
ti inacidisce il sangue.
Balle,
insinuazioni a misura di cretino.
Isa accennava ad
un possibile incontro da combinarsi tra lui e Barbie, ma i suoi occhi
indugiavano di nuovo in quella direzione. Sulla ragazza seduta due file dopo la
sua. I bei lineamenti, i capelli tirati su in un semiraccolto casuale, l’aspetto
tutto sommato ordinario rianimato da un look coraggioso.
Non aveva mai
provato ad attaccar bottone: poteva essere tutto e la sua negazione. E poi il
suo gruppo lo marcava stretto, e sembrava ci fosse un fastidioso strato di
nebbia a dividerli, così spesso da renderlo a malapena consapevole, da far
naufragare ogni suo proposito nel limbo delle intenzioni non mature. Non che gli
facesse battere il cuore, ma scambiarci qualche parola non gli sarebbe
dispiaciuto. Aveva una faccia tutt’altro che banale e un modo di osservarlo che
lo incuriosiva.
Quando il gioco
di sguardi si faceva troppo serrato, di solito mollava la presa e fuggiva
altrove. Quella volta, però, la vista gli si era incagliata sulle labbra del
professore di Tecnica Drammaturgica che si muovevano in sincrono con il fluire
del discorso, sul gesticolare ipnotico delle mani, sui capelli bruni
che rilucevano di riflessi rossastri sotto il bagliore rovente di
mezzogiorno.
Aveva deglutito,
imbarazzato, quando le iridi del professore avevano virato su Loria e poi su di
lui, penetranti, e da lì non c’era stato più per nessuno.
Sospira, Andrea.
Si fissa la punta delle scarpe. Guarda
come va ora. Tutto deliziosamente alla rovescia, tutto deliziosamente a
scatafascio.
Patrizio l’ha
accompagnato sulla porta dell’aula continuando a fissarlo di
sottecchi.
Curioso.
Lui, del resto,
ha fatto del suo meglio per fugare ogni dubbio.
Va tutto bene,
dannazione. Non ora, ma tra poco: te lo giuro. Non appena mi sintonizzerò sulla
lunghezza d’onda del fatto che un dannato capitolo è chiuso. Chiuso per sempre.
Ha provato a
cambiare argomento, a spostare il discorso su qualcosa che esulasse dai fatti
suoi personali; persino a pronunciare la parola magica: Alex Thompson.
Pensa, Patrizio:
avresti potuto invitarlo a bere qualcosa e sondare il terreno, invece che
supplire il ruolo scomodo di Gabriele come guardia del corpo dell’amico
paranoico. Non è da te.
- Cos’è successo
poi, di grazia? Dopo che sei andato da lui.
- Niente. Un buco
nell’acqua. Niente che già non sappia. Che ti credevi, numeri da
circo?
- Almeno ci hai
provato? – incalza Andrea.
- Non dire
stronzate!
Quell’altro non
si è fatto vivo. Il caso umano numero due. Che le fantasie apocalittiche di
Patrizio l’abbiano terrorizzato al punto da fargli scartare l’idea di mettere il
naso fuori dalla sua stanza per le prossime quarantotto
ore…?
Poi lo vede,
un’apparizione improvvisa accasciata contro la colonna all’ingresso, con la
sigaretta in bilico tra le labbra. Forse ha capito l’antifona, lui e il suo
musetto sottile da volpe. Jeans neri ficcati dentro anfibi consunti dal
retrogusto punk, kajal appena accennato e capelli lisciati all’ingiù –
irrimediabilmente color melanzana. Meno pompato del previsto. Forse si è dato
una calmata: vietato attirar troppo l’attenzione, esporsi in prima linea, quando
una spada di Damocle da venti quintali pende sopra il tuo
capo.
Sorridi, Andrea:
c’è chi è preso peggio di te.
* *
*
- E mo’ che
succede?
Andrea mette giù
la borsa di scatto, la tracolla incastrata tra il collo e la spalla. Giornata
dimmerda quanto basta da renderlo elettrico.
L’unico simpatico
è Patrizio, che se non altro ha inghiottito il rospo e se l’è sciroppato per
mezza giornata, parandogli il fondoschiena da rappresaglie assortite con la sola
presenza.
Pensare che, per
invogliarlo a schiodare le chiappe dal divano su cui era sprofondato quella
mattina, gli ha giurato e spergiurato che ci sarebbe
stato.
Va’ tranquillo:
ci sono io.
Impareggiabile
Patrizio.
Che poi lui non
gli ha chiesto nulla: è arrivato così, provvidenziale come un temporale estivo
che squarcia il cielo rovente. Non è come con Gabriele, che ha il potere magico
di farlo sentire una merda per ogni sfumatura di voce che non va. Non è e non
sarà mai la stessa cosa, capace di regalargli quel brivido imprevisto lungo la
schiena.
- Mi fa girare le
palle – via, secco: dritto al punto.
Forse ha
imboccato la via del non ritorno: ha pregato di spostare quanto prima il
baricentro del discorso su Alex e la piazzata del giorno prima; ora quasi
rimpiange di aver innescato l’ordigno, perché non c’è argomento vicino a loro
che possa chiamarsi neutro o quantomeno inoffensivo.
- Di’ quello che
vuoi, Patrizio. Com’è bello, com’è bravo lui… Sai una cosa? Io già non lo
digerisco. Non posso farci niente, è più forte di me.
Acido, sì.
Decisamente acido.
- Mica ti ho
chiesto di sposartelo! Mi dici cosa c’è che non va?
Non va proprio
niente. Il bello è proprio che non sa spiegarsi. Non in termini umanamente
razionali, causa-effetto-complicazioni.
La ricetta è
impazzita durante la pausa pranzo. Pensare che la situazione pareva quasi sotto controllo: Isa e Alberti a
distanza di sicurezza; Basile e relativo codazzo fuori a fumarsi la loro brava
sigaretta; Thompson seduto in disparte, intento a sbirciare qua e là con la coda
dell’occhio, mettere più anni luce possibili tra sé e il resto dell’umanità ed
esaminarsi le doppie punte sui capelli. Riccardi al cesso. Gabriele non
pervenuto. Grande quadro neorealistico.
Poi lei ha fatto la sua comparsa, e il mondo
ha smesso di girare.
Che diavolo le è
saltato in mente?
Ha marciato fino
al suo tavolo e gli si è parata di fronte, gli occhi di brace ben sgranati sotto
il consueto strato di bistro a presa rapida. Le cosce sottili inguainate nei
leggins spuntavano dalla minigonna nera a brandelli come fusi d’oro. In realtà è
bianco-perla di luna, e lui lo sa. Deve essersi lasciato andare a un sospiro
traditore, ma nessuno se n’è accorto – non Patrizio, impegnato a masturbare
Thompson con la forza dello sguardo.
Un calore
incandescente all’inguine gli ha soffocato le parole in gola. Eppure, ancora una
volta, non è come con Gabriele. È stato più uno sfioramento impalpabile, il
vibrare delle corde di un’arpa.
Certo che, per
essere un giunco trasparente, Loria ha delle gambe notevoli. Dove si era nascosta tutto questo
tempo?
Alessandro
Alberti avrebbe detto di peggio, forte della sua posizione di maschio dominante.
Andrea Nicoletti si limita a umettarsi le labbra secche e a cancellarsi dal
volto quell’espressione imbambolata.
Se fossi Alberti,
terrei il cuore in due scarpe e chi si è visto si è visto. Tanti
saluti.
Deve esserci
qualche strano virus nell’aria. Tutto è cominciato quando il volto di Patrizio
si è illuminato al semplice proferire di due parole. Alexander
Thompson.
Se fosse arrivato
Gabriele e si fosse pure mostrato gentile con lui, la misura sarebbe stata
colma.
Non contenta di
averlo distolto dai suoi sogni nebbiosi, Elena ha sollevato un sopracciglio
nella sua direzione.
- Andre, mi
spieghi cos’è successo stavolta?
Frena, tesoro.
Capisco le tue premure, e devo dire che un po’ mi lusingano, ma chi ha detto che
ogni piccolo o grande stravolgimento sull’orbe terracqueo sia la conseguenza
diretta di come Nicoletti si scuote la polvere di
dosso?
- Nulla. Ti giuro
che io non c’entro niente.
Come girano le
notizie: non ha parlato con Loria, ma la novità che bolle in pentola ha fatto il
giro e le è giunta sotto forma di pettegolezzo sussurrato. Non c’è altra
spiegazione.
- Proprio nulla?
– Elena l’ha fissato dritto negli occhi, sarcastica, e ha preso posto di fronte
a lui, abbastanza vicina da prendersi il lusso di una conversazione a
quattr’occhi.
- Non che io
sappia – le ha sussurrato a mezza bocca.
Elena si è
osservata intorno come ad assicurarsi che nessuno fosse lì appositamente per
origliare i loro discorsi o leggere il labiale.
- Cortesi ha
avuto una mezza crisi isterica. Alberti l’ha accompagnata fuori dall’aula – gli
ha sussurrato, una punta sadica che proprio no, non ha imparato a
dissimulare.
Siete
dannatamente simili: vendicativi e bastardi, ma non abbastanza da saper giocare
d’astuzia. L’antico adagio sul sedersi in riva al fiume e tante belle
cose…
- Poi – ha
proseguito, ravviandosi i capelli per guadagnare tempo – Non è finita. Alberti e
Riccardi, è solo per miracolo che non hanno fatto a botte.
- Ah, allora è
tutto nella norma – l’ha interrotta, offrendole un bicchiere di acqua minerale
in segno di pace.
Che lei ha
rifiutato aggrottando la fronte, in attesa di una
risposta.
- Okay, Loria:
hai vinto tu. C’entro. Isa l’ho appena mandata al diavolo – ha sputato via,
impietoso – Cioè… Non esattamente. L’ho solo informata che se tra noi le cose
sono andate male, non le resta che farsi un esame di coscienza, oltre che tenere
gli occhi aperti su certi elementi
del suo giro; per finire, le ho chiesto gentilmente di tenere fuori da questa
storia chi non le ha fatto nulla. Più diplomatico di così…! E poi l’hai detto
anche tu, no? Dovevo parlarle, non potevo continuare a giocare a nascondermi.
Chiarire da persona adulta. E così ho fatto. Per Alberti e Riccardi non so che
dirti. Spero solo che se le siano date a lungo, per quel che mi
importa.
- Oh, cielo! –
Loria si è portata le mani al volto, orripilata. Una punta di stima verso di
lui, ma solo per un attimo.
Patrizio ha
sbattuto le palpebre come alla prima lezione di turco avanzato, ma ha preferito
tacere.
- Come? Non sei
contenta? – Andrea ha infierito su di lei, sul suo combattimento interiore tra
sconcerto e soddisfazione strisciante – Sei stata tu a ispirarmi l’idea.
Preferivi che la cosa si trascinasse così per sempre? Ovvio che no. Vai, Andre, parlaci. Senti cos’ha da dirti.
E poi dille la tua. Spiegati. Ed è ciò che ho fatto, niente di più. Se poi a
loro non è piaciuto… era da mettere in conto.
- Non è questo. È
che conosco la tua idea di diplomazia – Loria ha arricciato le labbra – Mi
faresti un riassunto?
- Beh… l’ho
lasciata dare sfogo alle sue idee contorte. Ho provato a metterle in dubbio.
Quando ho visto che non c’era trippa per gatti, le ho detto Addio, cocca, è stato bello, ma non abbiamo
più molto da dirci.
- Tu sei matto! –
Loria si è schermata il viso dietro la mano, trattenendo una risata nervosa –
Scommetto che la colpa sarà di una certa strega
profittatrice…
- No, è la mia.
Nessuno ha ordinato a Isa di esasperarmi. Nessuno ha ordinato a me di mandarla
affanculo.
- Temo che adesso
ce l’avrai addosso: ti sembra una che accetta il divorzio
consensuale?
- Se non lo
accetta, è un suo problema. Io ho già dato. Anche se preferirei parlarne più
tardi, con calma… e in privato. Ti spiace? – l’ha incalzata, alludendo a Basile
che occhieggiava verso Patrizio. E verso di loro.
- Uhm… – Loria ha
finto di mettere il broncio, tornando a concentrarsi sul suo vassoio e sul suo
riso scondito.
Tutto è accaduto
in un battito di ciglia.
Basile è planato
su Patrizio e gli ha fatto un cenno tipo “ci vediamo più
tardi”.
Elena ha
terminato il suo esiguo pasto e ha preso a osservarsi le unghie con aria
annoiata, persa nel suo mondo e nei suoi ghirigori esistenziali. Impermeabile
alla tragedia impronunciabile che stava per svolgersi lì davanti ai suoi occhi,
protagonista inconsapevole.
Perché Thompson
ha scelto proprio quel momento per tornare nel mondo dei vivi, e lui l’ha
sentito bene. È sicuro di averlo sentito, sicuro come è sicuro di chiamarsi
Andrea Nicoletti.
Lo sguardo di
Alex che taglia l’intera stanza in linea retta. Per poi collidere con lei. La sua Loria. L’ha sentito come uno stridio
di vetri.
Elena ha sbattuto
le ciglia. L’ha visto – impossibile che quegli occhi di metallo non l’abbiano
punta come una lama. A una decina di metri in linea d’aria, col suo sguardo
immobile e perforante e quell’aura sul nero-violaceo così archetipicamente
emo.
Uno stridio di
unghie sui vetri a far da sottofondo, e poi è tornato il sereno. Quasi.
Ma non per Alex,
che sembrava fulminato. Le labbra pallide e immobili come una fessura di
concentrica ostinazione. L’ha squadrata da capo a piedi come un’oasi
lussureggiante in pieno deserto, ed è ripiombato nel suo sarcofago di
apatia.
Lui invece era
tutto un guizzare di nervi, i muscoli contratti in uno spasmo di irritazione, un
crampo familiare dietro il ginocchio, lungo il polpaccio e poi giù fino al
tallone, come una bolla di tensione che gli tira ogni fibra nervosa; un crampo
destinato a starsene lì in agguato e farlo zoppicare per giorni. Gli succede
sempre, quando è nervoso. E una scossa destabilizzante all’altezza del
diaframma, la collera che lo scuote come una frustata.
Ha abbandonato la
sala mensa con la sensazione che qualcuno l’avesse violato in un qualcosa che
gli appartiene. Stuprato con la forza di un paio d’occhi di ruggine rosso
vivo.
Respira
profondamente, Andrea. Si è incartato nel solito vicolo cieco: non può dire a
Patrizio che Alex ha cominciato a stazionargli sopra le gonadi nel momento
esatto in cui ha messo gli occhi su Elena. Poteva essere un’impressione, ma i
suoi occhi erano quelli di un ghepardo che si studia la preda. Le sopracciglia
distese e un gemito a sfuggirgli dalle labbra – è come se l’avesse sentito con
le sue orecchie.
Non può dirgli
chiaro e tondo che farebbe i salti di gioia, in questo preciso istante, se Alex
decidesse di levare le tende e se ne ripartisse in quel di Londra o dovunque
voglia, col peccato capitale di avergli scippato per una manciata di secondi
infinita uno sguardo di lei.
Lei. Il suo
nominativo nella sua rubrica del cellulare, che luccica sullo schermo del
display con la foto del gatto come sfondo, quando lo chiama. In realtà il suo
numero l’aveva memorizzato eoni fa, scippato a tradimento dalla rubrica di
Blanche. Non sa dirsi perché l’avesse fatto, ma forse era da ricovero già da
allora. Forse Isa non ha tutti i torti. Giusto qualcuno.
- Cioè… –
azzarda, la fronte corrugata nello sforzo mentale di elaborare un ragionamento
plausibile – Non è che mi stia sul cazzo lui. Mi sta sul cazzo come lo tratti tu. E temo che anche lui ci marci un
po’. È come se fosse un povero folletto indifeso… Eppure mi sembra che ce
l’abbia, una bella lingua affilata. È restato in faccia a Basile. A Basile,
dico…!
- Bravo, l’hai
detto: è rimasto in faccia a Basile. È questo che mi preoccupa – Patrizio si
scosta i capelli corvini dalla fronte, annoiato – È rimasto in faccia a Basile e
gli ha pure fatto rimediare la figura da pirla.
- Non è solo
questo… – Andrea scuote il capo, spazientito – È che tutti ormai gli avete
cucito addosso il mito della vittima sacrificale, del cucciolo in pericolo, da
proteggere e santificare. Non penso che tutto questo gli faccia bene, ecco. Le
unghie ce le ha, voglio dire… Non sembra uno stupido.
- Thompson
protetto e santificato?! – Patrizio aggrotta la fronte e lo fissa, frastornato –
Secondo te stanno tutti facendo la fila per salvare le sue chiappe? A me sembra
che metà Accademia voglia fargli il culo per la menata delle raccomandazioni,
mentre l’altra metà gli ride dietro o lo ignora totalmente. L’hai visto bene?
Stava lì come uno straccio sporco…
- Secondo me, non
gli rendi un gran servizio – Andrea incrocia le braccia sul petto: tanto vale
giocarsela fino in fondo – Facendogli da angelo protettore, voglio dire. Non lo
rendi molto simpatico a chi ti ascolta: sembra che stai lì a maneggiare un
cristallo. Anche questa mi sembra una forma di pregiudizio, più strisciante, ma
dannosa comunque. Come se implicitamente lo ritenessi un inetto che non sa farsi
rispettare. Dai di lui l’idea dello sfigatello che si piange addosso e non si sa
difendere.
- Allora anche
tu, a questo punto – Patrizio solleva il capo verso di lui, stranamente calmo –
È tutta la mattina che ti sto dietro, se è per questo. Cosa
penseranno?
- Ora non si può
neanche trascorrere l’intervallo e la pausa pranzo con un vecchio amico? Dai, è
diverso: siamo adulti e vaccinati.
- Sono fatto così
– Patrizio lo fissa, provocatorio – Non puoi farci molto.
- Un Robin Hood
del cazzo, sì – Andrea scuote le ciglia, simulando uno sguardo innocente, per
poi tornare serio di colpo – Stai attento: rischi l’effetto
contrario.
- Allora, se la
prossima volta Riccardi attenterà alla tua vita, mi farò delle sane risate e non
alzerò un dito – lo incalza Patrizio, stando al gioco – Così, magari, il povero
Nicoletti indifeso strapperà più compassione rispetto a un Nicoletti
superprotetto.
- Una guardia del
corpo può farti anche comodo, sai. Peccato che non siamo in una
spy-story.
Andrea cerca di
ricordare l’ultima volta che qualcuno si è lasciato tirare in ballo per lui, ma
è inutile, perché tutte le strade portano là.
A Gabriele che si
infila tra lui e Alberti un attimo prima che gli saltasse addosso in Aula
Magna.
Gabriele che si
prende la porta in faccia al suo posto.
Gabriele che se
lo accolla fino in camera, ubriaco fradicio. Che in silenzio tampona i suoi
disastri e le sue paturnie – a modo suo. E che fugge sul più bello, come se
tutto questo lo repellesse, scavandogli nottetempo voragini su voragini in fondo
al cuore.
In fondo,
Patrizio è una storia superata. Ha sempre avuto la mania di farsi i cavoli suoi
e difenderlo a spada tratta quando ha potuto: è il suo marchio di fabbrica, e
non fa nulla per non renderlo manifesto. Adesso anche con
Thompson.
- … però, ecco,
se ti fa piacere saperlo, con te mi sento tranquillo – Andrea sorride,
rincuorato.
Più tranquillo,
perché c’è qualcuno su cui contare. Non perché tema la rappresaglia: è solo il
sollievo di poter scambiare due parole senza maschere scomode di mezzo, senza
essere pesato e giudicato. Di riscoprire in lui un amico.
Una volta era
rispettato e nessuno si sarebbe sognato di torcergli un capello, ora chissà. È
bello e popolare – giusto qualche residuo della sua vecchia vita –, ma è anche
un metro e settanta scarso per sessanta chili scarsi, con preoccupante tendenza al calo
di pressione.
Patrizio ha
giocato orrendamente d’anticipo. E forse lui ed emo!Thompson non sono così
diversi.
Entrambi che
scherzano col fuoco.
Entrambi turbati
da Loria, che forse neanche si cura di loro – non in quei
termini.
Entrambi stretti
tra l’esigenza di scomparire e quella di gridare al mondo la loro presenza –
l’uno mascherandosi come l’eroe di un manga, l’altro affermando e negando
alternativamente se stesso e il suo esatto contrario.