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Autore: Cassandra Morgana    13/06/2012    1 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 37

Tanto lui è peggio di me

 

 

Se avesse avuto coraggio, quella mattina, sigillata Isa fuori dal suo mondo, sarebbe corso da lei. Conosce la strada, in auto o con l’autobus. Avrebbe indugiato sulla sua porta, ma giusto un po’, il tempo di scrollarsi via la nebbia dagli occhi, e si sarebbe gettato tra le sue braccia con quel senso di liberazione che gli serpeggia lungo la schiena e gli si avvita allo sterno, sciogliendo il nodo in un languore insopportabile. Ci avrebbe fatto l’amore. Libero. Dal suo fantasma, dalla parte rinnegata di sé, dal dubbio impronunciabile che la sua faccia insinua negli altri. E dopo, forse, avrebbe pianto. A lungo. Se non fosse caduto in deliquio seduta stante, con quel sollievo insopportabile che gli cola dalle ciglia.

Ma lui non è coraggioso. Non lo è mai stato. È paura del rifiuto, del suo ritratto distorto scolpito negli occhi di chi guarda. Dopotutto, lui ed Elena sono dannatamente simili nel chiudere ermeticamente fuori dalla loro vita intere schegge di sé. Sezionare la loro identità in frammenti separati e inconciliabili.

Raggiungere di nuovo la sua stanza, scuotersi di dosso la polvere e l’amarezza, reduce dallo scontro fisico, l’unico proposito che riesca a ruminare nella mente, mentre si lascia andare contro il muro. E per un attimo la sua visuale è un turbinio di macchie scure in campo bianco.

Sorride, Andrea. Ripassa mentalmente il tragitto fino a casa di Elena, morbido e rassicurante come una melodia già scritta. Mettersi alla guida adesso, proprio no. Non con la mente che vacilla, la nausea che sale; non se potrebbe svenire in corridoio da un momento all’altro e restare lì, spalmato tra il pavimento e la parete con l’intonaco giallo piscio, come una cosa squallida e dimenticata.

Il modo peggiore per catapultare l’attenzione su di sé.

Non ora, Andrea, non ora. Con calma: adesso te ne torni un attimo in camera, te ne stai tranquillo, e tutto andrà bene.

Sforzarsi di stare bene e trascinarsi a far colazione è un’ipotesi trascurabile, quando sei reduce dall’amputazione a sangue freddo di un lembo del tuo vissuto.

Barcolla, la sensazione di morire dissanguato con la pelle strappata via a brandelli. O lobotomizzato da un ingegnoso sistema a risucchio. La faccia di Isa scolpita nella mente, la voce accusatrice, i capelli come fiamme che urlano per fagocitarlo nelle loro spire: solo un attimo, poi il sollievo di respirare. Non gli darà più fastidio, ora: è semplicemente scomparsa dalla sua esistenza come una cosa vetusta, come una brezza fastidiosa che non lo toccherà più, cancellata dai suoi orizzonti e dalla faccia della terra. Potrebbe dormire sonni tranquilli, da ora in avanti, persino guardare Gabriele negli occhi senza che una smorfia ostinata gli incurvi le labbra. Il resto non è che un turbinio di luminescenze confuse davanti agli occhi.

 

Andre? Andre?! Santo Iddio, che succede? Andava tutto bene…

 

Zitto, Patrizio, zitto. Sei tu? Grazie al cielo, perché io non ce le ho proprio, le palle di affrontare Gabriele o Elena, dopo Isa.

Vorrei assicurarmi che lei non sia ancora nei paraggi. Lei e i suoi occhi azzurri impastati di mascara che ti mangiano vivo…

Va tutto bene. Forse. Dopo che me ne sono andato, con lei che cercava di incatenarmi a sé... Quando ho riabbassato le dita sulla maniglia, di colpo tutto ha ripreso a girare.

Respira, Andrea. Va tutto bene.

Fottutamente bene.

 

Andre?! Vuoi che chiami qualcuno?

 

Zitto! Non chiamare nessuno. E meno male che sei tu. Perché non sarebbe facile spiegare. Allontanare da me questa patina d’inchiostro…

 

La maglia nera di Patrizio, simile a una seconda pelle, è il primo aggancio con la realtà che lo rigetta nel mondo dei vivi. Stringe la stoffa tra le dita, possessivo, come un’ancora di salvezza. Come se mollare fisicamente comportasse poi il non poter risalire più in superficie.

Meno male che c’è lui. Che lo conosce ma non abbastanza. Nella sua gradazione buona di ragazzino liceale che gli moriva dietro. Non ha conosciuto la sua metà oscura, il suo limbo delle cattive intenzioni, la sua deriva. Il piede in fallo.

Cadrebbe a terra e resterebbe lì, se non ci fosse lui a mantenerlo vigile, a schiaffeggiargli le guance. A premerselo addosso in un abbraccio infinito, sorreggendolo dalla pesantezza del distacco che lo attrae verso il suolo.

- Andre, allora? Mi spieghi cosa succede?

La sua voce di velluto lo riscuote in via definitiva. È come una scrollata decisa, una carezza alla base della nuca.

Niente. Non è successo niente…

- Uhm… cos’è? – borbotta, confuso.

- Questo devi dirmelo tu, Andre – Patrizio se lo rigira tra le braccia come una bambola rotta: lo scuote per le spalle, gli afferra il volto tra le mani e cerca il suo sguardo, divorando lo spazio che li separa – Stavi per svenire qui in mezzo al corridoio.

Andrea sbatte le palpebre. Si osserva intorno: è quasi miracolo che si sia retto sulle sue gambe per tutto il tempo. Afflosciato contro Patrizio, okay, ma è l’ennesimo dettaglio di poca importanza.

 

L’ho appena mandata al diavolo.

Isa: ricordi? No, non puoi ricordare. Tu sparisci e ricompari quando vuoi, quando può esserci bisogno di te: sai evitarti il peggio e scegliere di me le parti che preferisci per aggiungerle al tuo collage.

Fortuna o calcolo sapiente? Non mi importa. Non saresti fiero di me.

 

- Pulizie di primavera – Andrea cincischia nervosamente con le chiavi della macchina che sprofondano sempre più in fondo alla tasca: troppo tardi, davvero troppo tardi, per passare a prenderla e mostrarle la sua faccia nuda e ripulita – Mi sono solo sbarazzato di cose vecchie e inutili. Roba pericolosa.

Lo sente, il sorriso crudele che gli stira le labbra fino a far male. Ridacchia. Per lei sarebbe un colpo al cuore sentirlo parlare così. È un’idea malsana che quasi lo fa sentire meglio.

La parte più preoccupante è che, dal momento in cui Isa è piombata nel suo campo visivo, le labbra arricciate come se avesse inghiottito un limone, è stato il volto di Loria a vibrargli nella testa, vergato a fuoco sulla sua pelle. Lei che non l’ha abbandonato.

Lei, che avrebbe voluto avere accanto, che vorrebbe in questo preciso istante. Ma non è più tempo, perché i minuti sono tiranni e lui è un vigliacco. Perché lo sa, di fronte a lei non ci sono maschere che tengano. La lingua gli si scioglierebbe, e si confesserebbe tutto.

C’è solo Patrizio che lo culla tra le braccia, Patrizio che è capitato da quelle parti, tirato dentro per caso nelle sue paturnie della giornata, e che di lui serba uno strano ricordo.

Si è appena liberato della sua parte scomoda, Andrea, e l’urgenza di un pianto liberatorio se n’è andata via come sabbia tra le dita. La sua unica paura è che il passo non sia definitivo come vorrebbe. Che per Isa non sia e non sarà mai una resa condizionata.

Qualcosa dovrebbe essere cambiato intorno a lui – pensava che avrebbe sentito le campane e i cori angelici, o almeno di camminare sotto una luce diversa. Eppure è tutto squallidamente come prima, grigio e instabile davanti ai suoi occhi.

C’è Gabriele che continua a fuggire da lui, che non sopporta di averlo vicino e si nega: finge di aver dimenticato il passato, lo stringe a sé per poi mollarlo sul più bello, lasciandogli addosso un languore insopportabile; c’è Isa che diceva di amarlo, ma ha amato solo la sua maschera, la riduzione in scala delle sue emozioni; c’è Riccardi che uno di questi giorni si prenderà la sua testa, con buona pace di tutti, e il quadro è completo.

La verità è che nessuno l’ha mai preso per ciò che è, con tutta la fuliggine della sua ambiguità. Ma lei è sempre stata la sua prima scelta. Lei che sospira condiscendente alle sue uscite da perfetto nevrotico, lei e il biondo sporco dei suoi capelli che le accarezzano la vita. Il punto fermo quando tutto sembra andarsene alla deriva.

- Va meglio adesso? – le dita leggermente ruvide di Patrizio scorrono sulla sua guancia come farfalle.

Ha ignorato i suoi deliri, il suo sguardo che scivola sul pavimento; ha preferito alzare un muro e pensare alla realtà concreta piuttosto che alle sue parole criptiche. Alla sua faccia pallida e al suo continuo barcollargli addosso come sull’orlo del collasso.

- Una meraviglia – Andrea china il capo, lasciando che i riccioli scomposti calino a schermargli il viso. Il ricamo di un madore gelido inchiodato alla fronte.

- Ci ho parlato – quasi si costringe a sputare le parole – Abbiamo parlato. È stato imbarazzante.

Patrizio corruga la fronte, stranito.

La verità è che lui non è mai stato un libro aperto, neanche con Patrizio, che pensa di conoscerlo come le sue tasche. Lui non parla chiaro: allude, si limita a sfiorare la realtà con dita di fata.

Non sono un Alex Thompson qualunque, che pensi di poter plasmare come creta.

- Isa. L’ho mandata al diavolo – sussurra, oscillando in avanti fino a sfiorargli la spalla con la propria fronte.

- Isa? – Patrizio sembra smarrito.

Smarrito nella nebbia e nella vertigine di un mattino dai toni grigiastri. I contorni troppo decisi che spiccano in quel biancore surreale.

Oh, non preoccuparti. Ti sei perso qualche dettaglio fondamentale. Per fortuna. E non hai perso nulla. Lo sporco, le menzogne.

- Andiamo, dai.

Niente di nuovo. Tranne lei che brucia da qualche parte dentro di me, vicino al cuore.

- No, non andiamo da nessuna parte – Patrizio lo afferra per le spalle, perentorio.

E dagli coi deliri da amico più grande, con la macchina nuova e la testa attaccata al collo…

Gli straccia di mano le chiavi della sua stanza con facilità disarmante e le fa girare nella toppa al suo posto.

- Adesso ti siedi un attimo e cerchi di riprenderti – conclude, scostandogli i capelli dalla fronte sudata – Hai fatto colazione? – adesso la sua faccia è a tre centimetri esatti dalla sua.

Così vicino da poter apprezzare la grana della sua pelle, la linea nera sottilissima sulla rima inferiore dell’occhio, che fa del suo sguardo di cobalto un abisso senza fondo. E il brillantino alla narice sinistra a impreziosire quella sua aura rassicurante da pizzo di Sangallo.

- Certo che no, mamma – Andrea sorride, corrosivo, rimarcando bene ogni sillaba.

- Bravo idiota! – Patrizio gli passa una mano tra i capelli, arruffandoglieli di gusto.

- No, grazie – Andrea si stropiccia gli occhi, la testa leggera – Avrei vomitato sul serio.

 

* * *

 

Non è la giornata giusta per trascinarsi in Accademia e pretendere di tenere il proprio caos esistenziale fuori dalla porta, e concentrarsi solo sul quaderno degli appunti e sulle parole della Longoni – lezione delle nove in punto, il minuto spaccato in due.

Non è la giornata giusta per pretendere da sé stessi un cervello perfettamente carburato e al pieno delle sue funzioni. Perché succede che lo sguardo fugge via e l’attenzione va per conto suo, persa nei meandri della semincoscienza.

E poi c’è il pensiero di lei che continua a urlargli nella testa come una sirena continua. A farlo sorridere tra sé come un idiota.

La prima volta che l’ha vista nell’aula a gradoni, accoccolata al suo posto qualche fila più in basso. Mitologia della sua gloriosa parentesi goldoniana.

Seduta al suo fianco, Isa aveva scelto quel momento per insinuare un’ipotetica somiglianza tra Loria e una delle tre mogli di Dracula. La risatina sprezzante che era seguita, gli era rimbombata fino al cervello in un tintinnio di cristalli, ma qualche arcano istinto di sopravvivenza gli aveva fatto rimuovere all’istante l’accaduto. Isa e Alessandro avevano continuato a blaterargli nelle orecchie, ma il suo sguardo era calato su quello di lei di caffè forte.

Solo che non era aria. Non era il momento giusto.

Nell’intervallo, Isa l’aveva raggiunto tutta pimpante per inoculargli a piccole dosi l’idea di un appuntamento al buio ma non troppo – come dimenticare? La scelta era ricaduta su una sua amica, la bionda ossigenata che gli faceva l’occhio gattamortesco durante la pausa-caffè. Giorgia? Giulia? Juliet? Com’è che si chiamava…?

- Potresti chiederglielo tu, di uscire – Isa gli aveva dato di gomito, e per poco non gli aveva rovesciato sulla maglietta il the delle macchinette.

Niente caffè, quel giorno: lo ricorda come fosse ieri, il sentirsi sull’orlo di una crisi di nervi. Non è mai riuscito a spiegarsi il perché. Punti interrogativi rimasti tali, sopravvissuti tra una scossa di riassestamento e l’altra.

- Non so – si era stretto nelle spalle, sperando che la sua reticenza convincesse Isa a mollare la presa.

Cambiare argomento: imperativo categorico. Pure il colore fuori moda della carta da parati o la tinta color menopausa della Balducci avrebbero fatto al caso suo.

- Secondo me, un po’ le interessi – Isa aveva assottigliato le palpebre, felina – Ti guarda sempre!

- Non è il mio tipo. Troppo appariscente… sembra aggressiva.

L’avrebbe sperimentato a sue spese. Ma Isa sembrava decisa a parcheggiargli Barbie Formato Famiglia tra stomaco e pancreas.

- E chi sarebbe… il tuo tipo? Sentiamo! – Isa aveva tamburellato col piede sul pavimento come Shirley Temple, squadrandolo con occhi da squalo.

- Mah, qualcuno tipo… – Andrea si era osservato intorno alla disperata: un diversivo, ora – Tipo… lei.

E aveva posato lo sguardo su Loria.

L’errore fatale.

Loria.

- Oh, Cristo santo! – Isa si era battuta una mano sulla fronte, rassegnata.

Aveva biascicato qualcosa a labbra socchiuse, scaglie di vetro tagliente schizzate via per caso tra un insignificante, un mi sta antipatica e un ma chi diavolo è; poi gli aveva preso il braccio e l’aveva trascinato in aula.

Ma dai, bella quella lì?! È una ragazzina. Fa la dark lady asociale per darsi un tono, ma non c’è, non ha personalità, il numero non regge…

 

A me pare che di personalità ne abbia eccome, se preferisce soprassedere pur di non entrare nel giro e accettare passivamente un gioco al massacro. A meno che con “personalità” non si intenda gridare più forte…

 

Avrebbe voluto obiettare, capovolgere la sua visione, insinuarle almeno il dubbio, dar voce ai pensieri confusi che gli urlavano nella testa, ma qualcosa gli calcificava le parole in punta di lingua. Isa aveva archiviato l’intoppo sotto la voce “incidente di percorso”, gli aveva allacciato un braccio intorno alla vita e se l’era portato via.

Meriti di meglio.

Se lo chiede ancora, Andrea. Cosa fosse quella strana frenesia, da parte della sua amica, di vederlo accoppiato a breve con un partito da lei suggerito con amore. Paura che se ne andasse via come il pane, che qualcuno mettesse in discussione il suo posto privilegiato nella sua vita, o chissà che altro. La smania destabilizzante, il miraggio di essere per lui il faro, l’alfa e l’omega, il telaio che tesse per lui la strada.

Non ricorda se se lo fosse chiesto prima di allora, ma la verità spicciola era che nessuno gli interessava. Uomo o donna. C’era lei con i capelli che le sfioravano i fianchi, il volto impermeabile, e poi boh, chissà. Isa diceva no: non valeva la pena di perdere tempo con una come quella. Prevedibile e scontata. Superba e musona a guardare in cagnesco il mondo, come se lasciarla cuocere nel suo brodo fosse una colpa capitale. Una così ti inacidisce il sangue.

Balle, insinuazioni a misura di cretino.

Isa accennava ad un possibile incontro da combinarsi tra lui e Barbie, ma i suoi occhi indugiavano di nuovo in quella direzione. Sulla ragazza seduta due file dopo la sua. I bei lineamenti, i capelli tirati su in un semiraccolto casuale, l’aspetto tutto sommato ordinario rianimato da un look coraggioso.

Non aveva mai provato ad attaccar bottone: poteva essere tutto e la sua negazione. E poi il suo gruppo lo marcava stretto, e sembrava ci fosse un fastidioso strato di nebbia a dividerli, così spesso da renderlo a malapena consapevole, da far naufragare ogni suo proposito nel limbo delle intenzioni non mature. Non che gli facesse battere il cuore, ma scambiarci qualche parola non gli sarebbe dispiaciuto. Aveva una faccia tutt’altro che banale e un modo di osservarlo che lo incuriosiva.

Quando il gioco di sguardi si faceva troppo serrato, di solito mollava la presa e fuggiva altrove. Quella volta, però, la vista gli si era incagliata sulle labbra del professore di Tecnica Drammaturgica che si muovevano in sincrono con il fluire del discorso, sul gesticolare ipnotico delle mani, sui capelli bruni che rilucevano di riflessi rossastri sotto il bagliore rovente di mezzogiorno.

Aveva deglutito, imbarazzato, quando le iridi del professore avevano virato su Loria e poi su di lui, penetranti, e da lì non c’era stato più per nessuno.

Sospira, Andrea. Si fissa la punta delle scarpe. Guarda come va ora. Tutto deliziosamente alla rovescia, tutto deliziosamente a scatafascio.

 

Patrizio l’ha accompagnato sulla porta dell’aula continuando a fissarlo di sottecchi.

Curioso.

Lui, del resto, ha fatto del suo meglio per fugare ogni dubbio.

Va tutto bene, dannazione. Non ora, ma tra poco: te lo giuro. Non appena mi sintonizzerò sulla lunghezza d’onda del fatto che un dannato capitolo è chiuso. Chiuso per sempre.

Ha provato a cambiare argomento, a spostare il discorso su qualcosa che esulasse dai fatti suoi personali; persino a pronunciare la parola magica: Alex Thompson.

Pensa, Patrizio: avresti potuto invitarlo a bere qualcosa e sondare il terreno, invece che supplire il ruolo scomodo di Gabriele come guardia del corpo dell’amico paranoico. Non è da te.

- Cos’è successo poi, di grazia? Dopo che sei andato da lui.

- Niente. Un buco nell’acqua. Niente che già non sappia. Che ti credevi, numeri da circo?

- Almeno ci hai provato? – incalza Andrea.

- Non dire stronzate!

Quell’altro non si è fatto vivo. Il caso umano numero due. Che le fantasie apocalittiche di Patrizio l’abbiano terrorizzato al punto da fargli scartare l’idea di mettere il naso fuori dalla sua stanza per le prossime quarantotto ore…?

Poi lo vede, un’apparizione improvvisa accasciata contro la colonna all’ingresso, con la sigaretta in bilico tra le labbra. Forse ha capito l’antifona, lui e il suo musetto sottile da volpe. Jeans neri ficcati dentro anfibi consunti dal retrogusto punk, kajal appena accennato e capelli lisciati all’ingiù – irrimediabilmente color melanzana. Meno pompato del previsto. Forse si è dato una calmata: vietato attirar troppo l’attenzione, esporsi in prima linea, quando una spada di Damocle da venti quintali pende sopra il tuo capo.

Sorridi, Andrea: c’è chi è preso peggio di te.

 

* * *

 

- E mo’ che succede?

Andrea mette giù la borsa di scatto, la tracolla incastrata tra il collo e la spalla. Giornata dimmerda quanto basta da renderlo elettrico.

L’unico simpatico è Patrizio, che se non altro ha inghiottito il rospo e se l’è sciroppato per mezza giornata, parandogli il fondoschiena da rappresaglie assortite con la sola presenza.

Pensare che, per invogliarlo a schiodare le chiappe dal divano su cui era sprofondato quella mattina, gli ha giurato e spergiurato che ci sarebbe stato.

Va’ tranquillo: ci sono io.

Impareggiabile Patrizio.

Che poi lui non gli ha chiesto nulla: è arrivato così, provvidenziale come un temporale estivo che squarcia il cielo rovente. Non è come con Gabriele, che ha il potere magico di farlo sentire una merda per ogni sfumatura di voce che non va. Non è e non sarà mai la stessa cosa, capace di regalargli quel brivido imprevisto lungo la schiena.

- Mi fa girare le palle – via, secco: dritto al punto.

Forse ha imboccato la via del non ritorno: ha pregato di spostare quanto prima il baricentro del discorso su Alex e la piazzata del giorno prima; ora quasi rimpiange di aver innescato l’ordigno, perché non c’è argomento vicino a loro che possa chiamarsi neutro o quantomeno inoffensivo.

- Di’ quello che vuoi, Patrizio. Com’è bello, com’è bravo lui… Sai una cosa? Io già non lo digerisco. Non posso farci niente, è più forte di me.

Acido, sì. Decisamente acido.

- Mica ti ho chiesto di sposartelo! Mi dici cosa c’è che non va?

Non va proprio niente. Il bello è proprio che non sa spiegarsi. Non in termini umanamente razionali, causa-effetto-complicazioni.

La ricetta è impazzita durante la pausa pranzo. Pensare che la situazione pareva quasi sotto controllo: Isa e Alberti a distanza di sicurezza; Basile e relativo codazzo fuori a fumarsi la loro brava sigaretta; Thompson seduto in disparte, intento a sbirciare qua e là con la coda dell’occhio, mettere più anni luce possibili tra sé e il resto dell’umanità ed esaminarsi le doppie punte sui capelli. Riccardi al cesso. Gabriele non pervenuto. Grande quadro neorealistico.

Poi lei ha fatto la sua comparsa, e il mondo ha smesso di girare.

Che diavolo le è saltato in mente?

Ha marciato fino al suo tavolo e gli si è parata di fronte, gli occhi di brace ben sgranati sotto il consueto strato di bistro a presa rapida. Le cosce sottili inguainate nei leggins spuntavano dalla minigonna nera a brandelli come fusi d’oro. In realtà è bianco-perla di luna, e lui lo sa. Deve essersi lasciato andare a un sospiro traditore, ma nessuno se n’è accorto – non Patrizio, impegnato a masturbare Thompson con la forza dello sguardo.

Un calore incandescente all’inguine gli ha soffocato le parole in gola. Eppure, ancora una volta, non è come con Gabriele. È stato più uno sfioramento impalpabile, il vibrare delle corde di un’arpa.

Certo che, per essere un giunco trasparente, Loria ha delle gambe notevoli. Dove si era nascosta tutto questo tempo?

Alessandro Alberti avrebbe detto di peggio, forte della sua posizione di maschio dominante. Andrea Nicoletti si limita a umettarsi le labbra secche e a cancellarsi dal volto quell’espressione imbambolata.

Se fossi Alberti, terrei il cuore in due scarpe e chi si è visto si è visto. Tanti saluti.

Deve esserci qualche strano virus nell’aria. Tutto è cominciato quando il volto di Patrizio si è illuminato al semplice proferire di due parole. Alexander Thompson.

Se fosse arrivato Gabriele e si fosse pure mostrato gentile con lui, la misura sarebbe stata colma.

Non contenta di averlo distolto dai suoi sogni nebbiosi, Elena ha sollevato un sopracciglio nella sua direzione.

- Andre, mi spieghi cos’è successo stavolta?

Frena, tesoro. Capisco le tue premure, e devo dire che un po’ mi lusingano, ma chi ha detto che ogni piccolo o grande stravolgimento sull’orbe terracqueo sia la conseguenza diretta di come Nicoletti si scuote la polvere di dosso?

- Nulla. Ti giuro che io non c’entro niente.

Come girano le notizie: non ha parlato con Loria, ma la novità che bolle in pentola ha fatto il giro e le è giunta sotto forma di pettegolezzo sussurrato. Non c’è altra spiegazione.

- Proprio nulla? – Elena l’ha fissato dritto negli occhi, sarcastica, e ha preso posto di fronte a lui, abbastanza vicina da prendersi il lusso di una conversazione a quattr’occhi.

- Non che io sappia – le ha sussurrato a mezza bocca.

Elena si è osservata intorno come ad assicurarsi che nessuno fosse lì appositamente per origliare i loro discorsi o leggere il labiale.

- Cortesi ha avuto una mezza crisi isterica. Alberti l’ha accompagnata fuori dall’aula – gli ha sussurrato, una punta sadica che proprio no, non ha imparato a dissimulare.

Siete dannatamente simili: vendicativi e bastardi, ma non abbastanza da saper giocare d’astuzia. L’antico adagio sul sedersi in riva al fiume e tante belle cose…

- Poi – ha proseguito, ravviandosi i capelli per guadagnare tempo – Non è finita. Alberti e Riccardi, è solo per miracolo che non hanno fatto a botte.

- Ah, allora è tutto nella norma – l’ha interrotta, offrendole un bicchiere di acqua minerale in segno di pace.

Che lei ha rifiutato aggrottando la fronte, in attesa di una risposta.

- Okay, Loria: hai vinto tu. C’entro. Isa l’ho appena mandata al diavolo – ha sputato via, impietoso – Cioè… Non esattamente. L’ho solo informata che se tra noi le cose sono andate male, non le resta che farsi un esame di coscienza, oltre che tenere gli occhi aperti su certi elementi del suo giro; per finire, le ho chiesto gentilmente di tenere fuori da questa storia chi non le ha fatto nulla. Più diplomatico di così…! E poi l’hai detto anche tu, no? Dovevo parlarle, non potevo continuare a giocare a nascondermi. Chiarire da persona adulta. E così ho fatto. Per Alberti e Riccardi non so che dirti. Spero solo che se le siano date a lungo, per quel che mi importa.

- Oh, cielo! – Loria si è portata le mani al volto, orripilata. Una punta di stima verso di lui, ma solo per un attimo.

Patrizio ha sbattuto le palpebre come alla prima lezione di turco avanzato, ma ha preferito tacere.

- Come? Non sei contenta? – Andrea ha infierito su di lei, sul suo combattimento interiore tra sconcerto e soddisfazione strisciante – Sei stata tu a ispirarmi l’idea. Preferivi che la cosa si trascinasse così per sempre? Ovvio che no. Vai, Andre, parlaci. Senti cos’ha da dirti. E poi dille la tua. Spiegati. Ed è ciò che ho fatto, niente di più. Se poi a loro non è piaciuto… era da mettere in conto.

- Non è questo. È che conosco la tua idea di diplomazia – Loria ha arricciato le labbra – Mi faresti un riassunto?

- Beh… l’ho lasciata dare sfogo alle sue idee contorte. Ho provato a metterle in dubbio. Quando ho visto che non c’era trippa per gatti, le ho detto Addio, cocca, è stato bello, ma non abbiamo più molto da dirci.

- Tu sei matto! – Loria si è schermata il viso dietro la mano, trattenendo una risata nervosa – Scommetto che la colpa sarà di una certa strega profittatrice…

- No, è la mia. Nessuno ha ordinato a Isa di esasperarmi. Nessuno ha ordinato a me di mandarla affanculo.

- Temo che adesso ce l’avrai addosso: ti sembra una che accetta il divorzio consensuale?

- Se non lo accetta, è un suo problema. Io ho già dato. Anche se preferirei parlarne più tardi, con calma… e in privato. Ti spiace? – l’ha incalzata, alludendo a Basile che occhieggiava verso Patrizio. E verso di loro.

- Uhm… – Loria ha finto di mettere il broncio, tornando a concentrarsi sul suo vassoio e sul suo riso scondito.

Tutto è accaduto in un battito di ciglia.

Basile è planato su Patrizio e gli ha fatto un cenno tipo “ci vediamo più tardi”.

Elena ha terminato il suo esiguo pasto e ha preso a osservarsi le unghie con aria annoiata, persa nel suo mondo e nei suoi ghirigori esistenziali. Impermeabile alla tragedia impronunciabile che stava per svolgersi lì davanti ai suoi occhi, protagonista inconsapevole.

Perché Thompson ha scelto proprio quel momento per tornare nel mondo dei vivi, e lui l’ha sentito bene. È sicuro di averlo sentito, sicuro come è sicuro di chiamarsi Andrea Nicoletti.

Lo sguardo di Alex che taglia l’intera stanza in linea retta. Per poi collidere con lei. La sua Loria. L’ha sentito come uno stridio di vetri.

Elena ha sbattuto le ciglia. L’ha visto – impossibile che quegli occhi di metallo non l’abbiano punta come una lama. A una decina di metri in linea d’aria, col suo sguardo immobile e perforante e quell’aura sul nero-violaceo così archetipicamente emo.

Uno stridio di unghie sui vetri a far da sottofondo, e poi è tornato il sereno. Quasi.

Ma non per Alex, che sembrava fulminato. Le labbra pallide e immobili come una fessura di concentrica ostinazione. L’ha squadrata da capo a piedi come un’oasi lussureggiante in pieno deserto, ed è ripiombato nel suo sarcofago di apatia.

Lui invece era tutto un guizzare di nervi, i muscoli contratti in uno spasmo di irritazione, un crampo familiare dietro il ginocchio, lungo il polpaccio e poi giù fino al tallone, come una bolla di tensione che gli tira ogni fibra nervosa; un crampo destinato a starsene lì in agguato e farlo zoppicare per giorni. Gli succede sempre, quando è nervoso. E una scossa destabilizzante all’altezza del diaframma, la collera che lo scuote come una frustata.

Ha abbandonato la sala mensa con la sensazione che qualcuno l’avesse violato in un qualcosa che gli appartiene. Stuprato con la forza di un paio d’occhi di ruggine rosso vivo.

 

Respira profondamente, Andrea. Si è incartato nel solito vicolo cieco: non può dire a Patrizio che Alex ha cominciato a stazionargli sopra le gonadi nel momento esatto in cui ha messo gli occhi su Elena. Poteva essere un’impressione, ma i suoi occhi erano quelli di un ghepardo che si studia la preda. Le sopracciglia distese e un gemito a sfuggirgli dalle labbra – è come se l’avesse sentito con le sue orecchie.

Non può dirgli chiaro e tondo che farebbe i salti di gioia, in questo preciso istante, se Alex decidesse di levare le tende e se ne ripartisse in quel di Londra o dovunque voglia, col peccato capitale di avergli scippato per una manciata di secondi infinita uno sguardo di lei.

Lei. Il suo nominativo nella sua rubrica del cellulare, che luccica sullo schermo del display con la foto del gatto come sfondo, quando lo chiama. In realtà il suo numero l’aveva memorizzato eoni fa, scippato a tradimento dalla rubrica di Blanche. Non sa dirsi perché l’avesse fatto, ma forse era da ricovero già da allora. Forse Isa non ha tutti i torti. Giusto qualcuno.

- Cioè… – azzarda, la fronte corrugata nello sforzo mentale di elaborare un ragionamento plausibile – Non è che mi stia sul cazzo lui. Mi sta sul cazzo come lo tratti tu. E temo che anche lui ci marci un po’. È come se fosse un povero folletto indifeso… Eppure mi sembra che ce l’abbia, una bella lingua affilata. È restato in faccia a Basile. A Basile, dico…!

- Bravo, l’hai detto: è rimasto in faccia a Basile. È questo che mi preoccupa – Patrizio si scosta i capelli corvini dalla fronte, annoiato – È rimasto in faccia a Basile e gli ha pure fatto rimediare la figura da pirla.

- Non è solo questo… – Andrea scuote il capo, spazientito – È che tutti ormai gli avete cucito addosso il mito della vittima sacrificale, del cucciolo in pericolo, da proteggere e santificare. Non penso che tutto questo gli faccia bene, ecco. Le unghie ce le ha, voglio dire… Non sembra uno stupido.

- Thompson protetto e santificato?! – Patrizio aggrotta la fronte e lo fissa, frastornato – Secondo te stanno tutti facendo la fila per salvare le sue chiappe? A me sembra che metà Accademia voglia fargli il culo per la menata delle raccomandazioni, mentre l’altra metà gli ride dietro o lo ignora totalmente. L’hai visto bene? Stava lì come uno straccio sporco…

- Secondo me, non gli rendi un gran servizio – Andrea incrocia le braccia sul petto: tanto vale giocarsela fino in fondo – Facendogli da angelo protettore, voglio dire. Non lo rendi molto simpatico a chi ti ascolta: sembra che stai lì a maneggiare un cristallo. Anche questa mi sembra una forma di pregiudizio, più strisciante, ma dannosa comunque. Come se implicitamente lo ritenessi un inetto che non sa farsi rispettare. Dai di lui l’idea dello sfigatello che si piange addosso e non si sa difendere.

- Allora anche tu, a questo punto – Patrizio solleva il capo verso di lui, stranamente calmo – È tutta la mattina che ti sto dietro, se è per questo. Cosa penseranno?

- Ora non si può neanche trascorrere l’intervallo e la pausa pranzo con un vecchio amico? Dai, è diverso: siamo adulti e vaccinati.

- Sono fatto così – Patrizio lo fissa, provocatorio – Non puoi farci molto.

- Un Robin Hood del cazzo, sì – Andrea scuote le ciglia, simulando uno sguardo innocente, per poi tornare serio di colpo – Stai attento: rischi l’effetto contrario.

- Allora, se la prossima volta Riccardi attenterà alla tua vita, mi farò delle sane risate e non alzerò un dito – lo incalza Patrizio, stando al gioco – Così, magari, il povero Nicoletti indifeso strapperà più compassione rispetto a un Nicoletti superprotetto.

- Una guardia del corpo può farti anche comodo, sai. Peccato che non siamo in una spy-story.

Andrea cerca di ricordare l’ultima volta che qualcuno si è lasciato tirare in ballo per lui, ma è inutile, perché tutte le strade portano là.

A Gabriele che si infila tra lui e Alberti un attimo prima che gli saltasse addosso in Aula Magna.

Gabriele che si prende la porta in faccia al suo posto.

Gabriele che se lo accolla fino in camera, ubriaco fradicio. Che in silenzio tampona i suoi disastri e le sue paturnie – a modo suo. E che fugge sul più bello, come se tutto questo lo repellesse, scavandogli nottetempo voragini su voragini in fondo al cuore.

In fondo, Patrizio è una storia superata. Ha sempre avuto la mania di farsi i cavoli suoi e difenderlo a spada tratta quando ha potuto: è il suo marchio di fabbrica, e non fa nulla per non renderlo manifesto. Adesso anche con Thompson.

- … però, ecco, se ti fa piacere saperlo, con te mi sento tranquillo – Andrea sorride, rincuorato.

Più tranquillo, perché c’è qualcuno su cui contare. Non perché tema la rappresaglia: è solo il sollievo di poter scambiare due parole senza maschere scomode di mezzo, senza essere pesato e giudicato. Di riscoprire in lui un amico.

Una volta era rispettato e nessuno si sarebbe sognato di torcergli un capello, ora chissà. È bello e popolare – giusto qualche residuo della sua vecchia vita –, ma è anche un metro e settanta scarso per sessanta chili scarsi, con preoccupante tendenza al calo di pressione.

Patrizio ha giocato orrendamente d’anticipo. E forse lui ed emo!Thompson non sono così diversi.

Entrambi che scherzano col fuoco.

Entrambi turbati da Loria, che forse neanche si cura di loro – non in quei termini.

Entrambi stretti tra l’esigenza di scomparire e quella di gridare al mondo la loro presenza – l’uno mascherandosi come l’eroe di un manga, l’altro affermando e negando alternativamente se stesso e il suo esatto contrario.

 

 

   
 
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