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Autore: Iclemyer_Penguin    14/06/2012    5 recensioni
Questa storia racconta il passato di Blaine Anderson. Mi girava in testa l'idea già da qualche mese e poi l'ho buttata giù. Credo che sia bello sapere qualcosa in più su di lui, anche se totalmente inventato. Spero vi piaccia!
-Grazie ad Anna per la revisione.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Correva l’anno 2008. 
Era un 27 Ottobre grigio, le nuvole coprivano un sole già abbastanza debole visti i tempi. Soffiava un venticello da Nord-Est abbastanza tagliente da far cadere le ultime foglie rimaste ancora appese sugli alberi; lo stesso era per Blaine. Sembrava come una foglia traballante, la quale aveva bisogno di un sostegno per vivere. E lui lo aveva questo sostegno ma non era abbastanza.

Aveva bisogno di qualcuno che lo facesse vivere, nel vero senso della parola. 
Era un periodo un po’ spento per lui, ma come sempre, non si abbatteva. Come al solito a quell’ora del mattino si dirigeva a scuola, come al solito ascoltava la playlist prestabilita, come al solito stava andando a prendere la sua migliore amica Elisabeth, la quale abitava a due isolati dalla scuola e ad uno da Blaine. 
 
Quella mattina però El era già sulla soglia della porta di casa, era successo qualcosa, mai Blaine l’aveva vista pronta prima che lui suonasse il campanello per farla sbrigare; e se Blaine aveva un po’ di ritardo? Guardò l’orologio ma era in perfetto orario: le otto e due minuti. Elisabeth sembrava eccitata, felice; e lo si poteva scorgere dai suoi capelli ricci e lunghi fino alla spalla che non smettevano di ondulare insieme al suo capo, intento a cercare qualcosa o qualcuno.

Blaine notò subito che c’era qualcosa di nuovo in lei, infatti le chiese «Come mai così felici, oggi, My Lady?» Chiese lui con un tono un po’ ironico e un mezzo sorriso sul volto. Lei subito lo raggiunse e lo abbracciò forte, sospirò e poi si stacco con un sorriso contento e felice.
Disse «Me l’ha chiesto.» Prese una breve pausa per chiudere gli occhi e poi esplodere nuovamente «Siamo ufficialmente una coppia!»
Prese così la mano di Blaine e la stritolò dalla felicità; nei suoi occhi di un verde cristallino si poteva scorgere tutto quello che provava. Blaine sorrise guardandola e accarezzando la sua mano. In realtà però Blaine moriva dentro, sapeva che pian piano lei avrebbe preferito il ragazzo e lasciato in disparte lui, il suo migliore amico da tutta la vita. «Sono davvero felice per te, El.» Esordì poi Blaine con voce tirata, rauca. Tossì poi e riprese «Raccontami tutto mentre andiamo a scuola». 
 
Lei iniziò a parlare senza mai fermarsi per quella mezz’ora che impiegavano ad arrivare a scuola. Blaine ogni tanto emetteva dei «Oh.» oppure degli «Wow.», ma non stava realmente ascoltando. Era impegnato a guardarsi attorno, per trovare un po’ di felicità, o una visione che gli facesse tornare il sorriso. A quell’ora le strade erano ormai piene di ragazzi e ragazze che camminavano per andare a scuola e a Blaine piaceva guardarli.

C’erano gli zombie, per la maggior parte ragazzi, che molte volte erano vestiti con i pantaloni del pigiama o avevano i calzini di colori differenti; per Blaine era una delizia guardarli, gli procuravano quella giusta dose di risate che gli servivano per superare una giornata a scuola. C’erano poi le comari, ovviamente ragazze, che non smettevano di spettegolare su qualsiasi cosa, fosse anch’essa il gatto nero che tagliava loro la strada; erano delle telecamere viventi. 

 
E infine c’era Lui. Su Lui non c’era nulla da dire tranne che era il sogno di Blaine; amava qualsiasi cosa di lui: il modo di camminare, lo sguardo magnetico che i suoi occhi castano chiaro produceva, il suo sorriso così perfetto e naturale, i suoi capelli castani con riflessi biondi sempre acconciati nello stesso modo, così magnifico che faceva venire invidia ai ricci di Blaine. Ogni volta che l’Hobbit lo vedeva non c’era modo di fargli staccare lo sguardo di dosso. Era come se lo ipnotizzasse in modo permanente, anche se staccava gli occhi di dosso a lui continuava a immaginarselo nella mente. 
 
Quella mattina stranamente Lui non c’era. 
 A Blaine saltò il cuore. 
 
Deglutì forte e poi si girò verso Elisabeth e si accorse che lei stava ancora parlando «...Oh e poi mi ha comprato questo splendido braccialetto!» Blaine la guardò e scosse la testa. «Non può essere.» Chiuse gli occhi e sospirò, era ormai consuetudine per i due fare così, poi continuò «Lui non c’è. Capisci? N-O-N C-‘-È.» Si aggrappò al braccio di El e mugugnò qualcosa di incomprensibile. «Dai tesoro, sarà in ritardo o non lo so non sta bene. Non abbatterti.» «Sì certo, ma oggi ho artistica e dovevo sedermi accanto a lui! La mia solita sfortuna.» Blaine si passò una mano nei capelli mentre Elisabeth gli accarezzava la spalla. 
 
Ormai erano arrivati a scuola ed era l’ora per i due, di separarsi. «Non piangere mi raccomando. Sorridi, sempre! Perché non c’è nessuno più bello di te.» Si avvicinò al suo orecchio e a bassa voce disse «Nemmeno Curt è bello quanto te!» «Va bene My Lady. Lo farò. Ci vediamo a pranzo!» Elisabeth mandò un bacio a Blaine mentre si allontanava tra la folla che cresceva. Blaine si diresse dalla parte opposta verso l’aula di chimica. Sperava almeno di incontrare quel pazzo del suo compagno di laboratorio, Scott, che lo faceva sempre ridere.
 
L’ora di chimica passò velocemente tra le battutacce di Scott e le mini esplosioni del gruppo più scarso in quella classe. Blaine guardò il suo orario: Matematica, Artistica, Fisica e Letteratura. «Non ce la posso fare» Disse tra sé e sé, mentre passava accanto alle porte del piccolo auditorium, che non era utilizzato moltissimo. Gli balzò in testa l’idea di mettersi a cantare o a comporre, o semplicemente a collegare accordi tra loro. 
 
Si diresse al suo armadietto facendosi strada tra la gente, che come al solito si accalcava davanti alle porte delle aule o davanti agli armadietti. Aprì il suo armadietto e ripose tutti i libri, poi prese invece il suo quaderno rosso fuoco. Entrò nell’auditorium e socchiuse le porte, per non farsi sentire da nessuno. Poi inviò un messaggio ad Elisabeth «Ci becchiamo direttamente a pranzo.»

Sapeva che non l’avrebbe cercato fino all’ora prestabilita; ormai Blaine era solito a fare questo tipo di cose. 
Lui si sedette di fronte al piano e iniziò a premere dei tasti a caso. Fa, La, Si, Reb, Sol#. Un'altra volta. Poi ci aggiunse un Dob e un Mi#. Si fermò un attimo a pensare e poi aprì il suo quaderno rosso e iniziò a cercare uno spartito. Quel giorno sembrava che quello spartito non voleva uscire allo scoperto. Ma alla fine lo trovò. «Wonderful» disse sotto voce il nome della canzone e sorridendo si guardò attorno, poi si sedette al centro del palco e fece iniziare la musica. 
Era la sua canzone preferita, gli forniva una carica che nemmeno lui sapeva da dove arrivava. Quella canzone lo rispecchiava al 100%; era la prima canzone a cui pensava quando decideva di cantare. Con gli occhi chiusi, le gambe incrociate e le mani adagiate una sulle cosce una sul pavimento, Blaine cantava; cantava con tutta l’anima.
 
« If what you've lost cannot be found 
And the weight of the world weighs you down
No longer with the will to fly 
You stop to let it pass you by 
Don't stop to let it pass you by 
You've gotta look yourself, in the "I am"»
 
E Blaine continuava, sentiva quella canzone veramente sua, sentiva che quella canzone lo descriveva a pieno. Riusciva sempre a risollevarlo di morale, a fargli capire che non doveva arrendersi, mai. Finì l’esibizione aprendo lentamente gli occhi. Lui mentre cantava si era immaginato  che milioni e milioni di persone lo stessero ascoltando, si era immaginato in uno dei teatri più importanti del mondo. 
Era il suo sogno. Voleva incantare con la sua voce tutti i suoi ascoltatori, un giorno. 
 
Si distese così sul pavimento ghiacciato dell’auditorium e iniziò a fantasticare. Fantasticare era la cosa che gli piaceva fare di più insieme a cantare, ormai aveva un mondo tutto suo lì, un mondo speciale. Fantasticò per tutto il tempo a sua disposizione, finchè non sentì suonare la campanella per la quarta volta.
 
Blaine raccolse le sue cose e corse via verso il suo armadietto per liberarsi degli spartiti e dei pensieri che affollavano la sua mente. Lentamente si diresse verso la mensa dove lo aspettava sulla soglia della porta Elisabeth. Aveva sempre quel sorriso dolce e spensierato, ma gli occhi tipici di chi sta vivendo una storia d’amore. «Mio Hobbit, dove sei stato per tutto questo tempo? Forza dai che ci aspettano!» Aspettano? Pensò Blaine mentre sulla sua faccia si dipingeva lentamente la sua solita espressione di smarrimento, avvolta dai suoi occhi color caramello che si socchiudevano mentre la bocca tentava di aprirsi. «Chi, chi ci aspetta El? Pranziamo sempre soli!» Disse, poi però subito si accorse di aver fatto una domanda sciocca; le sorrise guardandola negli occhi che lo stavano già fulminando. «Non facciamo aspettare il signorino Curt forza! Non voglio essere l’amico odioso!». 
 
Mentre scoppiavano entrambi in una sonora risata, Blaine prese sotto braccio Elisabeth, e insieme andarono a fare la fila per prendere quel che poteva essere rimasto esposto. Non c’era molta fila, il che era un po’ strano. 
 
Riuscirono a prendere tutto quello che volevano; Blaine prese un petto di pollo panato, dell’insalata e un budino al cioccolato; Elisabeth invece prese fusilli al ragù, fettina e una pesca; entrambi come da tradizione presero un succo di mela verde. Si diressero verso il tavolo, attorno al quale erano seduti in ordine: Curt, Louis, Wyatt, Rosie, Dakota e infine Lui. Blaine appena lo vide si bloccò e con un gesto repentino del braccio afferrò il medesimo di Elisabeth che quasi cadde per terra e vista la brusca frenata, emise un sonoro «AAAAAH!» cosicché tutti si girarono a guardare quel che era successo. Entrambi divennero rossi come i pomodori nell’insalata di Blaine. 
Deglutirono. 
 
Blaine la guardò e poi la trascinò più lontano.
«L’hai, visto? È lì. Non me lo sono immaginato vero? È davvero lui. Oh Dio Mio.» Si sporsero entrambi per vedere. Il tavolo era a cerchio e gli unici posti ancora liberi erano quelli accanto a Curt e a Lui. Lui, il tanto bramato Cameron. L’Hobbit ormai era entrato in iperventilazione, d’altro canto Cameron era colui che aveva conquistato il piccolo cuore di Blaine. Elisabeth lo prese per le spalle, dopo aver posato entrambi i vassoi sul tavolo vicino. «Blaine, ascoltami, ora tu ed io andiamo a sederci. Non è nient’altro che un ragazzo, come te. Affrontalo come tale, con naturalezza.» Lui però non riusciva a parlare così si limitò ad emettere un suono di approvazione. 
 
Ritornarono verso il tavolo e si sedettero entrambi ai loro posti. Emisero entrambi un sonoro «Buongiorno!» con un sorriso sul viso, anche se quello di Blaine era una maschera che copriva tutto quello che stava provando in quel momento: imbarazzo.

 Ma ormai era andata.
 
 Non importava se il cuore di Blaine stava battendo infinite volte in un millesimo di secondo, doveva riuscire a comportarsi con naturalezza.
 Elisabeth l’aveva persa, era già nelle braccia del ragazzo, che orrore. Con la coda dell’occhio quindi guardò Cameron, stava mangiando. Agli occhi di Blaine era perfetto anche così.
 
 Iniziò a mangiare anche lui dopo aver augurato a tutti buon pranzo. Lentamente tagliava il petto di pollo, portava la forchetta alla bocca e lo masticava; prendeva poi un po’ d’insalata e la mangiava. «Oggi la sedia accanto alla mia era vuota, caro nuovo compagno di banco. Mi hai lasciato solo soletto.» esordì così Cameron con un sorrisetto di chi sapeva più di quel che stava dicendo. 
 
L’Hobbit schiuse gli occhi e inghiottì intero il pezzo di pollo senza nemmeno averlo masticato per bene. «Uhm..Sì scusa..Ero in.. In infermeria..Sai..»  Si voltò per guardarlo e sorrise. Ma Cameron si accorse che era un sorriso falso, più falso dell’affermazione che aveva precedentemente detto. Blaine lo guardò meglio negli occhi, quegli occhi stupendi che lo ipnotizzavano sempre. Non riusciva a mentire, nemmeno a lui. «E immagino anche che ti sia curato da solo, oggi l’infermiera era malata.» Disse sogghignando, Cameron. 
 
Blaine era entrato in un vicolo cieco. Se ne era accorto. «Uhm.. Io..» si bloccò Blaine sotto lo sguardo di Cameron che incuteva paura, ma allo stesso tempo lo rassicurava. «Hai perso la lingua, caro?» Blaine arrossì. Era imbarazzato, voleva dirgli la verità, ma poi si sarebbe pentito di aver saltato le lezioni. 
Cameron si avvicinò al suo orecchio e sussurrò «Non pensare che nonostante la tua altezza risulti invisibile!» Blaine si pietrificò. I suoi occhi erano persi nel vuoto, il suo battito e la sua respirazione erano così lenti che sembrava morto. Cameron aveva sempre quel sorrisetto e si guardava attorno con aria soddisfatta. «Non devi aver paura, Blaine. Devi ritenerti piuttosto fortunato che ti abbia visto solo io..» Ridacchiò appena e poi continuò «Oh, hai una bella voce quando canti.» 
Si allontanò pian piano. Blaine sembrava più tranquillo, però il cuore gli batteva all’inverosimile per quel complimento. Sorrise. «G-g-grazie Cameron.» Fu tutto quello che riuscì a dire, poi sorrisero entrambi nello stesso momento. 
 
La campanella suonò. Il pranzo era finito. Tutto era finito.
«Ci becchiamo a lezione, B. Sempre che non la salti.»Così Cameron si allontanò tra la folla.
Blaine non staccò i suoi occhi di dosso a Lui finchè non scomparì, mentre l’Hobbit ancora non credeva a quel che era appena successo.
  
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