«Pronto?
Senti so che avevo promesso di non
alterarmi la scorsa notte, ma non ce l’ho fatta! Ero troppo
arrabbiato okay?
Forse anche un po’ ubriaco e so che ti avevo promesso che
nonostante il mio
lavoro avrei continuato a studiare e impegnarmi ma non fa per me.. Io a
volte
ho solo bisogno di.. Vabbé tanto non vuoi ascoltare quello
che ho da dire
quindi...»
«No,
ehi senti non sono arrabbiata.. Solo non
arrabbiarti più così, ho solo detto che devi
impegnarti se vuoi davvero fare
qualcosa nella tua vita, ma non volevo offenderti! Chiudiamo la
questione e
passerà tutto... Ci sentiamo oggi, ciao».
La linea fu
deviata e il telefono le scivolò
di mano; fu in quell’istante che bussarono alla porta.
«Un
attimo» gridò per far arrivare la voce
oltre la porta massiccia del suo dormitorio. La piccola stanza che le
era stata
affidata all’arrivo nel New Haven, la numero 216, era grande
e accomodante,
nonostante fosse una camera singola. Seguendo il suo spirito artistico,
l’aveva
decorata con diverse luci e foto che le ricordavano i tempi che aveva
trascorso
a Lima. Prima di aprire la porta indossò una vestaglia di
seta lilla che era
posata sulla sedia a dondolo rivolta verso la finestra; il paesaggio
che
rifletteva era un incantevole parco dove la sera i lampioni
illuminavano le
chiacchierate delle persone anziane che abitavano la zona. Tutto
rendeva onore
alla pace e alla tranquillità.
Infilata la
vestaglia, aprì la porta.
«Oh,
sei tu...»
«Chi
altro vuoi che sia Quinn! E’ venerdì sera,
che ci fai in stanza a quest’ora?! Aspetta, stavi
leggendo?» La ragazza spostò
leggermente la testa e fissò lo sguardo sul letto di Quinn
che era
completamente sommerso di fogli e libri.
«Non
stavo leggendo Hannabel, stavo solo...»
tentò di difendersi Quinn, senza apparente successo.
«Sì,
sì come no! Vieni con noi dai, stiamo andando
a una festa che hanno organizzato quelli della Connecticut, ti
piacerà dai!»
Hannabel era la
solita studentessa da college
che aveva scelto di andarci solo perché i genitori
l’avevano obbligata. Le sue
lentiggini, i suoi capelli rosso fuoco e gli occhi nocciola le
conferivano
l’aspetto di una ragazzina di quindici anni a cui piace solo
divertirsi e
svagarsi alle feste. A Quinn, nonostante la diversità
caratteriale, Hannabel
era sempre stata simpatica e non era mai riuscita a dirle di no.
«Okay,
arrivo... Solo un secondo che cerco
qualcosa da mettere»
In fretta e
furia prese un vestito a fantasia,
si infilò un paio di scarpe col tacco che richiamavano le
cuciture dell’abito,
e passò un po’ di mascara tra le ciglia.
«Possiamo
andare» annunciò ad Hannabel con un
gran sorriso.
***
«Okay
Quinn siamo a casa... Dai mettiti sul
letto». Hannabel arrancò con Quinn in spalla
finché non la lasciò cadere. «La
prossima volta che incontri un atleta che non ti piace fammi il favore
di
dirglielo, invece di ubriacarti per rendere la cosa più
“piacevole” okay? Non
sei sopportabile da ubriaca».
«Ehi
non farmi sentire in colpa capito? Non
sei nessuno per dirmi cosa devo e cosa non devo fare e poi è
tutta colpa sua se
mi sono ubriacata... E’ solo uno stupido!» Quinn
iniziò a gridare e inveire
contro Hannabel che le tappò la bocca con una mano.
«Shh
Quinn tranquilla non urlare, dimmi chi è
stupido? Quell’atleta? Tanto non lo vedrai
più» le sorrise l’amica adagiandola
sul letto in posizione fetale.
«No,
ma non importa. Ci.. ci vediamo domani
Hannabel»
Appena Hannabel
chiuse la porta Quinn lasciò
che l’alcool che le fluiva nelle vene si assestasse, ma
ciò non avvenne. Per di
più non riusciva a dormire, doveva chiedere scusa a una
persona per il suo
comportamento da maestrina; così prese il cellulare e
chiamò.
«P-pronto...
S-sono Quinn sei tu o qualche
alieno che si è impossessato di te?»
«Quinn
stai bene? Dove sei?»
«Sono
a casa mia, no? Non senti come sto bene
qui?»
«A
Lima?»
«Dio
perché sei così stupido Puck!»
«Sei
ubriaca fradicia! Ora chiudo e tu riposi
okay? Non è il momento di farti da babysitter»
«No
aspetta, scusa... Volevo solo dirti che
non sono una maestrina e che mi dispiace per la scorsa notte»
«Ok,
bene scuse accettate. Ora mi fai il
piacere di andare a letto così potrò farlo anche
io? Domani devo pulire più di
trenta piscine»
«Poi
studierai?»
«Poi
studierò» rispose rassegnato il ragazzo.
«Buonanotte,
Puck»
«’Notte
Quinn»
La mattina
successiva Quinn si svegliò di buon
ora, senza ricordare in pieno tutto quello che era accaduto la scorsa
notte. Ma
sentire la voce di Puck le aveva fatto capire che le mancavano le Nuove
Direzioni più di ogni altra cosa. Lei era felice
lì a Yale e le sue nuove
amicizie era piacevoli, ma niente in confronto con gli amici del liceo.
Con
loro aveva trascorso i momenti migliori, ma anche peggiori, della sua
adolescenza ed era cresciuta, anche se crescere non le era mai sembrata
una
buona idea.
Il sabato
mattina le lezioni erano sospese, il
che significava poter uscire e godersi l’aria pulita del
Connecticut a pieni
polmoni. Ma dopo la sbronza del venerdì, Quinn
reclinò l’invito di Hannabel e
rimase nella sua camera a fare le pulizie. Tra le vecchie cianfrusaglie
che
aveva conservato trovò i biglietti per il treno da New York
a New Haven; lei e
Rachel li scambiavano sempre, ogni qual volta venisse a trovarla. Il
più
recente di tutti risaliva all’estate scorsa. Rachel le
mancava tantissimo. Non
aveva mai ben capito quando fosse nata quell’amicizia e
simpatia nei suoi
confronti, ma sapeva che sarebbe stata forte e duratura. Oltre ai
biglietti del
treno trovò anche l’annuario dell’ultimo
anno al McKinley; lo aprì a pagina 18.
Eccoli, tutti in fila per la foto del Glee Club sorridenti e circondati
dal
trofeo delle Nazionali. Una lacrima bagnò la scritta
‘Glee’, la asciugò e
chiuse l’annuario.
Finite le
pulizie, Quinn decise di andare a
prendere una boccata d’aria. Uscita dall’immensa
struttura del campus fu fermata
da un uomo sulla sessantina e dal viso ancora acceso di
vitalità.
«Signorina
Fabray, la trovo bene...»
«Oh,
ciao Norman» salutò cordialmente Quinn.
«Come mai qui di sabato?»
Norman era il
postino del campus. Era amato da
tutti gli studenti a causa del suo grande sarcasmo e
dell’affetto che provava
per tutti e che non si curava di nascondere.
«Ho
una consegna urgente da fare...»
«Be’
allora non le rubo altro tempo» fece
Quinn.
«... a
lei» concluse Norman con sguardo
indulgente. Poi rovistò nella borsa e estrasse una lettera
che porse a Quinn.
«Grazie
Norman»
«A
presto signorina Fabray»
Quinn
voltò subito la lettera e, notato il
sigillo di cera lacca rosso, iniziò a tremare esattamente
come Rachel. Stava
per scartare quando il telefono squillò. Diede un piccolo
sguardo alla lettera,
poi decise di rispondere.
«Pronto?»
«L’hai
ricevuta?!»
«L’ho
appena ricevuta! C’è da preoccuparsi?»
chiese Quinn con voce tremolante.
«Be’...»
«Puck!
Non è il momento di fare il vago!»
«Allora
leggila». Detto questo Puck chiuse la
chiamata in faccia a Quinn.
«Che
bei modi!» gridò Quinn al microfono del
telefono, nonostante sapesse che nessuno era dall’altra parte
ad ascoltarla.
Dopodiché prese la lettera e scartò.
_baby agron