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Autore: Silvar tales    15/06/2012    3 recensioni
Itachi ha ventiquattro anni, ed ha già bruciato tutto quanto il rifornimento di sogni che si porta dietro dall'infanzia. Il cielo lo guarda per convenzione, per contratto, per dare occasione ai poetastri di sospirarci sopra. La sua esistenza in Francia è disgraziata, il suo stesso nome è l'origine primordiale di tutti i suoi mali. Da dove diamine hanno tirato fuori il nome di Itachi Uchiha nella Francia del diciannovesimo secolo? È una sorta di scherzo di cattivo gusto?
Ma un giorno, una splendente mattinata di sole, una di quelle in cui ci si convince che andrà tutto bene, il nostro impiegato decide di dar retta al fischio del treno.
«Senti mon ami, che ne diresti di prendere il volo per l'America australe?»
«Il volo?» Ripete Itachi, confuso.
[Questa storia ha partecipato al Chef Ninja Contest indetto da Shark Attack]
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Itachi e i Fagioli di Barzuk




Se mi chiedeste una collocazione di tempo, perché siamo sinceri, un'alternative universe che si rispetti vuole un suo ambiente storico, vi direi il famigerato periodo prebellico. Proprio così, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in cui l'aria europea odorava già di totalitarismi e caccia alle streghe. Se abbassiamo la lente d'ingrandimento sul planisfero noterete una pelle d'orso, vinta da un guardiacaccia dello Yellowstone, proprio incassata tra la penisola iberica e il nascente Reich.
Aguzzate la vista sulla capitale, la vecchia Paris di Baudelaire devastata dai boulevard annodati attorno all'Arc de Triomphe.
Probabilmente Itachi Uchiha, il protagonista che abbiamo in dotazione, vi starà già guardando con aria arrendevole. Perché Itachi guardava spesso il cielo con false speranze. Vi spiegherò il perché.
Vedete quella ventiquattrore appesa alla mano destra? E quel vestito sbiadito e vecchio che ha la pretesa di essere quello che si dice un abito formale? Ecco.
Itachi è un impiegato, proprio il burocrate partorito dalla rivoluzione industriale, lo sfruttato infelice lamentato dai signori Kafka e Pirandello.
Itachi ha ventiquattro anni, ed ha già bruciato tutto quanto il rifornimento di sogni che si porta dietro dall'infanzia. Il cielo lo guarda per convenzione, per contratto, per dare occasione ai poetastri di sospirarci sopra. La sua esistenza in Francia è disgraziata, il suo stesso nome è l'origine primordiale di tutti i suoi mali. Da dove diamine hanno tirato fuori il nome di Itachi Uchiha nella Francia del diciannovesimo secolo? È una sorta di scherzo di cattivo gusto?
Già i francesi tentavano con un Itascì Ucijen? con scarso successo, e ogni volta Itachi si trovava a dar lezioni di fonetica.
Ma un giorno, una splendente mattinata di sole, una di quelle in cui ci si convince che andrà tutto bene, il nostro impiegato decide di dar retta al fischio del treno.
Proprio quel giorno di aprile, prima di rinchiudersi in ufficio, Itachi ha un appuntamento col vetraio. Dopo la maggiore età, come una maledizione scoccata alla mezzanotte dei suoi anni, la vista ha cominciato ad abbassarglisi vertiginosamente, tanto che ora distingue con difficoltà un cespuglio di bosso da un cane barboncino.
Con il suo fare nobile e alienato entra nella bottega del veneziano e ritira un paio di occhiali su misura con la montatura di ottone; non appena li prova davanti allo specchio si sente sprofondare sotto il piastrellato in cotto del negozio; non si piace per niente. Che aspetto terribile, che aria da vecchietto, da confinato che ha! Decide quindi che li terrà in serbo per occasioni d'emergenza, quando comincerà a vedere l'ambiente che lo circonda come un quadro di Monet.
E non ci può far niente, paga il veneziano con aria scorbutica e nebulosa, tanto che egli fraintende e teme che il suo cliente sia rimasto insoddisfatto del lavoro riservatogli. Pertanto, onde evitare richieste di sconti, rifila nella sporta di cartone di Itachi una sfera di vetro. Omaggio signore, dice con tono reverenziale, senza nemmeno aggiungere il consueto tornate a trovarci!, e in fretta lo liquida dalla bottega.
Lo sventurato si trova catapultato nel caos dello Champs Elysées, con un paio di occhiali che gli pesano nel taschino che non ha intenzione di indossare, e con il borsellino secco. Il lavoro lo attende, il suo ufficio polveroso zeppo di carte lo attende, eppure c'è qualcosa che gli impedisce di pensare all'unica cosa cui dovrebbe pensare: arrivare in orario.
Libera la sferetta di vetro dal suo involucro e la pulisce con un lembo della camicia.
«Che gingillo inutile», sbuffa rigirandosela tra le dita con sguardo annoiato. Eppure ha catturato la sua attenzione.
Effettivamente c'è un particolare fuori posto, la sfera sembra riflettere solo le sue labbra, qualsiasi posizione assuma rispetto al suo viso.
Un momento.
Strizza gli occhi, inforca persino le lenti. Ma quelle labbra rosse di trucco non possono essere sue! Si guarda attorno, cerca di fissare le facce sfuggenti della folla, ma non c'è alcuna donna nei dintorni, o almeno, nessuna che stia ferma in un punto per più di dieci secondi. Sono tutti troppo indaffarati a correre.
Che curioso artificio!
Da un momento all'altro, le labbra prendono a muoversi, animate di vita propria. Itachi legge un mi vuoi ascoltare, scemo?
Cosa?
Avvicina la sferetta all'orecchio.
«ALLORA, MAI SENTITO PARLARE DELLA SFERA DI CRISTALLO?!»
Il malcapitato si porta due mani al timpano. Ora il volume è fin troppo alto!
«Sì», bisbiglia all'indirizzo di quella pallina con la voce da angioletto molesto. Si sente un idiota a conversare con una bolla parlante in pieno giorno, nel bel mezzo del caos del boulevard.
Probabilmente lo è.
«Sì, ho presente, quella cosa che si dice preveda il futuro?»
«Esatto, io sono sua figlia, o suo figlio».
«Figlia o figlio?»
Per Itachi non esiste il grigio. Le distinzioni devono essere per forza nette, precise, scientifiche! O è bianco, o è nero.
«Ti sembra che abbia un sesso accertabile, idiota?!»
Fantastico, fantastico.
Quello che gli manca è proprio un odioso giocattolo con seri dubbi esistenziali che gli ricordi la sua inettitudine.
«Insomma, come ti posso chiamare?»
«Mon nom est Adèle».
«Bene, Adele...»
«Adèle!»
Il più che paziente impiegato trattiene a stento un ringhio.
«Bene Adèle, ora chiudi quella boccaccia se non vuoi trovarti nell'immondizia, o sul fondale della Seine. Io devo andare al lavoro, è già tardi».
Fa per cacciare quella fastidiosa novità in borsa, ma un acuto nonono! lo trattiene. Esasperato, presta di nuovo attenzione ad Adèle e si imbosca in un vicolo poco frequentato.
«Che c'è ancora?!»
«Senti, senti un attimo...», pigola Adèle crucciato, «...perché mai tu vuoi tornare a fare il morto di fame attorno a un cumulo di cartacce?»
«Ma chi sei, il mio angelo custode incarnato per venirmi a dare lezioni di vita?»
«Ascoltami, tu un giorno diventerai famoso - è vero che questo prevede il futuro, pensa Itachi con una certa rassegnazione -, si scriveranno manga su di te, anche se verrai trattato come un assassino psicopatico... ma sono dettagli!»
La pazienza di Itachi ha raggiunto il suo ben alto limite. Non sa cosa lo trattiene dal mandare in pezzi quella vocetta fastidiosa, ma probabilmente Adèle sa che non l'avrebbe fatto, ha un sorriso fin troppo rilassato. È un sorriso fin troppo rilassato, è tutta bocca diamine! E senza doppi sensi di fondo.
«Mi vuoi ascoltare?»
Itachi annuisce, cedendo. È abituato a cedere al più forte, al suo capo ufficio, alla sua temibile mammina, ai prepotenti che superano la coda, al gatto che pretende la terza razione di cibo con occhi dolci, ma se si fa mettere i piedi in testa da un omaggio bisbetico, allora può piantare la bandierina sul proprio fondo di autostima.
«Fra qualche anno scoppieranno due terribili conflitti mondiali! Hai intenzione di stare qui a combattere in trincea?»
«Non sarei per niente adatto... aspetta, hai detto conflitti mondiali? Intendi una guerra?»
«Proprio così».
Ora Adèle s'è messo a fare il saccente.
«Senti mon ami, che ne diresti di prendere il volo per l'America australe?»
«Il volo?» Ripete Itachi, confuso.
«Ah già, non sono ancora stati inventati...»


*




E così Itachi spende i suoi ultimi risparmi per il treno che lo porterà al porto di Le Havre e comprare una bagnarola. Una vecchiaccia di mare, con lo chignon e la tenuta a strisce da marinaio, gli spaccia per buona una delle storiche caravelle, la Niña. E il fatto che sia quella originale, un pezzo da museo insomma, le dà occasione di alzare il prezzo.
«Ma non era affondata?» Itachi resta scettico.
«Nossignore, affondata e recuperata!»
«Ah, ora si spiegano molte cose...»
Effettivamente quella sottospecie di nave pare proprio un relitto, rimasto a marcire per cent'anni sul fondo rugoso e algoso dell'oceano.
Ma “l'affare” infine viene contratto. A questo punto catalogherete Itachi come una creatura di poco cervello, dato che è arrivato fin qui seguendo i consigli di una dubbia veggente di vetro per poi farsi gabbare in malo modo da un'ottantenne; ma non è così. Itachi ha una sua filosofia, e intende seguirla fino in fondo: a forza di cercare di far la cosa giusta e rendersi immuni, si cade in disgrazia, mentre commettendo sciocchezze di tanto in tanto si va incontro a una nuova fortuna.
E questa che vi stiamo per narrare è il classico esempio dell'avverarsi di questo strambo credo.
Il credo di un povero impiegato che cerca insistentemente di fuggire dal grigiore della pressante vita lavorativa, e che per questa volta c'è riuscito.
Infatti, vuole il caso che Adèle si senta male il momento stesso in cui i due battibeccanti compagni di viaggio mettono piede sulla caravella, e dato che la sferetta è tutta bocca - ancora una volta, senza doppi sensi di fondo - non è consigliabile lasciarla a piede libero sul ponte, se non si vuole passare tutta la traversata con lo strofinaccio in mano.
Per cui Itachi l'adagia su un'amaca sottocoperta, con un secchio vicino.
«Poi un giorno mi spiegherai due cose, come fai ad essere figlio della sfera di cristallo se non avete un genere specificato...»
«Ci cloniamo, come le lumache!» Ribatte subito Adèle indispettito.
«...e come fai a dare di stomaco se non mangi!»

Dicevamo, vuole il caso che Adèle se ne stia tutto il giorno a fare la bella vita in cabina, mentre Itachi - tanto per cambiare - sgobba sul ponte. È ovvio che la sferetta non può starsene ferma, buona e tranquilla e dormire, semplicemente. Allora crede bene di rendersi utile andando ad esplorare i meandri della nave, curiosando nelle vecchie librerie, negli archivi, nei cassetti delle scrivanie... appena trova qualcosa d'interessante, gnam, se lo mangia e poi lo risputa al momento dell'occorrenza.
«Pff - soffia Adèle indispettito - quel pezzente di un proletario di periferia non ha fiducia nella mia utilità». Effettivamente Itachi sognava sì di essere libero, senza ancore, senza orologio soprattutto, sognava esattamente di essere dov'è ora, all'avventura, controvento, diretto verso luoghi ignoti; sognava tutto questo, sì, ma nel suo sogno era solo. Solo con il suo gatto e la sua conifera da compagnia, senza sferette di cristallo loquaci tra i piedi.
Proprio in quel momento di riflessione che si è concesso, un fastidioso rumore di vetro che rotola sul legno gli giunge alle spalle. Adèle sta arrancando su per le scale, tirandosi su di gradino in gradino con una certa urgenza.
«Che succede, ti è passato il mal di mare?»
«Pff, scettico. Ho trovato qualcosa che ti può interessare».
Una mappa. Una mappa dell'America del sud per esattezza.
«Reame di Barzuk...»
Itachi fulmina Adèle con sguardo sospettoso. «Non è che tu già sapevi...»
«Pff, scettico, di nuovo. Sembra una terra meravigliosa, nel cuore dell'Amazzonia, verde rigoglioso e fontanazzi d'acqua pura...»
«...e serpenti velenosi».
«Scettico! Al cubo! Non avevo ancora finito, guarda qua» Adèle rotola su un punto della carta, dove è segnato il classico presunto tesoro con una X rossa e grassa, che naturalmente si rivelerà essere una ricchezza posticcia. È sempre così nelle avventure che iniziano in questo modo.
Ed è così che inizia il viaggio verso il reame di Barzuk, disperso nel cuore dell'Amazzonia, dove presumibilmente troveranno il tesoro di Barzuk. Se Itachi non fosse caduto di proposito nella rete della vecchiaccia di mare non avrebbero mai trovato quel prezioso documento; ecco confermata la validità della sua filosofia.
«Bene, abbiamo una rotta».


*




Approdati sulle coste del Brasile, il paesaggio che si trovano di fronte non è per niente ospitale. Ma meglio così. È già stato sperimentato che l'ospitalità si tramuta in società, e la società in corruzione e mala sanità. Itachi proviene dal caos cittadino, ora vuole sperimentare il caos naturale. Sempre di caos si tratta ma, per non si sa quale motivo, il secondo tipo ha una sorta di ordine in sé.
Ancorano la Niña, o meglio, quel che ne rimane, vicino a un litorale sabbioso.
Pagano una diligenza che li porti alle radici della più estesa massa boschiva del pianeta, ed iniziano a seguire le orme del tesoro di Barzuk.
Itachi si è armato di falce e copricapo per farsi spazio tra le intricate giunchiglie dell'Amazzonia; Adèle si limita a ronfare, sul fondo del suo taschino. In breve si imbattono in una popolazione locale, che ha l'aria di essere tutt'altro che amichevole.
«Agush il ehty boou?»
«Ha detto, hai perso la strada di casa, insulso parigino?» Suggerisce Adèle, improvvisamente sveglio.
«Ne sei sicuro? Come fanno a sapere che sono francese?»
«Sc...»
«Scettico! Sì! Lo so e lo sono, stupida boccia natalizia».
L'aborigeno punta una strana lancia contro l'ospite indesiderato, seguito all'unisono dagli altri. Itachi non si ravvede neppure di alzare le mani in segno di resa, la situazione è semplicemente troppo assurda.
«Shrita je mei!»
«Ha detto, sembra gustoso, che ne direste di assaggiare finalmente un concentrato di proteine?»
Itachi inarca un sopracciglio, per nulla convinto.
«Ti stai inventando tutto sul momento, razza di omaggio inutile! È impossibile che abbia detto tutte quelle cose in soli tre vocaboli!»
«Ma il significato è quello!»
Gli autoctoni si guardano tra loro, confusi, non capendo perché la loro preda stia discutendo da sola con un certo tono enfatico ed ispirato.
«Oh per l'amor del cielo, noi stiamo cercando il reame di Barzuk!» Sbotta Itachi, al limite dell'esasperazione.
Al nome di Barzuk gli indigeni sembrano reagire, e anche con una certa ilarità.
Colui che pare il capo, ovvero il più grande e grosso di tutti, si lascia andare in una risata di scherno, e gli altri lo seguono all'unisono.
«Ja huit huit boo clan Barzuk ne».
«Ha detto, se è la terra di Barzuk che cercate, la terra di Barzuk troverete, oltre le cascate argentate».
«Odio gli enigmi, perché non può indicarci la strada e basta?» Piagnucola Itachi, scoraggiato fin dal principio. Gli aborigeni, ancora divertiti, tagliano la corda senza lasciare loro tracce sul terreno fangoso; sembrano volare, più che camminare normalmente.
«La cascata argentata, ha detto?»
«Oh sì».
«E come la troviamo?»
«Pff», sbuffa Adèle, «come al solito, seguiamo l'istinto!»
Il problema è che seguire l'istinto, in una giungla aspra e incolta in cui anche mantenere l'orientamento non è semplice, non è una delle imprese più facili.
E infatti, l'opzione segui l'istinto viene bocciata immediatamente dalla comparsa di un insegna in legno che emerge dal folto del sottobosco come un monito allampanato: boo clan, seguito da rispettiva freccia e tempo di percorrenza.
«Vuol dire casc...»
«Sì! Lo so», esclama Itachi, interrompendo sul nascere le saccenterie di Adèle, «e nel caso non lo sapessi, ci sono le traduzioni in tutte le lingue».
E qui arriva il difficile. Ovvero, è più complicato seguire le indicazioni in una foresta che sperare di trovare una cascata vagabondando alla rinfusa per il sottobosco.
Itachi, e al seguito Adèle, impiegano due giorni a rintracciare la Cascata argentata, che si rivela essere nient'altro che un rigagnolo striminzito infestato da una particolare specie di aringhe argentate d'acqua dolce, velenose ovviamente, che fulminano all'istante chiunque le sfiori.
«Adèle, hai voglia di fare un bagnetto? Suvvia, so che ne hai voglia...» tenta Itachi, per nulla convincente. E comunque è inutile sperare di giocare un tiro del genere a un aggeggio che prevede il futuro.
Il reame di Barzuk è poco più in là, arrampicato su grosse sequoie. È certamente quello, perché in ogni dove emergono scritte brulicanti e altisonanti, che recitano Barzuk in modo alquanto pacchiano e martellante.
«Pare la curva degli ultrà».
Itachi rivolge un'espressione al limite del disprezzo ad Adèle, che come al solito s'è messo a delirare. In fondo non è di gran aiuto.
«Ma, per tutti i...»
Esistono ben poche cose in grado di scalfire l'imperturbabilità del nostro ex-impiegato, ma pare che proprio qui, in Amazzonia, nel bel mezzo del fogliame umidiccio e velenoso, ne abbia trovata una.
Ad osservare meglio quelle scritte, che campeggiano sui tronchi degli alberi, tra l'erba, fra una liana e l'altra, si nota che non sono affatto formate da sassi o da ornamenti simili.
Sono animate.
Sembrano formate da una miriade di sassolini irrequieti e traballanti.
Ma i due non hanno nemmeno l'occasione di osservarli da vicino, che in un battibaleno si trovano imbragati dalla testa ai piedi da forti e ruvide liane che li sbalzano su un ramo a più di venti metri d'altezza. Il povero cuore di Itachi, avvezzo a vita tranquilla senza imprevisti di sorta, batte a mille. Un altro colpo del genere, e non avrebbe retto.
Non appena sente i piedi toccare una stramba piattaforma sospesa a mezz'aria, tira un sospiro di sollievo. Una tregua poco durevole, perché subito una vocetta diversa da quella di Adèle squittisce stizzita.
«Non posso crederci, un altro europeo avventuriero? Eppure mi avevano assicurato che dopo quel tale Piccione avrebbero smesso di sbagliare strada».
«Magari non si è sbagliato, forse è solo l'ennesimo ritardato che crede di poterci cucinare».
«Di male in peggio».
Il povero Itachi si guarda intorno, si volta continuamente a destra e a sinistra, si guarda le spalle. Non riesce a localizzare la provenienza di quelle due esili e fastidiose voci, finché non arriva il puntualissimo suggerimento di Adèle.
«Scemo, mettiti quegli occhiali!»
Già, gli occhiali. Quei spaventosi ordigni. L'ex-impiegato li estrae in fretta e furia dal taschino della camicia, e con suo immenso rammarico scopre che una lente è saltata. Li inforca comunque, ed ora mette a fuoco la bizzarra provenienza di quelle voci.
Su due piccoli troni sospesi tra le foglie sono accomodati due... fagioli.
Sono proprio due comunissimi fagioli, con una bocca rotondetta e due capocchie di spillo come occhi.
«E... e voi chi siete?» Oramai non si stupisce più di niente.
«Barry e Zukky, rispettivamente Re e Regina del regno di Barzuk!» Fa con voce imperiosa il fagiolo che reca una stramba coroncina tribale. Colei che siede al suo fianco deve essere, con tutta probabilità, la signora Zukky, regina del reame di... questo bel posto umidiccio.
Itachi alza gli occhi al cielo, poi volge lo sguardo verso Adèle, che stranamente è rimasto zitto tutto il tempo.
«Senti Adèle, non saranno tuoi parenti vero?»
«Ovvio che no, io non ho quelle orrende gobbe da cammello!»
«Beh, in ogni caso non mi sembrano molto minacciosi...»
Barry e Zukky si guardano confusi, vedendo l'inaspettato ospite confabulare allegramente tra sé e sé. «Cara, credi che il caldo l'abbia ammattito? Oppure è semplicemente un erudito avvezzo a discorrere con la propria coscienza?»
Zukky si sistema sul naso gli occhiali in avorio con aria circospetta, ed osserva meglio lo strano comportamento del francese. Effettivamente non sembra aver tutte quante le rotelle a posto. Tuttavia è uno spettacolo alquanto curioso, vedere uno straniero conversare docilmente con il proprio ego. Uno spettacolo per cui vale la pena di radunare tutto quanto il popolo di Barzuk.
A frotte i fagioli emergono da ogni dove, da sotto le radici, dai buchi dei rami, dalla terra stessa. Brulicano come larve, ognuno di loro però con un'espressione alquanto... intelligente, e perennemente stirata in un sorriso ebete.
I due “reali” sogghignano divertiti, seguiti dai loro sudditi. Un brusio di soffi e di risa si spande, fondendosi assieme ai rumori della natura.
Itachi e Adèle si scambiano uno sguardo - nei limiti del possibile - stranito. Possibile che siano capitati in mezzo a un popolo di legumi parlanti? E irritanti? E - a quanto pare - intelligenti?
Notano infatti, tra la folla, legumi scienziati con grandi occhiali rotondi e ampolle di vetro, legumi poeti con calamai e pergamene, legumi matematici con l'abaco e il gesso...
E tutti studiano il nuovo arrivato con il calcolo negli occhi, con una precisione e una catalogazione inquietanti.
«Insomma, si può sapere chi siete?» Itachi avanza di qualche passo verso i suoi interlocutori. D'un tratto si sente nervoso, circondato a quel modo da quella miriade di fagioli. Se solo avesse portato una pentolino con sé, avrebbe risolto parte dei suoi problemi.
«Noi non siamo da mangiare», ribatte stizzito Barry lanciando saette dagli occhietti rotondi, «voi europei siete proprio degli stolti».
Un fagiolo... che legge nel pensiero?
«Che c'è di strano? Se un fagiolo può parlare, non vedo perché non possa leggere nel pensiero», dice pronto Adèle, con la sua solita vocetta saccente. Itachi lo guarda di traverso.
«TU leggi nel pensiero?»
«Ma in realtà anche tu sai leggere nel pensiero, con lo Sharingan».
«Shari... che?»
«Lascia perdere».
«Allora!» Tuona, per quanto possibile, l'altezzoso Barry. «Parigino ammattito, vuoi sapere chi siamo?»
«Certo che sì! Non ho fatto tutta questa strada per...»
«Allora ascolta, molto attentamente, perché potresti perderti. Noi siamo i fagioli di Barzuk!» Scandisce Barry a bocca aperta, come stesse cercando di inculcare un concetto molto complesso nella testa di un moccioso.
Ebbene, in fin dei conti l'hanno preso per un ritardato. Poco male, perché convinti che Itachi non sappia leggere, lo lasciano scorrazzare libero per la biblioteca storica. La suddetta biblioteca non è nient'altro che un albero millenario che continua a germogliare foglie, senza perdere quelle vecchie. Su quelle gocce verdi gli abitanti di Barzuk hanno scritto la loro storia, i loro racconti, le loro fantasie, la loro essenza e la loro identità. E l'albero del ricordo, Shaa Lima, e custodisce con gelosia e rigore quelle pagine sempreverdi. Il problema fondamentale è riuscire a focalizzare la grafia minuscola dei sapienti di Barzuk, soprattutto per le doti oculari del nostro ex-impiegato di ventura. Nemmeno gli occhiali bastano per leggere quelle lettere di formica, ma una lente d'ingrandimento può aiutare. Adèle, per caso, ne sputa una, prelevata in precedenza dalla pancia della vecchia Niña. Evidentemente già sapeva che sarebbe servita.
Itachi dunque inizia ad acculturarsi, inizia ad imparare la vera natura dei fagioli di Barzuk. Lui legge e Adèle traduce, per una volta sono un duo vincente.
Il giovane passa giorni e notti nei pressi di Shaa Lima, assetato di conoscenza.
Soprattutto voglioso di scoprire la locazione del bramato tesoro. E così apprende un fatto incredibile: i fagioli di Barzuk non sono altro che unità pensanti, pezzi di cervello, organismi dotati di un'intelligenza e di un'autonomia fuori dalla norma. Possono clonarsi a piacimento - come le sfere di cristallo, sì Adèle, sì - e condividere e trasmettere informazioni fra loro in meno di un nanosecondo. Le informazioni da contatto a contatto si trasmettono alla velocità della luce.
«Woah», commenta Adèle, incapace di trattenere un vistoso sbadiglio, «questo potrebbe rivoluzionare tutta quanta l'era del computer».
«Che hai detto?»
«Lascia perdere. Sono solo dell'idea che tu debba portare un souvenir all'Europa, un bel sacchetto ricolmo di fagioli».
«Questo è il colmo! E secondo te questi verrebbero con noi, in quella valle di lacrime?»
«Sai, Itachi, la gente ama cambiare, sia in meglio che in peggio. La gente persegue il cambiamento».


*




«Possiamo venire a Parigi con voooooooi?»
Itachi lancia una delle sue peggiori occhiate all'allegro compagno di viaggio.
«TU, lo sapevi».
Una schiera di fagiolini di vario colore lo stanno guardando dall'alto al basso - dal basso all'alto - con occhietti imploranti.
«Abbiamo sempre desiderato guardare il mondo dalla Torre Eiffel!»
«E portare le baguette sottobraccio al mattino!»
«E pasteggiare con ostriche e brioches!»
«E...»
«VA BENE, va bene. Abbiamo capito» sbotta Itachi scuotendo energicamente le braccia davanti al viso. «Ma come fate a sapere tutte queste cose di un mondo così lontano?»
I fagiolini si guardano tra loro, ammiccanti. Poi uno di loro si azzarda a dire con tono innocente: «il saggio Shaa Lima ci accultura!»
Itachi riduce gli occhi a una fessura. Non è sicuro che quei legumi iperattivi gli dicano tutta la verità.
«E per quanto riguarda il tesoro?» Sussurra Adèle in un orecchio al suo compagno di ventura.
«Tu lo dovresti sapere meglio di me, Adèle», risponde Itachi, «credo che questi legumi intelligenti possano portare un grande beneficio nelle città moderne».
«In che modo?»
«Ma non ti ricordi ciò che abbiamo appreso dalle foglie di Shaa Lima? Questi esserini sono più intelligenti di un essere umano, eseguono calcoli autonomamente, comunicano a distanza, s'illuminano persino!» Come dimostrazione pratica, Itachi picchietta sulla testa del fagiolo più vicino, e questo zampilla di mille colori elettrici.
«Paiono bestiole del futuro. Non hai idea di quanto potrebbero rivoluzionare il mondo, la scienza!»
Adèle guarda di traverso il carattere euforico che ha assunto Itachi, e l'ardore e il desiderio brillare nei suoi occhi.
«Ma guarda un po'», inizia con una smorfia sulle labbra, «è proprio vero che la rivoluzione industriale partorisce dei mostri perfettamente alienati. Ti avevo offerto un viaggio tra la pace e la natura, e guardati, alla fine anche tu hai in testa solo soldi e progresso. Non era ciò da cui volevi fuggire? Evidentemente la città caotica in cui sei nato ti manca già».
Itachi guarda Adèle stranito, e confuso nell'appurare che in fondo ha ragione. «Va bene, vi faremo vedere la Francia».
Si piega all'altezza del terreno e lascia che i piccoli esserini zampettino sulla sua giacca.

Se volete sapere come andò a finire questa stravagante avventura, beh, ve la racconterò in breve, perché ormai il nostro protagonista è vecchio e stanco, e non terrà per molto gli occhi aperti.
Sono passati cinquant'anni da quando ha lasciato la terra di Barzuk, il suo fedele Adèle campeggia sul caminetto, silenzioso da anni ormai. Ora pare proprio un adorabile soprammobile, come doveva esserlo l'omaggio del vetraio. Finito il suo compito, ha esaurito la voce e si è spento, tanto che Itachi è stato assalito più di una volta dal dubbio di essersi sognato ogni cosa. La nevrosi può giocare brutti, davvero brutti scherzi.
Vi chiederete a quale destino sono andati incontro i fagioli di Barzuk, ebbene. Dovete sapere che Itachi e Adèle, non appena riuscirono a districarsi dai grovigli dell'Amazzonia, tornarono al molo e videro con sommo dispiacere che la Niña era tornata nel suo habitat naturale, sul fondo dell'oceano. Sembra incredibile, eppure i chiacchieroni fagioli di Barzuk progettarono in fretta e furia una mongolfiera, che riuscì a sorvolare l'Atlantico senza incorrere nelle ire dei cicloni. Itachi aveva trascorso tutto il viaggio a pregare non si sa quale dio, Adèle sbraitava ordini maledicendo le vertigini del compagno di viaggio indisposto. Ma i fagiolini avevano fatto bene i loro calcoli.
Il pallone volante atterrò docilmente nei pressi di Parigi, preciso come un orologio svizzero.
Dopo dieci anni di travagli e andirivieni, è vero, ma infine planò nel bel mezzo di un prato verdognolo, nel bel mezzo della prima guerra mondiale.
Gli anni di quella che pare un'Odissea, un vero e proprio travagliato viaggio di ritorno, non ve li racconto. Sarebbe una storia piena di maghe sperdute su atolli, bellicosi pesci volanti, murene sottomarine, draghi di fuoco e terre di ghiaccio. Tutto quanto nella norma, un classico.
Nel frattempo però i fagiolini erano prolificati come batteri, e s'erano moltiplicati. Al loro ritorno, Itachi sbarcò con il cestello della mongolfiera ricolmo di legumi, tanto che la comitiva rischiò di essere bombardata dalla contraerea tedesca perché credevano portassero rifornimenti alle nazioni alleate.
In ogni modo riuscirono ad entrare a Parigi sani e salvi. Itachi non tardò ad avvisare i governi della sorprendente novità, di strabilianti organismi provenienti dall'Amazzonia. Di straordinari esseri viventi.
Volete sapere come andò a finire?
Gli avidi giocatori d'azzardo usarono i fagioli di Barzuk per coprire i numeri della tombola, e i generali delle armate pensarono bene di farcirci i fucili, come fossero proiettili di scarsa qualità.
E così, quello che nelle mani dell'umanità poteva divenire un tesoro, nella disumanità dei soldi e della violenza fu gettato al vento.
Proprio tipico degli uomini. Itachi constatò infine che i tesori sono di chi li sa vedere, e si considerò fortunato. Fortunato ad avere la percezione di appartenere ad un mondo diverso da quello in cui era nato. Fortunato ad aver visto uno spiraglio di luce, e ad aver assaggiato una fetta di futuro nella quale aveva riposto tutte le sue speranze.
Tuttavia, non era mai stato un pessimista.
Il suo augurio per il futuro rimaneva lì, rinchiuso in una scatola di latta coi buchi, posta sul caminetto di fianco ad Adèle.
Sul suo fondo, un comunissimo fagiolo dormiva, occhi e bocca ben celati.
Aspettando tempi migliori per germogliare.







Note dell’autrice:

Questa storia - mi correggo, questa pazzia - era nata per il Chef Ninja Contest di Shark, che era effettivamente una genialata di contest. Peccato che alla fine siamo rimaste in due a partecipare ç__ç Il mio prompt erano i fagioli, e il mio personaggio Itachi. Ecco, sarà stato il personaggio a far nascere quest'idea pazzoide, proprio perché io non so come trattare Itachi. E detesto scrivere di lui. Non sempre, in questo caso mi è stato anche simpatico, peccato che non fosse Itachi! Ebbene, infine? Mi farebbe strano dire di essere arrivata seconda, diciamo che sono arrivata ultima, perché in effetti - poi giudicherete voi - questa storia starebbe meglio nelle originali. Anche se Itachi non lo vedo poi così male in questo contesto.










Questa storia ha partecipato al Chef Ninja Contest indetto da Shark Attack

Grammatica Generale: 15/15 ¥ 
Ormai conosco bene il tuo modo di scrivere e so da tempo che non commetti praticamente mai errori di grammatica e/o sintassi... e non ti sei smentita! 
Stile: 15/15 ¥ 
Sono rimasta molto indecisa su questo punto perché hai usato uno stile “anomalo”, diciamo, per questa fic. Sei un narratore presente e vivo nella storia, rendi molto partecipe il lettore e coinvolgi molto i personaggi nella narrazione. La storia è narrata in maniera simpatica e scanzonata, cosa che non ho per niente disdegnato e che, anzi, ho apprezzato smepre più man mano che la leggevo, vista la sua... originalità devastante? 
Doti culinarie: 13/15 ¥ 
In realtà è molto difficile essere obbiettivi e giusti in questa voce, nel senso che hai preso i fagioli, tuo ingrediente da utilizzare, e li hai resi... alieni? Hanno gli occhietti e parlano! Mai avrei immaginato che avresti tirato fuori una cosa del genere! Non so cosa pensare di quest'idea, è così buffa che all'inizio mi ha fatto inorridire, poi mi è sembrata simpatica e decisamente oridinale, poi è tornata a farmi storcere il naso e infine... infine boh, non so. Nel dubbio ho tolto due punti per sport. 
Originalità: 5/10 ¥ 
Parte di me voleva darti 12/10, ma poi ho riflettuto bene sull'eccessiva e dialgante originalità -so che le AU erano permesse, ma questa storia mi è sembrata fin troppo alternativa per essere effettivamente accettabile- e ho deciso che potevi trovare mille milioni di altri modi ben più tranquilli, normali (non dico banali, eh!) e forse umani per utilizzare i fagioli... in fondo non era un'ingrediente così tanto fuori dal mondo da dover prendere la nave e partire alla volta del Brasile con Barzuk e un Itachi parigino che in realtà “un giorno” avrà lo Sharingan e verrà messo in un manga. 
IC personaggi: 2/10 ¥ 
Lo so, mi avevi avvisata dell'OOC, ma tu ormai dovresti sapere più che bene che io sull'IC non transigo, neanche se si è nell'AU... e poi la griglia di valutazione è nel bando da sempre e non l'ho mai ritoccata... Itachi è a Parigi -mi ci poteva anche stare-, non c'è traccia degli altri pg né del motivo per cui lui è lì; trova Adele e la segue fin dall'altra parte del mondo -non ce lo vedo per niente- e si fa praticamente mettere i piedi in testa da questa cosetta e dai fagioli che trova... no, non mi è piaciuto come l'hai svuotato. Avresti potuto chiamarlo Pino e mettere la fic negli originali, sarebbe stato di gran lunga più azzeccato. 
Gradimento del Giudice: 3/5 ¥ 
In fondo mi è piaciuta come storiella, sebbene non abbia davvero capito perché ti sei impergolata tanto per qualcosa di molto più semplice come “Itachi + fagiolo”. Insomma, so che scadere nel banale è davvero orribile, ma anche creare cose così tanto fuori dal normale è sbagliato! Non credi? Però ho apprezzato lo sforzo, soprattutto per il fatto che non hai abbandonato anche tu il contest come tutte le altre! E poi la storia in sé non è male, solo... poco azzeccata qui. 
Totale: 53/70 ¥ 

Premi
Attestato di Cuoco Dilettante (secondo classificato) 
Premio Gourmet (miglior stile) 
Premio Frullatore (miglior scena comica) 
Premio Lavapiatti (ultimo a consegnare) 








Infine, i ringraziamenti. Un grazie ovviamente alla giudicia Shark! Senza di lei, chi li organizzerebbe questi contest fantaculinari? 
E in ogni caso senza di lei questa follia non sarebbe nata (hum, mettiamoci anche lo stress di fine quinta), anche se non so quanto questo sia effettivamente un bene...

Dunque, come concludiamo? Scusate l'assenza su questo fandom, ma ora sono tutta presa con Loki e Thor, accidenti. Mettiamoci anche gli esami di stato imminenti, e Jashin solo sa cosa ci viene fuori. 
In ogni caso, mi sono iscritta a una challenge, per cui almeno altre trenta storie di Naruto dovrei scriverle. Insieme a una long Sid Vicious / Jhonny Rotten. Lo so, è conturbante

Torno a studiare.

   
 
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