CAPITOLO 2
SOGNI
Talith sognava un passato che non avrebbe saputo ricordare.
Rivedeva il borgo nel quale era nata, un villaggio modesto che l'elettricità non aveva ancora raggiunto.
Era nella piazza principale, quella sulla quale si affacciava da un lato il piccolo Tempio della Terra e dall'altro la stazione di posta in cui lavorava suo padre, un mago mediocre il cui solo talento era quello di far viaggiare lettere e persone fino alla vicina Capitale. Quella mattina, tuttavia, il piccolo ufficio in cui il genitore lavorava era chiuso e le campane del Tempio suonavano per richiamare i fedeli.
Talith si era attardata fuori assieme ad un gruppo di suoi coetanei, tutti raccolti attorno ad una vecchia che raccontava storie della sua giovinezza e delle guerre che gli Elfi avevano mosse contro di loro, figli bastardi di una génia pura.
Era stato allora che, per la prima volta, Talith aveva iniziato a pensare al tempo, a quanto ne aveva ancora e a come impiegarlo: sarebbe vissuta per tre, quattro secoli al massimo e non aveva alcuna intenzione di passarli lì. Aveva poco più di trent'anni a quel tempo ed era ancora una bambina...
Dei tanti, solamente tre erano gli ordini il cui nome non fosse decaduto nelle ere a causa di scandali: il Regio Esercito, la cui élite era un vanto della nazione intera, l'Accademia di Arcani, celebre per l'elevato potere che maghi e stregoni potevano raggiungervi e l'Ordine degli Informatori, ovvero la gilda il cui scopo era diffondere notizie e proclami nell'intero regno. Ognuna di queste caste aveva un severo protocollo d'ammissione e Talith era sicura di non essere in grado di sostenere la prova di abilità militare necessaria a ottenere l'affiliazione al Regio Esercito.
Dunque tentò l'Accademia, cui mancò di entrare per la scarsa voglia con cui s'era disposta allo studio dell'Arte.
Nonostante i fallimenti, Talith sognava la grandezza: voleva rendere fieri i suoi genitori e ancor più sé stessa, dimostrandosi capace. Dunque considerò l'ultima possibilità, quella che non avrebbe vanificato il viaggio, costringendola ad attendere altri tre anni prima del nuovo tentativo d'ammissione: l'Ordine.
Esservi ammessa fu più facile di quanto credesse: le parole parvero sorgere dalla carta pesante sulle quali le vergò e l'articolo, nulla più di un saggio sulla sua vita – come richiesto – fu giudicato positivamente.
Le restavano ora gli anni dell'apprendistato, scanditi da due traguardi; ma ora aveva degli amici e non si sentiva così nostalgica, così sola...
Sua madre era morta.
Glielo avevano detto così, sterilmente, mentre Talith, ignara e felice, si apprestava a scendere per la colazione.
Sua madre era morta e suo padre la pregava di recarsi alla stazione di posta più vicina e farsi Trasportare nel minor tempo possibile.
Talith era rimasta ferma, una fitta al cuore e la testa spenta: quel giorno sarebbe divenuta un membro della stampa a pieno diritto, un traguardo cui anelava da quando, non meno di dieci anni prima, se n'era scappata da quel paesello dimenticato dagli Dei.
Ed ora...
Aveva sacrificato ogni cosa alla sua arte.
Scattava foto e scriveva articoli, denunciando senza remore o pietà tutto ciò che, in coscienza, trovava ingiusto o degno d'essere portato all'attenzione della Capitale.
Sapeva cosa fare della sua vita, l'aveva sempre saputo: decisa, aveva tirato avanti lasciandosi alle spalle paure o rimpianti per amore della sua arte, nella speranza di magnificarla.
Dunque, il complotto. La caduta, la disperazione, gli avvertimenti, la lunga notte e di nuovo Siryo, ancora Shaun e Ancilla e infine lui, Kay'den e il suo patto.
E sette anni, sette interi anni...