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Autore: formerly_known_as_A    15/06/2012    5 recensioni
Islanda ha pensato che un viaggio lontano dal se stesso fisico potesse fargli soltanto del bene. A volte succede. A volte gli sembra che l’isola sia troppo piccola, troppo vuota, persa com’è in mezzo al mare. A volte ha bisogno di allontanarsene per rendersi conto di quanto sia bella.
E non c’è nessun avvenimento che gridi ‘vattene’ come una separazione.

{Personaggi: Islanda, Olanda, Danimarca}
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Islanda, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno successivo l’islandese non può che arrivare al Museumplein con un sorriso sulle labbra, esaltato per quello che sa che farà quel giorno.

“Ti piace davvero molto, eh?” chiede l’olandese, guidandolo verso il museo. Islanda non risponde. Non perché non voglia o sia maleducato, ma perché è bloccato, il corpo teso mentre attraversano la soglia, le mani tremanti.

Ha sempre pensato che adorare in quel modo un artista di un’altra Nazione fosse sbagliato. Non si venerano arti diverse dalle proprie, pensava, osservando il fratello prendere il violino per suonare qualcosa di straniero e gli altri nordici leggere ed apprezzare opere in altre lingue. Ha sempre creduto che la forza di una nazione risiedesse appunto nel tenersi strette le proprie opere e farsele piacere.

Islanda è sempre stato particolarmente fissato con la propria identità, nato com’è da una protesta contro chi quella identità voleva sostituirla a qualcosa venuto da lontano, ma Van Gogh gli ha decisamente fatto cambiare idea.

Si è trovato per la prima volta di fronte ad un suo dipinto a metà anni ’50, in uno dei libri di arte che Dan gli aveva mandato in blocco per farsi perdonare e cercare di recuperare quel sembiante di famiglia che erano un tempo. Anche allora sapeva decisamente come ammorbidirlo, lo stupido danese.

Non erano i Girasoli, erano gli Iris. Un dipinto meno famoso ma altrettanto bello, che l’aveva affascinato con i colori, con quei blu così vividi che gli avevano subito ricordato i tempi malinconici dei viaggi per mare.

Così aveva iniziato ad apprezzarlo e presto era diventato l’Artista, quello con la prima lettera maiuscola, aveva letto, ma soprattutto guardato. Pensare di ritrovarsi finalmente di fronte a qualcosa che ha dipinto, qualcosa su cui si è dannato per trovare i colori giusti lo emoziona troppo per rispondere all’olandese.

“Tu… L’hai conosciuto?” chiede, mentre osserva i dipinti e i semplici disegni con occhio attento, con una lentezza quasi esasperante.

“Non molto. Non era il mio genere, non avevo ancora capito quanto fosse grande. Per me era un povero pazzo che colorava in modo strano.” ammette quello, non senza un pizzico di vergogna. “Credo che si trovasse decisamente molto meglio in Francia.”

Islanda si volta per guardarlo, uno sguardo di disapprovazione in volto, da vero fanatico, cercando di capire se il tono che ha sentito sia o meno dispiaciuto. Di sicuro ora dev’essere un orgoglio essere la patria di un tale genio.

“Guarda.” sussurra, prendendolo per un polso e piazzandolo di fronte ad un autoritratto. “Ti piace la luce, eppure non la vedi, qui. Guarda, i tratti concentrici intorno a lui, quella è luce, anche se non è chiarezza, è come un’orbita. La luce si modifica a seconda di cosa importa di più.” gli spiega, sorridendo ed indicandone il percorso.

Lo fa avvicinare il più possibile, con una delle guardie che li guarda un po’ male, ma non gli interessa.

“Vedi? Non sono pennellate a caso. Ci sono luci ed ombre e il colore non è uniforme.” aggiunge, tracciando ancora dei piccoli movimenti con le dita, nell’aria di fronte alla tela.

Jan annuisce, colpito, anche se probabilmente sa già tutte quelle cose.

Islanda è soddisfatto e passa agli altri quadri, gli occhi luminosi mentre cerca i dettagli, le pennellate, il cuore che batte all’impazzata come se fosse ad un appuntamento romantico. E, in un certo senso, quello è come il coronamento di un rapporto a distanza, durato anni.

Continua ad andare avanti ed indietro attraverso le stanze, fermandosi a lungo davanti agli Iris.

“È meraviglioso. Come immaginavo.” commenta, all’accompagnatore che non lo lascia un secondo solo mentre il suo continuo girovagare attira l’attenzione degli altri visitatori. Vorrebbe fare un milione di foto ai dettagli, ma, soprattutto, fare una foto accanto a quel dipinto, il primo che ha imparato ad amare. È davvero un peccato non potere.

“È il tuo preferito?” chiede Jan, incuriosito, ormai probabilmente convinto di avere davanti un fissato dell’artista. Ma la cosa non sembra turbarlo più di tanto.

Eirik scuote la testa, voltandosi verso di lui per parlare. “No, è stato il primo che abbia mai visto, però. Il blu è bello come il mare, con gli stessi riflessi e i fiori sembrano incredibilmente vivi.” commenta, socchiudendo gli occhi e sentendo di nuovo quell’ondata di nostalgia. “Mi ricorda la mia infanzia.” confessa, in uno slancio di sincerità, tornando a guardare le sfumature di blu.

“Qual’è il tuo preferito, allora?” domanda l’olandese, guardandosi in giro come per individuarlo. “Il mio è Campo di grano con volo di corvi.” lo anticipa e Eirik lo guarda come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.

È anche il suo preferito e sa che moltissimi lo snobbano perché non è maestoso come I Girasoli e non ha attorno un alone di tormento come gli autoritratti.

Si illumina, annuendo brevemente. “È anche il mio preferito.”

Jan sorride a propria volta, un po’ meno misterioso rispetto al giorno prima, più rilassato in sua presenza… amichevole. Probabilmente hanno entrambi bisogno di un po’ di tempo. Lo guida attraverso il museo, fino al dipinto in questione ed Eirik sente la morsa tipica di qualcosa di angosciante e bello, avvicinandosi con estrema lentezza.

C’è tutto. Il vento e le nuvole scure, quell’angoscia che sembra preannunciare la fine. La follia.

Forse è una sensazione ancora più forte di quanto pensasse quando fissa la stampa che ha messo nel soggiorno che ne riproduce le figure. O forse è autosuggestione.

“È bellissimo.” ammette, però, portandosi una mano dove quella sensazione è più forte, sul petto.

Bellissimo, sì, ma non riesce a guardarlo più di cinque minuti, imprimendosi nella memoria ogni tratto, collegandolo alla follia di qualcuno che ha amato di un amore ben diverso da quello che lega due innamorati, ma proprio per questo incondizionato, senza limiti.

L’amore di un figlio nei confronti di un padre che, lentamente ed inesorabilmente, soccombe alla follia.



“Dan?”

“Vuoi ringraziarmi ancora?” chiede il danese, al telefono, divertito. “Guarda che se vuoi chiedo a Jan di adottarti, se ti piace così tanto la città!”

Scuote la testa, arrossendo al pensiero. Anche nell’Amsterdam Dungeon l’hanno scambiato per il fratellino dell’olandese. Solo perché ha avuto seriamente paura che quei finti malati di peste fossero veri e si è nascosto dietro Jan quando sono entrati!

Un tempo sarebbe scappato gridando, è già un buon passo avanti.

Abbraccia il cuscino, imbarazzato, sbuffando leggermente.

“Dopo il museo mi ha portato all’Amsterdam Dungeon.” borbotta, giocherellando con il cordino della macchina fotografica, ancora decisamente imbarazzato. “E mi hanno preso per il suo fratellino. Non ci somigliamo per niente e io non ho fatto storie per il pirata che sputava nei bicchieri prima di darci da bere, anzi!” protesta, imbronciato, cadendo sul fianco.

“Pirati? Ti piacciono sempre?” chiede il danese, interessato, ricordando ad Eirik che quell’uomo sembra avere una memoria prodigiosa per qualsiasi cosa lo interessi, anche solo un minimo. Se li marca sicuramente da qualche parte, non ci sono alternative possibili!

“Certo che mi piacciono. C’era tutta una parte dedicata solo a loro, era bellissimo, sembrava di stare su una vera nave pirata!” esclama Islanda, ricordando quella parte con entusiasmo. Sembra così diverso dal solito Lui, ma quella è solo una parte, un po’ infantile, forse, che può mostrare quando si sente al sicuro. Al telefono, ad esempio, protetto dalla lontananza e dal fatto che nessuno può vedere la sua espressione felice.

“La parte sull’Inquisizione era assurda. Il prete continuava a gridare cose senza senso. Anche Jan non era contento.” continua, cercando di raccontare ogni cosa, ma non riuscendoci molto bene. Troppe emozioni, tra l’entusiasmo per i pirati e l’orrore della peste.

“Invenzione spagnola.” ribatte Dan, divertito. “Ha una certa avversione per lui, l’hai notato?”

Eirik ci pensa un momento, ricordandosi quello che gli ha detto a proposito della luce nei dipinti. Annuisce. Sì, non sembra sopportare molto lo spagnolo. Ma è così per quasi tutte le ex colonie.

Anche lui è al telefono con il proprio ex colonizzatore. Ma è decisamente diverso.

“Notato. Poi c’era una stanza sulla peste e…” si blocca, stringendo fin troppo il cuscino.

“Stai bene?” chiede immediatamente il danese. Non per il silenzio. Non è durato molto più di due secondi. L’argomento è abbastanza delicato per entrambi. Hanno avuto paura di perdere Nor a causa della peste. La sua popolazione si era ridotta drasticamente e…

“Sto bene, mi sono fatto scudo con Jan.” ribatte, facendo ridere Dan. Per poco non lo segue, anche se è una battuta fatta solo per rassicurarlo un poco sul proprio stato mentale.

Ha avuto paura, sì. Si è nascosto e se ne vergogna, ma l’immagine del fratello devastato dalla malattia è impresso a fuoco nella sua memoria.

Il fratello che lo proteggeva sempre, magro ed incapace di muoversi senza provare dolore, la pelle candida diventata blu o nera in certi punti.

Il terrore non l’ha abbandonato finché non si sono mossi verso la stanza successiva ed Islanda si è tenuto bene dietro l’olandese, cercando di guardare per terra per non scorgere, in quella processione di morti che ancora camminavano -attori, solo attori!-, il volto di Nor.

“Non ti preoccupare, anche per lui è… un brutto ricordo.”

La voce di Dan sembra lontana, all’improvviso, ma è perché era perso a pensare. Torna subito attento a quelle parole. Cosa vuole dire? Che l’olandese non lo prenderà in giro per il resto della visita? Bene, non ne ha proprio voglia.

“Senti, Dan.” inizia, ben intenzionato a porre una domanda che non si è mai azzardato neppure a formulare consciamente, ma che una cosa che ha letto al museo gli ha suggerito. “Quando non stavi bene… com’erano i colori? E la luce?” chiede, tentennante, rendendosi conto che la domanda è decisamente personale, intima. Inoltre, non hanno mai parlato veramente del periodo buio del danese, quello che trascorreva facendosi del male.

Lo sente sospirare, probabilmente pensando se rispondere sinceramente o meno. Forse ha letto la stessa cosa che ha letto, che gli schizofrenici vedono i colori e la luce in modo diverso e che quello, misto all’assenzio, avrebbe influenzato l’arte di Van Gogh.

Da una parte riconosce il tormento sotto le pennellate, ma, dall’altra… c’è moltissima luce in quei dipinti, come una speranza che non scompare mai. Se così fosse, se anche per Dan ci fosse stata, allora un po’ del peso che ha sentito in quel periodo, sul cuore, se ne andrebbe.

“Non c’erano colori, né tanto meno luci.” risponde invece Dan, uccidendo quella speranza. Un altro sospiro, una pausa, come se volesse aggiungere altro. “C’eri solo tu e quella era la mia speranza, Eirik.”

Lascia andare il cuscino per un momento, l’espressione stupita, poi l’abbraccia e, giura, se quel danese stupido fosse lì, abbraccerebbe anche lui in quel modo. Sorride.

“Suppongo di doverti molto più che un consiglio su dove andare in vacanza, mhm?”

“Idiota.”

Ma lo dice con talmente tanto affetto nella voce che sembra significare un milione di cose diverse.



Note dell'autrice


Per prima cosa vi ringrazio ancora moltissimo per il feedback. Purtroppo nell'ultima settimana ho avuto una specie di strana influenza che mi ha impedito di rispondere ai commenti ed aggiornare come avrei voluto, quindi avete questo capitolo solo di venerdì... per il prossimo, però, aspetterete solo il weekend, promesso.

Vi rimando alla pagina del blog dedicata ai primi capitoli per le note “artistiche” e qualche foto dei luoghi visitati!


   
 
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