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Autore: Dernier Orage    15/06/2012    4 recensioni
Un frammento sulla follia dove Dietrich è costretto a letto, tra neurolettici ed allucinazioni, e, lentamente, Benno sta perdendo l'amore della sua vita.
Il sonno arrivò rapido ed inquieto, avvolse il suo corpo come una coperta intrisa di schegge di vetro, un gusto amaro in bocca ed un dolore nelle gengive. Viveva fasi alterne di disperazione, speranza e contemplazione di fini del mondo, magari per l’ultima notte del novantanove, uno spegnersi indolore, istantaneo e auspicato. Un allontanare quel dolore soffocante e senza fine.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shred.

« Le mie mani! Aiuto! Le mie mani! Non le sento più! » Scorrevano i secondi nell’oscurità, Dietrich li sentiva scoccare come le ore scandite dal campanile della Sankt Nikolai Kirche. « Aiuto! Benno, aiutami! Non sento più le mani! »
« Arrivo, aspetta. » Urlò una voce dall’altra parte della porta di legno gialla. Era ruvida, lenta, stanca ed estranea.
« Benno, dove sei? » Gemette Dietrich cercando di sollevarsi con il dorso, non riuscendo a fare leva sui gomiti e precipitando sul materasso molle e scomodo.
« Eccomi. Va tutto bene? » Benno comparve alla porta, un maglione azzurro su una t-shirt e i pantaloni del pigiama, gli occhi gonfi e le guance arrossate.
« Chi c’è di là? » Gli domandò lamentoso Dietrich, erano mesi che non dormivano più nello stesso letto, più o meno dalla prima volta che era stato visitato da uno psichiatra.
« Nessuno, mi sono addormentato con la tv accesa. » Gli spiegò Benno con dolcezza, la stessa che gli riservava quando lo aiutava a lavarsi facendolo sedere nella vasca da bagno e rimanendo fuori, con le maniche della camicia arrotolate e il sapone tra le dita. Dove una volta c’era ardore e passione, due corpi brucianti, speculari e identici in una danza seducente, era rimasta quella dolcezza sconsolata, disfattismo e rassegnazione. « E’ successo qualcosa? »
« Le mie mani… » Mormorò Dietrich spalancando gli occhi chiari e seguendo con lo sguardo i movimenti di Benno, il chinarsi in avanti permettendogli di sentire il suo profumo, l’alzare le lenzuola (coricati al mio fianco, ti prego), prendere tra le mani i suoi polsi e sollevargli le braccia, facendogli cingere il suo collo. Rimboccare le coperte e riadagiare le mani lungo i fianchi.
« Adesso? » Benno gli sfiorò il dorso con l’indice e il medio.
« Ora le sento. Avevo paura, non le vedevo e non riuscivo a muoverle. » Si scusò Dietrich abbassando lo sguardo. Si umettò le labbra sottili e screpolate. Un suono confuso e costante si levò dalla strada.
« E’ il figlio della vicina, ascolta i Violent Femmes. Piacevano anche a te, ricordi? » Lo precedette Benno, in pochi secondi già alla porta e il solito gelo sul dorso della mano.
« Rimani a dormire al mio fianco, Benno, amore. » Sussurrò implorante Dietrich, un’espressione di terrore e profonda tristezza dipinta in volto. « Solo per stanotte, ti prego. »
« Lo sai che non posso, vorrei. Non posso. » Sospirò Benno, rapido nel voltarsi. « Se dormirai bene, domani mattina ti preparerò una colazione buonissima. »
Fu rapido nel voltarsi ed andarsene con una piccola promessa per tenerlo buono, il cigolare dei cardini, la porta scivolata di mano interruppe il suo moto graffiando il pavimento. Benno tirò con forza per chiuderla, si sarebbe riaperta pochi minuti dopo, lo faceva sempre da quando aveva fatto sparire le chiavi, per non permettere a Dietrich di chiudersi dentro. Lo aveva consigliato il professor Achim Von Behrisch, forse estremizzando gli effetti della patologia di Dietrich, forse per una questione di sicurezza.
Benno ricordava con sofferenza i primi giorni, gli scatti di rabbia intensa ed inconsulta, giustificati tra le lacrime. Le prime confessioni: rettili tra le coperte, sabbie mobili e rapaci; i rintocchi dei secondi, dei minuti, assordanti; i tremori e il terrore. Il primo contatto con il medico di famiglia, l’indirizzo del professor Achim Von Behrisch e la sala d’aspetto arredata con gusto coloniale. La prima prescrizione di neurolettici, l’imbarazzo di doverla mostrare in farmacia, di dover sopportare lo sguardo degli altri clienti. La richiesta di un’aspettativa a trentacinque anni, solo trentacinque. Trentacinque anni in cui aveva studiato, lavorato, amato; creato un angolo familiare e confortevole in centro, ad Amburgo. Prima considerava il proprio lavoro gratificante e tra i colleghi aveva trovato degli amici; andava d’accordo con i vicini prima che Dietrich cominciasse ad urlare di notte. Benno stava perdendo tutto, quello che rimaneva di Dietrich aggrappato allo stomaco, la salute, i contatti con il mondo, la voglia di vivere. Si accese una sigaretta cercando di ripulire la gola dall’ansia e dallo sconforto. Il divano giallo era scomodo e i cuscini imbottiti in modo irregolare, le veneziane filtravano sul muro le sbarre di una prigione di ombre e luci.
Il sonno arrivò rapido ed inquieto, avvolse il suo corpo come una coperta intrisa di schegge di vetro, un gusto amaro in bocca ed un dolore nelle gengive.
Viveva fasi alterne di disperazione, speranza e contemplazione di fini del mondo, magari per l’ultima notte del novantanove, uno spegnersi indolore, istantaneo e auspicato. Un allontanare quel dolore soffocante e senza fine. Amava quel che Dietrich era stato ed aveva rappresentato, la libertà di un uomo colto, affascinante, gli occhi color dell’acqua increspati nei momenti di eccitazione o di fervore. Aveva amato la sua dolcezza dolorosa ed impacciata, la pacatezza dei gesti e lo sguardo risoluto, che cosa rimaneva? Un invalido, un folle. Lo amava ancora ma sperava che finisse presto, si esaurisse e come di un fuoco rimanesse solo la cenere, il ricordo. Un brandello di ricordo.





   
 
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