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Autore: LyraB    16/06/2012    1 recensioni
Ho sempre paura di intaccare qualcosa che è bianco. La neve fuori dalla porta, il foglio di Word, la prima pagina di un quaderno, il mio camice appena lavato... li vorrei preservare così per sempre. Vorrei che potessero rimanere per sempre immobili, perfetti nel loro candore. Quando ero una bambina continuavo a comprare quaderni per scrivere le mie storie, mafiniva sempre che non li usavo, perché mi dicevo che avrei aspettato di avere in mente una storia bellissima per iniziarli. Ho ancora l'ultimo quaderno che ho comprato: è marrone e profuma di cioccolato.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bianco


Spengo la luce e fisso il riquadro che la finestra ritaglia nel buio.

La luce della luna si riflette sulla neve fresca e il bosco che si stende al di là delle pareti della villa sembra quasi illuminato a giorno. La luce fredda e argentata bagna i tronchi coperti di muschio e i rami, intirizziti sotto il manto candido che li avvolge. La neve che ha smesso di fioccare sembra essere rimasta aggrappata alla volta celeste, sotto la forma di centinaia e centinaia di stelle d'argento, che ammiccano dalla loro oscurità silenziosa.
Non ho acceso il fuoco, stasera: tanto presto andrò a dormire.
Mi stringo di più nell'ampio maglione grigio perla, troppo grande per me, e sospiro.
Fisso ostinatamente l'intrico dei rami in lontananza, sperando di intravvedere qualcosa o qualcuno.
Ma niente sembra voler rompere la magia della candida coltre che copre il prato che si stende da ogni lato della mia villetta.

Dopotutto, era questo che volevo, no? Stare sola.
Per questo ho comprato questa casa, persa nel folto del bosco. Era solo una capanna di taglialegna e pastori, poco più che un rifugio per la notte. Due stanze, una minuscola cucina a gas e un bagno che ha le dimensioni di un armadio. La casa più piccola che io avessi mai visto, di legno scuro, con delle imposte così verdi da sembrare smeraldi. Ho amato questa casetta dalla prima volta che l'ho vista, ho amato la pace e il silenzio che trasmette, il senso di solitudine che la rende per me un piccolo angolo di paradiso.
Appena i miei impegni a casa me l'hanno concesso, quando la specializzazione in reparto mi ha dato pace e quando finalmente anche tutti gli altri pensieri mi hanno lasciato un po' di respiro, ho messo qualche golf in un borsone, ho preso il mio pc portatile e ho comprato un biglietto del treno.
Direzione? Morbegno.

Da lì una corriera si è inerpicata su per le stradine e mi ha portato a casa, nel mio piccolo paradiso fatto di aghi di pino e sussurri di vento.
Questa nevicata improvvisa a inizio marzo mi ha però preso alla sprovvista, e mi sono lasciata prendere dalla bellezza infinita della danza dei fiocchi di neve senza capire che quello che stavo tanto ammirando mi avrebbe tenuto bloccata in casa. Così adesso sono chiusa qui da due giorni, senza la possibilità nemmeno di uscire nel giardino: sono partita così di fretta che non ho pensato di portare niente per affrontare una nevicata.
Penso che in fondo sia una benedizione.
Volevo stare lontana dal mondo? Niente di meglio di una casetta con pochissimi arredi e quasi nessun elettrodomestico, senza internet né telefono.

Il mio portatile troneggia sul minuscolo tavolino del salotto (l'unico tavolo della casa eccetto quello traballante della cucina) ed è ancora acceso. Il cursore lampeggia sulla pagina di Word, in attesa di un'ispirazione che mi è definitivamente scappata. Scrivendo, ho sentito lancinante la mia solitudine.
Incredibile come io fugga dalla gente per cercare ispirazione... e poi l'ispirazione mi porta a desiderare qualcuno vicino a me.
Torno a sedermi, fissando la pagina bianca.
Ho sempre paura di intaccare qualcosa che è bianco.
La neve fuori dalla porta, il foglio di Word, la prima pagina di un quaderno, il mio camice appena lavato... li vorrei preservare così per sempre.
Vorrei che potessero rimanere per sempre immobili, perfetti nel loro candore.
Quando ero una bambina continuavo a comprare quaderni per scrivere le mie storie. Però finiva sempre che non li usavo... perché mi dicevo che avrei aspettato una storia bellissima per iniziarli. E così ne compravo un altro... ma anche per quello si prospettava una lunga attesa.
Ho ancora l'ultimo quaderno che ho comprato: è marrone, e profuma di cioccolato. Ero in seconda media, ed è stato più o meno in quel periodo che ho deciso di iniziare a usare il computer per scrivere: le pagine bianche del programma di videoscrittura sono infinite e scrivo quanto voglio, sapendo che comunque c'è sempre un'altra pagina bianca, un altro quaderno intonso ad aspettarmi.
Nessuno spreco, soprattutto per i miei genitori che si vedevano portare a casa un quaderno dopo l'altro senza vedermene usare nessuno.
Il computer è perfetto: c'è sempre una nuova possibilità di ricominciare, di fare daccapo.
Appoggio le dita sulla tastiera. Ormai non la guardo nemmeno più, scrivo senza quasi pensare... ma l'ispirazione non vuole arrivare.
Quel principe delizioso che ho appena descritto mi ha strappato definitivamente la concentrazione.
Così decido di spegnere il computer e mi rifugio nel minuscolo sgabuzzino che oso chiamare camera da letto, dove trova posto solo il mio letto e una piccola cassettiera. Mi accoccolo sotto il piumone rosa e continuo a fissare la luce argentea che illumina il prato fuori dalla mia finestra. Lentamente l'argento e il buio si mischiano, si fondono e iniziano a impossessarsi di me... e piano piano mi addormento.
A svegliarmi sono dei suoi ritmici e duri, come il battere di qualcosa sul legno. Mi metto seduta di soprassalto, precipitandomi all'ingresso.
Quasi inciampo nei fili del mio pc, ma niente ferma la mia corsa: tiro i chiavistelli e spalanco la porta.
Una folata di vento gelido, freddo e pungente mi travolge, portando con sé migliaia di aghi di ghiaccio che mi perforano la pelle, strappata a forza dalla coccola morbida del letto. La neve ha ripreso a scendere, e adesso non è una lenta danza di fiocchi candidi: è una vera e propria bufera e il vento ulula e infuria attorno alla casa spersa nel nulla.
Senza sapere se sono più spaventata o più infreddolita, chiudo la porta in fretta e riaggancio il catenaccio. Torno lentamente verso la mia camera e mi accorgo di cosa mi ha svegliato: le imposte che avevo lasciato aperte per guardare lo spettacolo del paesaggio stanno sbattendo furiosamente contro  la parete. Con uno sforzo di volontà apro la finestra, mi sporgo fuori per chiuderle e poi torno a dormire.
Con le imposte chiuse, adesso il buio è completo: l'unica luce è quella della radiosveglia sul comodino, che con il suo led azzurro segna le quattro e dodici.
Il buio non manca... è il sonno che tarda a venire.
Soprattutto perché, ora che sono di nuovo al caldo sotto le coperte, realizzo che la mia mente ha capito quello che io non volevo ammettere.
Il maglione grigio. Il principe della storia per bambini che sto scrivendo. I colpi sulla porta.
Tutto riporta a lui.
In un gesto brusco, sfilo il golf e lo lancio per terra, tirandomi la coperta fino al mento, offesa non so nemmeno io da cosa.
Niente da fare. Non entrerai nei miei pensieri. Non stasera, accidenti.
Chiudo gli occhi, e mi sforzo di pensare a qualcos'altro. Qualcosa che sia leggero, semplice, facile.
Qualcosa come le cartelle dei pazienti in ospedale, qualcosa che sia solo spuntare una casella, tirare una riga o fare un rapido conto a mente.
Qualunque cosa non coinvolga le emozioni.
Dopotutto è da quelle che sono scappata, no?
Perché come per la neve che non voglio calpestare, come per il quaderno che non voglio iniziare... ho paura anche a entrare in contatto profondo con una persona. Finché la cosa è superficiale, tutto bene. È come progettare una storia bellissima, è come pianificare i personaggi, l'ambientazione, le vicende... è la parte più bella del lavoro. Poi viene il momento in cui compri il quaderno, e allora le cose si fanno serie. Vuol dire che vuoi renderla vera, reale... che vuoi scriverla nero su bianco, in modo indelebile. Che vuoi renderla per sempre.
Il bianco non torna bianco, anche se cancelli quello che ci scrivi sopra.
Il quaderno non tornerà più bianco come prima, anche se usi la scolorina o strappi le pagine. La neve non torna la stessa, se ci cammini sopra. Se la saggi, la testi... se la metti alla prova. Perché non lasciare il quaderno bianco e la neve intatta?
Perché non si può? C'è chi direbbe che una storia non scritta è qualcosa che si è perso, ma chi può dire se è una bella cosa andata persa o una cosa orrenda che ci è stata risparmiata?
Il vento continua a fischiare e ululare fuori dalle mie finestre e sembra che voglia farmi sentire meno sola, che voglia accompagnare i pensieri turbolenti della mia anima. Mi rannicchio di più sotto le coperte, come facevo da ragazza quando ero particolarmente triste e abbraccio forte il cuscino.
Una storia sembra perfetta, finché è racchiusa nel proprio cuore... ma poi, quando la si porta all'attenzione di tutti, allora iniziano le discussioni, iniziano i problemi... c'è chi ti dice che non va bene qui, chi ti dice che non funziona di là... e poi ti accorgi che non è poi così bella... anzi, che fa proprio pena, e allora decidi di eliminarla, di dimenticartene. Già, molto meglio tenerla stretta nel cuore, al sicuro, in silenzio. Dove rimane bellissima, dove rimane senza difetti, dove solo tu la puoi sentire, dove solo tu la puoi leggere e gustare.
Bene, dalla solitudine sono passata all'egoismo, a quanto pare. Adesso penso solo per me.
Non è proprio questa, la ragazza che pensavo di essere diventata, anzi.
Però ho una tremenda paura di rendere vera una storia... sia essa un racconto o una storia d'amore. Renderla vera vuol dire renderla reale, renderla “umana”.
Ammettere che avrà pregi, ma anche difetti. Che ci saranno le lodi e le gioie, ma anche le critiche e le discussioni. Vuol dire affrontare il fatto che nessuna storia è perfetta. Eppure, quando ho fatto leggere la mia prima storia alla mia maestra, alle elementari, ero fiera di me stessa e di quello che avevo fatto. E quando mi sono innamorata di lui, mi sembrava di avere il cuore leggero come un palloncino.
E allora, cosa è cambiato? Perché ora non faccio leggere niente a nessuno, perché non riesco a decidere di impegnarmi con lui?
Sospiro e mi metto seduta. I minuti scorrono, la notte viene trascinata via dalla neve, dal vento e dai miei pensieri tormentati.
Forse la storia migliore è quella che non ho ancora scritto, penso, ma se l'ispirazione non arrivasse mai? Se abbandonassi i racconti che ho terminato, quelli che ho ancora in corso, per aspettare la perfezione, ed essa non arrivasse? Sarebbe tempo e talento sprecato, sarebbero stati vent'anni di sforzi inutili.
Scendo dal letto e accendo la luce. Le sei e trentotto.
Infilo le pantofole, e la morbida lana color perla mi sfiora la pelle. Mi chino e indosso di nuovo il suo maglione, troppo grande per me ma così confortevole.
Poco dopo sono in salotto: un piccolo fuoco scoppietta nel camino, una tisana bollente mi fuma in mano e sono di nuovo davanti alla finestra.
Stavolta devo prendere una decisione. Dopotutto sono venuta qui per questo... almeno con me stessa posso ammetterlo.
Per tutti sono alla ricerca di una ispirazione per un nuovo racconto, ma io sono qui per decidere. Sì o no.
Insomma, è una decisione facile da prendere. Nessun discorso da preparare, nessuna scusa. Solo una scelta.
Ma è una di quelle scelte difficili, come quando mi chiedevo: “questa storia è all'altezza di questo quaderno?”
Mi rispondevo di continuo di no. Ma forse mi sbagliavo. In effetti, i quaderni vuoti che ho conservato per “una storia speciale” sono tutti sotto al mio letto, nuovi e perfetti... ma coperti di polvere: sono quelli che ho iniziato che troneggiano nella libreria.
Sono quelli che contengono i miei primi racconti di bambina, quelli con i tentativi di fantasy di una adolescente, quelli con i romanzi profondi e introspettivi di una giovane donna... sono questi, quelli che fanno bella mostra di sé nel mio salotto di casa. Sciupati, consumati, con le pagine spiegazzate e pasticciate.
Le storie che contengono non sono il massimo, forse, ma in quei quaderni ci sono io: la mia vita, i miei sogni e le mie paure... da vent'anni, ormai.
Lui dice che sono una più bella dell'altra ed è felice che io le abbia tirate fuori dal cassetto. Ogni volta che le legge, gli sembra di conoscere una me bambina che non ha fatto in tempo ad incontrare. Senza quei quaderni sbagliati, lui non mi conoscerebbe così bene.
Guardo fuori. Il vento si è placato, ora i fiocchi umidi scendono pigri davanti al vetro della finestra. Il vialetto è coperto di neve e in una sinfonia di sfumature diverse, tutto si confonde: il nero diventa grigio, il grigio bianco, il bianco azzurro, l'azzurro blu e il blu nero.
Ma tutto è ricoperto di quella coltre perfetta e bianchissima, luccicante sotto il cielo che inizia lentamente a schiarirsi a est. Anche la stradina che dalla mia porta si perde tra gli alberi, scendendo in paese, è perfettamente bianca. Niente di più candido e intoccabile. Andare in paese sarebbe quasi un sacrilegio: strappare la purezza a quella candida perfezione non è lecito per niente al mondo. Per nessun motivo potrei affrontare quella strada ora così perfetta, rovinandola con le impronte dei miei passi.
Le ombre degli alberi sono strane, in questa alba nevosa che getta la sua luce di perla e d'azzurro tra i rami. Tra le fronde, tra i rami, tra i cespugli gelati un'ombra si muove piano, indifferente al lieve vento che piega i rami più sottili.
E mentre vedo quel qualcosa muoversi incerto tra i giochi di luce e d'ombra, capisco.
La stradina non sarà più bianca e perfetta, ma sarà stata vissuta. Avrà testimoniato i passi faticosi di qualcuno che cercava disperatamente di andare avanti, di qualcuno che è inciampato, che è caduto, forse, ma di qualcuno che si è fatto coraggio. Di qualcuno che è stato spinto dalle sue emozioni ad affrontare il buio, il vento e il freddo per andare da una persona che ama. Sorrido tra me e me, appoggiando la tisana sul davanzale.
In un solo gesto ho infilato gli stivaletti e preso il giaccone.
Perché, in fondo, ho capito che sporcare il bianco non è un sacrilegio: è una dimostrazione di coraggio. È la volontà di scegliere, di vivere, di provare.
Apro la porta e faccio un passo fuori.
E se fosse solo un'ombra? Se quella figura scura fosse solo frutto della mia mente stanca e preoccupata? Faccio un ultimo passo, prima di affondare nella neve, e poi prendo la mia decisione: non importa se l'ombra è reale o no, non importa se lui è veramente arrivato fino a qui. Ho deciso.
Per lui, si può iniziare a scrivere una storia... non so se sarà degna di quel bel quaderno dalla copertina colorata che ho tenuto da parte per tutti questi anni... ma di certo dirà qualcosa di me, qualcosa di grande, qualcosa di importante.
E mentre cammino, penso che la prima parola che scriverò su quel quaderno sarà .
   
 
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