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Autore: Venenum    16/06/2012    4 recensioni
Ci sono addii difficili da dire, anche solo a parole, eterni ritorni dell'amore che, quando è forte, quando è vero, sopravvive sempre, anche con i venti contrari. C'è Hermione, c'è Draco e il loro legame, che resta sempre lì, come una melodia di sottofondo, da qualche parte tra il cuore e l'anima.
Questa storia si è classificata prima al contest "I'm forever yours, faithfully" indetto da Egoica sul forum.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Lucius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ventis Adversis

Storia di un lungo arrivederci

 

 

E così ebbe inizio

la mia infelicità.

William Shakespeare

 

 

Primo Intermezzo

 

Draco aveva i capelli di Hermione sul suo petto.

Erano entrambi nudi e avevano appena finito di fare l’amore. Hermione l’aveva abbracciato, dopo aver soffiato il suo nome dalle labbra con voce leggera e timida, quasi a volergli imprimere qualcosa di potente dentro l’anima, come un segreto; lui si era lasciato stringere dalle sue braccia, permettendole di dormire sul suo petto. Si rese conto che, prima di allora, non aveva mai osato tanto, sempre frenato dalla paura di legarsi troppo a lei. In cuor suo sentiva di doverle concedere qualcosa, quella sera, per farsi rimpiangere quando lei avrebbe avuto freddo e lo avrebbe cercato, invano.

Fino a quel momento, aveva sempre finto di non accorgersi delle lacrime impigliate tra le ciglia di Hermione. Tentava di non afferrare quei particolari. Era più facile, si diceva, ricordare a metà, restare incastrati in una realtà fatta di illusioni, dove le immagini si sovrapponevano al volto di Hermione e dove i suoni erano parole dolci e mai udite.

Si lasciò scivolare addosso ogni tristezza. La malinconia era sparita. Il perpetuo ritorno del passato aveva smesso di annebbiargli la mente. Lei mugolò qualcosa, sfiorandogli le labbra con un sussurro.

“Che cosa siamo, Hermione?”

Promesse.”

Il riflesso della luna, che filtrava dalle tendine, metteva in risalto alcuni tratti del viso di lei, come se quella prospettiva e quella luce mettessero in contrasto i suoi occhi, che sembravano narrare una verità diversa dalle parole proferite dalle sue labbra, ch’erano illusioni miste a realtà.

“Soltanto questo?”

“Siamo molte altre cose, Draco. Il problema è che lo vedono in pochi. Siamo diversi. Dobbiamo accettarlo o lasciarci andare. Per sempre.”

Promesse. Come quella che aveva fatto Draco, giurando di non guardare mai più Hermione nello stesso modo in cui lo aveva fatto a tredici anni, puntualmente infranta, perché quella parola gli aveva rammentato il motivo per cui si celavano confessioni sulle loro lingue e segreti nei loro baci, da sempre e per sempre custoditi nelle tenebre della loro anima, pur di non essere menzionati.

“Domani dovrò andare via e questo non è un addio. Gli addii sono difficili,” disse Hermione, denudandosi del lenzuolo e avvicinandosi a lui.

“Che cos’è, allora?”

“Una promessa.”

 

***

 

Prima stagione – Autunno

Il fantasma dell’amore passato

 

Il tepore del sole lo risvegliò distrattamente da un sogno. Da vent’anni, la sognava ogni notte; lei entrava nella sua mente in punta di piedi, come una ballerina irrequieta e bellissima, coi capelli sciolti e una veste bianca, segno della sua purezza. Hermione non dormiva al suo fianco, non poteva più, ormai, poiché se n’era andata. A volte, Draco la udiva suonare il pianoforte; tra canzoni che non conosceva e melodie che sfioravano il cuore, sembrava proprio che lei fosse ancora lì, a solleticarlo con la sua presenza.

La sua voce.

Che sapeva di ricordi.

Draco tolse le coperte e si sedette sul letto, impregnato del suo sudore. Anche quella notte aveva dormito male.

“Accio fazzoletto.” Provò ad asciugarsi la fronte, forse avrebbe dovuto farsi una doccia fredda. L’amore lo faceva scottare, sempre. La prima volta che gli era successa una cosa simile, era andato da sua madre, la voce implorante e uno strano dolore dentro. Non avrebbe mai potuto confessarsi con suo padre, soprattutto perché aveva saputo sin dall’inizio che la causa di quella sofferenza era Hermione. Una Mudblood. Nata sbagliata, sangue maledetto.

A tredici anni si ama con occhi vuoti. A trent’anni con occhi troppo pieni. Di ricordi, promesse e amori passati. E anche un po’ di aspettative.

Si alzò dal letto, per andare a fare colazione, e mosse qualche passo incerto. Mentre Draco usciva dalla stanza, incrociò gli occhi di Hermione, nell'unico modo in cui, ormai, poteva farlo. Una foto sul comodino era tutto ciò che aveva di lei, una foto che lui non avrebbe potuto togliere, soprattutto perché non voleva rinunciare all'illusione di svegliarsi ogni mattina con lei al suo fianco. Hermione era sull’erba, aveva un fiore tra i capelli sciolti – quante volte li aveva odorati per riempirsi i polmoni, per inebriarsi la mente di quell’odore – e sembrava rilassata, ma in realtà aveva qualcosa addosso, come una specie di infelicità. La foto, dopotutto, era sbiadita, quasi annebbiata dagli anni, ma il ricordo era ancora vivo e potente dentro Draco.

Deglutì, dirigendosi verso la cucina. Hermione gli mancava, certo, come potrebbe mancare il respiro dopo averlo trattenuto per troppo tempo; o il sole, dopo giorni e notti di pioggia e vento. Si sedette sul divano e si massaggiò il viso. Era stanco, non gli andava di lavorare. In effetti, aveva perso molto del suo spirito, del suo solito sarcasmo – inopportuno, ma comodo scudo con cui proteggersi da tutto ciò che gli era ostile – dopo la promessa di Hermione. L’aveva abbandonato? No. Hermione aveva deciso di riflettere e lui l’aveva lasciata andare: non l’aveva fermata, forse perché anche lui aveva bisogno di pensare.

Andò verso la finestra e l’aprì, sentendosi sfiorare dall’effluvio dell’autunno, che gli entrava nelle ossa, intorpidendogli le membra, senza però chiuderle nella morsa feroce del ghiaccio invernale. Tuttavia gli addormentava il cuore. Nel cielo, il vento disegnava strani turbinii di foglie morte anch’esse, talvolta scagliandole per terra con veemenza. Quella che per la natura era una tormenta, per lui era una brezza accennata che non sarebbe stata mai capace di attaccarglisi addosso con la medesima furia né di scuotergli dentro qualcosa di più greve dei pensieri. L’amore che provava rimaneva immobile, saldamente ancorato alla sua anima.

Il paesaggio era tetro, come se stesse piovendo, ma Draco riusciva a percepire, da lontano, i raggi del sole. Li vedeva e poteva provare la sensazione di tepore che lasciava il sole sulla pelle, un finto profumo d’estate. Quando era triste, tendeva a vedere tutto in trasparenza, come se l’universo, d’un tratto, fosse popolato dai fantasmi.

Chiuse gli occhi. Quella mattina era iniziata davvero male, come se la giornata che si prospettava dovesse essere pervasa da una strana e amara malinconia. Draco si voltò, alla ricerca del tè. Non che avesse sete o fame; a quell’ora, si limitava a mangiare qualche dolcetto. Dopotutto la tradizione della colazione alternativa era iniziata con Hermione.

 

“Non puoi non mangiare.”

“Granger, non puoi obbligarmi a…”

“A fare una colazione Babbana? Forse. Intanto io vado a preparare…”

“Ma ci sono gli Elfi Domestici per quello!” aveva protestato vivamente. Avevano litigato e fatto pace con un bacio, qualche carezza, reprimendo parole e insulti e covando la rabbia in gola. Hermione non si era mai abituata a lui né lui aveva mai accettato lei. Troppe divergenze, idee diverse, opinioni contrastanti su tutto; eppure si amavano anche per questo. Questa era la forza ambivalente dell’amore. Curava ferite che nemmeno Draco e Hermione sapevano di avere, ma lasciava cicatrici che prima o poi avrebbero fatto male.

 

Draco si sfregò le palpebre con la punta delle dita e rimase così, a lungo, lasciandosi divorare dalle memorie. Udì i primi passi del mondo fuori dal Manor. Chissà dov’era sua madre. Probabilmente era in giardino. Avrebbe voluto raggiungerla e parlarle, dirle che cosa aveva dentro, raccontarle del silenzio che, tra lui e Hermione, era calato come dopo uno spettacolo pieno di emozioni, dove il pubblico, troppo commosso anche per battere le mani, sedeva immobile sulla poltrona, esterrefatto dall’eccitazione che l’aveva sconvolto. Anche Draco si aggrappava al mondo che lo circondava, cercando nelle cose materiali – carnali, reali – la forza per non lasciarsi sopraffare dal sentimento che minacciava di travolgerlo.

Mormorò qualcosa di distratto, parole insignificanti. L’Elfo Domestico era riapparso ed era corso in cucina a preparargli la colazione. Draco andò nella Sala da Pranzo e si sedette sulla sedia, rigido, tentando di celare l’angoscia con cui si era svegliato.

Aveva sognato, l’aveva sognata.

Si portò le mani al viso, appoggiando i gomiti sul tavolo. Non lo faceva mai, perché i suoi genitori gli avevano insegnato le buone maniere, ma era solo, quindi poteva fare un’eccezione. Odiava sentirsi così, quando volgeva il suo pensiero a lei; così vulnerabile, tanto da trasgredire a una regola imposta dai suoi genitori, tanto dipendente da lei da vivere quasi a stento, a causa della rabbia.

Provò a ricordare quello che la notte gli aveva regalato, gli strani incubi che popolavano la sua mente e che tramutavano gli addii in sogni.

Non avrebbe voluto innamorarsi di lei, ma era successo. Aveva faticato per accettarlo, ma poi aveva capito che era bellissimo poter dire di avere l’amore dentro, relegato da qualche parte tra il cuore e l’anima.

Quando Draco aveva tredici anni, qualcuno gli aveva detto che il primo amore non si dimenticava mai. Chiunque l’avesse predetto, aveva avuto ragione. Lui non l’aveva fatto. Hermione era sempre lì, da qualche parte tra il cuore e l’anima.

Attese la colazione, sfogliando la Gazzetta del Profeta. Frattanto, nel suo immaginario, i colori divenivano vividi e le immagini sfocate. Come un quadro in dissolvenza.

Dopo un po’, si rese conto di non aver sognato. Era stato condotto per mano dal fantasma dell’amore passato verso ciò che l’aveva caratterizzato. Tradizioni, gesti, parole; quando lei gli diceva baciami ancora e lui taceva, stupefatto da quella preghiera; quando gli portava la colazione a letto e poi si pettinava i capelli e nel frattempo intonava quelle stupide canzoni Babbane; quando lo toccava e gli entrava dentro, con ogni pretesa possibile.

Quando lei c’era ancora e il mondo era vecchio, familiare, non inquinato dal sentore di estraneità che aveva acquisito senza Hermione. Perché da quando se n’era andata, molte cose erano divenute prive di nome, per Draco, e per citarle bisognava indicarle col dito.

Com’era quella canzone che Hermione gli cantava sempre? Ah, sì.

Is this the real life? Is this just fantasy?

 

***

 

Secondo Intermezzo

 

Draco aveva la bocca di Hermione sulla sua.

Con la lingua, lei gli carezzava le labbra, dolcemente, mordendole, in modo lieve, quasi timido. Era sempre stata così; gli permetteva di scoprirla a poco a poco e lasciava segni che duravano per giorni. Hermione gli dava così tanto che lui rimaneva quasi sempre senza fiato. Inebriati da quelle lusinghe, entrambi si abbandonavano a ogni fantasia possibile, al gioco di labbra e denti che si toccavano, quasi timorosi di potersi strappare la vita a vicenda.

Non riuscivano a trattenersi perché avevano bisogno di quel breve intermezzo – sessuale, passionale – per ritrovarsi, dopo un litigio.

Hermione adesso stava sospirando. Erano pelle contro pelle. Draco avvertiva il calore che lei emanava e gli piaceva, perché lo faceva sentire desiderato. Voleva prenderla lì, subito, perché la bramosia lo stava facendo vaneggiare. Riempirsi di lei, assaporandone ogni piacere, ogni gioia che provava soddisfacendo la propria lussuria.

“Noi non siamo solo promesse, Hermione.”

“Non ho mai detto questo,” riuscì lei a proferire a stento, perché Draco le stava già lambendo il seno. Hermione aveva gli occhi lucidi e Draco stava solo aspettando di perdercisi.

La sfiorò con un tocco gentile, schiudendo le sue labbra su quelle di lei e gustando il sapore di un vero sorriso. Lei lo strinse a sé. Voleva sentirsi sua e Draco lo capì dal modo in cui si strofinava su di lui. Un’altra preghiera. Quando la penetrò, c’erano solo gemiti simili a voci angeliche e ovviamente c’era lui, che invece sapeva benissimo di avere le fattezze del Demonio.

Hermione era come le stagioni, il tempo che passa. Perché era sfuggente, mordeva. Si faceva sentire al suo arrivo e quando se ne andava lasciava qualcosa dentro. Come una specie di insoddisfazione. Come se quello fosse un addio dal sapore di vento.

“Stai con me, Hermione.”

 

***

 

Seconda stagione – Inverno

Il fantasma dell’amore presente

 

“Ciao, mamma.”

Draco osservò la lapide. L’odore acre del cimitero lo colpiva in viso come uno schiaffo, arrivava nauseante e violento come un pugno nello stomaco. Il sepolcro di sua madre, abbellito in altre stagioni da ciuffi di fiori bianchi, era vuoto e disadorno. L’inverno era giunto. Se l’autunno spoglia, l’inverno uccide.

Non sapeva nemmeno perché era andato lì. Odiava la tristezza. Preferiva mantenere quell’atteggiamento distaccato che lo aveva differenziato a scuola, proteggersi con il sarcasmo, l’ironia pungente, nascondersi con protervia dietro a un dito, insultare per difendersi o per elogiarsi.

Per ricordare a lei che era nata sbagliata.

Una Mudblood senza averne l’aria. Ecco cos’era sempre stata.

Draco strinse tra le dita i fiori che aveva portato a sua madre. Le spine delle rose rosse si conficcarono nella sua carne e il suo sangue cadde sulla neve, a mischiarsi con il candore e il fango.

Too late, my time has come.

Gli parve di udire la voce di Hermione. Ovviamente era solo uno scherzo della sua mente. La canzone che gli cantava sempre. Ma qual era?

Goodbye everybody.

Sua madre era morta all’alba del primo giorno di Dicembre. Così Draco aveva subito, nell’arco di quattro mesi, il dolore di due distacchi. Prima Hermione, poi sua madre. Era stato abbandonato. Davanti a quella lapide, si rese conto, per la prima volta, del tempo che stava volando e che più del tempo che scorreva erano le persone ad andarsene, compreso lui.

Posò i fiori accanto al ritratto. Suo padre aveva scelto una foto bellissima. Guardandola, Draco si rese conto che, fino a quell’istante, non aveva mai capito che dietro al sorriso di sua madre si celavano cose che nessuno avrebbe mai potuto vedere.

 

“Mamma, i Malfoy non dovrebbero piangere per… queste… cose… futili.” Frasi spezzate, a singhiozzo, imbarazzo nella voce, vergogna per quello che aveva dentro e nel frattempo consapevolezza di aver ammesso quel peccato dolcissimo.

Sua madre rimase lì, immobile. Forse si stava pentendo di essere entrata. Draco si sentiva malissimo, ma per cosa? Per essere stato scoperto o perché Hermione era ciò a cui non voleva rinunciare? E lei non sapeva nulla. Non glielo avrebbe mai detto. Il solo pensiero di andare da lei, a confessarsi, lo rendeva isterico e arrabbiato. Oh, era così furioso, ancora ignaro che, un giorno, avrebbe reso grazie per quel dono, desideroso di conservarlo per sempre. Da qualche parte, tra il cuore e l’anima.

Aveva solo tredici anni, dopotutto.

 

Si sedette sul letto, immerso nel ricordo dei suoi pensieri adolescenziali, pervasi da quel tormento che si era portato dentro, come una leggera foschia che adombrava gli anni della sua gioventù, dove Hermione assomigliava ancora a un bocciolo di rosa, a un segreto non svelato.

Era uno strano dolore, si era detto allora, morire di nostalgia per qualcosa che non avrebbe vissuto mai. Poi, qualcosa era cambiato, in lui e anche in lei. Si erano avvicinati dopo la Seconda Battaglia di Hogwarts. Avevano avuto i loro diverbi, si erano insultati, ma da qualche parte, dentro di loro, era fiorita la convinzione di amarsi da sempre. Un’idiozia, le aveva detto Draco. Lui non credeva a quelle cose. Eppure, chissà come, avevano imparato a conoscersi davvero, come attratti l’uno dall’altra, il dolore condiviso, la rabbia repressa.

Erano usciti insieme e, dalle loro conversazioni, una sera, avevano capito che c’era qualcosa che ancora non sapevano dirsi. Così l’avevano espresso a gesti. Hermione aveva cantato e Draco l’aveva baciata. Lei dapprima l’aveva rifiutato e poi si era insinuata nel suo letto – ma non avrebbe dovuto essere lui, il serpente? – e a poco a poco i loro incontri erano diventati abitudinari e le loro voglie sempre più immediate e consumate a ogni ora del giorno. Così Hermione gli aveva detto ti amo e Draco era impazzito perché non voleva risponderle che, sì, l’amava anche lui, di un amore un po’ strano, ma poi aveva capito che a lei bastava essere abbracciata e così aveva imparato a farlo, nonostante si sentisse sempre in imbarazzo.

D’un tratto, gli sembrò che i fiori stessero già appassendo. L’inverno, si disse. Che stagione brutta. Faceva troppo freddo, per i suoi gusti, così decise di tornare. Forse quel coso era già arrivato. Draco aveva fatto il primo passo per ricordare al contrario. Non gli bastavano più gli addii, non ora che i sogni in cui c’era lei erano diventati rari e sbiaditi.

“Ciao, mamma.”

Draco si avviò verso casa mentre la nebbia inghiottiva il tramonto e alcuni baleni argentati si scorgevano tra le nubi. Ebbe l’improvvisa certezza che l’anno successivo nessuno si sarebbe preso cura del giardino del Manor. Sua madre non sarebbe più stata lì, a creare un labirinto di fiori e cespugli, a curarli con immenso orgoglio. La prossima primavera, pensò, avrebbe fatto l’ultimo passo: l’accettazione. Sua madre non sarebbe più tornata e questo lo corrodeva dentro, come un tarlo insignificante che gli avrebbe divorato ogni singola memoria.

Quando entrò in casa, suo padre lo ricevette malamente. Lucius, le sopracciglia inarcate e un insulto tra le labbra, stava solo aspettando il momento giusto per esternare tutto il dolore che la morte della moglie gli aveva causato. Draco doveva prendersi cura di lui, aiutarlo, perché, se non l’avesse fatto, suo padre avrebbe subito una furia ben peggiore, trascinato in un gorgo di addii tramutati in sogni e intervallati da incubi. Lui ne sapeva qualcosa.

“Perché hai fatto portare un pianoforte in questa casa, Draco?”

“Non lo so.”

Suo padre scosse la testa e Draco ghignò. Aveva fatto una sciocchezza, ma non aveva resistito. Ne aveva trovato uno nero, simile a quello che aveva Hermione. Non si intendeva di termini tecnici e non gli interessava farlo, gli bastava avere qualcosa di lei accanto. Sarebbe stato come ricordare al contrario, si disse, avvicinandosi al pianoforte. Premette un tasto e la musica sembrò celestiale.

Il presente. Tutta la vita davanti. Senza di lei.

La voce di Hermione echeggiava nella sua mente. Oh, stava funzionando. Questo era ciò che importava. Chiuse gli occhi e la vide danzare sulle colline: stava cantando, stava implorando, stava pregando. Era lì. Sarebbe bastato un attimo e le avrebbe stretto la mano, i fianchi, e le avrebbe ripetuto che era bello fare l’amore con lei.

Nothing lasts forever.

Poi vacillò. Non era quella la canzone che avrebbe voluto rammentare. Digrignò i denti e sbatté un pugno sul piano. Dopotutto non era stata una buona idea. L’unico tentativo che aveva compiuto si era rivelato un fallimento.

Si diresse verso la finestra e ignorò i passi pesanti di suo padre.

And it’s hard to hold a candle in the cold…

No. Questa era un’altra. Qualcosa che gli rammentava con insistenza il rumore della pioggia di Novembre.

Come quella che cadeva, costante, davanti a lui.

 

***

 

Terzo Intermezzo

 

Draco aveva il cuore di Hermione tra le sue mani.

Ne era il padrone, il custode.

Sorrise. Hermione appariva sempre così viva, accanto a lui. L’aveva conquistata. Pensò a tutte le volte che aveva, con il pensiero, sfiorato il suo futuro senza di lei; non c’era tristezza, ma mancava un pezzo, perché il mosaico della sua vita non sarebbe stato mai completo, se lei non ne fosse stata parte.

“A che cosa stai pensando?” gli chiese Hermione, sorridendo, le labbra rosse, tumide, a lambirgli il dorso della mano.

“A tutte le volte che ho dovuto sopportare di sentirti cantare.”

Una risposta sprezzante, forse anche un po’ cattiva, soprattutto una replica mendace. La voce di Hermione gli piaceva, lo rilassava e lo calmava, però non voleva ammettere anche quella dipendenza.

“Non ti chiederò scusa per qualcosa che mi piace fare.”

“Le mie orecchie avrebbero qualcosa da ridire.” Draco si voltò. Emise un lungo sospiro e il suo alito caldo fece rabbrividire Hermione. La vide scuotersi impercettibilmente, tra le coperte, il corpo nudo e lo sguardo dolorosamente sincero.

“Mi chiedo se crescerai mai. Mi rispondo da sola.”

Si era offesa? Draco avvertì una fitta. Era così difficile con Hermione. Era tutto complicato. Doveva sempre stare attento alle parole, agli sguardi, agli abbracci artificiali, ai baci dal sapore di altri amori.

“Hermione…” le afferrò il braccio. Il contatto fu brusco, perché lei mugugnò appena, un lamento che Draco non sopportò di udire. Non voleva ferirla. Avrebbe voluto fare la famosa cosa giusta, ma temeva di intrappolare se stesso in un rapporto di completa dipendenza. Per quella sera, le avrebbe fatto un regalo. “Canta per me, Hermione.”

When I look into your eyes,

I can see a love restrained.

 

***

 

Terza stagione – Primavera

Il fantasma dell’amore futuro

 

In Aprile, Draco aveva visto qualcosa di strano: suo padre era cambiato. Non stava solo avanzando con l’età né stava abbracciando la vecchiaia: sembrava avere qualcosa addosso, come una specie di infelicità. Così gli avrebbe detto sua madre, narrandogli dell’infelicità dell’uomo che aveva amato.

Draco capì che poteva solo assistere, impotente, al lento e al lungo addio di Lucius.

Alcuni dicevano che, quando moriva la propria anima gemella, dopo una vita vissuta insieme, anche l’altro si abbandonava alle dolci carezze della morte.

Così quell’anno la primavera non era stata rigogliosa, ma generosa di piogge, ancora ammantata di un gelo residuo che faceva venir voglia di avvolgersi in una coperta calda. A volte, padre e figlio facevano lunghe passeggiate per i giardini del Manor e Lucius gli descriveva quanto fosse stata bella sua madre, da giovane, quanto l’avesse amata e quanto fosse importante avere qualcuno su cui contare, oltre se stessi. Gli aveva persino detto che questo non era sempre segno di debolezza e poi gli aveva parlato di una certa Astoria Greengrass. Una Purosangue.

Se Lucius non fosse stato tanto malato, Draco avrebbe risposto male e se ne sarebbe andato.

“Acconsentirai mai al volere di un vecchio? Ti vedrò sposato?”

Eccolo, il vecchio Lucius.

A Maggio, il Medimago aveva decretato la sua fine. Qualche mese o forse un anno. Avevano litigato tanto e si erano persino sfidati a duello. Draco aveva perso. Di sua spontanea volontà. Non avrebbe mai sopportato la vista di suo padre; debole nei suoi occhi e ferito tra le sue mani. E poi aveva parecchi problemi col sangue. Odiava il sangue.

Cos’ha mio padre?

Morirà di malinconia.

Allora anche Draco aveva fatto una previsione: la sua punizione. Probabilmente avrebbe fatto la stessa fine di suo padre.

Il che era quello che si aspettavano tutti e lui non avrebbe deluso le loro aspettative, aveva pensato una sera, davanti allo scrittoio, osservando vecchi manoscritti oscuri. Erano di suo nonno, Abraxas. La crudeltà di quelle pagine non faceva altro che incutergli ansia.

Quella che stava scendendo sul suo viso era una lacrima? Lo era davvero? O era un ricordo?

Vivi per me, Hermione.

Stai con me, Hermione.

Canta per me, Hermione.

Il suo futuro era un quadro in dissolvenza. Vedeva i volti sbiaditi, udiva le voci sempre più lontane e, con ogni probabilità, avrebbe presto dimenticato il buon sapore che lascia in bocca un sorriso vero. Avrebbe potuto sposare Astoria – che frattanto aveva incontrato: e non era lei che voleva – ma, più di ogni altra cosa, Hermione non sarebbe più stata reale. Dopotutto, lei adesso era solo una trasparenza, una presenza nella sua vita che non riusciva davvero a percepire; ricordarla era l’unico modo per sentirla vicina – tanto vicina da avvertire il calore della sua pelle – quindi non poteva accettare il pensiero di sposare un’altra.

Aveva un esempio in casa. Suo padre non aveva sopportato l’abbandono di sua madre; eppure era un uomo forte, secondo la sua opinione, checché ne dicessero gli altri. Era come un marinaio, come il capitano di una nave, ma non aveva retto il colpo e si era lasciato andare.

Draco spazzò via tutti i manoscritti con un pugno sul tavolo. Si rovesciarono a terra e si udì il tonfo sordo del calamaio. L’inchiostro nero si sparse per tutto il pavimento, fino a bagnargli le scarpe e i pantaloni. Era pieno, dannazione. Maledizione. Era pieno. Se lo ripeté cento volte, come un idiota. Solo dopo capì di essersi anche tagliato.

Inchiostro nero misto a sangue puro. Non aveva dubbi che quella potesse essere la perfetta allegoria anche per gli uomini della sua famiglia. Inchiostro nero misto a sangue puro. Cielo, era un idiota.

Era un idiota.

Chiamò l’Elfo Domestico e gli ordinò malamente di pulire. Nell'osservare l'Elfo spaventato eseguire il suo dovere, Draco corrugò la fronte. Lo stava punendo. Eppure era stato lui a rovesciare il calamaio. Avrebbe dovuto pulire lui. Così avrebbe detto Hermione.

Dannazione. Maledizione.

Sbatté il pugno sulla porta e si recò in giardino, bestemmiando e urlando.

Naturalmente, a metà Maggio andò fuori, a frequentare l’alta società, e conobbe una donna che aveva gli occhi del mare e il cuore dell’oceano. Lei gli aveva detto più volte come si chiamava, ma Draco non lo memorizzò mai. Non ci era riuscito, così non era mai stato capace di chiamare i ricordi con il loro nome. In un’ora, si erano solo guardati, eludendo abilmente le frivole carezze e i teneri baci. Draco aveva ancora un sapore diverso in bocca, non quello di un sorriso, ma di un amore passato.

La primavera era trascorsa, fortunatamente, e l’estate stava mostrando i suoi riflessi. Il sole era divenuto rovente e Draco aveva sempre più voglia di andare al mare. Quante volte Hermione gli aveva detto che lo avrebbe portato a vedere il mare? A lasciarsi dondolare dalle irrequiete acque azzurre, a morirci, forse, perché le correnti marine erano qualcosa che doveva essere provato, nonostante fossero pericolose.

Così decise di partire in Giugno. Suo padre un giorno gli aveva fatto una domanda fastidiosa. Draco aveva risposto, seccato, e poi aveva ricordato. Il quadro in dissolvenza si era mostrato e i pezzi del mosaico non erano mai stati così vicini, tanto da dipingere e rifinire l’immagine che vi era dentro. Aveva provato un po’ paura, dopo aver fatto quella scoperta. Poco dopo gli era tornata in mente Hermione, che gli diceva sempre che i suoi occhi sembravano specchi di mare, perché erano impenetrabili e profondi.

L’avrebbe trovata lì, ne era sicuro. Certi segreti devono essere sempre rivelati a qualcosa di potente; e il mare era potente, quasi quanto l’amore.

 

“Pensi ancora a lei, non è vero?”

“Chiedo scusa?”

“A lei. Alla…”

“Ho capito. In effetti, io e la Mudblood ci siamo detti addio solo a parole.”

Draco posò il tovagliolo sulla tavola immacolata e rivolse a suo padre un cenno mesto. Tornò a camminare per i corridoi del Manor con un’espressione insolita sul viso. Pochi avrebbero vissuto con lo stesso impeto con cui aveva amato lui. Hermione era sempre lì, a cantare, a baciarlo. A ricordargli che c’era il futuro ad attenderli.

Mama… just killed a man.

Hermione aveva ucciso un uomo. La verità, ch’era sempre stata lì, nelle parole, lo afferrò e lo sbatté al muro, senza riserve. Chiuse gli occhi. All’improvviso, la testa cominciò a girargli in un turbinio di ricordi. Lei che cantava. Lei che suonava il piano. Lei che lo guardava, impotente e intimidita.

E lui, che l’aveva amata con una violenza tale da scoprirne ogni ombra d’anima, perché l’aveva denudata di ogni incertezza; gli aveva permesso di conoscerla a fondo, nel suo intimo.

Lui non aveva mai compreso quelle parole.

Lui, che adesso era corso fuori, per andare a cercarla. Ovunque.

Non credeva che suo padre sarebbe stato felice di quell’unione, ma almeno lo avrebbe visto sposato.

Con Hermione, ch’era Mudblood, ma senza averne l’aria.

 

***

 

Quarto Intermezzo

 

Hermione era davanti a lui, ma non lo stava toccando né salutando. Aveva una valigia in mano e con l’altra stringeva uno spartito. Draco non avrebbe sceso gli scalini che li separavano e Hermione non li avrebbe percorsi di nuovo. Forse, pensò Draco, temeva di voltare le spalle a qualcosa, facendolo.

Per un attimo – lungo troppo tempo e intenso almeno il doppio di cento vite – si guardarono: uno di loro stava piangendo. Nello sguardo di entrambi c’erano i loro desideri più reconditi, ma quello non era il giorno giusto per realizzarli.

La brezza settembrina stava accarezzando la loro pelle con un’intimità violenta, quasi devastante. Hermione tremò e Draco rimase impassibile. La vide abbassarsi, per prendere la borsa, e girarsi verso il suo destino.

“Ci siamo detti addio solo a parole, Draco.”

Quello non sarebbe stato un bel ricordo. Un addio non lo è mai. Un addio è come un sogno che torna a bussare.

Hermione non se ne sarebbe mai andata dalla sua vita. Questo faceva più male di ogni altra cosa.

Quando lei scomparve, Draco rimase lì, nonostante tutto, fino all’ultimo secondo, fino a che la sua figura non divenne la sorella di uno spettro. Forse a causa del vento o delle lacrime che aveva negli occhi e che non riusciva a cacciare via, Hermione sembrava davvero un fantasma. Gli faceva paura, pensò Draco, come le voci che si dissolvono, i ricordi che si affievoliscono.

Come se tutto fosse una pellicola vecchia. Come se, d’un tratto, in quel cinema stesse piovendo sullo schermo e riconoscere i volti fosse un gioco per chi aveva una buona memoria. Draco, per la prima volta, dubitò della sua mente.

Non lasciarla andare.

La prima cosa che fece, rientrando, fu quella di sforzarsi per udire Hermione cantare.

 

***

 

Quarta stagione – Estate

Storia di un lungo arrivederci

 

Si fermò un attimo a pensare. Hermione lo aveva salvato – in tutti i modi possibili in cui poteva essere salvata una persona – e Draco le era grato, ma c’era qualcos’altro, che non si poteva quantificare a parole. Solo a gesti. Per quante parole potessero esistere, l’amore che provava non avrebbe mai avuto giustizia scritto su un foglio di carta. Così credeva.

Hermione, per anni, gli aveva cantato Bohemian Rhapsody e November Rain. Aveva una voce bellissima, delicata quando cantava. Diversa da quella che lui aveva sempre immaginato. Gli aveva espresso il suo amore in musica, forse perché non aveva altro modo per dimostrarlo. Non era affettuosa, nonostante lo abbracciasse spesso. E lui si era lasciato abbracciare. Lui, che era capace solo di abbracci artificiali e scomodi, aveva scoperto ben presto che, in qualche strano modo, i suoi abbracci stavano bene addosso a Hermione.

Draco stava passeggiando sotto un leggero piovasco. All’orizzonte, non si riusciva a scorgere quali fossero l’infinito, il mare e la pioggia. Era tutto così uniforme e denso che ogni spettacolo naturale si confondeva in sfumature bluastre. I suoi occhi si soffermarono sul cielo. Niente stelle per una notte burrascosa.

Si sarebbe preso un raffreddore se avesse continuato a stare lì.

A rompere il silenzio, c’era solo il rumore dello scroscio della marea contro gli scogli. Passi stanchi sulle pietruzze. Scricchiolii sinistri. Onde che si riposavano sul bagnasciuga.

Udì qualcosa di lontano: i tasti di un pianoforte, la voce di Hermione.

Quando la vide, pensò che fosse bellissima. Aveva i capelli lunghi e crespi la brezza marina li rendeva ancora più selvaggi – il viso cereo e le guance rosse, forse per la sorpresa di rivederlo.

Quante volte aveva amato quel pudore improvviso? Quante volte le aveva carezzato le gote, baciandole le nocche delle dita, ch’erano illividite dal gelo, invece?

Draco inspirò a pieni polmoni e poi si diresse verso di lei; il volo di alcuni gabbiani, il vociare del mare, che narrava storie infinite e mai perdute, il bacio lieve della schiuma ai sassi del bagnasciuga. Tutto era ancora privo di nome, di colore, come il mondo attorno a lui, che sarebbe tornato a splendere, vivido, se solo lei avesse scelto di rimanervi.

Le porse la mano e lei vi si aggrappò. Per un attimo, Draco pensò che Hermione fosse sull’orlo di un precipizio, poi lei lo toccò impetuosamente, in uno slancio di amore fiero.

“Sei qui.” Hermione lo ripeté più volte, come se avesse bisogno di ribadirlo per crederci davvero. Pure lui aveva paura di aprire gli occhi e scoprire che quella visione era soltanto un altro sogno, l’ennesimo addio, ma non era così. Draco tentò di abbracciarla, ma poco dopo lei scivolò via da lui, come vento. Come se lui stesse stringendo il nulla.

“Se sei qui vuol dire che ricordi,” gli disse e quella frase sembrava un’accusa.

“La canzone? Sì. Anzi, ricordo tutto. Non ho mai dimenticato niente, Hermione.”

“E allora perché mi sembri distante?”

Draco guardò a terra. Perché era lontano? Perché aveva il timore di poterla perdere. Adesso che sapeva cosa, invero, provava Hermione, era spaventato.

“Tu non mi hai ucciso, Hermione. Lo so che lo pensi, ma non è così. Non mi hai tolto niente. Non mi sono negato niente. Ho passato più di metà della mia vita a insultarti; prima il sangue, la tua provenienza, poi la tua voce. Io non sono bravo con le parole, Hermione, e non sono nemmeno un santo. Io…” si bloccò. Non sapeva cosa dire. Si maledisse per il suo carattere e per come era cresciuto, ma quello era lui.

“Tu non sei questo. Tu non sei molte cose che io invece sono. Me ne sono andata perché avevamo bisogno di capire delle cose. Entrambi e da soli. Non puoi cambiare per me.”

“Così come io non potrò mai darti quello che credi di aver dato a me.”

“Questo è un altro motivo per cui ho scelto di non restare. Non perché volessi qualcosa da te, ma perché temevo che un giorno, nel darmelo, saresti diventato diverso. È difficile per gli altri accettare che voglio stare accanto a te, ma per me non è così. Per quello che conta, cantare mi ha aiutata a dire ciò che sentivo in modo alternativo.”

Hermione non stava piangendo, ma Draco ebbe l’impressione che stesse per farlo; allora si avvicinò a lei, sopraffatto dalla dolce malinconia che pervadeva quel momento di quiete. Uno dei migliori momenti dell’amore, in cui si è sul punto di piangere e non si sa di che.

“Di te mi potrei innamorare cento volte ancora,” gli disse Hermione e Draco si lasciò inebriare da quelle parole.

“Io ti vorrò sempre accanto a me, Hermione. Comunque soffi il vento, a me non importa.”

“Anche con i venti contrari?”

La abbracciò. Le sfiorò il viso con il naso. La baciò, mentre dal cielo scendeva la pioggia. Mentre dai loro cuori usciva l’amore e nelle loro anime c’era l’urgenza di amare a trent’anni. Per non dimenticare gli amori passati, che non se ne vanno mai e che ritornano, per quegli amori per cui si combatte, per cui si promette.

“Anche e comunque.”

 

***

 

Draco e Hermione erano sullo sfondo, belli, come un quadro in dissolvenza. Il vento, alle loro spalle, li stava conducendo a sé. Ogni cosa era al suo posto e aveva il suo nome. Da quando si erano ricongiunti, nel cielo brillavano due stelle in più.

Poi sparirono, poi corsero e poi tornarono. Sempre in dissolvenza, come se fossero circondati da una foschia smunta.

 

 

Omnia Vincit Amor

 

 

Addio mio piccolo signore,

che sognavi i treni e sapevi dov'era l'infinito;

tutto quel che c'era io l'ho visto,

guardando te.

E sono stata ovunque,

stando con te.

Alessandro Baricco

 

 

Giudizio di Egoica

 

I CLASSIFICATA


"Ventis Adversis" di Venenum91

Grammatica: 10/10
Stile e forma: 8,5/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
Utilizzo del pacchetto: 10/10
Gradimento personale: 15/15
Grafica: 4/5

 

Totale: 66/70

 

 

Grammatica: mi complimento per l'eccellente lavoro svolto. Non ho trovato la benché minima traccia di un errore, sebbene in alcuni casi avrei compiuto personalmente scelte diverse. Ho poco da dire, solo che sono molto lusingata dalla cura che hai messo nel scrivere questa storia, e che capisco il perché di farmi aspettare tanto nell'inviarla.

 

Stile e forma:lo stile è buono, personalissimo. Hai un modo di scrivere, e questo posso affermarlo anche da altre tue storie, che è semplicemente unico.
Sei capace di far stare bene il lettore – in tutti i modi in cui una persona può stare bene; perdona la semi-citazione. Tuttavia, ho riscontrato alcune ripetizioni che, poiché di poca importanza, non ti riporto ma che hanno comunque portato alla decurtazione di 0,5 punti dal tuo giudizio. Un'altra parte, che ha portato alla decurtazione di 1 punto, è stata quella in cui non mi è chiaro se Draco è ancora al cimitero oppure seduto sul suo letto.

 

Originalità: la storia è senza dubbio alcuno un ventata di novità non indifferente. Non ho mai letto niente di simile e posso affermare, con tutta l'umiltà possibile, che di Draco/Hermione ne ho lette a bizzeffe. Quindi non mi resta che inchinarmi davanti a te e... tanto di cappello!

 

Caratterizzazione dei personaggi: ho trovato davvero eccellente la caratterizzazione di Draco, la cui anima è descritta in ogni sua sfumatura; quella di Hermione, tuttavia, manca di qualcosa. Non so se riuscirai a capirmi, ma penso che ci sia qualcosa lasciato in sospeso a proposito di lei. Credo che abbia avuto un po' meno dello spazio che merita (cosa che rispetto tantissimo, per carità! La tua storia è un'autentica meraviglia), ergo non posso assegnarti il punteggio pieno – sarebbe un'ingiustizia. Hai ricevuto un 10 per Draco ed un 7 per Hermione, e da brava (?) studentessa del liceo scientifico ho fatto la media matematica ottenendo un 8,5. Un ultimo appunto che vorrei fare, anche se quanto sto per dire non ha influenzato questa parte del giudizio, è che ho trovato davvero spettacolare la tua “descrizione semi-introspettiva” di Lucius. Sono recentemente diventata una seguace della ship Lucius/Narcissa e vederlo struggersi così per l'assenza della sua amata mi ha fatto letteralmente andare in brodo di giuggiole.

 

Utilizzo del pacchetto: il pacchetto è stato usato davvero in maniera eccellente. La frase sembra quasi gravare perpetuamente in ogni parte del racconto, sebbene sia poi stata inserita nell'ultima parte con qualche modifica. Il prompt ricordo è stato pienamente rispettato nei primi tre intermezzi e l'ambientazione è chiarissima, non si trattano né gli anni a scuola né l'infanzia.

 

Gradimento personale: quando mi hai inviato la storia – ho dovuto pure scaricarmi Adobe Reader! – ero già cosciente del fatto che sarebbe stata una perla da custodire gelosamente, ma non avevo idea che fossi riuscita a estrarre dal mio semplicissimo pacchetto cotanta bellezza. La tua storia è proprio questo: la bellezza, metaforicamente, in carta e inchiostro. Ho dovuto rileggerla più volte per capirne a pieno alcuni punti, è il bello della lettura è stato proprio scoprire che per ogni rilettura c'è comunque qualcosa che ancora non comprendo nell'animo di Draco. Forse perché l'animo umano è tanto complesso da essere comprensibile. L'ho adorata, ma questo lo sai già.

 

Grafica: la grafica della storia è eccelsa, ma la parte finale “Omnia vincit amor” etc etc, ha minato la sua possibilità di essere perfetta. A mio avviso, sarebbe stato meglio lasciare solo il punto fermo dell'ultima frase, per far sì che il lettore tenga dentro di sé l'enorme malinconia che regna sovrana sull'intero racconto

 

 

Note:

 

 

La mia devozione va a poison spring, che ha betato questa storia e che ha sopportato interminabili elucubrazioni su quanto fosse fastidioso – e anche un po’ bello – il vento. Grazie, tesoro. Ti sei meritata gnocco e tigelle per un anno.

Poi vorrei ringraziare la giudiciaH per essere stata tanto brava a scrivere giudizi così professionali! Ti concederò Darren per una sera, ma solo una. Non vorrei poi che si abituasse!

 

Citazioni:

Ci siamo detti addio solo a parole - Amy Winehouse, Back to Black.

Quando lei c’era ancora e il mondo era vecchio, non recente. Perché da quando se n’era andata, molte cose erano divenute prive di nome, per Draco, e per citarle bisognava indicarle col dito - questa è una citazione riadattata di Marquez, Cent'anni di solitudine.

[...] sembrava avere qualcosa addosso, come una specie di infelicità - usata due volte, per Lucius e Hermione, proviene da Seta di Alessandro Baricco; oltre a ciò, c'è un lieve richiamo all'inchiostro nero e a un'altra citazione, "Era uno strano dolore, si era detto allora, morire di nostalgia per qualcosa che non avrebbe vissuto mai".

Alcune frasi in corsivo sono tratte da "Bohemian Rhapsody" dei Queen e "November Rain" dei Guns N' Roses. Sotto riporto quali;

Da "Bohemian Rhapsody": Is this the real life? Is this just fantasy?, Too late, my time has come, Goodbye everybody, Mama… just killed a man, Comunque soffi il vento, a me non importa. 

Da "November Rain": When I look into your eyes, I can see a love restrained. Nothing lasts forever. And it’s hard to hold a candle in the cold…

[...] nascondersi con protervia dietro a un dito - viene da "Addio", Francesco Guccini.

Una Mudblood senza averne l'aria - Autogrill, Francesco Guccini, ovviamente riadattata. Il pezzo originale sarebbe "bionda senza...".

[...] del tempo che stava volando e che più del tempo che scorreva erano le persone ad andarsene, compreso lui - anche questa citazione è molto riadattata. Valzer per un amore, Fabrizio De André.

“Così come io non potrò mai darti quello che credi di aver dato a me.” - tratta da Turning Tables di Adele: pezzo riadattato.

Ventis Adversis, il titolo, che riprendo anche nella storia, "anche con i venti contrari," - Gabriele D'Annunzio.

[...] così non era mai stato capace di chiamare i ricordi con il loro nome - Volta la carta, riadattata, Fabrizio De André.

Hermione lo aveva salvato – in tutti i modi possibili in cui poteva essere salvata una persona - Titanic, il film.

 

   
 
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