Ventis Adversis
Storia di un lungo
arrivederci
E così ebbe
inizio
la mia
infelicità.
William Shakespeare
Primo Intermezzo
Draco aveva i
capelli di Hermione sul suo petto.
Erano entrambi
nudi e avevano appena finito di fare l’amore. Hermione l’aveva abbracciato,
dopo aver soffiato il suo nome dalle labbra con voce leggera e timida, quasi a
volergli imprimere qualcosa di potente dentro l’anima, come un segreto; lui si
era lasciato stringere dalle sue braccia, permettendole di dormire sul suo
petto. Si rese conto che, prima di allora, non aveva mai osato tanto, sempre
frenato dalla paura di legarsi troppo a lei. In cuor suo sentiva di doverle concedere
qualcosa, quella sera, per farsi rimpiangere quando lei avrebbe avuto freddo e
lo avrebbe cercato, invano.
Fino a quel
momento, aveva sempre finto di non accorgersi delle lacrime impigliate tra le
ciglia di Hermione. Tentava di non afferrare quei particolari. Era più facile,
si diceva, ricordare a metà, restare incastrati in una realtà fatta di
illusioni, dove le immagini si sovrapponevano al volto di Hermione e dove i
suoni erano parole dolci e mai udite.
Si lasciò
scivolare addosso ogni tristezza. La malinconia era sparita. Il perpetuo ritorno
del passato aveva smesso di annebbiargli la mente. Lei mugolò qualcosa,
sfiorandogli le labbra con un sussurro.
“Che cosa siamo,
Hermione?”
“Promesse.”
Il riflesso
della luna, che filtrava dalle tendine, metteva in risalto alcuni tratti del
viso di lei, come se quella prospettiva e quella luce mettessero in contrasto i
suoi occhi, che sembravano narrare una verità diversa dalle parole proferite
dalle sue labbra, ch’erano illusioni miste a realtà.
“Soltanto
questo?”
“Siamo molte
altre cose, Draco. Il problema è che lo vedono in pochi. Siamo diversi.
Dobbiamo accettarlo o lasciarci andare. Per sempre.”
Promesse.
Come quella che aveva fatto Draco, giurando di non guardare mai più Hermione
nello stesso modo in cui lo aveva fatto a tredici anni, puntualmente infranta, perché
quella parola gli aveva rammentato il motivo per cui si celavano confessioni
sulle loro lingue e segreti nei loro baci, da sempre e per sempre custoditi
nelle tenebre della loro anima, pur di non essere menzionati.
“Domani dovrò
andare via e questo non è un addio. Gli addii sono difficili,” disse Hermione,
denudandosi del lenzuolo e avvicinandosi a lui.
“Che cos’è,
allora?”
“Una promessa.”
***
Prima stagione – Autunno
Il fantasma
dell’amore passato
Il tepore del
sole lo risvegliò distrattamente da un sogno. Da vent’anni, la sognava ogni
notte; lei entrava nella sua mente in punta di piedi, come una ballerina
irrequieta e bellissima, coi capelli sciolti e una veste bianca, segno
della sua purezza. Hermione non dormiva al suo fianco, non poteva più, ormai, poiché
se n’era andata. A volte, Draco la udiva suonare il pianoforte; tra canzoni che
non conosceva e melodie che sfioravano il cuore, sembrava proprio che lei fosse
ancora lì, a solleticarlo con la sua presenza.
La sua
voce.
Che sapeva di
ricordi.
Draco tolse le
coperte e si sedette sul letto, impregnato del suo sudore. Anche quella notte
aveva dormito male.
“Accio fazzoletto.”
Provò ad asciugarsi la fronte, forse avrebbe dovuto farsi una doccia fredda.
L’amore lo faceva scottare, sempre. La prima volta che gli era successa una
cosa simile, era andato da sua madre, la voce implorante e uno strano dolore
dentro. Non avrebbe mai potuto confessarsi con suo padre, soprattutto perché aveva
saputo sin dall’inizio che la causa di quella sofferenza era Hermione. Una Mudblood.
Nata sbagliata, sangue maledetto.
A tredici anni si ama con occhi vuoti. A
trent’anni con occhi troppo pieni. Di ricordi, promesse e amori passati. E anche
un po’ di aspettative.
Si alzò dal letto,
per andare a fare colazione, e mosse qualche passo incerto. Mentre Draco usciva
dalla stanza, incrociò gli occhi di Hermione, nell'unico modo in cui, ormai,
poteva farlo. Una foto sul comodino era tutto ciò che aveva di lei, una foto
che lui non avrebbe potuto togliere, soprattutto perché non voleva rinunciare
all'illusione di svegliarsi ogni mattina con lei al suo fianco. Hermione era
sull’erba, aveva un fiore tra i capelli sciolti – quante
volte li aveva odorati per riempirsi i polmoni, per inebriarsi la mente di
quell’odore –
e sembrava rilassata, ma in realtà aveva qualcosa addosso, come una specie di
infelicità. La foto, dopotutto, era sbiadita, quasi annebbiata dagli anni, ma
il ricordo era ancora vivo e potente dentro Draco.
Deglutì,
dirigendosi verso la cucina. Hermione gli mancava, certo, come potrebbe mancare
il respiro dopo averlo trattenuto per troppo tempo; o il sole, dopo giorni e
notti di pioggia e vento. Si sedette sul divano e si massaggiò il viso. Era
stanco, non gli andava di lavorare. In effetti, aveva perso molto del suo
spirito, del suo solito sarcasmo – inopportuno, ma comodo scudo con cui
proteggersi da tutto ciò che gli era ostile – dopo la promessa di Hermione.
L’aveva abbandonato? No. Hermione aveva deciso di riflettere e lui l’aveva
lasciata andare: non l’aveva fermata, forse perché anche lui aveva bisogno di
pensare.
Andò verso la finestra
e l’aprì, sentendosi sfiorare dall’effluvio dell’autunno, che gli entrava nelle
ossa, intorpidendogli le membra, senza però chiuderle nella morsa feroce del
ghiaccio invernale. Tuttavia gli addormentava il cuore. Nel cielo, il vento
disegnava strani turbinii di foglie morte anch’esse, talvolta scagliandole per
terra con veemenza. Quella che per la natura era una tormenta, per lui era una
brezza accennata che non sarebbe stata mai capace di attaccarglisi addosso con
la medesima furia né di scuotergli dentro qualcosa di più greve dei pensieri.
L’amore che provava rimaneva immobile, saldamente ancorato alla sua anima.
Il paesaggio era
tetro, come se stesse piovendo, ma Draco riusciva a percepire, da lontano, i
raggi del sole. Li vedeva e poteva provare la sensazione di tepore che lasciava
il sole sulla pelle, un finto profumo d’estate. Quando era triste, tendeva a
vedere tutto in trasparenza, come se l’universo, d’un tratto, fosse popolato
dai fantasmi.
Chiuse gli
occhi. Quella mattina era iniziata davvero male, come se la giornata che si
prospettava dovesse essere pervasa da una strana e amara malinconia. Draco si
voltò, alla ricerca del tè. Non che avesse sete o fame; a quell’ora, si
limitava a mangiare qualche dolcetto. Dopotutto la tradizione della colazione alternativa era iniziata con Hermione.
“Non puoi non mangiare.”
“Granger, non puoi obbligarmi a…”
“A fare una colazione Babbana? Forse. Intanto
io vado a preparare…”
“Ma ci sono gli Elfi Domestici per quello!”
aveva protestato vivamente. Avevano litigato e fatto pace con un bacio, qualche
carezza, reprimendo parole e insulti e covando la rabbia in gola. Hermione non
si era mai abituata a lui né lui aveva mai accettato lei. Troppe divergenze,
idee diverse, opinioni contrastanti su tutto; eppure si amavano anche per
questo. Questa era la forza ambivalente dell’amore. Curava ferite che nemmeno
Draco e Hermione sapevano di avere, ma lasciava cicatrici che prima o poi
avrebbero fatto male.
Draco si sfregò
le palpebre con la punta delle dita e rimase così, a lungo, lasciandosi
divorare dalle memorie. Udì i primi passi del mondo fuori dal Manor. Chissà
dov’era sua madre. Probabilmente era in giardino. Avrebbe voluto raggiungerla e
parlarle, dirle che cosa aveva dentro, raccontarle del silenzio che, tra lui e
Hermione, era calato come dopo uno spettacolo pieno di emozioni, dove il
pubblico, troppo commosso anche per battere le mani, sedeva immobile sulla
poltrona, esterrefatto dall’eccitazione che l’aveva sconvolto. Anche Draco si
aggrappava al mondo che lo circondava, cercando nelle cose materiali – carnali,
reali – la forza per non lasciarsi sopraffare dal sentimento che minacciava di
travolgerlo.
Mormorò qualcosa
di distratto, parole insignificanti. L’Elfo Domestico era riapparso ed era
corso in cucina a preparargli la colazione. Draco andò nella Sala da Pranzo e si
sedette sulla sedia, rigido, tentando di celare l’angoscia con cui si era
svegliato.
Aveva sognato,
l’aveva sognata.
Si portò le mani
al viso, appoggiando i gomiti sul tavolo. Non lo faceva mai, perché i suoi
genitori gli avevano insegnato le buone maniere, ma era solo, quindi poteva
fare un’eccezione. Odiava sentirsi così, quando volgeva il suo pensiero a lei;
così vulnerabile, tanto da trasgredire a una regola imposta dai suoi genitori,
tanto dipendente da lei
da vivere quasi a stento, a causa della rabbia.
Provò a
ricordare quello che la notte gli aveva regalato, gli strani incubi che
popolavano la sua mente e che tramutavano gli addii in sogni.
Non avrebbe
voluto innamorarsi di lei, ma era successo. Aveva faticato per accettarlo, ma
poi aveva capito che era bellissimo poter dire di avere l’amore dentro,
relegato da qualche parte tra il cuore e l’anima.
Quando Draco aveva tredici anni, qualcuno gli
aveva detto che il primo amore non si dimenticava mai. Chiunque l’avesse
predetto, aveva avuto ragione. Lui non l’aveva fatto. Hermione era sempre lì,
da qualche parte tra il cuore e l’anima.
Attese la
colazione, sfogliando la Gazzetta del Profeta. Frattanto, nel suo immaginario,
i colori divenivano vividi e le immagini sfocate. Come
un quadro in dissolvenza.
Dopo un po’, si
rese conto di non aver sognato. Era stato condotto per mano dal fantasma
dell’amore passato verso ciò che l’aveva caratterizzato. Tradizioni, gesti,
parole; quando lei gli diceva baciami
ancora
e
lui taceva, stupefatto da quella preghiera; quando gli portava la colazione a
letto e poi si pettinava i capelli e nel frattempo intonava quelle stupide canzoni Babbane;
quando lo toccava e gli entrava dentro, con ogni pretesa possibile.
Quando lei c’era
ancora e il mondo era vecchio, familiare, non inquinato dal sentore di
estraneità che aveva acquisito senza Hermione. Perché da quando se n’era
andata, molte cose erano divenute prive di nome, per Draco, e per citarle
bisognava indicarle col dito.
Com’era quella
canzone che Hermione gli cantava sempre? Ah, sì.
Is this
the real life? Is this just fantasy?
***
Secondo
Intermezzo
Draco aveva la
bocca di Hermione sulla sua.
Con la lingua,
lei gli carezzava le labbra, dolcemente, mordendole, in modo lieve, quasi
timido. Era sempre stata così; gli permetteva di scoprirla a poco a poco e
lasciava segni che duravano per giorni. Hermione gli dava così tanto che lui
rimaneva quasi sempre senza fiato. Inebriati da quelle lusinghe, entrambi si
abbandonavano a ogni fantasia possibile, al gioco di labbra e denti che si
toccavano, quasi timorosi di potersi strappare la vita a vicenda.
Non riuscivano a
trattenersi perché avevano bisogno di quel breve intermezzo – sessuale,
passionale – per ritrovarsi, dopo un litigio.
Hermione adesso
stava sospirando. Erano pelle contro pelle. Draco avvertiva il calore che lei
emanava e gli piaceva, perché lo faceva sentire desiderato. Voleva prenderla
lì, subito, perché la bramosia lo stava facendo vaneggiare. Riempirsi di lei,
assaporandone ogni piacere, ogni gioia che provava soddisfacendo la propria
lussuria.
“Noi non siamo
solo promesse, Hermione.”
“Non ho mai
detto questo,” riuscì lei a proferire a stento, perché Draco le stava già
lambendo il seno. Hermione aveva gli occhi lucidi e Draco stava solo aspettando
di perdercisi.
La sfiorò con un
tocco gentile, schiudendo le sue labbra su quelle di lei e gustando il sapore
di un vero sorriso. Lei lo strinse a sé. Voleva sentirsi sua e Draco lo capì
dal modo in cui si strofinava su di lui. Un’altra preghiera. Quando la penetrò,
c’erano solo gemiti simili a voci angeliche e ovviamente c’era lui, che invece sapeva
benissimo di avere le fattezze del Demonio.
Hermione era
come le stagioni, il tempo che passa. Perché era sfuggente, mordeva. Si faceva
sentire al suo arrivo e quando se ne andava lasciava qualcosa dentro. Come una
specie di insoddisfazione. Come se quello fosse un addio dal sapore di vento.
“Stai con me,
Hermione.”
***
Seconda stagione – Inverno
Il fantasma
dell’amore presente
“Ciao, mamma.”
Draco osservò la
lapide. L’odore acre del cimitero lo colpiva in viso come uno schiaffo,
arrivava nauseante e violento come un pugno nello stomaco. Il sepolcro di sua
madre, abbellito in altre stagioni da ciuffi di fiori bianchi, era vuoto e
disadorno. L’inverno era giunto. Se l’autunno spoglia, l’inverno uccide.
Non sapeva
nemmeno perché era andato lì. Odiava la tristezza. Preferiva mantenere
quell’atteggiamento distaccato che lo aveva differenziato a scuola, proteggersi
con il sarcasmo, l’ironia pungente, nascondersi con protervia dietro a un dito,
insultare per difendersi o per elogiarsi.
Per ricordare a lei che era nata sbagliata.
Una Mudblood senza averne l’aria. Ecco
cos’era sempre stata.
Draco strinse
tra le dita i fiori che aveva portato a sua madre. Le spine delle rose rosse si
conficcarono nella sua carne e il suo sangue cadde sulla neve, a mischiarsi con
il candore e il fango.
Too late,
my time has come.
Gli parve di udire
la voce di Hermione. Ovviamente era solo uno scherzo della sua mente. La
canzone che gli cantava sempre. Ma qual
era?
Goodbye everybody.
Sua madre era
morta all’alba del primo giorno di Dicembre. Così Draco aveva subito, nell’arco
di quattro mesi, il dolore di due distacchi. Prima Hermione, poi sua madre. Era
stato abbandonato.
Davanti
a quella lapide, si rese conto, per la prima volta, del tempo che stava volando
e che più del tempo che scorreva erano le persone ad andarsene, compreso lui.
Posò i fiori
accanto al ritratto. Suo padre aveva scelto una foto bellissima. Guardandola,
Draco si rese conto che, fino a quell’istante, non aveva mai capito che dietro
al sorriso di sua madre si celavano cose che nessuno avrebbe mai potuto vedere.
“Mamma, i Malfoy non dovrebbero piangere per…
queste… cose… futili.” Frasi spezzate, a singhiozzo, imbarazzo nella voce,
vergogna per quello che aveva dentro e nel frattempo consapevolezza di aver
ammesso quel peccato dolcissimo.
Sua madre rimase lì, immobile. Forse si stava
pentendo di essere entrata. Draco si sentiva malissimo, ma per cosa? Per essere
stato scoperto o perché Hermione era ciò a cui non voleva rinunciare? E lei non
sapeva nulla. Non glielo avrebbe mai detto. Il solo pensiero di andare da lei,
a confessarsi, lo rendeva isterico e arrabbiato. Oh, era così furioso, ancora
ignaro che, un giorno, avrebbe reso grazie per quel dono, desideroso di
conservarlo per sempre. Da qualche parte, tra il cuore e l’anima.
Aveva solo tredici anni, dopotutto.
Si sedette
sul letto, immerso nel ricordo dei suoi pensieri adolescenziali, pervasi da
quel tormento che si era portato dentro, come una leggera foschia che adombrava
gli anni della sua gioventù, dove Hermione assomigliava ancora a un bocciolo di
rosa, a un segreto non svelato.
Era uno
strano dolore, si era detto allora, morire di nostalgia per qualcosa che non
avrebbe vissuto mai. Poi,
qualcosa era cambiato, in lui e anche in lei. Si erano avvicinati dopo la Seconda
Battaglia di Hogwarts. Avevano avuto i loro diverbi, si erano insultati, ma da
qualche parte, dentro di loro, era fiorita la convinzione di amarsi da sempre.
Un’idiozia, le aveva detto Draco. Lui non credeva a quelle cose. Eppure, chissà
come, avevano imparato a conoscersi davvero, come attratti l’uno dall’altra, il
dolore condiviso, la rabbia repressa.
Erano usciti
insieme e, dalle loro conversazioni, una sera, avevano capito che c’era
qualcosa che ancora non sapevano dirsi. Così l’avevano espresso a gesti.
Hermione aveva cantato e Draco l’aveva baciata. Lei dapprima l’aveva rifiutato
e poi si era insinuata nel suo letto – ma
non avrebbe dovuto essere lui, il serpente? – e a poco a poco i loro incontri
erano diventati abitudinari e le loro voglie sempre più immediate e consumate a
ogni ora del giorno. Così Hermione gli aveva detto ti
amo
e
Draco era impazzito perché non voleva risponderle che, sì, l’amava anche lui,
di un amore un po’ strano, ma poi aveva capito che a lei bastava essere
abbracciata e così aveva imparato a farlo, nonostante si sentisse sempre in
imbarazzo.
D’un tratto, gli
sembrò che i fiori stessero già appassendo. L’inverno, si disse. Che stagione
brutta. Faceva troppo freddo, per i suoi gusti, così decise di tornare. Forse quel coso era già
arrivato. Draco aveva fatto il primo passo per ricordare al contrario. Non gli
bastavano più gli addii, non ora che i sogni in cui c’era lei erano diventati
rari e sbiaditi.
“Ciao, mamma.”
Draco si avviò
verso casa mentre la nebbia inghiottiva il tramonto e alcuni baleni argentati
si scorgevano tra le nubi. Ebbe l’improvvisa certezza che l’anno successivo
nessuno si sarebbe preso cura del giardino del Manor. Sua madre non sarebbe più
stata lì, a creare un labirinto di fiori e cespugli, a curarli con immenso
orgoglio. La prossima primavera, pensò, avrebbe fatto l’ultimo passo:
l’accettazione. Sua madre non sarebbe più tornata e questo lo corrodeva dentro,
come un tarlo insignificante che gli avrebbe divorato ogni singola memoria.
Quando entrò in
casa, suo padre lo ricevette malamente. Lucius, le sopracciglia inarcate e un
insulto tra le labbra, stava solo aspettando il momento giusto per esternare
tutto il dolore che la morte della moglie gli aveva causato. Draco doveva
prendersi cura di lui, aiutarlo, perché, se non l’avesse fatto, suo padre
avrebbe subito una furia ben peggiore, trascinato in un gorgo di addii
tramutati in sogni e intervallati da incubi. Lui ne sapeva qualcosa.
“Perché hai
fatto portare un pianoforte in questa casa, Draco?”
“Non lo so.”
Suo padre scosse
la testa e Draco ghignò. Aveva fatto una sciocchezza, ma non aveva resistito.
Ne aveva trovato uno nero, simile a quello che aveva Hermione. Non si intendeva
di termini tecnici e non gli interessava farlo, gli bastava avere qualcosa di lei
accanto. Sarebbe stato come ricordare al contrario, si disse,
avvicinandosi al pianoforte. Premette un tasto e la musica sembrò celestiale.
Il presente. Tutta la vita davanti. Senza di
lei.
La voce di
Hermione echeggiava nella sua mente. Oh, stava funzionando. Questo era ciò che
importava. Chiuse gli occhi e la vide danzare sulle colline: stava cantando,
stava implorando, stava pregando. Era lì. Sarebbe bastato un attimo e le
avrebbe stretto la mano, i fianchi, e le avrebbe ripetuto che era bello fare
l’amore con lei.
Nothing
lasts forever.
Poi vacillò. Non era quella la canzone che avrebbe
voluto rammentare. Digrignò i denti e sbatté un pugno sul piano. Dopotutto non
era stata una buona idea. L’unico tentativo che aveva compiuto si era rivelato
un fallimento.
Si diresse verso
la finestra e ignorò i passi pesanti di suo padre.
And it’s
hard to hold a candle in the cold…
No. Questa era
un’altra. Qualcosa che gli rammentava con insistenza il rumore della pioggia di Novembre.
Come quella che
cadeva, costante, davanti a lui.
***
Terzo Intermezzo
Draco aveva il cuore
di Hermione tra le sue mani.
Ne era il
padrone, il custode.
Sorrise.
Hermione appariva sempre così viva, accanto a lui. L’aveva conquistata. Pensò a
tutte le volte che aveva, con il pensiero, sfiorato il suo futuro senza di lei;
non c’era tristezza, ma mancava un pezzo, perché il mosaico della sua vita non
sarebbe stato mai completo, se lei non ne fosse stata parte.
“A che cosa stai
pensando?” gli chiese Hermione, sorridendo, le labbra rosse, tumide, a
lambirgli il dorso della mano.
“A tutte le
volte che ho dovuto sopportare di sentirti cantare.”
Una risposta
sprezzante, forse anche un po’ cattiva, soprattutto una replica mendace. La
voce di Hermione gli piaceva, lo rilassava e lo calmava, però non voleva
ammettere anche
quella
dipendenza.
“Non ti chiederò
scusa per qualcosa che mi piace fare.”
“Le mie orecchie
avrebbero qualcosa da ridire.” Draco si voltò. Emise un lungo sospiro e il suo
alito caldo fece rabbrividire Hermione. La vide scuotersi impercettibilmente,
tra le coperte, il corpo nudo e lo sguardo dolorosamente sincero.
“Mi chiedo se
crescerai mai. Mi rispondo da sola.”
Si era offesa?
Draco avvertì una fitta. Era così difficile con Hermione. Era tutto complicato.
Doveva sempre stare attento alle parole, agli sguardi, agli
abbracci artificiali, ai baci dal sapore di altri amori.
“Hermione…” le
afferrò il braccio. Il contatto fu brusco, perché lei mugugnò appena, un
lamento che Draco non sopportò di udire. Non voleva ferirla. Avrebbe voluto
fare la
famosa cosa giusta,
ma temeva di intrappolare se stesso in un rapporto di completa dipendenza. Per
quella sera, le avrebbe fatto un regalo. “Canta per me, Hermione.”
When I
look into your eyes,
I can see
a love restrained.
***
Terza stagione – Primavera
Il fantasma
dell’amore futuro
In Aprile, Draco
aveva visto qualcosa di strano: suo padre era cambiato. Non stava solo
avanzando con l’età né stava abbracciando la vecchiaia: sembrava avere qualcosa
addosso, come una specie di infelicità. Così gli avrebbe detto sua madre,
narrandogli dell’infelicità dell’uomo che aveva amato.
Draco capì che
poteva solo assistere, impotente, al lento e al lungo addio di Lucius.
Alcuni dicevano
che, quando moriva la propria anima gemella, dopo una vita vissuta insieme,
anche l’altro si abbandonava alle dolci carezze della morte.
Così quell’anno
la primavera non era stata rigogliosa, ma generosa di piogge, ancora ammantata
di un gelo residuo che faceva venir voglia di avvolgersi in una coperta calda.
A volte, padre e figlio facevano lunghe passeggiate per i giardini del Manor e
Lucius gli descriveva quanto fosse stata bella sua madre, da giovane, quanto
l’avesse amata e quanto fosse importante avere qualcuno su cui contare, oltre se
stessi. Gli aveva persino detto che questo non era sempre segno di debolezza e
poi gli aveva parlato di una certa Astoria
Greengrass.
Una Purosangue.
Se Lucius non
fosse stato tanto malato, Draco avrebbe risposto male e se ne sarebbe andato.
“Acconsentirai
mai al volere di un vecchio? Ti vedrò sposato?”
Eccolo, il
vecchio Lucius.
A Maggio, il
Medimago aveva decretato la sua fine. Qualche mese o forse un anno. Avevano
litigato tanto e si erano persino sfidati a duello. Draco aveva perso. Di sua
spontanea volontà. Non
avrebbe mai sopportato la vista di suo padre; debole nei suoi occhi e ferito
tra le sue mani. E poi aveva parecchi problemi col sangue. Odiava il sangue.
Cos’ha mio padre?
Morirà di malinconia.
Allora anche
Draco aveva fatto una previsione: la sua punizione. Probabilmente avrebbe fatto
la stessa fine di suo padre.
Il che era quello
che si aspettavano tutti e lui non avrebbe deluso le loro aspettative, aveva
pensato una sera, davanti allo scrittoio, osservando vecchi manoscritti
oscuri.
Erano di suo nonno, Abraxas. La crudeltà di quelle pagine non faceva altro che
incutergli ansia.
Quella che stava
scendendo sul suo viso era una lacrima? Lo era davvero? O era un ricordo?
Vivi per me, Hermione.
Stai con me, Hermione.
Canta per me, Hermione.
Il suo futuro
era un quadro in dissolvenza. Vedeva i volti sbiaditi, udiva le voci sempre più
lontane e, con ogni probabilità, avrebbe presto dimenticato il buon sapore che
lascia in bocca un sorriso vero. Avrebbe potuto sposare Astoria – che frattanto
aveva incontrato: e non era lei che voleva – ma, più di ogni altra cosa,
Hermione non sarebbe più stata reale. Dopotutto, lei adesso era solo una
trasparenza, una presenza nella sua vita che non riusciva davvero a percepire;
ricordarla era l’unico modo per sentirla vicina – tanto vicina da avvertire il
calore della sua pelle – quindi non poteva accettare il pensiero di sposare
un’altra.
Aveva un esempio
in casa. Suo padre non aveva sopportato l’abbandono di sua madre; eppure era un
uomo forte, secondo la sua opinione, checché ne dicessero gli altri. Era come
un marinaio, come il capitano di una nave, ma non aveva retto il colpo e si era
lasciato
andare.
Draco spazzò via
tutti i manoscritti con un pugno sul tavolo. Si rovesciarono a terra e si udì
il tonfo sordo del calamaio. L’inchiostro nero si sparse per tutto il
pavimento, fino a bagnargli le scarpe e i pantaloni. Era pieno, dannazione.
Maledizione. Era pieno. Se lo ripeté cento volte, come un idiota. Solo dopo
capì di essersi anche tagliato.
Inchiostro nero
misto a sangue puro. Non
aveva dubbi che quella potesse essere la perfetta allegoria anche per gli
uomini della sua famiglia. Inchiostro
nero misto a sangue puro. Cielo, era un idiota.
Era un idiota.
Chiamò l’Elfo
Domestico e gli ordinò malamente di pulire. Nell'osservare l'Elfo spaventato
eseguire il suo dovere, Draco corrugò la fronte. Lo stava punendo. Eppure era
stato lui a rovesciare il calamaio. Avrebbe dovuto pulire lui. Così avrebbe
detto Hermione.
Dannazione. Maledizione.
Sbatté il pugno
sulla porta e si recò in giardino, bestemmiando e urlando.
Naturalmente, a
metà Maggio andò fuori, a
frequentare l’alta società, e conobbe una donna che aveva gli occhi del mare e
il cuore dell’oceano. Lei gli aveva detto più volte come si chiamava, ma Draco
non lo memorizzò mai. Non ci era riuscito, così non era mai stato capace di
chiamare i ricordi con il loro nome. In un’ora, si erano solo guardati,
eludendo abilmente le frivole carezze e i teneri baci. Draco aveva ancora un
sapore diverso in bocca, non
quello di un sorriso, ma
di un amore passato.
La primavera era
trascorsa, fortunatamente, e l’estate stava mostrando i suoi riflessi. Il sole
era divenuto rovente e Draco aveva sempre più voglia di andare al mare. Quante
volte Hermione gli aveva detto che lo avrebbe portato a vedere il mare? A
lasciarsi dondolare dalle irrequiete acque azzurre, a morirci, forse, perché le
correnti marine erano qualcosa che doveva essere provato, nonostante fossero
pericolose.
Così decise di
partire in Giugno. Suo padre un giorno gli aveva fatto una domanda fastidiosa.
Draco aveva risposto, seccato, e poi aveva ricordato. Il quadro in dissolvenza
si era mostrato e i pezzi del mosaico non erano mai stati così vicini, tanto da
dipingere e rifinire l’immagine che vi era dentro. Aveva provato un po’ paura,
dopo aver fatto quella scoperta. Poco dopo gli era tornata in mente Hermione,
che gli diceva sempre che i suoi occhi sembravano specchi di mare, perché erano
impenetrabili e profondi.
L’avrebbe
trovata lì, ne era sicuro. Certi segreti devono essere sempre rivelati a
qualcosa di potente; e il mare era potente, quasi quanto l’amore.
“Pensi ancora a lei, non è vero?”
“Chiedo scusa?”
“A lei. Alla…”
“Ho capito. In effetti, io e la Mudblood ci
siamo detti addio solo a parole.”
Draco posò il tovagliolo sulla tavola
immacolata e rivolse a suo padre un cenno mesto. Tornò a camminare per i
corridoi del Manor con un’espressione insolita sul viso. Pochi avrebbero
vissuto con lo stesso impeto con cui aveva amato lui. Hermione era sempre lì, a
cantare, a baciarlo. A ricordargli che c’era il futuro ad attenderli.
Mama…
just killed a man.
Hermione aveva ucciso un uomo. La verità,
ch’era sempre stata lì, nelle parole, lo afferrò e lo sbatté al muro, senza
riserve. Chiuse gli occhi. All’improvviso, la testa cominciò a girargli in un
turbinio di ricordi. Lei che cantava. Lei che suonava il piano. Lei che lo
guardava, impotente e intimidita.
E lui, che l’aveva amata con una violenza
tale da scoprirne ogni ombra d’anima, perché l’aveva denudata di ogni
incertezza; gli aveva permesso di conoscerla a fondo, nel suo intimo.
Lui non aveva mai compreso quelle parole.
Lui, che adesso era corso fuori, per andare a
cercarla. Ovunque.
Non credeva che suo padre sarebbe stato
felice di quell’unione, ma almeno lo avrebbe visto sposato.
Con Hermione, ch’era Mudblood, ma senza averne
l’aria.
***
Quarto Intermezzo
Hermione era
davanti a lui, ma non lo stava toccando né salutando. Aveva una valigia in mano
e con l’altra stringeva uno spartito. Draco non avrebbe sceso gli scalini che
li separavano e Hermione non li avrebbe percorsi di nuovo. Forse, pensò Draco,
temeva di voltare le spalle a qualcosa, facendolo.
Per un attimo – lungo troppo tempo e intenso almeno il doppio
di cento vite
–
si guardarono: uno di loro stava piangendo. Nello sguardo di entrambi c’erano i
loro desideri più reconditi, ma quello non era il giorno giusto per
realizzarli.
La brezza
settembrina stava accarezzando la loro pelle con un’intimità violenta, quasi
devastante. Hermione tremò e Draco rimase impassibile. La vide abbassarsi, per
prendere la borsa, e girarsi verso il suo destino.
“Ci siamo detti
addio solo a parole, Draco.”
Quello non
sarebbe stato un bel ricordo. Un addio non lo è mai. Un addio è come un sogno
che torna a bussare.
Hermione non se
ne sarebbe mai andata dalla sua vita. Questo faceva più male di ogni altra
cosa.
Quando lei scomparve,
Draco rimase lì, nonostante tutto, fino all’ultimo secondo, fino a che la sua
figura non divenne la sorella di uno spettro. Forse a causa del vento o delle
lacrime che aveva negli occhi e che non riusciva a cacciare via, Hermione
sembrava davvero un fantasma. Gli faceva paura, pensò Draco, come le voci che
si dissolvono, i ricordi che si affievoliscono.
Come se tutto
fosse una pellicola vecchia. Come se, d’un tratto, in quel cinema stesse
piovendo sullo schermo e riconoscere i volti fosse un gioco per chi aveva una
buona memoria. Draco, per la prima volta, dubitò della sua mente.
Non
lasciarla andare.
La prima cosa
che fece, rientrando, fu quella di sforzarsi per udire Hermione cantare.
***
Quarta stagione – Estate
Storia di un
lungo arrivederci
Si fermò un
attimo a pensare. Hermione lo aveva salvato – in
tutti i modi possibili in cui poteva essere salvata una persona – e Draco le era
grato, ma c’era qualcos’altro, che non si poteva quantificare a parole. Solo a
gesti. Per quante parole potessero esistere, l’amore che provava non avrebbe
mai avuto giustizia scritto su un foglio di carta. Così credeva.
Hermione, per
anni, gli aveva cantato Bohemian
Rhapsody
e November Rain. Aveva una voce
bellissima, delicata quando cantava. Diversa da quella che lui aveva sempre
immaginato. Gli aveva espresso il suo amore in musica, forse perché non aveva
altro modo per dimostrarlo. Non era affettuosa, nonostante lo abbracciasse
spesso. E lui si era lasciato abbracciare. Lui, che era capace solo di abbracci
artificiali e scomodi, aveva scoperto ben presto che, in qualche strano modo, i
suoi abbracci stavano bene addosso a Hermione.
Draco stava
passeggiando sotto un leggero piovasco. All’orizzonte, non si riusciva a
scorgere quali fossero l’infinito, il mare e la pioggia. Era tutto così
uniforme e denso che ogni spettacolo naturale si confondeva in sfumature
bluastre. I suoi occhi si soffermarono sul cielo. Niente stelle per una notte
burrascosa.
Si sarebbe preso
un raffreddore se avesse continuato a stare lì.
A rompere il
silenzio, c’era solo il rumore dello scroscio della marea contro gli scogli.
Passi stanchi sulle pietruzze. Scricchiolii sinistri. Onde che si riposavano
sul bagnasciuga.
Udì qualcosa di
lontano: i tasti di un pianoforte, la voce di Hermione.
Quando la vide,
pensò che fosse bellissima. Aveva i capelli lunghi e crespi – la
brezza marina li rendeva ancora più selvaggi – il viso cereo
e le guance rosse, forse per la sorpresa di rivederlo.
Quante volte aveva amato quel pudore
improvviso? Quante volte le aveva carezzato le gote, baciandole le nocche delle
dita, ch’erano illividite dal gelo, invece?
Draco inspirò a
pieni polmoni e poi si diresse verso di lei; il volo di alcuni gabbiani, il
vociare del mare, che narrava storie infinite e mai perdute, il bacio lieve
della schiuma ai sassi del bagnasciuga. Tutto era ancora privo di nome, di
colore, come il mondo attorno a lui, che sarebbe tornato a splendere, vivido,
se solo lei avesse scelto di rimanervi.
Le porse la mano
e lei vi si aggrappò. Per un attimo, Draco pensò che Hermione fosse sull’orlo
di un precipizio, poi lei lo toccò impetuosamente, in uno slancio di amore
fiero.
“Sei qui.”
Hermione lo ripeté più volte, come se avesse bisogno di ribadirlo per crederci
davvero. Pure lui aveva paura di aprire gli occhi e scoprire che quella visione
era soltanto un altro sogno, l’ennesimo addio, ma non era così. Draco tentò di
abbracciarla, ma poco dopo lei scivolò via da lui, come vento. Come se lui
stesse stringendo il nulla.
“Se sei qui vuol
dire che ricordi,” gli disse e quella frase sembrava un’accusa.
“La canzone? Sì.
Anzi, ricordo tutto. Non ho mai dimenticato niente, Hermione.”
“E allora perché
mi sembri distante?”
Draco guardò a
terra. Perché era lontano? Perché aveva il timore di poterla perdere. Adesso
che sapeva cosa, invero, provava Hermione, era spaventato.
“Tu non mi hai
ucciso, Hermione. Lo so che lo pensi, ma non è così. Non mi hai tolto niente.
Non mi sono negato niente. Ho passato più di metà della mia vita a insultarti;
prima il sangue, la tua provenienza, poi la tua voce. Io non sono bravo con le
parole, Hermione, e non sono nemmeno un santo. Io…” si bloccò. Non sapeva cosa
dire. Si maledisse per il suo carattere e per come era cresciuto, ma quello era
lui.
“Tu non sei questo. Tu non sei molte cose che io invece
sono. Me ne sono andata perché avevamo bisogno di capire delle cose. Entrambi e
da soli. Non puoi cambiare per me.”
“Così come io
non potrò mai darti quello che credi di aver dato a me.”
“Questo è un
altro motivo per cui ho scelto di non restare. Non perché volessi qualcosa da
te, ma perché temevo che un giorno, nel darmelo, saresti diventato diverso. È difficile
per gli altri accettare che voglio stare accanto a te, ma per me non è così.
Per quello che conta, cantare mi ha aiutata a dire ciò che sentivo in modo
alternativo.”
Hermione non
stava piangendo, ma Draco ebbe l’impressione che stesse per farlo; allora si
avvicinò a lei, sopraffatto dalla dolce malinconia che pervadeva quel momento
di quiete. Uno dei migliori momenti dell’amore, in cui si è sul punto di
piangere e non si sa di che.
“Di te mi potrei
innamorare cento volte ancora,” gli disse Hermione e Draco si lasciò inebriare
da quelle parole.
“Io ti vorrò
sempre accanto a me, Hermione. Comunque soffi il vento, a me non importa.”
“Anche con i
venti contrari?”
La abbracciò. Le
sfiorò il viso con il naso. La baciò, mentre dal cielo scendeva la pioggia.
Mentre dai loro cuori usciva l’amore e nelle loro anime c’era l’urgenza di
amare a trent’anni. Per non dimenticare gli amori passati, che non se ne vanno
mai e che ritornano, per quegli amori per cui si combatte, per cui
si promette.
“Anche e
comunque.”
***
Draco e Hermione
erano sullo sfondo, belli, come un quadro in dissolvenza. Il vento, alle loro
spalle, li stava conducendo a sé. Ogni cosa era al suo posto e aveva il suo
nome. Da quando si erano ricongiunti, nel cielo brillavano due stelle in più.
Poi sparirono,
poi corsero e poi tornarono. Sempre in dissolvenza, come se fossero circondati
da una foschia smunta.
Omnia Vincit Amor
Addio mio piccolo signore,
che sognavi i treni e sapevi dov'era l'infinito;
tutto quel che c'era io l'ho visto,
guardando te.
E sono stata ovunque,
stando con te.
Alessandro
Baricco
Giudizio di Egoica
I
CLASSIFICATA
"Ventis Adversis" di Venenum91
Grammatica: 10/10
Stile e forma: 8,5/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
Utilizzo del pacchetto: 10/10
Gradimento personale: 15/15
Grafica: 4/5
Totale: 66/70
Grammatica: mi complimento
per l'eccellente lavoro svolto. Non ho trovato la benché minima traccia di un
errore, sebbene in alcuni casi avrei compiuto personalmente scelte diverse. Ho
poco da dire, solo che sono molto lusingata dalla cura che hai messo nel
scrivere questa storia, e che capisco il perché di farmi aspettare tanto
nell'inviarla.
Stile e forma:lo stile è buono,
personalissimo. Hai un modo di scrivere, e questo posso affermarlo anche da
altre tue storie, che è semplicemente unico.
Sei capace di far stare bene il lettore – in tutti i modi in
cui una persona può stare bene; perdona la semi-citazione. Tuttavia, ho
riscontrato alcune ripetizioni che, poiché di poca importanza, non ti riporto
ma che hanno comunque portato alla decurtazione di 0,5 punti dal tuo giudizio.
Un'altra parte, che ha portato alla decurtazione di 1 punto, è stata quella in
cui non mi è chiaro se Draco è ancora al cimitero oppure seduto sul suo letto.
Originalità: la storia è
senza dubbio alcuno un ventata di novità non indifferente. Non ho mai letto
niente di simile e posso affermare, con tutta l'umiltà possibile, che di
Draco/Hermione ne ho lette a bizzeffe. Quindi non mi resta che inchinarmi
davanti a te e... tanto di cappello!
Caratterizzazione dei personaggi: ho trovato davvero eccellente la caratterizzazione di
Draco, la cui anima è descritta in ogni sua sfumatura; quella di Hermione,
tuttavia, manca di qualcosa. Non so se riuscirai a capirmi, ma penso che ci sia
qualcosa lasciato in sospeso a proposito di lei. Credo che abbia avuto un po'
meno dello spazio che merita (cosa che rispetto tantissimo, per carità! La tua
storia è un'autentica meraviglia), ergo non posso assegnarti il punteggio pieno
– sarebbe un'ingiustizia. Hai ricevuto un 10 per Draco ed un 7 per Hermione, e
da brava (?) studentessa del liceo scientifico ho fatto la media matematica
ottenendo un 8,5. Un ultimo appunto che vorrei fare, anche se quanto sto per
dire non ha influenzato questa parte del giudizio, è che ho trovato davvero
spettacolare la tua “descrizione semi-introspettiva” di Lucius. Sono
recentemente diventata una seguace della ship Lucius/Narcissa e vederlo
struggersi così per l'assenza della sua amata mi ha fatto letteralmente andare
in brodo di giuggiole.
Utilizzo del pacchetto: il pacchetto è stato
usato davvero in maniera eccellente. La frase sembra quasi gravare
perpetuamente in ogni parte del racconto, sebbene sia poi stata inserita
nell'ultima parte con qualche modifica. Il prompt ricordo è stato pienamente
rispettato nei primi tre intermezzi e l'ambientazione è chiarissima, non si
trattano né gli anni a scuola né l'infanzia.
Gradimento personale: quando mi hai
inviato la storia – ho dovuto pure scaricarmi Adobe Reader! – ero già cosciente
del fatto che sarebbe stata una perla da custodire gelosamente, ma non avevo
idea che fossi riuscita a estrarre dal mio semplicissimo pacchetto cotanta bellezza.
La tua storia è proprio questo: la bellezza, metaforicamente, in carta e
inchiostro. Ho dovuto rileggerla più volte per capirne a pieno alcuni punti, è
il bello della lettura è stato proprio scoprire che per ogni rilettura c'è
comunque qualcosa che ancora non comprendo nell'animo di Draco. Forse perché
l'animo umano è tanto complesso da essere comprensibile. L'ho adorata, ma
questo lo sai già.
Grafica: la grafica della
storia è eccelsa, ma la parte finale “Omnia vincit amor” etc etc, ha minato la
sua possibilità di essere perfetta. A mio avviso, sarebbe stato
meglio lasciare solo il punto fermo dell'ultima frase, per far sì che il lettore
tenga dentro di sé l'enorme malinconia che regna sovrana sull'intero racconto
Note:
La mia devozione va a poison spring, che ha
betato questa storia e che ha sopportato interminabili elucubrazioni su quanto
fosse fastidioso – e anche un po’ bello – il vento. Grazie, tesoro. Ti sei
meritata gnocco e tigelle per un anno.
Poi vorrei ringraziare la giudiciaH per
essere stata tanto brava a scrivere giudizi così professionali! Ti concederò
Darren per una sera, ma solo una. Non vorrei poi che si abituasse!
Citazioni:
Ci siamo detti addio solo a parole -
Amy Winehouse, Back to Black.
Quando lei c’era ancora e il mondo
era vecchio, non recente. Perché da quando se n’era andata, molte cose erano
divenute prive di nome, per Draco, e per citarle bisognava indicarle col dito -
questa è una citazione riadattata di Marquez, Cent'anni di solitudine.
[...] sembrava avere qualcosa
addosso, come una specie di infelicità - usata due volte, per Lucius e
Hermione, proviene da Seta di Alessandro Baricco; oltre a ciò, c'è un lieve
richiamo all'inchiostro nero e a un'altra citazione, "Era uno strano
dolore, si era detto allora, morire di nostalgia per qualcosa che non avrebbe
vissuto mai".
Alcune frasi in corsivo sono tratte
da "Bohemian Rhapsody" dei Queen e "November Rain" dei Guns
N' Roses. Sotto riporto quali;
Da "Bohemian Rhapsody": Is this the real life? Is this just
fantasy?, Too late, my time has come, Goodbye everybody, Mama… just killed a
man, Comunque soffi il vento, a me non importa.
Da "November Rain": When I look into your eyes, I can see a
love restrained. Nothing lasts forever. And it’s hard to hold a candle in the
cold…
[...] nascondersi con protervia
dietro a un dito - viene da "Addio", Francesco Guccini.
Una Mudblood senza averne l'aria -
Autogrill, Francesco Guccini, ovviamente riadattata. Il pezzo originale sarebbe
"bionda senza...".
[...] del tempo che stava volando e
che più del tempo che scorreva erano le persone ad andarsene, compreso lui -
anche questa citazione è molto riadattata. Valzer per un amore, Fabrizio De
André.
“Così come io non potrò mai darti
quello che credi di aver dato a me.” - tratta da Turning Tables di Adele: pezzo
riadattato.
Ventis Adversis, il titolo, che
riprendo anche nella storia, "anche con i venti contrari," - Gabriele
D'Annunzio.
[...] così non era mai stato capace
di chiamare i ricordi con il loro nome - Volta la carta, riadattata, Fabrizio
De André.
Hermione lo aveva salvato – in tutti
i modi possibili in cui poteva essere salvata una persona - Titanic, il film.