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Autore: Pseudomonas    17/06/2012    6 recensioni
E fu per questo che quando lei si voltò all’improvviso, ma non abbastanza in fretta da celare quel barlume di delusione che brillava di rabbia repressa e di indifferenza ostentata malamente, lui non esitò neanche per un istante.
E si precipitò dietro di lei.
Perché lui, lui lo sapeva, che con tutto quel suo correre lei non inseguiva proprio nessuno. Lei fuggiva da qualcosa.
E Graham non voleva che Emma fuggisse da lui.
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Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Emma Swan, Graham/Cacciatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d'un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d'un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti.”

[Faber]



Ogni tanto si sorprendeva a osservarla.
Trincerato dietro l'ampia porta a vetri del suo ufficio, le persiane orientate in modo che lui potesse vedere l'esterno ma non viceversa, si accorgeva spesso di trascorrere alcuni interminabili minuti con lo sguardo fisso al di là della vetrata.
Sulla sua schiena, il più delle volte, poiché lei sedeva alla scrivania dandogli ostinatamente le spalle.
In questi casi ne studiava il profilo ritto e fiero, la postura orgogliosamente eretta e le braccia forti e vigorose, quasi fossero pronte a reggere – apparentemente - il peso di qualsiasi cosa.
Altre volte, nei momenti in cui si alzava e riusciva attraverso i ricci a scorgerne il volto - arrabbiato, corrucciato, pensieroso e concentrato -, si soffermava a scrutarne il passo deciso e l'andatura rapida, veloce, spesso frenetica, quasi fosse incessantemente ed inevitabilmente all'inseguimento di qualcosa.
O di qualcuno.
Questo, per lo meno, era quello che lei era convinta di mostrare.

Si era ritrovato ad ammirarla molte – troppe - volte per quella straordinaria capacità di isolarsi che era solo sua. Anche quando era in balia degli eventi o in compagnia di chi detestava, riusciva in qualunque momento ad estraniarsi dal mondo e a rinchiudersi dentro se stessa, immergendosi in pensieri - o in ricordi - talmente remoti che lui avrebbe potuto restarsene lì per ore, nel suo ufficio dietro di lei, ad osservarla per tutto il tempo che voleva senza che lei se ne accorgesse neppure.
E, ormai lo aveva capito, le capitava soprattutto quando era arrabbiata, delusa o ferita.


- Finisci tu il mio turno. Io ho chiuso, con i turni di notte.


E la invidiava per questo, perché per riuscire a sentire anche una singola ferita che bruciava, per poter provare almeno un decimo di tutta quella rabbia e di tutto quell'ardore, lui avrebbe donato tutto l'oro del mondo.

- Non ti sto evitando, Graham, semplicemente non ho voglia di discuterne. E' la tua vita, e a me davvero non interessa.

E fu per questo che quando lei si voltò all’improvviso, ma non abbastanza in fretta da celare quel barlume di delusione che brillava di rabbia repressa e di indifferenza ostentata malamente, lui non esitò neanche per un istante.
E si precipitò dietro di lei.
Perché lui, lui lo sapeva, che con tutto quel suo correre lei non inseguiva proprio nessuno. Lei fuggiva da qualcosa.
E Graham non voleva che Emma fuggisse da lui.



L’aveva inseguita come un lupo famelico insegue una lince sanguinante, l’aveva raggiunta, trattenuta, fronteggiata. Lei lo aveva sempre oltrepassato. Lo aveva sempre respinto.
La prima volta con noncuranza.

- Se non ti interessa perché sei infastidita?
- Non sono infastidita!
- Se fosse vero saresti con me al bar a farti un drink, e non staresti scappando via!
- Sul serio, non sono affari che mi riguardano.

La seconda volta con sprezzo.

- Ne possiamo parlare, per favore? Voglio che tu capisca.
- Perché?
- Non lo so! Forse perché così posso capirlo anche io.
- Se ti serve un analista vattene da Archie!

La terza volta, quasi con crudeltà.

- Tu non hai idea di come sia stare con lei! Non provo nulla! Riesci a immaginarlo?
- Le pessime relazioni? Si, riesco a immaginarle perfettamente, ma non ho nessuna voglia di discutere delle tue.

La quarta volta, l’aveva rincorsa con la forza della disperazione.

- Lo so che tu e Regina avete molti problemi, e che avrei dovuto dirtelo prima di assumerti.
- Già, perché hai tentato di nasconderlo? Siamo tutti adulti! Puoi fare quel che diavolo ti pare!
- Perché…non volevo che tu mi guardassi nel modo in cui mi stai guardando adesso.
- E perché diavolo ti frega di come io ti guardo?

E allora, con quella disperazione negli occhi, l’aveva baciata.
E, per un attimo, aveva visto. Sentito. Tremato.
E diavolo, ne era sicuro, nello stesso istante in cui lui si era avventato sulla sua bocca, Emma aveva chiuso gli occhi.

Poi però li aveva spalancati, rapida come un felino. Lo aveva spinto via, allontanato, rigettato indietro, gli aveva urlato contro facendolo sentire un essere miserabile.

- Ascoltami bene, Graham. Sei ubriaco fradicio e pieno di rimpianti, questo è evidente, ma ti dirò solo una cosa: qualunque cosa tu stia cercando di ottenere…non l’avrai da me.

E gli aveva voltato le spalle, fieramente, tornando alla sua solita postura ritta e al suo consueto passo da fuga.
Ma quella volta, in quegli occhi chiari, Graham non ci aveva trovato ne indifferenza, ne sprezzo, ne crudeltà.
Ci aveva scorto il riflesso di un cuore in frantumi.
E l’aveva lasciata andare.



***



Non era abituata a sentirsi braccata da qualcuno.
Dacché ne aveva memoria, una sola ed unica costante l’aveva accompagnata incessantemente lungo tutti i 28 anni della sua esistenza: la corsa.
Se fosse una fuga o un inseguimento, era una questione su cui si era interrogata spesso, non riuscendo quasi mai a trovare una risposta.
Rincorreva un’amicizia che la facesse sentire stabile. Una famiglia che non la rispedisse indietro all’orfanotrofio. I suoi genitori, che l’avevano piantata dissolvendosi nel nulla.
E scappava, allo stesso tempo. Fuggiva da ogni sentimento che potesse renderla vulnerabile. Da ogni possibile fonte di sofferenza emotiva. Dal padre di suo figlio. Da ogni possibilità di gettare finalmente l’ancora in un angolo del mondo.
Ma si trattava sempre, ne era dolorosamente consapevole, di una fuga in solitaria. Non c’era nessuno che le stesse dietro, nessuno cui importasse che lei andasse via. Nessun amico che la trattenesse, o a cui sarebbe mancata. Nessun genitore che la rimproverasse. Nessun uomo che le accarezzasse il ventre gonfio sussurrandole un semplice “resta”.
Forse questo sarebbe bastato. Quella volta.
Per questo la sorprese non poco il testardo ed instancabile inseguimento di Graham. Era piccata, nervosa, a tratti anche furiosa. Eppure da qualche parte lo sentiva, quel calore insolito che la scaldava da dentro.
Lui le stava chiedendo di restare. Di ascoltare. Di capire. Di aiutarlo.
Ma non erano sensazioni che era stata abituata a gestire. Ne ebbe paura. Le rigettò addosso al mittente con rabbia e frustrazione, disprezzandolo per aver introdotto nella sua vita da trincea quella variabile pericolosa come una mina vagante.
E quando lui finalmente l’aveva lasciata andar via, se ne era resa perfettamente conto, che quella era stata inequivocabilmente una fuga.
Poi però prese ad osservarlo, nei giorni successivi. Lo vide inquieto ed irrequieto. Angosciato. Frenetico. Riconobbe in lui lo stesso fuoco rovente che da sempre divorava la sua stessa anima. Suo malgrado, ne provò empatia.
Allora tornò indietro, lo aspettò. Ascoltò il suo febbricitante delirio. Con una dolcezza che terrorizzò lei per prima, lo sfiorò. Sentì sotto i polpastrelli il battito rabbioso del cuore di lui. Gli afferrò la mano e gliela posò sul petto, affinché lo sentisse anche lui stesso. Lo accompagnò nella febbrile ricerca di ciò che gli era stato rubato, si frappose tra lui e colei che era tornata a reclamarlo. La persona che lo aveva reso insensibile.

Senza che se ne fosse neanche resa conto si ritrovò nell’ufficio di lui, poggiata contro la sua scrivania. Le sue mani sul viso.
Si, stava lasciando che lui la toccasse. Se ne accorse e tentò di rimediare, afferrando la borsa del ghiaccio e reggendola da sola sopra la ferita.
Ma continuò a studiarlo, a osservare come lui continuava a preoccuparsi per lei, a scusarsi con lei, a prendersi cura di lei.
E la seconda volta in cui lui tornò a cingerle il viso per disinfettarle un graffio, lei non lo respinse più.
Fu in quel preciso istante, che Emma realizzò di aver smesso di correre. Era immobile, poggiata ad un ripiano, docile tra le mani di un uomo. Era fuggita e lui l’aveva fermata. L’aveva inseguito, e lui si era fatto raggiungere. Aveva rifiutato il primo contatto fisico, e lui non se ne era risentito.
E per la prima volta in vita sua, assaporò la gioia di avere fiato nei polmoni, un tocco gentile sulla guancia, sotto le palpebre lacrime di liberazione e non di dolore.
La sensazione di gratitudine fu immensa ed improvvisa. Talmente violenta che non riuscì a trattenersi dalla voglia di manifestarla. Si alzò cauta, sotto lo sguardo sorpreso del ragazzo. Avvicinò il viso, lentamente, mantenendo gli occhi fissi in quelli di lui, cercandoci dentro il permesso, urlandogli il suo bisogno di non essere rifiutata, non ancora. Perché se lui l’avesse respinta, in quel momento, avrebbe potuto ucciderla.
E lui non lo fece. Ricambiò il bacio con gioia, succhiando le labbra di lei, posandole una mano sul fianco, avvicinandola.
E come la sera prima, qualcosa dentro di lui vibrò. Tuonò. Scosse ogni fondamenta del suo essere. Per pochi attimi vide ogni cosa, comprese ogni cosa, ricordò ogni cosa.
La gioia fu incontenibile. Raccolse tra le mani il viso impaurito di colei che gli aveva rivelato se stesso, e mentre sentiva una lacrima rotolargli lungo lo zigomo, le sussurrò quello stesso grazie che lei gli aveva voluto comunicare in quel bacio, quello stesso grazie che stavano urlando anche i suoi grandi occhi chiari.
Chiuse le palpebre sfiorandole ancora una volta le labbra, e tutte le emozioni che non aveva provato negli ultimi 28 anni esplosero da qualche parte dentro di lui, lacerandogli il petto e attanagliandogli il cuore, quel cuore che credeva di dover trovare, e che invece, beffardo ed impietoso, lo uccise, accasciandolo tra le braccia di Emma che, con il terrore negli occhi, tra le labbra il sapore del suo ultimo respiro, lo comprese. Non avrebbe mai dovuto smettere di correre.


"Ma che la baciai
questo sì, lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai,
per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra."

[Faber]

   
 
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