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Autore: nyctophilia    17/06/2012    1 recensioni
Voglio vivere verde. Verde come il giardino che mi immagino aprendo la finestra. Verde come le pelli della mia batteria. Verde come la California. Poi però mi sveglio, e tutto è nero. Nero come l’asfalto che soffoca il mio prato. Nero come i polmoni di mia madre. Nero come il cielo stamattina.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Verde.

Voglio vivere verde.  Verde come il giardino che mi immagino aprendo la finestra. Verde come le pelli della mia batteria. Verde come la California. Poi però mi sveglio, e tutto è nero. Nero come l’asfalto che soffoca il mio prato. Nero come i polmoni di mia madre. Nero come il cielo stamattina.
Mi faccio la solita scarpinata per arrivare a quelle quattro mura di cemento che amo e odio allo stesso tempo; nel parcheggio c’è la solita gente, e non mi va di fermarmi. È il mio terzo anno lì, le facce son sempre le stesse, mangiate da quell’odio per i libri che potrebbe solo farli crescere, facce bagnate dal fumo di una sigaretta o da qualche bicchiere di troppo la sera prima. Facce stanche. Come la mia, ma la differenza è sostanzialmente una: io sono pulita.
Non mi sono mai considerata un fiore di ragazza, io in realtà sono morta dentro.
 
Il portone è aperto, e le facce vecchie dei professori fanno capolino qua e là tra le teste ancora da plasmare dei ragazzi del primo anno. Era il loro primo giorno; io il mio non lo ricordo nemmeno, ma credo sia meglio così.
«Ancora qui stai?» quelle mani che avevano distrutto troppe bacchette per contarle sulle stesse dita non mi danno nemmeno il tempo di ribattere, colmando il nostro divario con un abbraccio.
«Mi sbaglio o questo è il tuo secondo anno da ripetente?» spingo la moneta nella macchinetta e una cascata di gioia zuccherata si tuffa nella plastica.
«Non te ne perdi una! Dai, ora potrai vantarti di avermi in classe.. sto diventando una celebrità da queste parti.» e con fare altezzoso si aggiusta la maglia consunta dei Rush, quella che mi aveva preso con la forza.
«Più che vantarmi potrei solo farmi deridere così!» la sua finta faccia triste non funziona con me, che copro il mio sorriso col vapore che più mi era mancato.
«La nostra cella qual è? T12?» la bidella ultracentenaria ci sorride, e annuisce meccanicamente.
«A quanto pare.. » mi aggiusto la maglietta dei Pantera di quell’armadio che mi trovo affianco che mi aveva ceduto come merce di scambio, e apro la porta grigia che spaventa qualsivoglia alunno.
L’odore, anzi, la puzza di disinfettante da ospedale ci travolge, e la mia felicità solubile diventa insipida. C’è altra gente nella classe, ma i rapporti sono sempre gli stessi: apatia da entrambi i fronti. Poggiamo i nostri zaini all’ultimo banco, quello vicino alla finestra e al termosifone, il miglior posto che si possa desiderare.
L’unica persona che riesce ancora a parlarmi ora è a chissà quanti chilometri da me, dove la pronuncia è simile all’arabo, e dove tutte le “e” sono aperte.. giuro, lei si troverà meno fuori luogo di me, ora come ora.
 
 
Danilo. Lui è l’unica cosa che mi tiene ancora qui.
Lo fisso, come sempre, lui ormai c’è abituato. Quando si sente osservato mi guarda come se venissi da Giove, mi sorride e mi aggiusta il dilatatore. –Devo ricordarmi di cambiarlo, sono arrivata ad 1cm rubandoglieli-
La campanella urla, ulula, barrisce e mi sveglia. Forse Danilo mi piace. Forse dovrei togliere il forse.
Danilo mi piace.
Ormai si può dire che abito a casa sua; mia madre non rientra a casa prima di cena, e mio padre non so nemmeno che faccia abbia. L’unica cosa che mi manca a casa sua è il mio gatto obeso.
 
«Kebab a casa mia?» la professoressa tossisce per riportarci alla realtà, io sorrido e annuisco.. ormai quella era la routine. Me la portavo dietro dall’estate.
L’ultima campanella suona, ma io non la sento. Ultimamente non sento più nulla.
Danilo mi scuote, o per meglio dire mi strappa via un braccio, e io annego di nuovo nella realtà.
«Strano dirlo, ma temo che la scuola ti faccia male.»
«Paradossale.. ma non dare tutta la colpa alla scuola.» prendo la borsa su cui l’estate scorsa ci siamo messi a disegnare Ryuk e mi incammino nei corridoi. Lui tira fuori le chiavi della macchina. Verde. Tutto è verde qui, se lo sai cercare.
 
Danilo vive da solo da quando lo conosco; sono cinque anni che la madre non si fa vedere, e il padre è andato chissà dove, chissà con chi, magari a cercare un po’ di felicità.
Il suo appartamento non è nulla di speciale: piccolo, in periferia e a mala pena ha un bagno, una cucina e due stanze. Una, la più grande, è completamente occupata da vari strumenti e amplificatori, l’altra è la nostra tana.
Mentre mangia cerca di non infilarsi in bocca anche i capelli, cosa che non gli riesce molto bene. È sempre così buffo, qualsiasi cosa faccia.. e io sono perennemente lì a fissarlo, come un pesce ti guarda dall’altra parte del vetro, chiedendosi quale strana creatura tu sia.
 
«Sono così bello?» mi chiede mentre apre il secondo kebab come se non mangiasse da anni. È un bufalo quest’uomo.
«Sì, ma perché.. ?» lui mi guarda un attimo, poi scuote la testa.
«Non mangi più?» metà del mio kebab sta abbandonato sul tavolo, morente.
«Se la tua domanda è “posso rubartelo?” fai pure»
«Sei perspicace ragazza.. »
Mi alzo e mi metto davanti alla finestra. Piove. Danilo capisce, e non mi disturba.
Mi rilassa vedere l’acqua cadere e infrangersi contro qualsiasi cosa incontri, senza farsi tutti questi problemi. Senza pensare che la sua vita non sarà più la stessa.
 
 
Un’altra mattina si affaccia alla mia finestra. Sono stranamente felice di andare a scuola, forse perché anche oggi piove, forse perché sono i primi giorni, forse perché c’è Danilo.
Prendo le prime cose che trovo nell’armadio e vado in bagno a lavarmi. Il getto d’acqua ghiacciata lava via tutto il sonno, lasciando due fossette scure sotto gli occhi. Non mi ricordo un solo giorno in cui non le ho viste, le mie occhiaie.
Mi vesto e mi metto quel filo di trucco che mi fa sembrare meno morta.
La borsa è già sulla sedia, cosa che di solito non faccio, quindi scendo subito le scale e corro verso scuola. Sono in ritardo, come al solito.
 
Aprendo le porte di scuola vedo qualcosa che non potevo nemmeno immaginare. La figura la conosco, ma quello che sta facendo è a me oscuro.
Danilo sta baciando una ragazza. E quella ragazza, ne sono certa, non sono io.
   
 
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