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Autore: HarleyQ_91    17/06/2012    3 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 13
- Il Forestiero -

  La pioggia batteva impetuosa sulla piccola finestrella della sua piccola stanza, ma Vivien non sembrava farci caso. Ciò che non la faceva dormire non era di certo il rumore dei tuoni o la luce dei lampi, il suo pensiero era rivolto solo ad una persona.
  Le notti passate a pregare per la salute di Clelia sembravano finalmente essere state ripagate, all’anziana era scesa la febbre e da quella mattina aveva ripreso a brontolare come suo solito, segno indiscusso di guarigione.
  Tuttavia un altro fardello si era impossessato del cuore di Vivien e questa volta non era certa che qualche preghiera sarebbe bastata ad alleggerirlo.
  Tornerò a Villa Turner anche domani! Impose a se stessa. Ci tornerò ogni giorno, se necessario.
  Non sapere nulla sulla sorte del conte Aaron era addirittura più devastante che sottostare ai suoi capricci. Ultimamente si era fatto così serio con lei, protettivo, quasi irriconoscibile.
  Il cuore di Vivien perse un colpo e lei si portò istintivamente la mano al petto.
  Cosa mi sta succedendo?
  La sua mente non fece in tempo a risponderle che bussarono ripetutamente alla porta.
  La ragazza scese dal letto con un balzo e si stirò la camicia da notte con nervosismo. Chi poteva essere a quell’ora di notte e nel bel mezzo di una tempesta?
  Altri tre colpi alla porta.
  Vivien uscì dalla sua stanza e aprì la porta di quella accanto alla sua. Clelia dormiva tranquillamente, non sembrava che i colpi l’avessero destata, come il temporale del resto.
  Altri due colpi e una voce.
  “Vivien Foster!”
  Il cuore di Vivien si fermò per un secondo.
  La voce era sconosciuta, eppure sapeva il suo nome e dove era la sua casa.
  “Chi è?” Chiese lei, dopo aver accuratamente richiuso la stanza di Clelia e avvicinandosi all’ingresso.
  “Sei tu? Sei Vivien Foster?” Chiese conferma la voce da fuori.
  La ragazza non sapeva se dire la verità o meno, in fondo al di là della porta, in una notte come quella, poteva esserci chiunque.
  “Voi chi siete?” Rispose dunque lei con un’altra domanda.
  “Il mio nome non ti direbbe niente, comunque”. Disse la voce dall’esterno. Era un po’ distorta dal rumore della pioggia, ma sembrava roca e profonda. “Sono qui perché il tuo amichetto ha bisogno di cure”.
  Vivien aggrottò le sopracciglia. “Se speri che ti apra con uno stratagemma del genere, sei un bandito fin troppo stupido”.
  Lo sentì ridere. “Nessuno stratagemma. Io posso anche andarmene, il tuo amico te lo lascio davanti la porta, chissà se col freddo gli si rimargina prima la ferita”.
  La ragazza a quel punto aprì di colpo l’uscio, spinta da chissà quale forza e preoccupazione.
  Vide un omone davanti a sé, fradicio dalla punta dei capelli alla suola delle scarpe. La faccia tozza, con una cicatrice in bella vista che nemmeno la pioggia incessante riusciva a nascondere.
  E poi vide lui, accasciato sulle spalle dell’omone, privo di sensi e pallido come un morto e a Vivien sembrò di essere trafitta da mille lame per tutto lo stomaco.
  “Mio Dio, entrate!” Disse alla svelta.
  L’omone dovette accucciarsi leggermente per passare sotto la porta ed evitare che il suo carico sbattesse, dopodiché si voltò verso Vivien.
  “Dove lo metto? Dopo quasi tre miglia con questo coso sulle spalle, comincia a farmi male la schiena!”
  Vivien lo condusse in camera sua e gli fece poggiare il conte sul letto, dopodiché si rivolse allo sconosciuto.
  “Dove l’hai trovato? Sai perché è in queste condizioni?”
  L’omone ridacchiò. “Un uomo che sfida da solo Bastion Hole deve tenersi fortunato ad essere ancora vivo”.
  Vivien si portò una mano davanti la bocca e scosse la testa. Il conte aveva tentato di salvare il marchese Ronchester, era forse diventato matto?
  “Nonostante fosse solo, se l’è cavata bene”. Continuò lo sconosciuto. “Se solo mi avesse dato retta e trafitto qualche guardia, ora non si troverebbe in queste condizioni”.
  Vivien, che aveva preso a spogliare il conte per liberargli la ferita, si voltò verso l’omone con le sopracciglia aggrottate.
  “Come hai detto?”
  “Si era fissato di non dover uccidere nessuno. Mah, roba da matti!”
  Alla ragazza stettero per cedere le gambe ma si fece forza.
  Il conte Aaron lo aveva fatto per lei.
  Non aveva ucciso nessuno per lei, ed era sempre per lei che ora si trovava con una ferita d’arma da fuoco sul fianco.
  “Come mi hai trovata?” Continuò Vivien, ricacciando le lacrime e andando in cucina a prendere dei panni umidi per pulire la ferita.
  “Il tuo amico non faceva che ripetere il tuo nome, ho dovuto bussare a qualche porta prima di riuscire a trovarti, mi sono preso pure qualche vaffanculo”.
  Vivien prese una sedia e si mise accanto al letto per pulire la ferita al conte. Per fortuna sembrava non essere tanto grave, la pallottola era uscita e il sangue sembrava essersi fermato. La medicò come meglio sapeva fare – aveva imparato parecchio da Clelia sulle medicazioni – e gliela fasciò, così per la notte almeno non avrebbe dovuto avere problemi.
  “Beh, è stato un piacere!” Disse poi lo sconosciuto. “Ora che so che è in buone mani, me ne vado”.
  “Aspetta! Lasci da solo un tuo compagno?”
  L’omone si mise a ridere. “Compagno? Io nemmeno lo conosco. Mi ha liberato da Bastion Hole e ora me ne vado prima che le guardie mi sbattano dentro di nuovo. Portandolo qui ho pagato il mio debito, ora non ho più niente a che fare con lui”.
  Così dicendo, girò i tacchi e sparì nella notte tempestosa, richiudendosi la porta dietro le spalle.
  Vivien rimase qualche attimo frastornata da tutta quella situazione.
  Quell’uomo doveva essere un criminale, eppure aveva aiutato il conte a Bastion Hole e poi – cosa per cui gli sarà stata per sempre grata – aveva riportato Aaron da lei.
  Dopo giorni di angoscia passati senza sapere dove fosse, se stesse bene.
  Adesso era lì, nel suo letto.
  I capelli bagnati appiccicati sulla fronte pallida, le occhiaie leggermente macchiate e le labbra violacee. Non aveva un bell’aspetto, ma era vivo.
  Sorridendo leggermente gli accarezzò una guancia e le lacrime cominciarono a scenderle dagli occhi. Teneva così tanto a lui, ma non se ne era mai accorta prima.
  Aveva dovuto rischiare di perderlo per rendersi conto di quanto lui fosse importante.
  Ma ora non l’avrebbe mai dimenticato.
  Aaron mugugnò qualcosa nel sonno e aggrottò la fronte.
  “Non… non ho ucciso… nessuno”. Disse come se sapesse che lei lo avrebbe sentito. “Nessuno…”
  “Lo so!” Rispose Vivien stringendogli la mano e lasciando libero sfogo alle lacrime. “Non sei un assassino, sei un uomo d’onore. Ora l’ho capito”.
  Per la prima volta lasciò da parte le riverenze e si rivolse a lui con tono più confidenziale, come se lo sentisse più vicino a lei. In quella stanza non c’era nessun conte e nessuna serva. Per Vivien quello steso sul letto era solo un uomo che aveva rischiato la sua vita per salvare un suo amico, e lei era solo una donna grata a Dio per averlo salvato.
 
  Aaron sbatté le palpebre più volte prima di riuscire a mettere a fuoco ciò che gli si presentava davanti.
  Una camera insipida, piccola e spoglia, eppure con un profumo così familiare.
  Provò ad alzarsi da quella specie di brandina che sarebbe dovuta risultare un letto, ma una fitta al fianco lo fece ricadere sulla schiena.
  Giusto, la ferita!
  Immediatamente tutto ciò che era accaduto a Bastion Hole gli tornò alla mente, la sua fuga dopo il rifiuto di Sam, il combattimento con le guardie e infine il colpo di fucile che lo prese poco sotto le costole sinistre.
  Guardò in basso e vide una fasciatura di bende bianche, macchiate leggermente di rosso. Sembrava il lavoro di un professionista.
  “Non ricominciare, per favore!” Sentì una voce provenire dall’altra parte del muro.
  Era lei, non c’erano dubbi.
  “Dico solo che potrebbe essere pericoloso!” Commentò un’altra voce. “Forse è un latitante, un assassino, ci hai pensato?”
  “Clelia è solo un forestiero!” Ribatté Vivien, con tono fermo. “E in più è ferito. Non potrà nuocere a nessuno per un bel po’”.
   Ci fu qualche attimo di silenzio, poi le due donne ripresero a parlare, ma con tono più calmo, perciò il conte non riuscì a sentire altro che flebili bisbigli.
  Vivien si stava prendendo cura di lui come nemmeno sua madre aveva mai fatto. Gli aveva dato riparo, lo aveva curato e aveva pensato bene di tenere nascosta la sua identità per evitare che le guardie reali lo trovassero.
  Sapeva bene di non aver mai fatto niente per meritarsi tanto riguardo da parte sua. L’aveva sempre trattata come una nullità, invece lei, nonostante i torti subiti, gli aveva salvato la vita.
  La porta della stanza si aprì e Vivien entrò con in mano una ciotola di terracotta.
  Aveva i capelli castani sciolti sulle spalle un po’ scompigliati e un vestito grigio – di tutt’altra sartoria rispetto a quelli che indossava a Villa Turner – eppure Aaron la trovò ugualmente stupenda.
  Fu in quel momento che si accorse che gli era mancata.
  Vivien si accorse che il conte la stava guardando solo dopo essersi richiusa la porta dietro le spalle.
  Non proferì parola, ma gli occhi sgranati, le sopracciglia inarcate e la bacinella caduta in terra furono più eloquenti di mille parole.
  “Siete… siete sveglio!” Esclamò poi, avvicinandosi al letto. Ad Aaron sembrò che stesse sul punto di piangere, ma probabilmente era solo una sua impressione.
  Non si sarà di certo disperata a tal punto per me.
  Questo pensiero gli fece inavvertitamente male. Era consapevole dell’odio che Vivien provava nei suoi confronti e non si sarebbe assopito solo perché era ferito, tuttavia una parte lui sperava vivamente di sbagliarsi.
  “Come sono arrivato qui?” Chiese, non dando troppo peso al fatto che lei gli avesse stretto la mano nelle sue.
  “Vi ci ha portato un uomo, non so il nome. Era grosso e aveva una cicatrice sul volto”.
  Aaron annuì. Claud era stato un buon compagno di battaglia, senza di lui probabilmente non ce l’avrebbe fatta.
  “Comunque siete stato un pazzo ad inoltrarvi a Bastion Hole”. Continuò Vivien in tono canzonatorio. Gli erano mancate le sue ramanzine. “Potevate morire, vi rendete conto?”
  “Avevo un buon motivo per farlo”. Ribatté lui, aggrottando la mascella e ripensando a come Sam non aveva voluto seguirlo. “Quell’idiota non ha voluto ascoltarmi”.
  “Non è un idiota!” Sentenziò lei. “E’ un uomo d’onore”. Vivien gli spostò una ciocca di capelli dalla fronte e gli si avvicinò al volto. “E anche voi lo siete!”
  Era così vicina, il suo respiro gli sfiorava la pelle e i suoi seni si schiacciavano contro il materasso su cui si era appoggiata. Aveva le labbra piene e rosee, socchiuse in un leggero sorriso ed ad Aaron sarebbe bastato così poco per assaggiarle.
  La voglio! Pensò in quell’istante. La voglio da morire, più di prima.
  Senza attendere oltre, si sporse in avanti e le catturò la bocca, la assaggiò, la succhiò, quasi come fosse l’unica cosa che avesse mai desiderato in vita sua.
  Portò una mano dietro la nuca di Vivien, forse per timore che potesse distanziarsi da lui.
  Ma ciò non accadde.
  Si stupì nel vederla così accondiscendente, ma non stette troppo a pensarci. La baciò ancora, questa volta più profondamente, assaggiando la sua lingua, la sua saliva, il suo respiro. Le mise entrambe le mani tra i capelli e la attirò più a sé, facendola salire con tutto il busto sulla piccola brandina.
  “Signor conte…” Provò a fermarlo lei, ma quel tono di voce così affannato non faceva altro che spronarlo ancora di più a continuare.
  “Aaron”. La corresse poi lui. “Adesso sono solo Aaron!”
  Vivien si sedette a cavalcioni su di lui, all’altezza del suo inguine, premendo sulla sua erezione.
  “Dio!” Esclamò a denti stretti e chiudendo gli occhi. Poi la attirò di nuovo a sé e le baciò le labbra, ancora e ancora. Non ne era mai sazio.
  I suoi lunghi capelli castani gli solleticavano il volto e i suoi gemiti lo eccitavano sempre di più. Passò le mani sulle sue gambe, alzandole la gonna e toccandole la pelle liscia.
  La desiderava da impazzire e anche per lei era lo stesso.
  Ora ne aveva la prova.
  Con frenesia cominciò a slacciarle i lacci del bustino, quando improvvisamente sentì un dolore atroce al fianco e, sebbene riuscì a non gridare, l’espressione sul suo volto fu talmente sofferente che indusse Vivien a fermarsi.
  La ragazza scese immediatamente dal letto e si portò una mano sulla bocca.
  “Mio Dio, io…”
  Aaron avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non ne ebbe il tempo, poiché Vivien uscì di corsa dalla stanza. Si accasciò allora con la testa sul cuscino e rimase in silenzio a guardare il soffitto.
  Era stato solo per pochi attimi, rapidi, ma era certo di averlo visto.
  Il desiderio nei suoi occhi!
  Era presente e vivo come il suo. E ora avrebbe fatto qualunque cosa per non farlo assopire.
 
  Il giorno seguente il dottor Campbell venne a visitare Clelia e la trovò molto migliorata, anche se la febbre non le sarebbe mai passata del tutto se non avesse cominciato a prendere regolarmente la medicina che l’uomo le aveva prescritto.
  “Costa troppo”. Gli confessò Vivien. “Non possiamo permettercela”.
  Era già un miracolo che Clelia non fosse più in pericolo di vita e che il dottor Campbell non avesse voluto un soldo per tutte le visite che le aveva fatto.
  “Il forestiero nell’altra stanza invece?” Chiese il dottore.
  Vivien si irrigidì di colpo. Dopo il bacio che si era scambiata la sera prima con il conte non aveva avuto più il coraggio di parlargli. Era entrata nella stanza solo per portargli un po’ di zuppa calda e controllargli la ferita ma, per quanto lui desiderasse chiarire, Vivien aveva trovato sempre il modo di andarsene il più in fretta possibile.
  “Bene, sembra che la ferita guarisca in fretta”. Rispose lei, fingendosi rilassata.
  Il dottore si strinse nelle spalle. “Per qualsiasi cosa, chiamatemi”.
  Vivien lo accompagnò alla porta e lo salutò. Campbell era un uomo fantastico, la mattina seguente all’arrivo del conte Aaron era andata a chiamarlo per fargli visitare la ferita e lui l’aveva seguita senza fare domande. Aveva anche dato la sua parola di non dire a nessuno che quel forestiero si trovasse in casa sua, come avrebbe mai potuto ripagare una simile lealtà?
  “Maledizione!” Sentì imprecare dalla sua stanza, dopodiché ci fu un rumore di cocci rotti.
  Vivien si precipitò a entrare e vide il conte intento ad alzarsi dal letto, che aveva fatto cadere in terra la ciotola con la zuppa.
  “Che cosa credete di fare?” Lo rimproverò lei, andandogli vicino per rimetterlo sul materasso.
  “Secondo te? Volevo alzarmi!”
  “Siete troppo debole ancora. Dovete riposarvi!”
  “Sciocchezze! Ho perso fin troppo tempo!” Aaron tentò di nuovo di alzarsi, ma lei gli si mise davanti e, con le mani ben piantate sulle sue spalle, lo fece rimanere seduto. “La ferita va molto meglio oggi e posso tornarmene a casa”.
  “Sono passati a mala pena tre giorni!” Ribatté lei, non intenta a mollare. “Se tornate a casa in queste condizioni, non credete anche voi che la contessa si farà delle domande? Tutti sanno dell’attentato a Bastion Hole, le occorrerà poco per mettere insieme i pezzi! Vorreste davvero mettere in pericolo vostra madre e vostra sorella?”
  “Ma se resto qui metto in pericolo te”.
  Vivien trattenne per qualche attimo il respiro e abbassò lo sguardo.
  Non sapeva proprio come affrontare quella situazione. Lei che era sempre stata così sicura e decisa in tutto ciò che faceva, si ritrovava adesso schiacciata da degli eventi che la stavano travolgendo troppo in fretta.
  “Ho un dovere da compiere”. Continuò il conte, allungando una mano per accarezzarle il volto. “Qualcuno ci ha traditi e, per questo, Sam verrà giustiziato. Io devo trovare il traditore!”
  Ancora battaglie, ancora pericoli. Vivien sperava di aver provato già abbastanza angoscia in vita sua.
  A quanto pareva, però, non era che l’inizio.
  “Comunque sia, non potete affrontare il re in questo stato!” Disse di nuovo lei, ferma nelle sue convinzioni. Non lo avrebbe mandato a morire prima di aver dato il tutto per tutto affinché si fosse salvato.
  Vide il conte sorridere. “Mi piace quando ti preoccupi per me”.
  Con gesto delicato spostò la mano dalla sua guancia al collo, arrivò fino alla clavicola per poi risalire sino alla mascella, poi si sporse verso di lei e cominciò a baciare tutti i punti sfiorati dalla mano.
  Vivien trattenne il respiro. Sentì la pelle andare a fuoco e il desiderio aumentare a ogni bacio.
  Come era arrivata fino a questo punto?
  Da quando lo desiderava così tanto?
  Forse lo aveva desiderato da sempre, ma era stata troppo orgogliosa per accettarlo.
  “Voglio tornare a Villa Turner oggi stesso”. Disse lui, mentre con le labbra le baciava gli angoli della bocca. “E voglio che tu venga con me!”


******

Perdonatemi tanto per l'attesa, ma questo capitolo proprio non ne voleva sapere di venire fuori.
L'avrò cominciato mille volte e poi mi ritrovavo puntualmente a cancellare ogni parola perché non ero mai soddisfatta.
Ammetto che, anche ora, non è che lo trovi particolarmente brillante, ma ho preferito pubblicarlo prima di poterci ripensare!
Vi avevo fatto attendere troppo a lungo!^^'
Spero che non mi capiti la stessa cosa anche per il prossimo.
A presto!

*HQ*

 

  
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