Comunque adesso sono qui per mostrare fieramente cosa la mia piccola ha vinto nel contest "Due Cuori e..."
Adesso vi lascio al capitolo xD
1.
Don’t leave.
Nonostante
continuassi ad accarezzare i capelli di Mary nel vano tentativo di
calmarla, la
mia mente era altrove; non conoscevo bene Mycroft, l’avevo
visto poche volte e
ancor meno ci avevo parlato, dunque, per quanto il suo malore mi
dispiacesse,
il centro dei miei pensieri era di nuovo Holmes. In quella lettera
aveva
parlato con i soliti toni freddi che purtroppo ormai erano propriamente
suoi e
aveva mostrato una certa durezza verso di me, rifiutandosi addirittura
di
scrivere il mio nome. Tuttavia, non riuscivo a essere ferito,
amareggiato o
arrabbiato; cosa provava davvero mentre scriveva quelle parole? Suo
fratello
era ormai tutto ciò che aveva, come aveva reagito a quello
che era successo?
Lui stesso aveva detto che a Mycroft non rimaneva molto tempo. Avrebbe
fatto
qualche eccessiva stupidaggine una volta rimasto da solo? Adesso come
stava?
Non riuscivo a immaginarlo piangere o guardare con malinconia i ricordi
del
fratello. Che cosa avrei fatto io, sei lui avesse preso drastiche
decisioni per
combattere il dolore? Non avrei mai potuto sopportare di perderlo, non
definitivamente.
“Andiamo
in ospedale, John… per favore…”
singhiozzò Mary.
Prima
di risponderle, mi alzai e ripresi la busta che prima conteneva la
lettera. Il
timbro postale era di Charing Cross, quindi lui
era lì. Anche se non ci fosse stato, ovviamente non avrei
impedito a Mary di
andare all’ospedale, ma io mi sarei recato a Baker Street e
non avrei accettato
un “no” come risposta a una richiesta di vederlo.
“Andiamo.”
Accordai.
Il
viaggio verso l’ospedale sembrò lungo e
angoscioso, quindi scappammo
immediatamente dentro appena potemmo, chiedendo alla prima infermiera
di
indirizzarci verso la camera.
Esitammo
a entrare. Attraverso il vetro che separava la camera dal corridoio,
potevo
vedere che dentro, seduto sul letto accanto a Mycroft, c’era
Holmes.
--
“Questa
volta me la sono vista brutta.” Scherzò Mycroft.
Era
incredibile il modo in cui fosse in grado di scherzare, nonostante
sapesse che
quell’attacco cardiaco altro non era se non
l’anticipazione dell’infarto che lo
avrebbe portato alla morte. Ma Sherlock era lì e, nonostante
anche il più
giovane sapesse che era una partita finita, voleva almeno illuderlo che
tutto
sarebbe andato bene.
“Fortuna che Stanley ti ha sentito chiamare aiuto!”
scherzò Sherlock, cercando
di alleviare la tensione. Con molte probabilità, quella
sarebbe stata l’ultima
volta che si sarebbero visti.
Ma entrambi sapevano che c’era ben poco da ridere, le loro
stesse risate erano
forzate in modo da darsi forza a vicenda, ma niente poteva servire in
quel
momento. Avrebbero dovuto affrontare l’argomento subito, lo
sapevano.
“Che cosa farai, Sherlock?” chiese Mycroft, il
profondo affetto per il fratello
ben udibile nella sua voce.
Sherlock abbassò lo sguardo sul pavimento. Non gli piaceva
pensare a cosa
avrebbe fatto una volta dato l’ultimo saluto al fratello, non
poteva pensare
che un domani l’unica persona che gli era sempre
stata accanto potesse andarsene. Mycroft c’era sempre, anche
quando Holmes lo
trattava male a causa del malumore portato dalle droghe, quando si
comportava
nel peggiore dei modi… suo fratello era sempre
lì. Lui non
l’aveva abbandonato.
“Non lo so…” mormorò.
“Penso che andrò in Francia. Sì,
probabilmente mi
trasferirò a Parigi.”
Se
Mycroft fosse morto, per Sherlock non ci sarebbe stato più
nulla da fare a
Londra. Avrebbe perso suo fratello, e Watson… lui
l’aveva lasciato indietro
molto tempo prima, quando aveva preferito seguire la gonna di Mary
anziché
rimanere con lui. Non c’era ragione per rimanere a Londra,
non ci sarebbe stato
più nessuno per lui ma, anzi, avrebbe rischiato di
incontrare l’unica persona
che avrebbe potuto farlo stare peggio. Doveva andarsene.
Ma il fratello non sembrava condividere quella sua scelta.
“Non credo che dovresti, sai.” Gli
consigliò, scuotendo leggermente la testa.
Sherlock non disse niente, ma aspettò soltanto che Mycroft
giustificasse quelle
sue parole. “Sai, mi ricordo com’era essere figlio
unico. Come sai, nella
nostra famiglia la vena artistica si è sviluppata in modi
molto diversi. Prima
che tu nascessi, quindi, io ero completamente da solo. Ero il primo ad
avere le
capacità che tu ed io abbiamo, era difficile relazionarsi
con gli altri, anche
con i membri stessi della famiglia. A mala pena parlavo con mamma e
papà, ero
diventato molto asociale proprio a causa delle mie capacità.
Mi sentivo solo,
incompreso. Però quando mamma ci disse che era
incinta… non so spiegarti quanto
ero felice. Forse non avresti avuto le mie stesse capacità,
ma almeno avrei
avuto qualcuno con cui passare il tempo, qualcuno con cui giocare,
qualcuno che
non si chiedesse perché dicevo certe cose prendendomi per
matto ma che mi
potesse ascoltare. Non sarei più stato solo. Quel giorno,
quando ho visto mamma
entrare in cucina per cena con quel gran sorriso, dopo aver fatto una
visita in
ospedale… è stato il giorno più bello
della mia vita. Comunque vadano le cose,
adesso… non andartene, Sherly. In un modo o
nell’altro, io sarei comunque a
Londra, e non voglio rimanere di nuovo da solo. Sei tutto quello che
ho.”
Mycroft non era molto diverso da Sherlock neanche dal punto di vista
caratteriale; certo, era più ordinato, più
responsabile, ma anche lui aveva una
certa avversione nel parlare dei propri sentimenti, quindi dire quelle
parole
era stato molto difficile.
Adesso, quelli che si sarebbero potuti definire gli uomini
più forti di Londra,
erano entrambi sul punto di crollare. Il più giovane aveva
gli occhi lucidi, ma
non si sarebbe mai permesso di piangere, non se qualcuno poteva
vederlo,
almeno. Probabilmente quella sera, una volta tornato a Baker Street,
nella
privacy della sua stanza si sarebbe lasciato andare, ma non poteva
davanti a
Mycroft. Doveva essere forte per lui.
Tutte quelle parole, pronunciate con un non indifferente sforzo, erano
soltanto
l’ennesimo indizio che anche Mycroft stesso era convinto di
non farcela.
“Stai cercando di farmi piangere?” chiese infine
Sherlock, senza dare una vera
risposta al fratello.
Ma
alla fine sapeva che Holmes non avrebbe lasciato Londra. Nonostante il
fratellino pensasse di non avere più niente in quella
città, quando Mycroft se
ne fosse andato, il malato stesso sapeva che non era così, e
non valeva la pena
che Sherlock si infliggesse da solo ulteriore dolore allontanandosi
dall’unica
persona che davvero voleva vicino.
“Ci stavo riuscendo?” gli rispose Mycroft con un
mezzo sorriso. “Non
andartene.” Ripeté poi.
“Nessuno,
tranne forse gli inetti di Scotland Yard, sentirebbe la mia mancanza
qui.”
Quello di Sherlock era più un tentativo di convincere se
stesso.
“Sappiamo entrambi che non è vero.” Gli
rispose Mycroft risoluto. A quella
risposta, non seguirono altre parole. “Vai a casa, Sherly.
Hai bisogno di
riposo. E sicuramente tra poco ti cacceranno, sono ore che sei qui
adesso.”
“Non me ne vado.”
“Fallo per me. Vai a casa, dormi qualche ora e torni. Va
bene?”
Sotto l’insistenza di Mycroft, alla fine Sherlock decise di
accettare. Avrebbe
dormito un’ora, non di più, sicuramente con
l’aiuto di droghe altrimenti non
sarebbe riuscito nel suo intento, e avrebbe detto a Mrs. Hudson di
svegliarlo
per poter tornare in ospedale il prima possibile. Non voleva rimanere
lontano
troppo a lungo, non poteva sapere quando Mycroft avrebbe avuto un
ulteriore
crollo. Non voleva che morisse da solo, voleva stargli vicino fino
all’ultimo.
“Tornerò in un paio d’ore.”
Gli comunicò. Prima di alzarsi dal letto per
andarsene, però, si lasciò andare a uno slancio
affettivo e abbracciò il
fratello. Si alzò per andarsene, ma mosse solo un passo
prima di fermarsi e
voltarsi. Anche per lui era difficile parlare di cose simili, ma doveva
farlo,
Mycroft lo meritava.
“Irene è morta, Watson se n’è
andato con Mary… Non ho nessuno se non te. Anche
tu sei tutto quello che ho… non lasciarmi.”
Senza dire una parola in più, Holmes prese un profondo
respiro e, accettando il
consiglio del fratello, uscì dalla stanza per andare a
riposare.
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Non
riuscivamo a sentire cosa i due fratelli si stessero dicendo, ma vedere
Holmes
in quelle condizioni, peggiori dell’ultima volta che
l’avevo visto, mi stava
distruggendo. Aveva gli occhi lucidi, le mani serrate in due
pugni… e poi
avvenne una cosa più unica che rara: dimostrò
affetto, abbracciò Mycroft. Non
era un buon segno, anche Mary sembrò essersene accorta. Lei
scoppiò in un
pianto silenzioso, commossa. Io non riuscivo a distogliere lo sguardo
da loro.
Poi, all’improvviso, Holmes si alzò e
uscì dalla camera.
Avrei
voluto poter dire che eravamo finalmente faccia a faccia, ma in
realtà lui si
comportò come se non mi vedesse e passò oltre, lo
sguardo fisso sul pavimento.
“Holmes.” Lo chiamai, afferrandogli istintivamente
il braccio per fermarlo.
Se gli occhi avessero potuto uccidere, sono convinto che i suoi lo
avrebbero
fatto. Lo sguardo che mi rivolse, voltandosi indietro, era raggelante.
“Mi dispiace…” mormorai, lasciandolo
andare, e lui riprese immediatamente a
camminare per la sua strada, senza dire una parola.
Per cosa mi dispiaceva, poi? Per quello che era successo a Mycroft?
Sicuramente. Per averlo fermato quando voleva andarsene? No. Per averlo
lasciato solo per sposare una donna che non amavo? Sì.
“Andiamo dentro, John. Dopo puoi andare a Baker
Street.” Mi chiese Mary, prendendomi
per mano.
Istintivamente, sottrassi la mano alla sua stretta ed entrai nella
stanza.
“Buonasera.” Salutai, rivolgendo al maggiore un
sorriso. Mary, invece, corse ad
abbracciarlo.
Rimanemmo con lui per un po’. Io rimasi per lo più
in silenzio, attendendo il
momento giusto per andare a Baker Street, mentre Mary e Mycroft
chiacchieravano
amorevolmente come due vecchi amici.
“Posso farle una domanda?” intervenni poi,
guardando Mycroft. “Non voglio
essere indelicato. Riconosco che viste le sue condizioni non chiedere
della sua
salute è irrispettoso, ma… suo
fratello…” iniziai.
“Sì.”
M’interruppe Mycroft. “Mi mise al corrente della
situazione tra di voi il
giorno stesso del vostro ultimo incontro. E mi ha detto anche di tutti
i suoi
insistenti tentativi di rivederlo quando lui si era così
fermamente opposto.”
M’irrigidii non appena sentii quelle sue ultime parole.
Quanto sapeva Mycroft,
cosa gli aveva detto Holmes? Percepii quelle parole come un rimprovero,
come se
Mycroft mi stesse accusando di stalking verso il fratello.
“Sono mesi, ormai, che il dubbio mi uccide, e adesso vorrei
una risposta
sincera… so che con lei ne ha parlato e gradire che mi
confermasse o smentisse…
Holmes è cambiato. Molto. Ma anche poco fa, ho visto che
è ancora in grado di
sorridere, anche nelle situazioni più tragiche…
ma quando è con me… non è
più
lui… So di essere io il problema, so di aver fatto qualcosa
che l’ha ferito e
temo di sapere cosa, ma preferirei sentirlo dire da lei. Che cosa gli
ho
fatto?” chiesi infine.
Avevo paura. Temevo con tutto il mio cuore che quello che ero arrivato
a
supporre in mesi fosse la verità. Mai come in quel momento
avevo così
ardentemente desiderato di avere torto. Se davvero avevo ragione, se
Holmes era
così infuriato a proposito del matrimonio perché
mi amava, significava che avevo buttato via l’unica
chance che entrambi
avevamo di essere felici e lo avevo fatto a spese soprattutto sue. Era
lui
quello che ne era uscito peggio, quello che era rimasto da solo.
Così avrei
capito benissimo perché si comportasse in quel modo nei miei
riguardi e gli
avrei anche dato ragione.
“Perché, dottore? Perché lei gli ha
spezzato il cuore.”
Qualcosa si ruppe dentro di me appena sentii quelle parole. Non badai
neanche
all’espressione scioccata di Mary. Le avrei spiegato tutto
più tardi, lo
meritava.
Avevo ragione, quindi; Holmes mi odiava perché
l’avevo lasciato. Ma se solo
avessi saputo, anche solo sospettato…
“Mio fratello mi ha sempre detto tutto. Dal giorno in cui ha
imparato a parlare
sino a quando era qui meno di un’ora fa. Posso dirle quindi
con certezza che
lei è l’unica persona di cui lui si sia mai
innamorato. E lei ha preso il suo
cuore e l’ha fatto a pezzi, lasciandolo per una persona che
non ama. Ha pensato
di essere lui il problema. Credeva che lei volesse allontanarsi a tutti
i
costi, al punto di obbligarsi a sposare una persona di cui avrebbe
potuto
benissimo fare a meno. Lo avrebbe accettato, probabilmente, se lei non
si fosse
presentato così spesso a Baker Street, impedendogli di
dimenticare quell’amore.
Alla fine è esploso, non poteva succedere altrimenti.
D’altra parte, potrà
spesso essere freddo come il ghiaccio, ma Sherlock è un
uomo. Non poteva
continuare a sorriderle quando lei se ne andava. Ha preferito
escluderla dalla
sua vita, illudendosi di poter stare meglio. I risultati li ha visti
lei stesso
poco fa, non ha funzionato.”
Rimasi in silenzio a fissare il pavimento. Avrei voluto gridare,
piangere,
correre alla mia vera casa, ma non
riuscivo a muovermi. Ero un dannato mosto, lo avevo distrutto. Un
maledetto
egoista, non ero altro se non questo; continuavo le mie visite per
poterlo
vedere e stare meglio, ignorando come potesse sentirsi lui.
“Non la sto rimproverando, dottore. Io so perfettamente che
l’amore di Sherlock
è ricambiato. Ho provato a spiegarlo anche a lui, ma sa
quanto mio fratello sia
testardo… adesso, però, lui ha davvero bisogno
che lei gli stia vicino. Io
presto non potrò più farlo. Lo ignori se le dice
che deve andarsene, e gli dica
cosa prova davvero. Lo lasci sfogare, si prenda un paio di pugni se
necessario.
Tanto non userà mai troppa forza contro di lei, gli sarebbe
impossibile. Vada,
adesso. Torni domani a dirmi com’è
andata.”
Se avessi avuto il coraggio di andare immediatamente a Baker Street,
sarei
davvero voluto tornare all’ospedale per dirgli cosa fosse
successo. Ma Mycroft
morì quella notte.