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Autore: Dearly Beloved    18/06/2012    3 recensioni
"Beth le si avvicinò, e le sfiorò la cicatrice sulla tempia. Quando ritrasse la mano, Elise vide le dita candide di lei, macchiate di sangue scarlatto."
Prima pubblicazione nella sezione, vorrei tanto conoscere i vostri pareri al riguardo, accetto qualsiasi tipo di critica!
Genere: Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I fantasmi del Venerdì 13.



Elise fissava il calendario in veranda, visibilmente irritata.
Un giorno in particolare, era cerchiato di rosso.
Ven 13 giugno 2001.
Aveva guardato il calendario circa un migliaio di volte, contemplando devotamente quella data così speciale, ma non si era accorta del suo difetto più grande: venerdì 13.
Una volta aveva chiesto al nonno perché il venerdì 13 era considerato un giorno sfortunato.

“Elly, tu che fai catechismo dovresti saperlo meglio di me!” le aveva detto sei anni prima, seduto sulla poltroncina del soggiorno con la nipote sulle ginocchia. La bambina si era limitata a fissarlo sconcertata.
“Beh, allora ti faccio un test. Che giorno era quando Gesù è stato crocifisso?”
“Mmh… che ne so, nonno. Sono passati 1995 anni da quando è stato crocifisso!”
Il vecchio scosse la testa “Ma cosa vi insegnano al giorno d’oggi? Elly, se il Signore è risorto di domenica, per Pasqua, e sai che è il terzo giorno da quando è morto, non riesci a calcolarti il giorno della sua morte?”
La bambina, alla parola ‘calcolarti’, si fissò attentamente la punta delle dita, spremendosi le meningi.
Poi, dopo cinque minuti , e senza aver capito minimamente quale fosse il calcolo da fare, tirò a caso “Venerdì…?”
Il nonno batté le mani “Bene! Bene!” poi le sorrise “Era un venerdì, proprio come il venerdì tredici.”
“E perché anche ‘tredici’ è sfortunato?”
“Quante persone c’erano all’Ultima Cena?”
“L’Ultima Cena era quando si mettono a mangiare tutti insieme e poi bevono –bleah- dallo stesso bicchiere?”
Il nonno rise sotto i baffi, scuotendo la testa.
“Proprio quella”.
“Uhm… C’erano i dodici apostoli, e c’era Gesù… e quindi… ho capito!”
“Esatto, tredici persone! … e Gesù morì proprio il giorno dopo…”
“…che era venerdì!” concluse lei sorridendo a trentadue denti. Il nonno le accarezzò la testolina bionda, tossì due volte, e poi la guardò con dolcezza.
“Sai, Elly, questo in realtà non è l’unico motivo. Quella data ha portato sfortuna a molte altre persone… anche il passato dei Templari ha un collegamento importante con il venerdì tredici!”
“…il passato dei che??” esclamò la piccola Elise sgranando gli occhioni. Il nonno rise, di fronte a quella faccia buffa, pregustando già un pomeriggio in compagnia della curiosa nipote, dedicato a far viaggiare la sua mente per mondi lontani nel tempo e nello spazio, con uno dei suoi racconti.
Ma aveva l’aria stanca, il nonno.
Quella risata si trasformò in altri colpi di tosse, che gli macchiarono le maniche della camicia candida di macchie scarlatte.
La bambina lanciò un grido.
“Elise!” la mamma irruppe nella stanza, allarmata “Papà!”
Elise le si gettò in grembo, tremante “…il nonno… Nonno!”.
“Elise, chiama la nonna, presto!”

Adesso, l’ormai quindicenne Elise Jones, guardava con disprezzo la data cerchiata di rosso, e pensava di essere ancora in tempo per spostare la sua festa di compleanno ad un altro giorno.
“Tu cosa ne pensi, nonno?”
L’uomo, a passi lenti, sorretto da due stampelle, si diresse alla destra della giovane “Elly, penso che vada bene anche così, in fondo oggi è pur sempre il tuo compleanno, e questo basta a sconfiggere qualsiasi tipo di jella, sai?”
“Il venerdì tredici mi ha già tolto tante cose, nonno. Non voglio mi rovini anche il compleanno!”
“Non dirmi che sei diventata superstiziosa!” il nonno arretrò di qualche passo, trattenendo una risata.
“Nonno, cos’è successo ai Templari il venerdì tredici del 1307?”
“Elise! Non dirmi che ci stai pensando ancora! Wikipedia non è stata abbastanza esauriente?”
In quel momento le vibrò il cellulare nella tasca dei jeans, ma lei lo ignorò.
“No, l’unica storia che vale la pena di essere ascoltata è quella che mi racconti tu, e da quel giorno tu non mi hai raccontato più nulla…”
“Non volermene per questo.”
La giovane continuò a fissare il calendario, dando le spalle all’uomo, e sperando che magicamente quel venerdì si sarebbe tramutato in un qualsiasi altro giorno della settimana.
“Sei cresciuta così tanto, Elly. Eppure ti comporti sempre allo stesso modo. Ripeti sempre le stesse azioni. Come devo fare con te?” Elise ascoltò ogni parola del nonno con estrema attenzione, ma le trovò del tutto prive di significato. Pensò solo che l’età doveva essere difficile da gestire anche per il cervello.
“Elise, ricordi come ti sei fatta quella cicatrice?” le disse sollevando la stampella all’altezza della tempia della ragazza.
“No… da piccola, credo…” disse lei, sfiorandosi il taglio netto che aveva sulla testa.
“… sì, esatto…” l’uomo si rabbuiò in volto.
Sentì i passi dell’uomo alle sue spalle, e il rumore delle stampelle.
Lo sentì entrare in casa, forse era troppo stanco. Dopo quel giorno si spegneva sempre di più, come una candela la cui cera va esaurendosi. Anche i suoi discorsi erano semplicemente senza né capo né coda.
Elly sospirò. Di lì a breve sarebbero arrivati i suoi compagni. Era tutto pronto, le decorazioni, le luci, la musica, i pezzi di tavola calda fumanti sul tavolo, la torta setteveli –la sua preferita- in frigorifero, e le quindici candeline verde prato  da mettervi sopra. La grande veranda non era mai stata così addobbata, e il giardino aveva il tocco romantico delle rose fiorite a maggio, e che ancora si ostinavano a non appassire.
Elise guardò il display del cellulare, e sobbalzò.
Quattro sue chiamate senza risposta. Era così impegnata a fissare quello stupido calendario che si era scordata di lei, come aveva potuto?
Elise salì sulla bicicletta, aprì il cancello e si mise a pedalare freneticamente verso la sua destinazione. Doveva fare in fretta, doveva tornare a casa prima che arrivassero gli ospiti.

“C’è nessuno…? Signori Laurent? Beth?”
Elise aveva trovato il cancello di villa Laurent aperto, come sempre. I signori Laurent non temevano furti in quella tranquilla località montana, o almeno così dicevano sempre. Ma Elise pensava che fossero semplicemente molto, molto, molto lavativi e pigri. Sinceramente, non li sopportava.
Passavano intere giornate fuori casa, e d’estate lasciavano spesso sola in casa la loro figlia minore, Beth, albina come il signor Laurent, per lunghi periodi. È tanto delicata, dicevano, stare troppo esposta al sole le farebbe sicuramente male alla pelle, ed è anche cagionevole di salute, la nostra piccina!
Da quando Elise l’aveva conosciuta, cinque anni prima, l’andava a trovare sempre, portandole giochi da tavolo e organizzando cacce al tesoro nell’immensa abitazione dei Laurent. Ormai la considerava la sua migliore amica. Lei sapeva toccare sempre il tasto giusto per consolarla, e se Elise fosse stata un puzzle, Beth sarebbe stata il pezzo mancante.
D’altro canto l’albina sapeva sempre stupirla con il suo comportamento: negli anni era cresciuta, e lo doveva ad Elise. Da priva di volontà, Beth aveva imparato a prendere l’iniziativa, e giorno dopo giorno dimostrava un’audacia sempre maggiore, una sempre più intensa voglia di apprendere, come una bambina che impara a camminare, di curiosare laddove le era stato proibito dai suoi genitori.
Elise la sentiva così simile a sé.
Beth aveva imparato a trasgredire le regole che le venivano imposte, ed Elise era la sua complice. Quella sera, in barba alla pelle sensibile e alla salute cagionevole, avrebbe partecipato alla festa di compleanno di Elise, avrebbe conosciuto i suoi amici, si sarebbe divertita, si sarebbe truccata, avrebbe ballato e accanto a lei, naturalmente, ci sarebbe stata la sua sorellina per scelta Elise.
Beth era in camera sua, con le finestre aperte nel vano tentativo di fare entrare un po’ di luce in quella stanza dalle tonalità spente, e non appena la sentì arrivare le si precipitò incontro. “Sono pronta!” disse con un sorriso che illuminò l’ambiente buio del lussuoso salone.
Elise le fece l’occhiolino “Stai benissimo sorellina, oggi farai strage di cuori!” la stritolò con un abbraccio, ma l’albina si staccò da lei e sgranò gli occhi spaventata.
“Ma io mi vergogno Elly! Tu starai accanto a me, non mi lascerai sola con persone che non conosco, vero?”
“Ovvio! Ti proteggerò io sorellina!” fece prendendola per mano “Adesso andiamo, prima che arrivino gli altri!”. Beth sorrise, adesso un po’ più sollevata, e si mise a correre trascinandola verso l’uscita.

“Quindi lei mi si è avvicinata ed io le ho detto ‘No, non mi serve nulla del genere’, poi lei ha provato a darmi uno schiaffo, ma io me la sono data a gambe, e l’ho lasciata lì con un palmo di naso! AHAHAHA! Dovevate vedere la sua faccia, è qualcosa di indescrivibile! Ahahahahah!!!”. I ragazzi guardavano con ammirazione il rappresentante di classe, che si era messo davanti al tavolo del buffet a raccontare con aria da spaccone le sue vicende personali.
Gabriele era stato votato rappresentante di classe, ed era scontato che lo sarebbe stato anche l’anno successivo, appunto per il suo carisma, anziché per l’affidabilità. Anche ad Elly stava simpatico, ma non provava ammirazione per lui alla stregua degli altri: semplicemente, lo trovava buffo, dietro alle sue lenti gigantesche, impegnato com’era a far finta di essere il cabarettista che era stato sicuramente in una vita precedente. Lui sapeva far entusiasmare i compagni in qualsiasi attività proposta, anche la più banale.
I suoi racconti stavano facendo sentire Beth sempre più a suo agio.
La piccola Beth, che non era mai stata nella stessa stanza con più di cinque persone, adesso rideva alle battute squallide di Gabriele con la tutta la spontaneità di cui era capace. Ma non smetteva di voltarsi verso Elise, agitandosi sempre un po’ quando la perdeva di vista.

 “Sono quindici?”
Elise era seduta sul dondolo, a mangiare la tavola calda insieme alle sue compagne e Beth, quando si voltò di scatto, richiamata dalla voce del suo compagno. “C-come?”
“Ti ho chiesto… compi quindici anni?”  ripeté Adam.
Elise sorrise “Sì, quindici… sono un anno avanti con la scuola!”
L’amico ricambiò il sorriso “Allora, vuoi fare una passeggiata con me in giardino? Ho visto che ci sono delle rose bellissime, vorrei vederle da vicino…”
La ragazza perse un battito, arrossendo lievemente. Adam era stato per qualche mese suo compagno di banco l’anno prima, e lei aveva sempre avuto un debole per lui.
Scese dal dondolo e lo prese per mano “Certamente, andiamo!” poi si voltò “Beth, ragazze, torno tra un attimo!”. Tutte sorrisero maliziose, iniziando a spettegolare su una nuova ipotetica coppietta, ma Beth la seguì con lo sguardo e sorrise impercettibilmente.
L’albina si allontanò dal gruppetto con una scusa, e si diresse verso la parte opposta della villetta, rispetto a quella dov’erano andati i due ragazzi qualche minuto prima.
Il terreno accanto al vecchio pollaio era illuminato della luce della luna. Seduto sul recinto, un uomo. Beth gli si avvicinò.
“Signor nonno di Elise, lei cosa ci fa qui?”
“Potrei chiederle lo stesso, signorina”
“Io sono qui per la mia amica, lei?”
“Io sono qui per te”
L’albina guardò il vecchio con aria dubbiosa “Per me?”
“Per te, Elisebeth” l’uomo pronunciò il nome con calma rassegnazione “Sono qui per te, come sempre”.

Passeggiava con Adam per il cortile, ma stranamente non pendeva dalle sue labbra come al solito. Si sentiva angosciata, e le parole di lui le arrivavano come un’eco lontana.
“Elise… quindi… tu mi piaci molto”.
“Come?” la ragazza si guardava intorno per provare a vedere come se la stava cavando Beth da sola, ma non riusciva più a trovarla.
“Mi piaci…” il ragazzo era rosso come un pomodoro, e teneva lo sguardo fisso sul pavimento. La ragazza provò qualcosa di molto simile alla paura, per Beth.
“Forse… forse è in difficoltà.” Si lasciò sfuggire allarmata.
“Chi? Chi è in difficoltà? Mi stai ascoltando?”
La ragazza non rispose e staccò bruscamente la mano da quella del ragazzo. “Elise, cosa c’è che non va?” chiese a sua volta quest’ultimo con una punta di preoccupazione.
“Aspettami qui! Devo controllare una cosa!” e si mise a correre verso la parte posteriore della villetta.
Una volta lì, con il respirò affannato, chiamò a gran voce “BETH!”
In risposta, sentì una risata cristallina di fanciulla alle sue spalle “Elise! Perché tutta quest’agitazione? Sono qui!”.
La ragazza si voltò, e vide l’amica, con un’espressione preoccupata in volto. “Beth!”
“Elly, cosa succede?” chiese l’albina avvicinandosi a lei.
“Beth, quando ti sei fatta… quella?!” Elise iniziò a sudare freddo, e lentamente indicò il graffio sulla tempia arrossata della ragazza.
“Questo graffietto? Poco fa, correndo in questa direzione, sono caduta ed ho sbattuto la testa” l’albina trattene una risata imbarazzata “Che sbadata, eh?”
Elise rilassò il volto dapprima teso, e tirò un sospiro di sollievo. “Solo questo? Pensavo che ti fossi fatta più male e sono subito corsa a vedere come stavi”
“…e sei inciampata pure tu, Elise? Hai una ferita come la mia…”
“Come dici?”
Beth le si avvicinò, e le sfiorò la cicatrice sulla tempia. Quando ritrasse la mano, Elise vide le dita candide di lei, macchiate di sangue scarlatto.
“C-cos..?!”
“Elisebeth.”
Elise si voltò di scatto. “Nonno!!”
L’uomo sembrava distrutto, e piangendo le prese la mano. “Nonno, non piangere! Sto bene, è solo un graff…”
La ragazza notò in quel momento un gruppo di persone a qualche metro da loro, riunite attorno ad un punto in particolare.
Lei si avvicinò, e riuscì ad infiltrarsi con facilità in mezzo alla calca.
Il suo corpo giaceva inerme al centro della ressa, e la testa zampillava sangue.
“E’ CADUTA! ELISE E’ CADUTA!” gridava qualcuno.
“No, non sei caduta” disse semplicemente Beth. Elise la guardava sconvolta.
“Mi dispiace. Elisebeth Jones muore il venerdì 13 2001. Muori tu, e muoio io.”

Passeggiava con Adam per il cortile, ma stranamente non pendeva dalle sue labbra come al solito. Si sentiva angosciata, e le parole di lui le arrivavano come un’eco lontana.
“Elise… quindi… tu mi piaci molto”.
“Come?” la ragazza si guardava intorno. Aveva visto passare un gattino zoppicante inseguito da un altro, più grosso, e visibilmente arrabbiato.
“Mi piaci…” il ragazzo era rosso come un pomodoro, e teneva lo sguardo fisso sul pavimento. La ragazza non sentiva più il miagolio lontano del gatto zoppo, e si preoccupò.
“Forse… forse è in difficoltà.” Si lasciò sfuggire allarmata.
“Chi? Chi è in difficoltà? Mi stai ascoltando?”
La ragazza non rispose e staccò bruscamente la mano da quella del ragazzo. “Elise, cosa c’è che non va?” chiese a sua volta quest’ultimo con una punta di preoccupazione.
“Aspettami qui! Devo controllare una cosa!” e si mise a correre verso la parte posteriore della villetta.
Una volta a destinazione, vide il gattino ferito nascosto sotto il tavolo all’aperto.
“Micio? Tutto bene micio?” il gatto si limitò a guardarla.
“Uff, a quanto pare mi sono preoccupata inutilmente!” esclamò.
Si voltò indietro.
Forse scivolò a causa del pietriccio, forse perché le mancò l’equilibrio, o ancora per evitare di pestare il gatto che le passava davanti.
Scivolò e basta. La testa sbatté violentemente contro il pavimento mattonellato, e un sasso le lacerò la scatola cranica all’altezza della tempia. Semplicemente.
Non se ne accorse neppure.

 

Elise aprì gli occhi, lucidi.
“Adesso ricordo. Ma tu allora, chi sei?”
“Il pezzo mancante del puzzle, tu Elise, io Beth. Io ho sempre saputo tutto, della mia morte. Tu hai sempre voluto dimenticare” l’albina le asciugò una lacrima che le era sfuggita, e appoggiò la sua fronte a quella dell’altra. “Sorellina, vuoi completare il puzzle?”
“E il nonno?”
“Il nonno è morto, tanto tanto tempo fa”.
“Che schifo di venerdì tredici.”
“Non la penso come te, guarda.”
Beth allora completò il puzzle, unendo il suo pezzo di anima all’altro, ed Elise si sentì pervasa dal calore più bello del mondo.
Di due ragazze, ne rimase solo una, com’era giusto che fosse.
Elisebeth si voltò indietro e ridacchiò “Nonno, andiamo insieme?”
“Sei pronta, finalmente?”
L’uomo la prese per mano, ed insieme andarono dov’è giusto che si vada, quando il tempo è scaduto.



Primo esperimento nella sezione.
Ebbene eccomi qui! :D
Spero davvero che questa one-shot sia piaciuta, e che non sia troppo banale.
Ci ho messo una vita per scriverla, quindi mi piacerebbe moltissimo sapere cosa ne pensate, ci tengo davvero tanto!
Grazie in anticipo,

 

Dearly B.          

   
 
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