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Autore: Acquamarine_    18/06/2012    1 recensioni
La storia dei signori Lovegood ripercorsa dal principio: vari momenti della loro vita insieme raccontati attraverso una one-shot.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Nick Autore:(se differente da quello di Efp mettere entrambi)  Acquamarine_
Pairing scelto:(es: Draco/Harry) Xenophilus/Moglie (chiamata Amber, nel mio caso)
Titolo della storia: Wonderland
Rating: Verde
Avvertimenti: One-Shot (4973 parole circa; contatore Open Office – ho fatto il calcolo levando i segni di separazione e i vari “salti temporali” tipo “Many years later”, quindi potrei aver contato qualche parola in più o in meno. Sarebbe comunque cosa di 3-5 caratteri, non di più); Het
Genere: Romantico, Sentimentale
Introduzione: La storia dei signori Lovegood ripercorsa dal principio: vari momenti della loro vita insieme raccontati attraverso una one-shot.
Nda:(anche alla fine se volete): data la lunghezza del testo, so già che faticherò a riportare tutte le note e me ne dimenticherò qualcuna per la strada. Premetto col dire che non ho la forza di rileggere la storia e so che questo è, principalmente, un danno che va a me, ma non riesco proprio, ho sonno xD

Trovare il titolo sarà un'impresa (mentre scrivo le note non ce l'ho ancora xD), ma ce la farò v.v

Ebbene, invece di chiacchierare cominciamo.

Inizialmente doveva essere una raccolta (si capisce ancora perché i primi paragrafi sono piccini in confronto agli altri, ma poi ne è nata una storia più grande e... niente, non ho potuto resistere. Forse ci saranno spin-off, ne ho già in mente qualcuno.

Ho voluto immaginare uno Xenophilus perso nel suo mondo ma che, tuttavia, non ne fosse proprio “ossessionato” (parola brutta e inadatta, forse): ciò succede solamente dopo la morte della moglie.

Ho immaginato il padre come qualcuno che amasse suo figlio ma che non amasse il resto del mondo, e che cercasse di difendersi – e difendere il bambino – da questo. Senza riuscirci, chiaro, perché gli altri lo prendono in giro, però a Xeno non importa u.u

Ho soprasseduto su certi argomenti (parte della riappacificazione, ad esempio) perché, altrimenti, sarebbe venute fuori altri 5000 parole. Ti dirò, se ci ripenso mi sorprendo di me stessa: scrivere storie di più di 900 parole è sempre stato faticoso per me, ma anche se qui ho speso un po' di tempo (tra ideazione e inizio, principalmente), la storia si è scritta da sola. E ne sono felice.

Note random (che mi vengono in mente mentre cerco il titolo, quindi xD): le Volarie Canterine sono di mia invenzione, così come i balli dei Gorgosprizzi (non le creature, com'è risaputo – magari xD –, ma il fatto che ballino xD); non mi pare che nella descrizione della Rowling fossero descritti gli occhi, ma pe rme non sono azzurri v.v Non in questa storia, almeno; Amber si trasferisce un anno prima dell'arrivo della lettera, perché i genitori vogliono portarla nel mondo magico e farla rimanere un po' lì (della serie: informazioni inutili xD); la situazione familiare di Xeno è un po' intricata xD

Ah, l'animale che lo fa tornare a vedere è un Ricciocorno Schiattoso u.u

 

p.s. Per il titolo si ringrazia Miss Krixi
p.p.s. Preso in prestito da Trixie (o rubato? ♥) la maniera di introdurre i salti temporali, che c'era già, ma lei è più figa. E, sempre secondo questo concetto, l'ho preso in prestito ma i suoi sono migliori v.v 
p.p.p.s. È la storia più lunga che abbia mai scritto, forse. La one-shot più lunga sicuramente u.u ♥
E la dedico a Vio, che me l'ha fatta scrivere, ad Emma, che mi ha supportata (sopportata) nello sclero per il nome di Amber che, alla fine, è rimasto quello dato in principio, a Krixi, che mi ha aiutata con la cosa più complicata, il titolo, e a tutti voi che avete letto - o che state per leggere - anche se non vi piacerà. Io ci ho messo il cuore. Ah, l'ultima dedica: a tutti gli Xenophilus ed Amber del mondo, che possano comprendere che non sono sbagliati, e che a vivere in un mondo così bello, in un Wonderland, non c'è niente di male.

§

 

Cadde nel prato, proprio come fanno le foglie in autunno, e chiuse gli occhi.

Ogni volta che lo faceva, gli sembra di entrare in un nuovo mondo.

Un mondo dove i sogni diventano realtà.

«Ciao».

Il bambino spalancò gli occhi, incuriosito da quella vocina sottile.

«Ciao» rispose, voltandosi. «Non trovi sia una bella giornata?»

La vocina sottile apparteneva a una bambina della sua età, all'incirca, bassina e con grandi occhi azzurri.

A Xenophilus piacevano gli occhi azzurri, gli ricordavano il cielo.

La bambina sorrise, timidamente, poi strinse la mano che lui le tendeva.

«Amber».

Nessuno dei due bambini avrebbe mai potuto immaginare ciò che sarebbe nato da quel gesto.

 

§

 

Xenophilus si nascose dietro l'albero, cercando di fare meno rumore possibile; attese qualche secondo, poi si sporse al di là del tronco, lo sguardo rivolto verso la radura.

Gli occhi castani scintillavano alla luce del sole, mentre uno spettacolo che, ne era certo, nessuno aveva mai visto, gli si presentava davanti.

Una coppia di Gorgosprizzi stava ballando al suono della voce delle Volarie Canterine, lasciando uno speciale scintillio tutto intorno.

Il bambino si sedette a gambe incrociate, lo sguardo puntato verso le due strambe creaturine, e poggiò la guancia contro la fredda corteccia dell'albero.

Al ragazzo sfuggì un sorriso poi, improvvisamente, una voce lo fece sobbalzare.

«Ehi!»

Si volse di scatto, incontrando gli occhi azzurri di Amber.

«Ssh!» sussurrò, portandosi un dito sulle labbra. «Guarda!»

Le prese la mano, poi la trascinò sul prato, accanto a lui. Le indicò il centro della radura, poi la guardò in viso. La bambina aveva un'espressione stranita, la fronte corrugata e le labbra strette per lo sforzo di vedere qualcosa che, di fatto, non c'era.

O, almeno, così credeva lei.

«Non c'è niente» sentenziò. «Sono stanca di questo gioco! Possiamo cercare i sassi blu?»

Xenophilus scosse la testa, deciso. «Guarda meglio»

La bambina sbuffò, però obbedì. Dopo dieci secondi, però, ripeté: «Non c'è niente».

«È solo perché tu non vuoi vedere!»

«Cosa dovrei vedere?»

«Apri gli occhi, Amber».

«Sono aperti».

«Non in quel senso. Aprili davvero».

La bambina scosse per un attimo la testa ricciuta, chiedendosi cos'avesse fatto di male per meritarsi un amico tanto strambo. Insomma, in quella radura non c'era assolutament... aspettate, cos'erano quelle due creature che...

«Ballano! Stanno ballando!» disse a voce alta, e se Xenophilus non le intimò di abbassare la voce fu solo perché era troppo contento che, finalmente, lei riuscisse a vedere.

«Hai visto? Bastava aprire gli occhi...»

 

§

 

«Un, due, tre, Xeno perde e la vittoria a me!» canticchiò una vocina squillante, mentre i capelli neri della bambina a cui apparteneva si disperdevano nel vento.

«Colui che vince un altro è potente; colui che vince sé stesso è superiore».

La bambina lo guardò scandalizzata, spalancando gli occhi. «Cos... cosa hai detto?»

«Non lo so» ridacchiò lui, ma Amber alzò un sopracciglio. «Lo dice sempre mio padre, ma non so cosa significhi...»

«E allora perché lo hai detto?»

«Mi piace come suon... oh, guarda!» si distrasse, seguendo con il dito un'altra delle loro creature invisibili.

Un tempo, quegli animaletti erano soltanto di Xenophilus: a scuola lo prendevano in giro tutti, dandogli del matto, e persino i suoi familiari annuivano solo per accontentarlo, quando parlava di Gorgosprizzi e Volarie.

Da quando c'era Amber, però, era nato il loro mondo, e ai Gorgosprizzi si erano aggiunti i Nargilli, esserini invisibili che rubavano gli oggetti altrui, i Ricciocorni Schiattosi e una serie di altre bestioline, birbanti e buffe.

Da quando era arrivata lei, a Xenophilus il mondo piaceva molto di più.

Sorrise, mentre la osservava saltellare. Quando afferrò la mano che la bambina gli tendeva e la seguiva nel vento, gli occhi gli brillavano più delle stelle che, d'estate, popolano il cielo.

 

§

 

L'acqua si rifletteva sulla superficie dell'acqua, creando strani giochi di luce; a Xenophilus piaceva osservare le grandi macchie luccicanti, e gli piaceva immaginare che, toccandole, si poteva arrivare in un altro mondo.

Con Amber aveva inventato una missione: riuscire a catturare una di quelle macchie.

Ogni volta che vi si avvicinavano, però si rendevano conto che queste si erano spostate più in là, e che l'acqua in cui si trovavano in quel momento era identica a quella di pochi minuti prima. La disperazione non li aveva mai colti, però, e i loro pomeriggi erano proseguiti nella missione di catturare la luce.

Quel giorno non sarebbe stato da meno.

Infatti, quando la voce della bambina riempì l'aria, il bambino sorrise, scattando in piedi.

Sarebbe stata una lunga, lunga giornata.

 

Si lasciarono cadere entrambi per terra, stanchi morti; la luce del sole era meno accecante di poche ore prima e si permisero di guardarlo per qualche secondo.

Purtroppo, si ritrovarono ad osservare macchioline multicolori e chiusero gli occhi, strofinandoli con le dita. Dopo qualche minuto la sensazione passò, ed entrambi si chiesero perché l'avessero fatto.

D'improvviso, però, Amber scattò in piedi, puntando gli occhi verso un punto della radura che l'altro non riusciva a trovare interessante. Aveva, di certo, visto qualcosa... ma Xenophilus si chiedeva cosa avesse potuto notare nel nulla assoluto. C'erano solo alberi, lì. E il capanno del vecchio Johnson...

«Andiamo al capanno, ho avuto un'idea!»

 

La bambina si allontanò dall'oggetto, fissandolo un po' e piegando la testa a destra e sinistra. Dopo un po' sorrise soddisfatta, portandosi le mani ai fianchi e voltandosi verso l'amico.

«Visto?» disse, orgogliosa di se stessa.

Xenophilus si avvicinò un po' e si sporse verso l'acqua: dal capannone – abbandonato – del vecchio Johnson avevano preso tre secchi di legno, un po' trasandati ma che, secondo Amber, sarebbero andati bene. Per cosa, Xeno non lo aveva capito fino a quel momento.

Nei secchi era contenuta un po' d'acqua, su cui era riflessa la luce del sole.

Gli occhi del piccolo scintillarono proprio come il liquido.

«Hai... hai catturato il sole!» esclamò entusiasta. «Luccica!»

Amber sorrise ancora di più, e prese la mano dell'amico, portandola a nel secchio.

«Guarda... se... stai toccando la luce, e non scappa!»

«Siamo nella luce, ora?» chiese lui, d'improvviso.

«Io... io credo di sì».

«È una bella sensazione».

«È vero».

«Secondo te vive qualcuno, nella luce?»

«La mia mamma dice che ci sono gli angeli».

«Chi sono gli angeli?»

«Non lo so bene. Il mio papà dice che io sono un angelo, ma la nonna diceva che a proteggermi c'era un angelo cu... cur... cus... custode, sì!»

«E chi sono gli angeli custodi?»

«Non lo so... però proteggono le persone. Non possono essere cattivi».

«Come si fa ad averne uno?»

«Be'... ce l'hai da te... non lo devi cercare. Almeno credo!»

«Deve essere bello. Mi piace. Chissà come sono fatti, gli angeli»

Forse ti assomigliano, se sono buoni. Forse hanno i capelli neri e gli occhi azzurri, e il loro vestito preferito è lungo e azzurro.

Xenophilus sorrise, guardando Amber.

«Guarda lì! Cos'è?» disse la bambina, indicando un punto dietro l'amico – che si voltò immediatamente.

D'improvviso, però, un getto di acqua freddissima gli bagnò la testa e i vestiti, e gli fece sgranare gli occhi per la sorpresa; si voltò di nuovo nell'altra direzione, e incontrò il sorriso trionfante della bambina che, veloce come il vento, si alzava e correva via, dopo aver depositato il secchio – vuoto – sull'erba.

Scoppiò a ridere, poi si alzò e raggiunse l'altra, con al seguito l'esercito di creature che ballò con loro il resto del pomeriggio.

 

§

 

«Ti faccio una promessa, Amber».

«Anch'io voglio fartene una».

Un sorriso leggerò comparve sulle labbra di entrambi i bimbi.

«Un giorno ci sposeremo!»

La bambina scoppiò a ridere, e presto anche Xenophilus si fece contagiare. Aveva sentito il bisogno di dirglielo, di comunicarle ciò che pensava da tempo.

Non sapeva come funzionavano certe cose; insomma... sua madre gli aveva detto che le persone si sposavano quando erano felici insieme, quando si sentivano bene e quando provavano affetto le une per le altre. E a chi, più di Amber, lui voleva bene?

I genitori di Xenophilus, soprattutto il padre, erano molto diversi da lui. L'uomo, infatti, non desiderava che suo figlio perdesse tempo con la fantasia: doveva concentrarsi sullo studio pre-Hogwarts, infatti l'anno dopo sarebbe stato ammesso alla scuola di Magia e Stregoneria frequentata da tutti i maghi di Gran Bretagna. Era un po' assurdo, secondo Xenophilus, vivere in un mondo dove ogni cosa era magica, e non poter usare la cosa più magica di tutte: l'immaginazione.

Casa Lovegood era vicina ad un bosco, lontana sia dal Mondo Babbano che da quello Magico. Il signor Lovegood, infatti, non amava molto i rapporti interpersonali, preferiva isolarsi, e sua moglie, per amor suo, lo aveva seguito. Il bosco era più che sicuro: c'erano solo animaletti innocui, un lago e un fiumiciattolo, oltre che a due o tre radure di modeste dimensioni. La capanna del vecchio Johnson – si conosceva il nome del proprietario da un cartello rovinato appeso sulla porta – era abbandonata da che la famiglia ricordasse.

Il paese più vicino era a circa dieci minuti di cammino, ma bisognava attraversare il lago per mezzo di un ponte un po' malandato, e inoltre nessuno dei tre componenti della famiglia ne aveva mai sentito il bisogno.

Xenophilus, quindi, era solito trascorrere il tempo girovagando per il bosco, e fino al giorno in cui aveva incontrato Amber, l'unico estraneo che aveva intravisto era un signore con una strana arma, che avrebbe scoperto essere un'ascia.

Aveva raccontato solamente a sua madre dell'amicizia, perché era certo che suo padre lo avrebbe spinto a troncare i rapporti: anche se non conosceva il motivo di tanta avversione verso le altre persone, era meglio non indagare. Era una pretesa assurda, quella del signor Lovegood, ma al bambino non piacevano i litigi e preferiva evitare.

Un giorno gliene avrebbe parlato, certo, ma al momento gli piaceva avere un'amica e non intendeva rinunciare ad Amber.

«Cosa... perché?» chiese questa, riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Tu mi vuoi bene?» chiese lui, di rimando.

«Sì... sei il mio unico amico!»

«Mia madre dice che le persone che si vogliono bene si sposano».

L'altra fece una cosa che non aveva mai fatto: lo abbracciò. I capelli scuri di lei gli coprirono gli occhi, e le braccia di Xenophilus si mossero timide sulla sua schiena, ma alla fine la strinse anche lui.

Lei si allontanò e gli baciò una guancia.

«Un giorno ci sposeremo» rispose lei. Eppure c'era qualcosa di strano nella sua voce.

«Tu... cosa volevi dirmi?»

«Io volevo darti una cosa... Aspetta...» armeggiò un po' nella sua borsa, dopodiché ne estrasse qualcosa di piccolo e lucido, di colore giallo dorato. Sembrava una caramella, venne da pensare al bambino.

«Questa è un'ambra. Ambra come il mio nome. Puoi portarlo con me, per tenermi vicina...»

«Perché? Tu sei vicina! Solo dieci minuti da qui!»

«Io vado via...»

«Perché? Dove vai? E tutto questo? La luce, i Nargilli, i Gorgosprizzi? Come farò a ballare di nuovo con loro, se tu non ci sei? Lo sai che i Ricciocorni si mostrano solo se ci sei tu!»

Lei sorrise.

«Se tu vorrai vederli, ci saranno. Però... io devo andare...»

«Perché?»

«Perché… mio padre deve lavorare in un altro posto... si chiama... Hog... rman. Horgman» terminò, un po' insicura.

«Potremo scriverci, no? Mio padre ha dei... degli uccelli che... portano i messaggi!»

«Anche mia madre... e... sì, magari ci scriveremo. Ciao, Xeno».

«Ciao, Amber».

Perché i bambini lo sperano sempre, o forse lo sanno: c'è sempre un arrivederci, e dire addio fa solo male, ma non sempre dice la verità...

 

 

§

 

Many years later

 

§

 

La pietra dorata passava da una mano all'altra con tanta velocità che sembrava avere vita propria; gli occhi dell'uomo la osservavano attentamente, alla ricerca di particolari che lo riportassero a tempi passati, e di tanto in tanto le mani la avvicinavano al viso, forse con la speranza di cogliere profumi che non sarebbero più tornati.

Il sorriso era increspato in un sorriso leggero, quasi triste.

Un bussare lieve alla porta distolse Xenophilus Lovegood dalla sua attività, e l'invito ad entrare giunse chiaro alle orecchie della piccola Luna.

«Papà, papà! Non sai che cosa è successo!»

«Cosa, Luna?»

«Ho visto una Volaria Canterina! E c'erano anche dei Gorgosprizzi che...»

«... ballavano» terminò lui, con un sorriso.

«Li hai visti anche tu?» chiese la bambina, avvicinandosi.

«In un certo senso!»

«Andiamo a ballare con loro?» chiese lei, improvvisamente, ignorando la risposta vaga del padre. Erano troppo simili.

Luna era un perfetto mix dei suoi genitori, e probabilmente era più micidiale di ognuno di loro: aveva fatto della fantasia il suo vessillo, oltre che la sua ragione di vita o il suo hobby. Luna era la fantasia.

«Sì!» rispose lui, posando la pietra d'ambra nel taschino, vicino al cuore.

 

§

 

Some years before

 

§

 

Quando era cominciato il primo anno ad Hogwarts di Xenophilus, per lui era stato una gioia e un dolore.

Era felice di poter cambiare aria, smettere di litigare con suo padre e vedere nuove persone, da un lato; dall'altro, fin dal primo giorno era stato preso in giro per le sue stranezze e assurdità, come avevano ribattezzato il suo modo di pensare, oltre che provare un senso di vuoto quando si era reso conto di aver cominciato uno dei percorsi più importanti della sua vita senza Amber.

Era stato smistato in Corvonero, la casa in cui – di solito – finivano le persone intelligenti, e questo aveva suscitato commenti da parte di vari studenti: come era possibile che quello strambo fosse nella nobile Casa di Priscilla Corvonero, culla di coloro dall'intelletto fine e ingegnoso?

Il Cappello Parlante, però, era stato chiaro: vedere il mondo con occhi diversi non significa essere in errore, ma avere coraggio e intelligenza di guardare lì dove nessuno osa. Ed è risaputo: il Cappello Parlante non sbaglia mai.

Dopo qualche settimana dall'inizio delle lezioni si era abituato ai ritmi di Hogwarts, alla grande folla che era ospitata dal castello, ai commenti che – dopo un po' – erano diminuiti e alla sua nuova vita in generale. Però, era arrivato qualcosa... anzi, era tornato.

Era seduto in Sala Comune a svolgere i compiti di Incantesimi quando un suono familiare lo aveva riscosso da ciò che stava facendo: era una risata argentina, colta per caso nella folla di voci che invadevano la sala; una risata che lo aveva costretto ad alzare i grandi occhi e a cercare qualcuno che, forse, non era lì, qualcuno che era frutto della sua mente, e che, in quel momento, era in un posto ben lontano da Hogwarts. Un posto che aveva un nome simile, ma che non era il castello.

«Smettila, Amber! Non è divertente!»

Non poteva essere una coincidenza. Non quel nome, quella risata, non quel posto... che cominciava con “Hog”. Non una frase detta a metà, finita con incertezza... incertezza perché di Hogwarts non si può parlare, e quindi aveva dovuto inventarsi un nuovo nome, un nome che non destasse sospetti. Il nome di un posto che non esisteva.

«Amber!» gridò in tono più alto di quanto volesse.

Un gruppo numeroso di persone si voltò verso di lui, ma Xenophilus non vi badò e ben presto gli altri tornarono alla propria occupazione. Cercava qualcuno di ben preciso: capelli neri, occhi azzurri e sorriso che brillava come il sole sull'acqua; qualcuno che avesse il nome della pietra che lui custodiva come un tesoro, che stringeva quando sentiva la mancanza della sua amica; qualcuno che si chiamasse Amber, la cui risata somigliasse ad uno scampanellio e che fosse l'unica capace di farlo sorridere, sorridere col cuore.

Quando gli occhi azzurri di Amber incontrarono quelli di Xenophilus, lui poté dire di aver provato la sensazione più strana di tutta la sua vita: sospeso a metà tra il dubbio che fosse un sogno e la speranza che fosse reale, non sapeva cosa fare, così fece la prima cosa che gli venne in mente.

Si avvicinò a lei, spintonando un po' coloro che gli sbarravano la strada e rimediando – e ignorando – imprecazioni e volgarità varie e, quando giunse da lei, le diede un pizzicotto sul braccio.

«Ehi!» disse lei, offesa. «Ma cosa...? Xeno!» terminò, gettandogli le braccia al collo e facendo bloccare l'amica che, sorridendo, si allontanò. Conosceva bene Xenophilus Lovegood, tanto gliene aveva parlato l'altra. Era quasi come aver passato quel tempo insieme a lui, lo conosceva quasi come Amber, ormai.

«Sei vera!»

«Perché, cosa credevi?»

«Ma io... tu... qui...»

«Tu... i tuoi sono...?»

«Sì, sono entrambi maghi, per questo pensavo di scriverti con i gufi, ma poi tu sei... sparita. Sai, per un po' non riuscivo più a vedere niente: era tutto buio, anche quando c'era il sole... e poi... poi è arrivato qualcuno e mi ha aiutato».

«Chi?»

«Un giorno... nel nostro posto... ho visto una cosa! Era una creatura bellissima, Amber, te lo giuro! Era alta e bianca, sembrava un cavallo e... aveva un corno solo, riccioluto e azzurro; era elegante e aveva delle ali. Però, ad un certo punto è... scoppiata. Sì, scoppiata in una nuvola bianca, che si è dispersa. Non l'ho più vista, da quel giorno, però... però dopo poco ho incontrato dei Nargilli e... e basta, eccomi».

La bambina sorrise, poi gli prese la mano. «Vieni, conosco un posto. Dobbiamo parlare!»

 

Il tempo era trascorso velocemente, e da quel pomeriggio non si erano più lasciati: in ogni angolo di Hogwarts erano comparsi animali invisibili agli occhi della maggior parte degli studenti, ma che Amber e Xenophilus vedevano chiaramente. Condividere il fardello di prese in giro e insulti era più semplice, in due, e presto la popolazione del castello si era abituata ai due strambi ragazzi. Certo, qualcuno continuava, imperterrito, nella sfilza di insulti, ma anche la coppia si era abituata e non ci faceva più caso. C'erano cose ben più importanti: l'amicizia, l'essersi ritrovati, la fantasia.

Si erano aggiornati su ciò che era accaduto durante l'anno che erano stati separati e si erano – finalmente – conosciuti per ciò che erano: parte dello stesso mondo. Si erano empre sentiti in questa maniera mentre toccavano la luce o inseguivano le loro creature, ma, finalmente, erano tali anche per il resto del Mondo Magico.

Erano giunti alla conclusione che sì, avevano sbagliato a tenere nascosto il loro “segreto” - anche se poi si era capito che non ce n'era bisogno, dato che, entrambi, nascondevano la medesima cosa –, ma che, comunque, non avrebbero potuto fare altrimenti: i genitori li avrebbero puniti, costringendoli a non vedersi più. Insomma, credevano entrambi di avere a che fare con un Babbano! Inoltre, non aveva ma sentito il bisogno di parlare della magia: erano loro stessi magia, era parte di loro; si manifestava nelle loro fantasie, nelle loro parole, nello scintillio dei loro occhi. Loro erano magia.

Da quel giorno, il tempo si era succeduto, molto più velocemente di quanto avessero desiderato, e l'estate era giunta, inesorabile.

 

§

 

Quando quella mattina Xenophilus Lovegood si era alzato, non avrebbe creduto di poter fare ciò che aveva fatto.

E ora si ritrovava fermo nel bel mezzo del salotto, con due paia di occhi sconvolti che lo fissavano.

 

Sapeva di stare facendo una follia, ma non poteva, non voleva, smettere. Desiderava quel momento da anni, da quando, molte primavere prima, un bambino biondo aveva pronunciato le parole: «Un giorno ci sposeremo!»

Spesso, nei suoi desideri di bambino apparivano discussioni con il padre, chiarimenti e riappacificazioni dopo un litigio: l'uomo non amava la compagnia degli altri, tantomeno dei Babbani. Non andava in giro a discriminarli o cosa, ma non gli piacevano, e questo era chiaro; più che altro non voleva che suo figlio si affezionasse a persone non magiche per dovergli mentire o, al contrario, dovergli rilevare un segreto tanto grande.

Non apprezzava nemmeno la compagnia delle persone magiche. Si può dire che provasse, in poche parole, una specie di avversione verso il mondo in generale, e che, suo figlio ne era certo, non avrebbe mai accettato che lui si sposasse.

Eppure, le parole gli uscirono in modo naturale.

«Sposami».

La ragazza si voltò sconvolta verso di lui, con gli occhi sbarrati. «Cosa?»

«Sposami. Adesso, qui. Ecco». Scavò nella tasca e ne estrasse qualcosa.

Amber scosse la testa, consapevole di ciò che stava per succedere.

La scatolina si aprì, e la ragazza si portò una mano alle labbra, scuotendo la testa, incredula.

«Io non...»

Non n'era l'anello più bello del mondo. Anzi, probabilmente non era neanche un anello: di solito i tappi di Burrobirra servono per chiudere le bottiglie, non fanno da brillante. Eppure, ad Amber quello parve l'anello più bello del mondo: vi erano racchiusi ricordi e profumi di anni ormai immortali, vi erano figure di bambini che correvano felici e si bagnavano, che inseguivano conigli reali e animali invisibili, altrettanto reali – per loro; vi erano figure di ragazzi che non smettevano di sognare, che erano diversi dagli altri e ne erano felici, che vivevano in un mondo costruito con amore e semplicità e che cercavano di continuare per la loro strada, riuscendoci; c'era il profumo di ciò che erano stati, e che sarebbero rimasti. In quell'anello, strambo e perfetto, c'era tutto ciò che li rappresentava: all'esterno erano considerati buffi e brutti, pazzi persino. Eppure, valevano tanto, perché il costo di una cosa non si misura soltanto in monete.

Xenophilus non sapeva cosa fare: non era bravo in certe questioni, così si limitava ad ascoltare il suo cuore. Aveva visto anelli più belli e brillanti, con diamanti o altre pietre preziose, in oro. Ma, secondo lui, il suo anello era più bello, perché gli ricordava cose belle. E se i ricordi sono belli, non può essere tanto male, no?

Sapeva che anche ad Amber sarebbe piaciuto: quei ricordi erano di entrambi, e solo una cosa che li riportava alla mente poteva permettere loro di non cambiare mai.

«Io... oh, per tutti i Nargilli, sì!» esclamò infine la ragazza, gettandogli le braccia al collo.

Mentre il sole tramontava e il ciondolo d'ambra risplendeva, le loro mani si intrecciarono, e il resto del mondo non contò per un po'.

 

«Oggi ti presento a mio padre».

Quella frase continuava a rimbombare nella mente di entrambi: sia Amber che Xenophilus sapevano ciò che significava, e sapevano che non sarebbe stato semplice. Spesso lui aveva desiderato poterlo fare, e siccome quel giorno si sentiva coraggioso aveva deciso di tentare: che a suo padre piacesse o meno Amber sarebbe entrata in casa sua, e come persona più cara a Xenophilus.

«Gli diremo che ci sposiamo».

La ragazza sbarrò gli occhi e disse: «Ma... si arrabbierà! Cioè, e se non gli piacessi? Sai com'è tuo padre, e credo di conoscerlo un po' anche io grazie a te: io sono tutto ciò che lui non vorrebbe mai per te».

«Non importa».

«E se ti cacciasse di casa?»

«Ne costruirò una nuova, con te».

«E se...?»

«Fidati di me, Amber. Dammi la mano».

Lei, un po' titubante, la afferrò, pregando in cuor suo che andasse tutto bene.

A volte ci preoccupiamo per nulla: crediamo di dover affrontare grandi prove impossibili e difficili, ma poi ci rendiamo conto di esserci sbagliati su tutta la linea.

I due ragazzi si resero conto di quanto fosse vera questa frase soltanto qualche quindicina di minuti dopo.

 

«Cosa... cosa ti ho... Xenophilus, sono deluso. Io credevo che tu...» l'uomo, esausto, si lasciò cadere sulla poltrona. «Da quanto tempo mi menti?»

«Ci siamo conosciuti dieci anni fa, nel bosco. Era marzo e ci siamo visti fino a luglio, dopodiché ci siamo lasciati e rincontrati ad Hogwarts».

«Quindi... tu sei una...»

«Sì, sono una strega» sussurrò Amber, imbarazzata. Non credeva potesse essere tanto importante. Insomma... a chi interessava il suo albero genealogico? A parte il signor Lovegood, certo.

«Capisco» si limitò a dire lui.

Poi, sorprendendo tutto, aggiunse: «Lo sapevo».

Tre paia di occhi si fissarono su di lui, e l'uomo si concesse un risolino. «Vi ho visti, più volte. E vi ho sentiti parlare» terminò, indicando suo figlio e sua moglie, la quale arrossì e fu costretta a voltarsi per non farsi notare. Anche se, ovviamente, se n'era resi conto tutti.

«Aspettavo che me lo dicessi, Xenophilus. E sono infuriato perché hai atteso ben dieci anni: come si può attendere tanto per comunicare una cosa al proprio padre? Ho aspettato che mi presentassi la signorina tutti i giorni della mia vita da dieci anni a questa parte: non volevo credere che tu avessi tale timore di me, e mi compiango per essere stato un padre tanto pessimo. Ho, probabilmente, alimentato questa tua credenza, chiedendoti di smettere con le tue fantasticherie e le tue sciocchezze. Ebbene, figlio mio, vorrei solamente dirti che lo facevo per il tuo bene: avere fantasia, in un mondo come questo, non è semplice, e te lo dice una persona che lo ha provato sulla propria pelle. L'umanità è cattiva, e non comprende che ci sono cose che fanno sentire le persone bene e altre che, invece, le fanno stare male – come la privazione delle cose benefiche. Soprattutto, non comprende che bisognerebbe lasciare in pace le persone e farle praticare ciò che desiderano. Io non voglio che tu pensi di essere sbagliato, ed è per questo che ti ho detto di lasciare perdere tutto: volevo proteggerti».

«Ma, papà, in questa maniera non mi hai privato di una cosa che mi faceva stare bene, alla stregua del resto dell'umanità?»

«Sì, e me ne pento: ho cercato di porre rimedio alla mia stupidità, ma non ci sono riuscito. Quindi, assieme alle mie parole, vorrei dirti una cosa: ti chiedo di perdonarmi. Non sono stato un buon padre e ne sono consapevole. E purtroppo il prezzo più caro l'hai pagato tu».

Il tempo sembrò fermarsi nella stanza: Xenophilus era tornato il bambino sorridente di un tempo, mentre abbracciava suo padre, e l'uomo parve ringiovanire. Si era liberato del peso della colpevolezza, aveva finalmente detto ciò che voleva dire da tempo.

Si era comportato da padre, per una volta nella vita. Perché anche i padri possono sbagliare, l'importante è che se ne rendano conto e chiedano scusa.

Si erano salutati sorridendo, qualche ora dopo. I chiarimenti erano stati tanti, ed erano continuati anche quando le donne erano tornate – dopo la scena si erano chiuse in cucina per finire la cena – e furono migliori dell'aria per un sub: i due cominciarono a vivere totalmente, perché quando una persona che ami è distante da te per qualsiasi motivo, smetti da farlo. Quando questa persona torna, finalmente puoi respirare. Perché è sana e salva, e perché ti ama come tu ami lei.

Sulla porta, il ragazzo si voltò, con la mano stretta in quella di Amber.

«Papà?» chiamò. «Prima che passino altri dieci anni... devo dirti una cosa. Mamma, anche a te».

I due si sedettero, e sul viso dell'uomo comparve il sorriso di chi la sa lunga.

«Io e Amber... be'...»

«Voi vi sposate, sì, lo sappiamo» terminò la madre di Xenophilus, sorridendo anch'ella.

«Come... come lo sapete?»

Il signor Lovegood fece un cenno in direzione della mano della ragazza, poi aggiunse, citandosi: «Aspettavo che me lo dicessi, Xenophilus. Ma devo ammettere che stavolta sei stato nettamente più veloce!»

Suo figlio sorrise, e lui ricambiò, poi la porta si chiese fra loro, con una promessa di rivedersi presto che ancora aleggiava nell'aria.

 

 

§

 

Again many years later

 

§

 

 

«Papà, hai visto? Non è bellissimo?»

La collana di tappi di Burrobirra ondeggiò al collo di Luna, producendo una musica che riportò alla mente dell'uomo lontani e piacevoli ricordi: una donna seduta a gambe incrociate, il sole di maggio, mani abili che fanno del nulla una collana.

Da quando Amber era morta gli era parso di impazzire: ma non nel modo in cui era stato deriso per anni, impazzire realmente. Il buio era piombato sulla sua vita, ma poi era giunta Luna, una nuvoletta bianca che, assieme a sé, aveva portato la luce della vita.

Quando sua madre era morta, la bambina aveva soltanto nove anni, ma era soltanto grazie a lei se suo padre non era morto con lei: si era lasciato andare, ma lei lo aveva aiutato a vedere di nuovo, vedere il mondo per com'è realmente, un posto incantato popolato da creature strambe.

Xenophilus si era chiuso ancora di più nel suo mondo, cominciando a provare una sorta di ossessione per gli animali che gli riportavano alla mente sua moglie. Li aveva cercati, e con loro aveva cercato lei: con il ciondolo d'ambra sempre addosso, aveva cercato di trovare qualsiasi cosa, una traccia, una luce, una nuvola che le somigliasse. Ma aveva trovato solo Nargilli, Gorgosprizzi e Volarie Canterine che, da quel momento, gli avevano tenuto compagnia.

Lui lo sapeva: Amber era rimasta con lui, in quella pietra. Non era solo un oggetto che portava il suo nome, era molto di più: era lei stessa Amber, conteneva il suo essere. Profumava di lei, aveva i suoi occhi e capelli. Era una pietra dal colore strano e rassicurante, ma lui ci vedeva l'amore della sua vita.

Sorrise.

«Sì, amore mio, è bellissimo. Ti ho mai raccontato degli angeli custodi?»

«No, papà. Cosa sono? Ne hai mai visto uno?»

L'uomo guardò sua figlia, e le prese una mano.

«Vieni, ti faccio vedere una cosa. Accio secchio!» disse, trovandosi accanto l'oggetto e afferrandolo.

«Hai mai toccato la luce?»

«Ma è... impossibile!»

«Niente è impossibile, Luna. Ricordatelo sempre».

E Luna se lo ricordò, e imparò a vivere con questa convinzione: niente era impossibile, bastava crederci. E quel giorno poté toccare la luce, trovandovi molto di più che semplice acqua luccicante: rivide sua madre, colei che le era morta accanto solo poco tempo prima e che aveva lasciato un vuoto incolmabile nella sua vita.

Si convinse, grazie a ciò che suo padre le disse sugli angeli custodi, che la donna fosse proprio questo: la sua guida, ciò che la proteggeva dal male; ciò che di notte le accarezzava i capelli e che non permetteva agli incubi di prenderla.

Amber le accarezzò i capelli, e la bambina chiuse gli occhi, provando una piacevole sensazione di calore pervaderle il cuore.

«Ti voglio bene, mamma».

   
 
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