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Autore: siemdrew    18/06/2012    3 recensioni
C'era una volta un Principe. Egli regnava con amore sui Monti della Morte, passando per La Foresta dei Sogni e La Foresta Ombrosa, fino al Mare delle Luci. Il Principe amava il suo regno, ma era troppo avido, prepotente ed arrogante col suo popolo. Uccideva i civili, condannava a morte gli innocenti e derideva i più deboli. Finché un giorno arrivò al suo Castello una donna bellissima, che si era persa. Egli le offrì doni, cibo... e un letto per la notte: il suo. Il Principe era così malvagio che non si curò di far sentire a suo agio la donna, bensì tentò di violentarla. Ma la donna si trasformò in una strega dinanzi al Principe. Lo maledette: per tutta l'eternità, il Principe avrebbe dovuto vivere nella torre ovest del suo Castello. Passarono gli anni, ed egli si accorse di non invecchiare. Sicché ebbe un'idea. Decise di rapire ogni mese sei vergini, che avrebbe rinchiuse, ma che poi avrebbe dominate e uccise. E così ancora oggi il Principe violenta e uccide le sue vittime.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Principe
Capitolo 2


Atterrai sul morbido… sabbia? A Sheffield? Va bene che facevo schifo in geografia, ma ero piuttosto sicura che Sheffield non si trovasse sulla costa. Altrimenti avrei sentito sapore di mare. La brezza marina soffiarmi tra i capelli. Lo stridio dei gabbiani nel cielo. E… un momento. Perché avevo gli occhi chiusi? Li aprii immediatamente. E vidi il mare. Il cielo limpido, colmo di gabbiani. Un veliero in lontananza. Ero sul bagnasciuga e mi stavo bagnando d’acqua tutti i jeans, così scattai in piedi. Oh mamma mia. Che ci facevo lì? Sì, ero caduta in un albero cavo. Ma negli alberi non c’è il mare.
Mi girai. Vidi delle dune, poi un sentiero, dietro il quale iniziava un fitto bosco. C’erano delle colline verdi e su una di esse c’era un castello. Era tutto in pietra, mi ricordava quello del leone Aslan nel primo film de Le Cronache di Narnia. Era bellissimo. L’unica cosa che lo rendeva cupo era che l’edera aveva preso il sopravvento. In più, affianco al castello c’era un altro bosco, ma molto più scuro di quello vicino al mare.
Avanzai un passo, ma caddi nella sabbia. Cielo, solo io potevo inciampare sulla sabbia! Mi misi a sedere, sicura che c’era qualcosa di duro sotto l’arena. Pescai un libro. C’era sopra una donna nu… Era il libro del Principe! In alto sulla copertina si vedeva oro su marrone (?) il titolo: “Storie da Vartia”.
Oh mio Dio. Ero finita a… Vartia. Ero sicura che fosse il nome di questo posto. Oggesù. Non potevo trovarmi nel regno del Principe da me soprannominato violentatore. Che fine avrei fatto?
D’accordo, questo posto poco prima stava cominciando a piacermi. Ma ora… No. Era uno scherzo. Non era fisicamente possibile.
Sei sicura?, mi disse la mia coscienza. Però è successo. Sei qui. Non puoi scappare. Trovati un nascondiglio e restaci. Tornerai a casa, in qualche modo.
Mi appoggiai a uno scoglio e respirai a fondo. Quando sentii delle voci. Oh, no! Il Principe violentatore!
Ma cosa dici! Non ricordi la storia? E’ costretto nella sua torre per l’eternità.
Giusto. La coscienza aveva ragione. Ma quindi chi era? Mi sporsi per vedere.
Ora, avete presente il cartone animato di Robin Hood? Ecco, nel cartone ci sono delle guardie che però non sono umane – certo, neanche il protagonista è umano, è una volpe – ma sono rinoceronti. Ecco ciò che vidi: due rinoceronti che camminavano su due zampe soltanto, con tanto di elmo, armatura di bronzo e spade scintillanti nella fodere. Ridevano di qualcosa. Ma non importava in quel momento. Avevo di fronte due animali che parlavano!
Dovevo scappare. Inoltrarmi nel bosco. Presi in mano il libro: di sicuro mi avrebbe aiutato. Ne ero certissima. Poi mi feci spazio tra gli alberi alti.
Mi immaginavo il bosco tutto ombroso e privo di luce, invece il sole filtrava tra le foglie e scaldava tutto intorno a me.
Mi decisi ad aprire il libro.
Allora, prima pagina: la leggenda del Principe. Già letta. Perfetto, giriamo pagina.
Nell’altra pagina c’era una mappa e in alto ad essa c’era scritto “Vartia”. Riconobbi la costa, il bosco in cui ero entrata, il castello e l’altro bosco. Poi dietro il castello erano segnati dei monti, circondati da nubi alte: i Monti della Morte. D’accordo, io ero nella Foresta dei Sogni. Ah. Non era un bosco. Perfetto. Girai ancora pagina. C’era una descrizione per ogni luogo e lessi quella della Foresta dei Sogni.
La Foresta dei Sogni è, come dice il suo nome, una foresta in cui ogni desiderio verrà esaudito…
«Perfetto!», esclamai tirando un pugno in aria. «Voglio tornare a casa!»
Aspettai qualche secondo, ancora euforica, poi continuai a leggere. Magari avevo sbagliato il modo della pronuncia del sogno…
Le entrate segrete per Vartia sono in totale sedici. Tre su Nettuno, uno su Marte, cinque su Mercurio e sette sulla Terra. Una volta varcata la soglia, non è più possibile uscire. Quindi non è possibile chiedere alla Foresta dei Sogni di essere riportati a casa…
«Maledizione!», urlai frustrata, tant’è che lanciai a terra il libro. Ma capii che non dovevo arrabbiarmi con lui, così lo raccolsi e passeggiai.
Non avevo idea di che ora fosse, ma di sicuro era pomeriggio. E avevo così tanta fame… mi sarei mangiata due gorilla. Ma in quel momento avevo così tanta voglia di pizza. Con la panna e i funghi. O margherita con l’occhio di bue al centro. Oddio, pensare a tutto ciò mi faceva venire ancora più fame!
Mentre camminavo inciampai su qualcosa. No, precisamente scivolai su qualcosa di viscido. Oh santo babbuino verde! Ero appena scivolata sulla mia amata pizza alla panna! Giusto, era la Foresta dei Sogni. Che scema, potevo pensarci prima, anziché rovinare una pizza!
Comunque, vagai per la Foresta desiderando e ottenendo cibo. Finché non raggiunsi i piedi delle colline. Alzai lo sguardo e vidi il castello. Sembrava medioevale, ma non rovinato o chissà che. Scintillava sotto i raggi di un sole che ormai stava tramontando, sebbene l’edera lo coprisse quasi del tutto. Era una vista mozzafiato. Vi avrei immaginato soltanto tanti fuochi d’artificio sopra di esso e sarebbe stato ancora più bello! Ok, ma non dovevo avvicinarmi. Là dentro c’era un mostro in forma umana.
Rientrai nella Foresta e lessi il libro. Erano un bel po’ di pagine, così finii quando il sole ormai aveva già lasciato posto alla luna e alle stelle. Secondo la storia, il Principe viveva in una stanza sola della torre e conservava avidamente la copia reale di “Storie da Vartia”. Quindi se io volevo andarmene dovevo bruciare con lo stesso fuoco la mia copia di libro più quella originale. Oppure dovevo rompere la maledizione. La leggenda diceva che il Principe sarebbe stato libero solo trovando il vero amore e salvando le anime delle donne da lui uccise. Oh, la solita cosa. Peccato che io a quel tizio non mi ci volevo neanche avvicinare. Quindi dovevo arrampicarmi sulla torre ovest, la più alta ovviamente, fregare la copia originale e appiccare un fuoco. Non sembrava così difficile. Ce la potevo fare.
Uscii dalla Foresta, ma rientrai subito: tantissime guardie-rinoceronte erano postate sul cammino di ronda e per metà nascoste dalle merlature. Brandivano le lance e osservavano l’orizzonte con sguardo crudele. Sui cammini di ronda avevano acceso dei falò per far luce. No… mi avrebbero vista se fossi salita.
Maledetti bastardi…
Decisi che avrei tentato ugualmente. Avrei fatto il giro, sarei passata dalla Foresta Ombrosa e mi sarei intrufolata nel castello. Mi incamminai decisa. Andai verso destra, dove terminava la Foresta dei Sogni. Poi iniziò la Foresta Ombrosa.
Come dice il suo nome, era una Foresta Ombrosa. Si sentiva lo stridio dei pipistrelli e tra i cespugli degli occhi rosso sangue che mi fissavano minacciosi. Mi terrorizzavano. Avevo con me la mini torcia, quindi no problem!, ma faceva impressione il fatto che le fronde degli alberi nascondessero addirittura la luce della luna. In alcuni punti gli alberi erano marci e i rami spogli sembravano voler graffiare il cielo blu notte. Non mi sentivo per niente al sicuro.
Non so quanto ci misi a raggiungere i piedi della collina su cui si ergeva il castello. Magari un’oretta, magari tutta la notte. Le fronde alte non mi permettevano di osservare il cielo e non sapevo quanto ci avessi impiegato.
Lo scoprii quando cominciò l’arrampicata per la collina: il cielo stava schiarendo, quindi l’alba era poco lontana. Sospirai e mi tirai su le maniche della maglietta. Avevo i vestiti sporchi e un po’ a brandelli e avevo un graffio sulla fronte, provocatomi da un maledettissimo pipistrello che aveva perso la cognizione del luogo e aveva dato di matto. Mi preparai psicologicamente e feci per cominciare l’arrampicata. Ma sentii di nuovo delle voci. Solo che parlavano a me.
«Guarda qui che abbiamo!», esultò una guardia-rinoceronte incrociando poi le braccia.
Oh dio. Non è vero. Ditemi che è un incubo, che aprirò gli occhi e vedrò Marissa che mi schiaffeggia per risvegliarmi.
«E’ un umana», disse l’altra guardia.
«Che palle ‘sti umani, però», si lamentò l’altra sbuffando. «Dici che gliela dobbiamo portare?»
«Cavolo, sì! Stanotte è stata uccisa l’ultima vergine del mese, quindi ce ne servono altre per il mese prossimo»
«Cosa?», intervenni.
«Su, umana, vieni con noi», disse una delle due guardie prendendomi per un braccio.
Mi divincolai in fretta e feci per scappare, ma l’altra mi prese per la vita e mi rimise a posto.
Mi afferrarono per le braccia e aggirammo la collina. Intanto le guardie parlavano spensierate della mia sorte e ridevano come ubriache.
«Comunque io sono Warmyn», si presentò una. Erano identiche, non sapevo come distinguerle.
«E ioooo Butan!», esclamò l’altra. Poi scoppiarono a ridere. Ah. Ah. Ah. Che cosa divertente…
Prendemmo un sentiero che portava davanti a un muro alto, ma senza accessi. Cos’è, lo avremmo attraversato come i fantasmi? Speravo di no. 
Quello alla mia destra, Warmyn, corse tra i cespugli, ridacchiando come un idiota, e tirò qualcosa di duro verso di sé: una leva. Nel muro spuntò una porta, che ci lasciò passare.
Oh Dio… stavo entrando nella fossa dei leoni.
Butan mi diede uno scossone, visto che non mi muovevo, poi mi spinse davanti a sé e varcammo la soglia. Oddio, dovevo tenere gli occhi chiusi…
…Ma non ci riuscii. Li aprii non appena sentii la porta segreta chiudersi dietro di noi.
C’erano quattro torri – di sicuro nord, sud, est ed ovest – che formavano un quadrato. E noi eravamo in mezzo a questo quadrato. C’era un laghetto e un prato immenso. Ma le guardie-rinoceronte non diedero peso alla bellezza di quel posto, proseguirono verso una torre, sulla quale c’era uno scudo con la lettera O. Non ci volle molto per capire: era la torre ovest. Dove si trovava il Principe violentatore. Mi stavano portando lì.
Warmyn, che era davanti, aprì il portone e mi esortò a salire le scale, a meno che non volessi vedere la mia faccia spiaccicata sui gradini. O almeno, lui mi minacciò così. E prese a litigare con Butan perché voleva fare lui quella minaccia. Pensai che fosse possibile scappare, ma mi tenevano d’occhio e quindi mi toccò salire le scale a chiocciola. Fu una salita lunghissima, non finiva più. Ma finalmente – se così si può davvero dire – raggiungemmo la cima. Eravamo su un pianerottolo, su cui affacciava una porta di legno. Warmyn e Butan bussarono all’unisono e una voce giovane fece segno di aprire. Le due guardie-rinoceronte obbedirono.
La stanza che mi apparve davanti era bellissima. C’era un grande letto a baldacchino, tutto rosso e d’oro. C’erano tre finestre, chiuse con pesanti tende di un tessuto che sembrava seta rossa. C’erano tantissimi scaffali, pieni di libri e fogli. Un cassettone aperto, dal quale uscivano dei vestiti puliti e profumati. Per terra c’era un tappeto morbido e caldo. E infine una scrivania ricoperta da disegni. Un ragazzo era seduto coi piedi sulla superficie del tavolo e leggeva svogliato un libro.
Volse lo sguardo verso noi tre, incuriosito, e mi guardò dalla testa ai piedi. Inutile dire che come Principe violentatore era bellissimo. Aveva un viso dolce, occhi color miele, un nasino tenero (?), delle labbra all’apparenza morbide e carnose e dei capelli biondo scuro, come il grano quand’è pronto per essere tranciato. Era pur perfetto, ma non dovevo dimenticare che nel suo cuore regnava la malignità pura.
Si alzò ancora più incuriosito dalla mia vista e mi girò intorno.
«Non sei di Vartia», mi disse.
Scossi la testa. Non avevo intenzione d’aprir bocca dinanzi a lui.
«Vieni dalla Terra, allora», proseguì lui, le mani sui fianchi, gli occhi puntati sulle mie labbra. «I tuoi vestiti sembrano gli stessi usati dai terrestri»
Annuii, guardando dritta davanti a me come fanno i militari. Ma cavolo se aveva una voce melodiosa!
«Quanti anni hai?», domandò in un sussurro. Fece un gesto, come a sventolare la mano, e sentii la porta chiudersi dietro di me: Warmyn e Butan mi avevano abbandonata!
Non risposi alla sua domanda.
«Quanti anni hai, ti ho chiesto», ripeté. Gli occhi gli si scurirono. «Oh be’, dovrò farti tagliar la lingua, così non saprai parlare davve…»
«No!», esclamai. Una secchiata di paura mi cadde addosso. «Ho… Ho diciassette anni»
«Uhm…». Mi soppesò con lo sguardo, come a valutare l’offerta. «E vieni da…?»
Mentii subito. «Vengo da… Boston. Negli Stati Uniti»
«Sì, so dov’è Boston», mi disse annuendo. «Massachusetts. Però tu non vieni da lì. Il tuo accento è inglese, mia cara donzella»
«…»
«Non importa», tagliò corto lui, sorridendo in modo… malvagio. «Lo scoprirò. Allora dimmi, qual è il tuo nome? E sappi che non ammetterò falsità»
Deglutii rumorosamente, ma poi risposi. «Valerie Russell»
«Un nome perfetto per una fanciulla perfetta!»
Portò la mano dietro la schiena, poi la riportò dinanzi al mio volto. Ma questa volta aveva in mano due fiori: un giglio bianco e una camelia rosa.
Oh porco porcospino ibernato! Nonna Melanie mi aveva insegnato i significati di alcuni fiori – secondo lei erano pochi, ma mi aveva fatto studiare tutto il libro, più o meno – e riconobbi subito i significati di quei due. Il giglio bianco indica purezza, verginità. Mentre la camelia rosa indica il desiderio che si prova verso un’altra persona. Speravo con tutto il mio cuore che li avesse pescati a caso…
«Ebbene», riprese il ragazzo, che non riuscivo più a indicare come Principe, visto che era un ragazzo. Mi aspettavo tipo il Principe Harry o che so io… «Spero che i fiori vi siano graditi»
Cos’era questo tono formale?
«Certo…», risposi poco convinta.
«Coraggio, prendeteli e conservateli», esortò sorridendo come un angelo. «Alloggerete nelle mie stanze per qualche tempo»
Poi chiamò le guardie. «WARMYN! BUTAN! Accorrete!»
I rinoceronti entrarono facendo casino nella stanza.
«Scortate la nostra ospite nelle stanze apposite», ordinò sorridendo malizioso e le guardie ridacchiarono con lui.
Infine il ragazzo mi prese la mano e ne baciò il dorso. «Benvenuta nel mio castello, Valerie. Il mio nome è Drew»

ED ECCO A VOI IL CAPITOLO DUE :D! Sono davvero contenta di questa storia e anche di voi, perché ho avuto cinque recensioni e un SACCO DI VISUALIZZAZIONI! Vi ringrazio tanto :')!
Allora, vi spiego velocemente perché Justin l'ho chiamato semplicemente Drew: il fatto è che nella mia testa non riesco a vedermelo mentre si presenta e dice "Sono il Principe Justin", ma se immagino "Sono il Principe Drew" mi suona bene.. (?) Vabbé, tanto Drew è sempre un suo nome uwu
Che ne pensate comunque di questo capitolo? E' un po' lungo, ma non riesco ad accorciarlo, mi dispiace cwc
Grazie ancora di tutto, e recensite mi raccomando ;)
SheBecameBelieber
#BelieveIsCOMING!

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