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Autore: Yomi22    19/06/2012    1 recensioni
Morgan è una ragazza che non sa nulla del suo passato.
Di una cosa è certa: non si trova nel posto e nel tempo giusto. Vi è un rapporto tra lei e le leggende Arturiane, ma quale?
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo molto della mia infanzia. Anzi, a dirla tutta non mi ricordo affatto dei miei primi dodici anni di vita.
Ogni tanto, a scuola, i miei compagni iniziano a parlare di come si vestivano da piccoli, che cartoni guardavano, con quali giocattoli giocavano e io non posso far altro che guardarli in silenzio e cercare di immaginarmi mentre prendo una bambola da una cesta e faccio finta di accudirla come fosse mia figlia. In quell'istante tutto diventa nero e ho dei forti capogiri.
Inutile dire che questo mi ha sempre spaventata.
Ora, a quasi diciannove anni dalla mia nascita, mi ritrovo con talmente tanti svenimenti alle spalle che contarli è impossibile. 
Sono andata da vari medici specialisti, ma nessuno è mai riuscito a spiegarsi perché quando tento di tornare indietro con la mente, ho quesi attacchi di malessere.
"Deve aver subito uno shock", "deve soffrire di un raro caso di amnesia permanente", "forse ha battuto la testa"... uno è arrivato a dire che potrei esser stata rapita dagli alieni!
I miei genitori? Pare che non siano mai esistiti.
All'età di dodici anni, a cui risalgono i miei primi ricordi, sono stata affidata a una famiglia di Londra, che si è presa cura di me sino ad oggi. Loro sono molto buoni e non mi hanno fatto mancare mai nulla, per cui non mi posso lamentare. 
Una sola cosa però desidero più di ogni altra: sapere chi sono.
I miei mi hanno raccontato che la polizia mi ha trovata girovagare senza meta in un bosco, con addosso solo degli stracci dallo stile medievale. Mi hanno anche detto che borbottavo strane parole in una lingua sconosciuta e che non ricordavo neanche il mio nome.
Quando me lo chiesero, io risposi qualcosa tipo: "Morgan".
Dunque questo è il nome che mi è stato dato.
Ora sono Morgan Fabray, abito nel quartiere di Chelsea e appartengo a una famiglia benestante. Frequento l'ultimo anno di liceo e ottengo sempre voti molto alti, soprattutto in chimica. Adoro miscelare gli ingredienti ed ottenere sempre nuove soluzioni. Il mio sogno, non per altro, è diventare un chimico e magari riuscire a scoprire qualche nuovo tipo di cura.
Per questo, i miei amici mi prendono in giro e mi chiamano "secchiona".
Loro non mi fanno mai domande su chi sono e da dove provengo, perché probabilmente hanno sentito parlare della ragazza "comparsa dal nulla", o l'hanno letto nei giornali di sette anni fa. Questo è l'appellativo che mi è stato dato in tutta l'Inghilterra. Sì, sono piuttosto famosa qui. Sono la ragazza senza un passato, trovata a girovagare nei boschi.
Sono quasi una novella "Kyle XY", solo che io l'ombelico ce l'ho.
Ancora oggi, dopo tanti anni, mia madre Evony mi manda da uno psichiatra; purtroppo non serve a niente, ma non demordiamo. Per lei non è un problema il mio passato, ma sa quanto a me faccia male non sapere nulla. Ha anche tentato di ritrovare i miei veri genitori contattando decine di investigatori privati ma niente.
«Sono solo un branco di incapaci amore mio,» mi dice ogni volta che questi le portano cattive notizie, «continueremo a cercare, se è questo che desideri.»
Io la guardo sempre in quei grandi occhi azzurri e sorrido. Impossibile non farlo, con lei. «Mamma,» le rispondo, «mi dispiace che tu debba spendere tanto per me. Io vorrei solo sapere chi sono e da dove vengo, ma non c'è bisogno di sforzarsi tanto..»
Lei mi abbraccia ogni volta, con amore. «Tu sei Morgan Fabray, figlia di Evony e Carl Fabray. Abiti a Chelsea, Londra. Questo, è ciò che sei. Ma continuerò a provarci, amore mio, i soldi non sono affatto un problema, lo sai. A cosa ci servono così tante sterline, se non possiamo fare felice nostra figlia?»
Quando mi risponde così mi viene sempre da piangere. Perché una ragazza venuta dal nulla, che non si ricorda neanche il suo vero nome, è capitata in una famiglia tanto buona? 
«Io sono felice mamma. Ti voglio bene.»
 
Io sono felice, lo giuro.. eppure sono sempre inquieta. Ho costantemente un nodo allo stomaco e l'impressione di dover fare qualcosa. Ah, ma soprattutto ho il sentore di non essere mai al posto giusto. Io non dovrei essere qui. A dirla tutta credo di non essere nemmeno nel tempo giusto.
Lo so, è da pazzi. Forse lo psichiatra mi serve per altro e non per i miei ricordi perduti.
Eppure, ne sono fermamente convinta. La notte quando mi corico, sono sempre agitata, ho i muscoli sempre tesi e la mente sempre pronta, quasi dovessi subire un attacco da un  momento all'altro.
A volte faccio anche dei sogni. Sogno che mi trovo in un castello. Mi ritrovo sempre in un letto a baldacchino con drappi di velluto color porpora e lenzuola di seta in pendant. Al mio fianco una candela, sempre a metà. Quando mi guardo, mi vedo vestita di una tunica a tinta unita panna, di un tessuto morbido e caldo. I miei capelli sono lunghi e neri, con dei bellissimi boccoli intrecciati a sottili fili verde petrolio. Sul comodino un anello con incastonata un'acquamarina.
Il mio sogno si ferma lì, nel momento in cui guardo il gioiello.
Quando mi sveglio ho sempre la fronte imperlata di sudore e un forte mal di testa. Senza contare il senso di estraniamento che mi opprime. La mattina mi alzo e mi guardo allo specchio. 
I capelli neri ci sono, ma sono corti e lisci. Be', sono lisci perché uso la piastra elettrica... ma non credo che avrei dei boccoli così belli e morbidi, se li lasciassi crescere.
 
«Ho fatto di nuovo quel sogno» dissi, mangiando il pane tostato con la marmellata che la cameriera aveva appena servito. Mia madre mi guardò e sorrise, mentre imburrava il suo panino. «Ti deve proprio piacere ciò che vedi, se continui a sognarlo» rispose, lanciandomi uno dei suoi soliti sguardi pieni d'amore. 
«Non lo so..» ammisi, sorridendo di rimando. «Mi inquieta un po'. Insomma, sono anni che faccio lo stesso sogno.. non ti pare un po' strambo?»
Evony mi fissò nuovamente, sorpresa. «Strambo?»
«Sì.. non mi viene altro termine.»
«Tesoro, non iniziare a parlare di cose sovrannaturali perché sai che non le amo particolarmente.»
«Be'.. hai adottato una bambina che sembra esser uscita dal terreno con addosso degli stracci, qualcosa che non va ci dev'essere per forza.»
«Morgan, non mi importa ciò che eri..»
«Importa a me, mamma! Lo sai! Come credi ci si senta a vivere con dodici anni di vuoto assoluto? Per me è come se fossi nata sette anni fa, eppure ne ho quasi diciannove! Come credi che sia vivere in questo modo?»
«Ma amore, mi hai sempre detto che va tutto bene..»
Mandai giù l'ultimo boccone della colazione e bevvi un sorso di caffè, per temporeggiare.
«Ma sì che va tutto bene mamma. Voglio dire, da quel che so ero una vagabonda e ora sono quasi una principessa amata da tutti voi però.. però lo sai. Cerca di capire.»
Evony si alzò e mi abbracciò con dolcezza, accarezzandomi la testa. «Scusa amore, ci provo. Non è facile, ma ci provo. Oggi chiamerò il detective Gordon e vedremo se ci sono novità.»
«Grazie, ti voglio bene.»
«Sì, sì, ma ora vai a scuola»
«Certo!»
 
 
Erano tredici giorni che non avevo un mancamento e lo consideravo un trofeo personale.
Ormai riuscivo a controllare i miei pensieri ed evitavo di pensare al mio passato, ma a volte l'impulso era talmente forte che il tentare di ricordare mi schiacciava. A quel punto sapevo a cosa sarei andata incontro, quindi ormai il dolore che provavo era diventato sopportabile. Quasi una quotidianità, in fin dei conti.
Arrivai a scuola con un sorriso, compiaciuta dei passi avanti che stavo facendo. In più, le prime due ore avrei avuto chimica: non potevo chiedere di meglio!
O almeno così speravo.
Il lavoro a chimica di solito si svolgeva così: due per banco, uno che leggeva gli ingredienti e l'altro che eseguiva. Io preferivo compiere il lavoro del braccio, per cui il mio compagno, chiunque esso fosse, doveva accontentarsi di leggere e di controllare i misurini.
Quel giorno mi capitò il nuovo arrivato, Michele, un romano.
«Ciao» mi presentai, «io sono Morgan»
«Non è un nome da maschio?»
«Parti male ragazzo.»
«Perché ti chiami così?»
«Perché tu ti chiami Mich...»
Ecco, ci risiamo. La mia testa iniziò a girare più forte che mai e mi ritrovai ben presto accasciata a terra. Durò solo pochi secondi, per fortuna, quindi mi rialzai e mi scusai con il professore per l'accaduto.
«Fabray, vai in infermeria» mi incitò l'uomo, sulla cinquantina, alto e bello. 
«No prof, stia tranquillo. Va tutto bene. Sa che è di routine oramai!»
Il professore, che si chiamava King, annuì incerto e tornò agli esperimenti che stava facendo.
Io lo imitai e posai la mia concentrazione nuovamente su fialette e prodotti chimici.
«Senti in Italia questa roba mica la facevo... fai tu.» mi disse Michele, porgendomi il libro delle ricette. Un libro piuttosto pesante rilegato da un tessuto verdone.
«Non è difficile. Devi solo leggere. In Italia insegnano a leggere?» risposi, chiudendo il libro e prendendo alcuni petali di belladonna e pestandoli nel mortaio di legno.
«E tu non leggi?» 
«Oggi voglio improvvisare. Passami delle foglie di ninfea.»
Michele eseguì, prendendo due foglie e posandomele di fronte.
«Senti» mi disse, osservandomi mentre sminuzzavo minuziosamente il prodotto, «cosa ti è successo prima?»
«Ah già, tu non sei di queste parti. Non conosci la mia storia vero?»
«Di cosa stai parlando?»
«Metti quattro misurini di lavanda in un bicchiere con dell'acqua. Riempilo fino a metà circa.» gli dissi, mentre con estrema attenzione facevo sciogliere l'impasto che avevo preparato nell'acqua bollente. «Io non so niente del mio passato e quando ci penso mi capita di svenire. Tutto qui»
«Tutto qui?» ripeté lui incredulo, passandomi l'intruglio che gli avevo commissionato.
«Cioè tu.. in che senso non sai niente del tuo passato?»
«Mi hanno trovata quando avevo dodici anni e l'unica cosa che sappiamo di me è che riuscivo a dire solo Morgan e altre parole indecifrabili. Per questo mi chiamo così.»
«Dove ti hanno trovata?»
«In un bosco in Cornovaglia»
«Cornovaglia eh? E come mai sei a Londra?»
«Mi ci hanno portata»
Mischiai il prodotto di Michele con il mio e si levò del fumo di un tenue colore violetto.
«La Cornovaglia è il paese delle leggende per eccellenza. Quella di Artù è la migliore in assoluto.»
Al suono di quel nome persi un battito, ma non ci feci troppo caso, ogni tanto capitava.
Presi il liquido che avevamo ottenuto e lo versai su un peso del bilanciere. In un attimo questo cambiò colore, diventando di un giallo acceso.
Entrambi ci stupimmo e io feci cadere la boccetta dallo spavento. Ci guardammo increduli e Michele provò a toccare l'oggetto. Al tocco del ragazzo, il ferro ondeggiò come un budino.
«Ma che cosa hai fatto?» mi chiese spaventato il ragazzo. «Cosa sei, la reincarnazione di Fata Morgana?»
Morgana..
Mi sentii mancare l'aria. Provai a respirare ma era come se l'aria cercasse di scappare da me. Provai ad afferrarla con la mano ma ovviamente non ci riuscii, così mi aggrappai al banco da lavoro. Le gambe mi cedettero e caddi in ginocchio. Strinsi le dita attorno alla gola e tossii, sperando che servisse a qualcosa. La vista si annebbiò e intorno a me iniziai a sentire varie voci che si sovrapponevano.
«Morgan!»
«Lady Morgana!»
«Fabray!»
«Sua Altezza!»
Poi, più niente.
 
 
 
 
 
 
  
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