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Autore: Afaneia    19/06/2012    1 recensioni
Chi è Luisa? Un tempo non era nessuno, era solo una piccola ragazza di provincia, una piccola allenatrice di Borgo Foglianova partita all'avventura come tanti, come tutti. E ora? Ora è la Campionessa di Kanto e Johto, dopo aver superato sfide e pericoli e aver sconfitto, dopo anni di viaggio e allenamento, Lance e Rosso, il Presidente della Lega Pokémon e il vero Campione delle due regioni.
Ma la vita continua a cambiare. La piccola ragazza di provincia ora è quasi una donna e i suoi nemici (Rosso, Argento, quel ladro che conobbe il primo giorno del suo viaggio) stanno cambiando e le loro relazioni mutano con loro. E soprattutto, ciò che cambierà definitivamente la sua vita sarà l'arrivo di Ho-Oh, la fenice di fuoco delle leggende, che discenderà dal cielo ad annunciarle una grande verità...
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Lance, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
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Nei giorni seguenti, trascorsi quasi interamente sull’Altopiano Blu, l’Indigo ferveva di preparativi per la Lega.

Lance indossava e smetteva la sua maschera di Campione per organizzare il tutto al meglio. Questa doveva essere la grande Lega, disse, la più grande di tutte, quella durante la quale il mito di Rosso sarebbe definitivamente crollato oppure sarebbe stato innalzato. Non si sapeva ancora. Solo Luisa dimostrava di non avere alcun dubbio.

La ragazza si guardò attentamente, come Celebi aveva detto, ma non notò nulla che potesse rivelarsi pericoloso, neppure quando gli allenatori cominciarono ad affluire per le iscrizioni… tra loro c’era Rosso. Lance, che come al solito soprintendeva alle operazioni di iscrizione, lo guardò con attenzione e si pose deliberatamente alle spalle dell’addetto che lo stava registrando. Rosso lo notò, ma non fece commenti.

“Ha portato le medaglie della Lega di Johto” mandò a dire ai suoi compagni.

“Non ha avuto il coraggio di sfidare Blu” disse Luisa, che osservava le operazioni, con Argento, seduta sul davanzale di una finestra aperta, con le gambe che dondolavano nel vuoto.

“Ha un altro astuccio nella giacca. Se posso fare una supposizione, sono le medaglie di Kanto… senza quella di Smeraldopoli, ovviamente.”

“Che romantico” pensò Luisa, ridendo.

In quel momento Rosso levò gli occhi su di lei e la guardò. Luisa rispose al suo sguardo e vide le sua labbra sillabare queste parole: non studiare gli altri, sarò io a vincere.

E Luisa rispose: Lo so.

Lance intuì questo scambio di battute, ma non guardò Luisa e fece anzi per allontanarsi. Prima di entrare, però, Rosso si voltò verso di lui e lo chiamò: “Lance!”

“Cosa c’è?” rispose Lance girandosi, le mani dietro la schiena.

Con un sorriso, Rosso sollevò due dita. Lance avvampò e barcollò come per un colpo ricevuto. Rosso scoppiò in una risata ed entrò nell’edificio.

“Hai visto?” esclamò Argento. “Cosa si saranno detti? Che gesto ha fatto Rosso?”

Luisa s’incupì. “Questo gesto” rispose sollevando le dita.

“Cosa diamine significava, lo sai?”

La ragazza si passò una mano sugli occhi. “Sostanzialmente, significa: stai attento, perché questa sarà la mia seconda vittoria su di te.

 

I tre assistettero alle eliminatorie dal palco privato di Lance, come imperatori su di un’arena.

Rosso sconfisse tutti con gli occhi pieni di noia. A ogni vittoria, guardava in su, verso la tribuna, e guardando Lance ripeteva quel gesto. Oppure, guardando Luisa, le rivolgeva un sorriso. Frattanto, gli ospiti stupivano di un allenatore tanto forte.

Il giorno della Lega, i Capipalestra raggiunsero l’Indigo. Blu era tra di loro, e nonostante il caldo teneva addosso il mantello. Era pallidissimo, cogli occhi innaturalmente grandi e cerchiati, le labbra pallide; spesso beveva da una bottiglietta d’acqua, che finì molto presto. Aveva la febbre e, impietosita, Jasmine mandò a prendergli dell’altra acqua.

Nonostante la freddezza che dimostrava e l’arroganza e la strafottenza, Rosso non riusciva a impedirsi di guardarlo. Durante una pausa, dopo aver sconfitto Bruno, Lance mandò un uomo a portargli un biglietto. C’era scritto: Lance chiede se Rosso desideri sapere della salute di Blu.

Rosso lesse il biglietto e girandolo scrisse sul suo retro: Rosso ringrazia infinitamente e accetta l’offerta.

Non avrebbe accettato nulla se non si fosse trattato di Blu, probabilmente. Quando gli arrivò il biglietto seguente, sorrise, rasserenato. Diceva: Solo qualche linea di febbre nervosa.

Infine, Rosso sconfisse Agata e venne il turno di Lance. Tutto era avvenuto così in fretta che ancora il sole non era alto- dovevano essere le undici.

Era la prima volta che Lance si mostrava preoccupato per una battaglia. Cercò di non darlo a vedere, eppure non ne era capace. Scese in campo e cominciò a combattere.

Era straziante vederlo soccombere sotto i colpi incessanti del nemico; Luisa afferrò la mano di Argento. Pochi minuti dopo, Rosso vinceva.

Gli applausi furono pochi e brevi. Blu sorrise appoggiandosi sulla fronte un fazzoletto umido, nel quale badò, forse troppo tardi, di nascondere il proprio sollievo.

Lance rimase a lungo fermo al centro della propria postazione, incredulo. Rosso avanzò fino al centro del campo e si fermò ad aspettarlo.

“Paura?” chiese muovendo appena le labbra.

Il Superquattro si riscosse. Socchiudendo gli occhi, raggiunse l’avversario. La stretta delle lor mani fu breve ed evidentemente fredda.

“Non è per te che sono qui. Tu non c’entri niente.”

“Lo so. Ma non riuscirai a sconfiggerla…neppure questa volta.”

Rosso guardò direttamente Blu. “Ce la farò, invece.”

Lance sospirò. Spingendo indietro il piede, fletté il busto in un inchino rapido ma che tutti videro, e che sprofondò l’Arena intera in un silenzio incredulo.

Per la prima volta, Lance si era inchinato pubblicamente a un avversario. Rosso rimase immobile a guardarlo. Sollevandosi rapidamente, Lance gli rivolse un sorriso.

“E tu farai lo stesso con lei, se vince.”

In un gesto anco più veloce, sbatté i tacchi e gli diede le spalle, dirigendosi a passo svelto verso la tribuna.

Stupito, Rosso gettò uno sguardo preoccupato su Blu, quindi si ritirò a sua volta.

Lance raggiunse i suoi compagni sul palco. Luisa gli tese le braccia, ma egli rimase immobile a guardarla.

“Sapevo che non ne sarei stato in grado. Tutti lo sapevamo. Ora tocca a te.”

“Vieni qui” disse la ragazza. “Abbracciami. Dammi un po’ del tuo coraggio.”

“Che coraggio?” replicò Lance, ridendo d’una risata che nulla aveva di gioioso.

“Il coraggio d’inchinarti. Tu sai che io non l’avrei trovato.”

“Ci sono cose che si devono fare.”

Luisa si protese verso di lui e lo baciò sulle guance. “Sarà bene che vada giù, ora. Non posso stare qui. Sono troppo emozionata.”

Alzandosi, si accostò alla porta del palco. Soffermatasi sulla soglia, si appoggiò per un istante allo stipite.

“Lance…”

“Dimmi tutto.”

“Avevi ragione tu, sai. Questa sarà una grande Lega. E poi…” sorrise. “C’è mio padre a vegliare su di me.”

“Vai, ora” mormorò Lance senza guardarla.

“Aspetta, Luisa” disse invece Argento, infrangendo per la prima volta il proprio silenzio. Quando Luisa si voltò a guardarlo, si stupì di trovarlo molto preoccupato.

“Quello che tuo padre ti diceva… lo sento anch’io, ora. È nell’aria, è nell’Arena… un pericolo su di te. Fai attenzione, ti prego.”

“D’accordo” riprese Luisa. “Starò attenta. Promesso. Ma cosa può accadermi mai? È solo una sfida. Andrà tutto bene.”

Argento le rivolse un sorriso tirato. “Può darsi.”

Colpita da quella risposta, Luisa aggrottò le sopracciglia. Non gli rispose. Scese in fretta le scale e raggiunse l’uscita del breve tunnel.

 

Ecco, inizia la battaglia. I due si schierano sul campo, l’uno per il suo sogno e forse per il suo amore, l’altra per difendere ciò che ha ottenuto.

“Combatti bene” disse Rosso. “Questa sarà l’ultima volta che ci sfidiamo.”

“L’ultima? Davvero non mi sembra vero” rispose Luisa con gli occhi scintillanti di provocazione.

E il pubblico non capiva che cosa stessero dicendo, poiché solo loro sapevano.

Rosso schierò il suo Pikachu, e Luisa che voleva umiliarlo avrebbe potuto scegliere il suo Sandslash o il suo Aerodactyl, ma scelse Gyarados.

“Combatti bene anche tu, Rosso, perché oggi ci guardano e lo sai” e ammiccò con gli occhi verso il cielo.

Rosso avvampò e le inveì contro furente, indignato, ogni istante più disperato: “Io non posso perdere oggi e anche tu sai perché! Combatti allora, dai!”

E ripresero a lottare, quelle due anime che non erano capaci di fare altro. E a ogni metro di terreno che perdeva, Rosso tremava. Ma Luisa non aveva pietà e infieriva su di lui come una belva ferita, perché voleva che capisse che non da lei dipendeva la sua felicità o il suo amore, né da Thyplosion né da Charizard, e neppure da Ho-Oh o da Celebi: dipendeva da lui.

E non poteva imputare niente a Ho-Oh o a lei, o al suo Pikachu o al suo Espeon che persero entrambi… o al suo Venusaur che sparò verso il suo Thyplosion foglie aguzze come lame, ma che forse non aveva fatto i dovuti calcoli.

Luisa vide avvicinarsi quella foglia e stupidamente continuò a guardarla, vicina, ogni istante più vicina, finché non poté più vederla e pensò che se ne fosse andata, e poi sentì un bruciore tremendo e quel bruciore le strappò un grido…

“NO!”

Era la voce di Argento, o quella di Lance… ma perché quel grido?”

E… perché quando si toccò il petto bruciante, ritirò la mano sporca di sangue?

E perché le venne da piangere, ritrovandosi a terra, impolverata e sanguinante?

Perché Rosso faceva di corsa il giro del campo per venire da lei…?

“VAI VIA!”

Rosso si fermò a metà strada, stupito; guardò lei, guardò Lance, chiedendo con gli occhi cosa dovesse fare.

“Torna là… finiamo qui! Vai!”

“No, tu stai male, ti esce il sangue” balbettò il ragazzo.

“No! Finiamo, voglio finire!”

“Luisa! Basta ora, continuerete poi!” gridò Lance, in piedi sulla tribuna, appoggiato alla balaustra.

“No…no, ora, ora!”. Era disperata. Sollevò gli occhi, ch’erano grigi ma ora arrossati e pieni di lacrime, sull’avversario. “Gli hai promesso un anno…oggi è un anno. Finiamo, e Ho-Oh sarà qui per attenderti, Rosso!”

Suonò come una minaccia. Rosso tremò e guardò in alto. Lance si voltò verso Argento.

“Vuol combattere… senti, lo senti come batte il suo cuore?” domandò egli con gli occhi fissi.

“Vuol combattere… lasciamola” disse Lance. Guardò Rosso e annuì. “Vai, allora.”

Stupito, Rosso tese la mano alla ragazza e l’aiutò ad alzarsi. Luisa barcollò: quanto sangue, quanto dolore, e com’era leggera la sua testa!

“Vai ora, o morirò prima che…”

Non finì la frase, ma Rosso aveva capito prima ancora ch’ella parlasse. Tornò di corsa al proprio posto.

Luisa combatté fino allo stremo, tenendosi con le braccia quella ferita che le attraversava il petto intero… sulle tribune, sua madre urlava per farsi sentire, per farla smettere. Lontano e vicino alla figlia, Celebi pregava. Chi? Neppure lui sapeva.

“Lance! Lance, falli smettere! Per amor di Dio, Lance, tu sei suo amico, falli smettere, falli smettere!”

Ma Lace non ascoltava, pregava: curvo sul parapetto della tribuna, la fronte tra le mani, gli occhi chiusi; al suo fianco, Argento era in piedi, proteso in avanti a osservare la battaglia…

Le mani lividissime strette sul ferro della balaustra, Blu guardava, incapace di fare altro; nel sedile accanto al suo, Sandra si era alzata e mormorava: “Mio Dio, morirà se nessuno fa qualcosa! Perché Lance non dice niente?”

“Perché lei non saprebbe accettarlo” rispose Blu a bassa voce.

Luisa continuava a battersi, nel frattempo. Non capiva più niente: si sentiva la mente vuota. Non sentiva neppure più il dolore. Thyplosion agiva senza attendere il suo ordine, lei non riusciva più a pensare. E diceva a bassa voce: “Papà, papà, non so se ce la faccio…”

Neppure Rosso riusciva a concentrarsi. Luisa lo notò e singhiozzò: “Non ti distrarre! Questa sarà l’ultima volta e voglio che sia indimenticabile!”

E Rosso capì perché combattevano, e perché doveva obbedirle.

Riprese ad attaccare, sempre più forte e con maggiore intensità. Era migliorato davvero.

“Sei bravo, sai! Sei diventato bravo davvero, forse stavolta mi batti.”

“Non parlare, stupida! Non sprecare le forze!”

“Che vuoi che m’importi a questo punto?” E voltandosi Luisa ebbe un conato e vomitò sangue scuro…Rosso rabbrividì, ma subito si riscosse: “Getto d’acqua!”

“Lance, Lance, digli che smettano, falla smettere o morirà!”

“Ruotafuoco!”

Mew volava sopra di loro, troppo leggiadro perché qualcuno potesse vederlo; solo Luisa percepì la sua presenza.

“Mew…sto bene.”

Mew non rispondeva. Luisa continuò a combattere fino a ritrovarsi in ginocchio. Nessuno demordeva. Infine, Rosso chiamò Charizard, la sua ultima carta. A Luisa sanguinava la bocca e non poté dire nulla, e Thyplosion agì per suo conto...

Rosso arretrò vedendo Charizard sconfitto, Charizard, il suo caro amato Charizard… si voltò a guardare Blu, ma il Capopalestra non rispose al suo sguardo.

Luisa era a terra. Con un balzo, Argento scavalcò la balaustra e le fu vicino. Lance fece un segno ai paramedici e si lanciò lungo le scalette. Quando la luce cessò di accecarlo per un attimo, fuori dal breve tunnel, vide una barella già a terra e quattro camici bianchi già pronti a caricavi la ragazza. Argento era immobile presso di loro.

“Lance, Lance, perché l’abbiamo lasciata combattere?”

Il Presidente rimase in silenzio, guardando la compagna disposta sulla barella, col sangue sulla bocca e una gran macchia nera e densa sul petto.

“Perché dovevamo…ci avrebbe perdonati altrimenti? Voi, a che ospedale la portate? Fiordoropoli?”

“No, non ce la facciamo” disse uno dei medici. “La ricoveriamo qui, poi si vedrà.”

“Oh, Lance, non può morire ora, è una semi…” Argento si bloccò, imporporandosi. “Lance! È una semidivinità!”

“Parla più piano! E allora?”

“Lance, le trasfusioni!”

Lance barcollò, si appoggiò alla spalla di Argento e mormorò: “No, no, bisogna bene che non la tocchino!”

Si lanciò di corsa verso il piccolo tunnel. Rosso era già scomparso dall’Arena. Argento fece per inseguire Lance, poi si ricordò della mamma della ragazza. Tornò di corsa verso le tribune e la cercò con gli occhi nella folla che premeva, pigiava per uscire e avere notizie della Campionessa.

“Signora! Signora Monica, venga, di qua!”

Monica lo vide e, voltandosi, a fatica fendette la folla col suo piccolo corpo per raggiungerlo. Si curvò si di lui e gli tese le braccia, esclamando: “Come sta? Come sta?”

“Non so ancora. Venga, la mando da Lance.” Dicendo questo, Argento le tese un braccio, aiutandola a scavalcare la tribuna, e la depose a terra, nell’Arena. Le indicò il tunnel. “Passi di là sotto, eviterà gran parte della folla, vada di corsa e chieda di Lance! Vada!” e la spinse via.

Rimasto solo si guardò intorno, domandandosi dove Rosso potesse essere finito.

Blu era rimasto solo nel palco dei Capipalestra. Teneva il viso nascosto nel fazzoletto. Argento lo raggiunse con poche falcate e si appese al parapetto per parlargli. Blu lo vide e allontanò il fazzoletto dal volto. Stava piangendo, ma stavolta non si curava di mascherarlo.

“Argento…che piacere. Mi sai dire come sta Luisa? Sono in pensiero” disse coma parlando del tempo.

“Non so ancora, sto andando da Lance, è a parlare con i medici, io…devo fare una cosa qui, prima. Perché sei solo?”

“Preferisco restare un po’ qui. A nessuno dispiace, vero? Mi piace questo posto.”

“Blu, Rosso è…”

“Argento. Non parliamone più, ti prego. Ho fatto voto di dimenticarlo se… e adesso, hai visto. Ti prego.”

Era pallido, febbricitante. Argento balzò a terra dal parapetto. Si stava avviando di corsa verso il tunnel quando, d’un tratto, sentì la presenza di Mew. Con la coda dell’occhio vide la punta del suo musetto rosa.

“Mew! Cosa ci fai qui?”

“Celebi mi ha mandato. Sta venendo qui.”

“Sta arrivando?”

“Sì. Sì occuperà lui di sua figlia. Non devono toccarla. Lance discute con loro, ora. Va’ da lui.”

Argento non rispose neppure, ma si mise a correre. Percorse il tunnel come una folata di vento e prese il passaggio segreto che Lance aveva mostrato loro alcuni mesi prima, la notte in cui era cambiato tutto. Sapeva che avrebbe impiegato meno tempo raggiungendo l’edificio per via esterna, ma sospettava che si sarebbe certamente trovato imbottigliato nella ressa che certamente si stava formando al piano terreno e davanti alle porte. Raggiunse dunque dall’alto il primo piano, dove la ragazza era ricoverata. Vedendo fuori dalla finestra la folla che premeva sull’ingresso, e poi quella che aveva già raggiunto il piano terra, si disse d’aver fatto bene a impiegare quei pochi minuti in più.

Lance era di front alla porta del pronto soccorso che era stato rapidamente adibito, con strumentazioni di fortuna, per ricoverare la ragazza. Era rosso in viso, e sul suo volto accaldato si mischiava un insieme umido di sudore e lacrime. Gridava: “Lei è contraria, per la sua religione… il sangue immondo… e gli estranei non devono… non vuole, non potete farlo!”

“Lance” lo interruppe il dottore con sguardo severo “Morirà! Sta già morendo. Ti sei preso la responsabilità di lasciarla combattere, ora non prenderti anche quella di lasciarla morire!”

“Aspettate, aspettate un attimo!”

“Lance!” gridò Argento, facendosi largo a stento tra la folla. “Lance, sta arrivando…il dottore!

“Eh? Che dottore?”

“Il suo dottore…quello del sangue!” e soggiunse: “Celebi.”

Lance s’illuminò vedendo i proprio dubbi fugati da quella parola.

“Sta arrivando il dottore, il suo dottore, il medico che la segue. Lui può toccare il suo sangue, voi no. Lui è…”

“Una specie di sacerdote” disse Argento.

Il medico con cui lance si era dibattuto fino ad allora era un bell’uomo, sulla quarantina, di capelli folti e scuri, cogli occhi neri e le labbra livide e strette.

“E tra quanto arriva, questo vostro dottore?”

“Poco” rispose Argento. “Lui è molto veloce.”

“È vicino” aggiunse Lance. “Manca poco. Due, tre minuti.”

Il dottore strinse le labbra. Scrutò con gli occhi i colleghi, quindi rispose: “Molto bene. Stiamo preparando i ferri e le siringhe. Se tra cinque minuti non è qui, noi iniziamo.”

“Grazie” risposero in coro i due Prescelti.

Nessuno dei presenti si era accorto che, nei pochi minuti che Lance e Argento avevano strappato ai medici, Mew si era seduto sul petto della ragazza e, col proprio respiro, le aveva donato qualche minuto di vita. Le voleva molto bene.

La scala che conduceva dal piano terra al primo era stata bloccata. I solo che avessero il permesso di passare erano i cosiddetti addetti ai lavori. La madre di Luisa non era riuscita a raggiungere la scala, probabilmente. Argento si sporse sui gradini, quindi li discese a grandi falcate per vedere meglio. Sopra di lui, Lance consultava un orologio.

“Quanto è passato?”

“Un minuto, un minuto e mezzo…”

“E ora?”

“Manca ancora un po’” mormorò Lance, scrutando con occhi affannati il gran lavorio dei medici che si adoperavano intorno alla stanza.

Eccolo là, nella folla: un signore distinto e bello, d’età indefinibile, cogli occhi grandi e languidi d’un verde luminoso, e fu da essi che Argento lo distinse.

Istintivamente la gente si scansava al suo passaggio. Celebi raggiunse senza problemi la scala. Argento scese di corsa ad aprire il cordone per farlo passare.

“Sei tu? Non c’è tempo per sbagliare.”

“No, non ce n’è. Portami da lei.” E salì di corsa le scale mentre Lance, trionfante, abbassava l’orologio.

L’infermiera Joy aprì la porta della saletta. Mew si sollevò immediatamente fino al soffitto, ma poi, riconosciuto Celebi, tornò ad abbassarsi.

“Grazie” gli disse Celebi distrattamente, curvandosi sul petto della figlia. La forza di Mew le permise di aprire gli occhi un momento e guardarlo, e quegli occhi erano mostruosamente grandi e colmi di lacrime nel viso pallido e il suo stesso sangue le gocciolava dalla bocca sul petto e sulle spalle.

“Fate chiudere la porta” disse il sedicente medico togliendosi la giacca. “Voi potete restare” soggiunse rivolto a Lance a Argento.

Joy richiuse la porta, cui Mew andò ad appostarsi davanti, sorta di sentinella. Celebi tolse il corto giubbotto della figlia, le sfilò la maglia rosa intrisa di sangue. Il reggiseno, che era stato tranciato a metà dalla traiettoria della foglia, penzolò miseramente sui fianchi insanguinati della ragazza. Celebi lo scacciò con rabbia. La ferita attraversava quasi per obliquo il torace della ragazza, aveva bordi slabbrati e irregolari che a Celebi non piacquero; ma più ancora egli temeva lesioni interne al corpo della figlia… fece cenno a Lance a Argento di voltarsi di lato e poi, con gli occhi stretti contro la paura e contro la morte, cacciò due dita di una sua mano mortale dentro la ferita.

D’improvviso la ragazza diede in uno spasmo incontrollato: il suo corpo s’inarcò innaturalmente ed ella sgranò gli occhi e gettò un grido atroce che squarciò l’aria dell’Altopiano…

“Ferma! Tenetela ferma!”

Istintivamente Lance si gettò sul lettino dov’era adagiata la ragazza e afferrandola per la vita la tirò di nuovo verso il basso, poiché Celebi non poteva rischiare che si agitasse mentre la toccava così profondamente… si sentì montare addosso una gran nausea, ma poi, dopo pochi secondi, ecco una sensazione nuova, diversa… che cos’era?

Ecco, lo vedeva: dalle dita di Celebi scaturiva una luce ch’era divina ed era luce d’amore e di vita, una luce dorata che s’infondeva nelle carni della ragazza e portava via un poco di vita da quella di Celebi, che però era immortale… sì, risentiva lui stesso di quella luce ch’era dio ed era amore, ed era la vita del mondo, e si sentì in qualche modo lui stesso più in forze.

Celebi gridò: “Argento! Prendi la valigetta che ho portato.”

Argento si volse: la valigetta cui Celebi si riferiva era su un tavolo vicino alla porta. Corse a prenderla. Quando si trovò di nuovo vicino al lettino, vide che Luisa giaceva di nuovo senza forza sul telo prima bianco e ora intriso di sangue al punto tale da gocciolare, ma che il suo corpo intero veniva scosso da brividi come di febbre… Lance era caduto su uno sgabello, bianchissimo in viso, e si fissava le mani e le maniche della giacca e il mantello sporchi di sangue…

“Argento! Apri la valigetta.”

Celebi si era discostato dal lettino della figlia e ora stava in piedi, ma con le gambe leggermente ripiegate, appoggiato con la schiena al muro, e si arrotolava con la mano la manica della camicia azzurra. “Passami una siringa.”

Argento obbedì: gli tese la siringa, ma quasi a casaccio, verso Celebi, poiché i suoi occhi vagavano, irresistibilmente attratti, verso le ultime scintille dorate che finivano di risanare la ferita, riaccostandone i lembi al di sopra della carne… Celebi afferrò lui stesso quella siringa e se la cacciò nel braccio umano, dentro le vene azzurrine che pulsavano sul suo incarnato bianco e luminoso…

Ecco, qualche minuto dopo, era finita: una flebo gocciolava piano, lentamente…

“Perché il tuo sangue?” domandò Lance dopo un momento. Ancora egli si fissava le macchie quasi nere che spiccavano sulle sue braccia, sul suo mantello scarlatto… “Non sarebbe bastato quello di…”

Prima che potesse finire di parlare, Celebi sollevò le mani.

“Sono il solo essere come lei su questo pianeta” disse. Sorrise guardando la figlia, che aveva coperto di un leggero telo verde da ambulatorio.

“Devi lasciarci subito?”

“No” mormorò Celebi.

Lance assentì col capo.

“Sarà utile che avvertiamo sua madre che va tutto bene” disse. “Vorrà entrare per vederla…”

Ed egli già accennava a uscire dalla stanza, ma Celebi mormorò: “Aspetta. Vorrei farlo io.”

Sorpreso, Lance si fermò sussultando e si volse a guardarlo. Ma poi vide che nei suoi occhi di dio e d’immortale c’era un rimpianto infinito che pareva non quietarsi mai, neppure col sonno, neppure con la morte, e che in lui brillava qualcosa che non era né etereo né trascendente, ma incredibilmente immanente e amaro, era qualcosa di umano e infranto, era il suo amore perduto e carico di dolore…

“Molto bene” disse fermandosi, e discretamente distolse lo sguardo dalla porta e chinò gli occhi. Celebi baciò sulla fronte la ragazza e poi gli passò accanto senza guardarlo, leggero come un fruscio. Argento restava immobile, ora seduto accanto al lettino, con gli occhi vacui e spenti e una pallida mano insanguinata, che non era la sua, stretta tra le grandi mani forti…

Riconoscendo Monica, Joy l’aveva aiutata a salire al primo piano ed ella attendeva ora nell’ingresso. Incapace di stare seduta, la signora aveva abbandonato la borsa a terra e passeggiava in su e giù lungo il corridoio, coi lunghi capelli che, dallo chignon castigato della sua vedovanza, ora scendevano sfatti e nervosi attorno al suo collo bianco, sul suo volto arrossato e sfatto, ma sempre bello…

Celebi tossì per farsi sentire. Monica si voltò e si precipitò da lui; quegli sorrise, e, sollevando le mani, mormorò: “Vive.”

“Oh, ma grazie, grazie! Dio, grazie, grazie!” gridava la donna sciogliendosi in lacrime, e afferrandogli le mani le baciava…

Ma il sorriso dell’uomo si fece più triste ed egli mormorò: “Dio, grazie: hai detto bene!” poi alzò la voce e disse, sorridendo: “Via, via, che ho fatto io? Ora non esageri. Sua figlia è forte, il merito è suo.”

Ma il pianto della donna non accennava a smettere: ella piangeva di gioia, piangeva d’amore… Celebi l’allontanò da sé e sorridendole le disse: “Se vuole può entrare a vederla. Ma non pianga troppo forte! Non bisogna far rumore.”

Monica annuì, muta, pulendosi gli occhi col fazzoletto, e guidata da lui entrò nella stanza. Luisa riposava, ora, pallidissima ma salva nel suo letto di fortuna, e quella fu la prima volta, dopo molti anni, che Celebi e quella donna da lui idolatrata si trovavano insieme al capezzale della figlia.

 

Trascorsero varie ore prima che tutto si acquietasse intorno a loro. Solo verso le sei di quel pomeriggio l’Altopiano Blu si svuotò definitivamente e il vasto ed eterogeneo gruppo degli spettatori, degli allenatori e dei giornalisti finì per disperdersi intieramente. All’Indigo rimasero in pochi: l’inferma e i due Prescelti, Monica, Celebi, i Superquattro e poi, persino, i due professori che, prima di far ritorno ai rispettivi laboratori, desideravano far visita alla Campionessa. E infatti, fu poco dopo le sei che Luisa si svegliò. Al suo fianco c’erano i suoi compagni.

A fatica, la ragazza tentò di alzarsi dal letto e immediatamente Argento si precipitò a trattenerla.

“Argento…che cosa è successo?” domandò allora Luisa con spavento. Aveva paura di scoprirlo. Si toccò il petto col braccio libero dalla flebo: il leggero telo di lino verde le era scivolato di dosso scoprendole il petto, ed ella lo sollevò più per abitudine che per vergogna dei suoi compagni. “Perché sono qui? Cos’è successo?”

“È tutto a posto” rispose Lance inginocchiandosi accanto al letto per prenderle la mano. “Come ti senti, piccola? Che cosa ti ricordi?”

“La battaglia” borbottò Luisa, contraendo dolorosamente la fronte per ricordare. Sussultò a quel pensiero. “Rosso! Chi ha vinto?”

“Tu, ovviamente” disse Argento dolcemente. “Sei svenuta subito dopo e ti hanno operata d’urgenza qui.”

“Il sangue!” esclamò Luisa. “Il mio sangue non è…”

“Sht” disse Lance. “Lo sapevamo. Non ti preoccupare. È stato tuo padre a salvarti.”

“Papà è stato qui?”

“È ancora qui” replicò il ragazzo alzandosi. “Vuoi che te lo andiamo a chiamare?”

“Non subito…e la mamma?”

“Anche lei è qui e ora è con Joy ad aspettare che tu possa vederla.”

“Devo vedere prima lei. Sarà preoccupata, e deve tornare a casa…papà capirà.”

“Certo. Vado a chiamartela” disse Argento scomparendo in corridoio.

Luisa rimase in silenzio nel letto, cupa e pensierosa. Sedendosi accanto a lei sul materasso, Lance le sorrise. “Come ti senti?”

“Così, come…benino” disse Luisa. “Che è stato esattamente?”

“La foglia ti ha tagliata da qui a qui” spiegò Lance, indicandole sul proprio petto la traiettoria che aveva avuto luogo sul suo. “Tuo padre ha bloccato l’emorragia e curato le lesioni interne, poi ti ha dato il suo sangue perché tu potessi…”

Poiché la ragazza chinava lo sguardo, Lance non terminò la frase.

“E Rosso? Dov’è finito Rosso?”

“È scomparso, si è dileguato nella confusione…non sappiamo dove sia, ora.”

“Capisco.”

“Tu, invece. Come ti senti?”

“Bene, credo. Me l’hai già chiesto.”

“Intendevo…”

“Ah.” Luisa non lo lasciò finire. “È che per un momento…mi è parso…che sarei morta.”

“Perché hai voluto continuare a combattere, Luisa? Sapevi che era una pazzia.”

“Secondo te?”

“Non sarà stato per Blu?”

Luisa scosse lentamente il capo. Gli sorrise. “No…no, che sciocchezza. Io volevo combatter, Lance, volevo semplicemente avere la mia ultima battaglia con Rosso… indimenticabile, proprio come desideravo che fosse.”

Lance si alzò dal letto e s’inginocchiò accanto a lei, sul pavimento della stanza, per prendere quella sua pallida mano accasciata sulle coperte. “Sei stata molto coraggiosa, lo sai?”

“No, Lance. Credo di essere solo stata stupida. Penseranno che l’abbia fatto solo per fare un po’ di scena.”

“Non dire così. E poi… noi sappiamo qual è la verità.”

“Grazie, Lance” disse la ragazza. E tese le braccia per stringerselo al petto. “Ho avuto paura, sai. Non lo dirò a nessuno oltre a voi, forse… qualcuno potrà pensare che io l’abbia fatto così, senza pensare, per il semplice gusto di combattere perché semplicemente volevo farlo, ma non è per questo. Volevo che questa battaglia fosse quella decisiva, volevo ricordarla sempre…”

Lance la guardò sorridendo. “Sei una persona molto forte, lo sai.”

La porta si aprì a questo punto. Argento ne fece capolino mormorando: “Luisa, il professor Oak e il professor Elm sono rimasti per vederti, ma tra poco dovranno andare via… te la senti di vederli insieme a tua madre o preferisci che tornino a trovarti domani?”

Luisa guardò Lance e riportò lo sguardo su Arento. Disse lentamente: “Sì, purché ci siate anche voi…più tardi farete entrare mio papà.”

Argento annuì e, aperta la porta, si volse indietro e disse a qualcuno alle proprie spalle: “Se la sente di vedervi tutti e tre.” E fece entrare i due uomini, e al braccio del più giovane, pallida e stravolta da non reggersi in piedi, c’era Monica che immediatamente cadde seduta dove poco prima Lance si era alzato.

“Dio, come sei stata stupida a voler continuare a combattere!” gemette, piangendo ma sollevata, con la bocca coperta dalle mani.

“Mi dispiace d’averti fatto preoccupare” disse Luisa con un sorriso colpevole.

“Oh, ma se non fosse arrivato quel dottore…quel dottor…”

“Si chiama Jude” disse Lance immediatamente. “Dottor Jude.”

“Mai sentito” mormorò Oak con gli occhi bassi. A quelle parole, fulmineamente, gli sguardi dei tre giovani corsero a incontrarsi.

“Sospetta qualcosa…non ha mai sentito parlare di un medico così abile” disse Luisa, colpita.

“Potremmo dirgli che viene da Hoenn” replicò Argenti, prendendole la mano per dissimulare quel silenzio.

“No. Come avrebbe potuto arrivare così presto?” disse Lance. Disse ad alta voce: “Luisa è stata avventata, ma oggi ha scritto un capitolo nella storia della Lega Pokémon. Mio padre avrebbe voluto vedere una sfida simile.”

“E lei, professore? Che cosa ne pensa?” domandò la ragazza volgendosi verso Elm. Sentendosi chiamato in causa, egli sollevò la testa e le disse sorridendo: “Penso che tu abbia avuto un coraggio inusitato, Luisa. E che il tuo sprezzo del pericolo…”

“Non è stato sprezzo del pericolo” lo interruppe Luisa, ma senza freddezza: “Ho avuto paura.” Poi, baciando la mano della madre, mormorò: “Non sarai per caso arrabbiata con me?”

E la donna dovette scuotere il capo, esausta, pallidissima, dicendo: “No, ma è vero che mi farai morire!”

“Luisa” disse il professor Oak, con voce nitida e forte “Presto avrò bisogno di parlarti in privato per qualche minuto, ma dato che non è urgente, posso tornare domani.”

Luisa avrebbe volentieri trovato qualche scusa, e in effetti non sarebbe stato difficile, per rifiutare di parlare con lui da solo a sola. Ma poiché sapeva che Lance amava molto quell’uomo, e soprattutto a causa della propria curiosità, gli disse che appena sua mare fosse tornata a casa avrebbero potuto parlare.

Difatti sua madre la lasciò pochi minuti dopo, in compagnia del professor Elm. Rimasta sola coi propri compagni e col luminare, la ragazza gli chiese per quale motivo le avesse richiesto un colloquio privato.

Egli sedette per prima cosa e prendendole la mano le disse: “Luisa, tu ricordi quella conversazione che avemmo, circa un anno fa, nel mio laboratorio…”

“Sì, professore…la ricordo.”

“Hai pensato a quello che vi dissi?” domandò Oak molto seriamente. Luisa gettò uno sguardo ai suoi fratelli e rispose sorridendo: “Sì, professore, ci abbiamo pensato moltissimo!”

“Voglio augurarmi che tu non l’abbia fatto per quel motivo” disse l’uomo molto seriamente.

“Per…per quel motivo?” domandò Luisa senza capire.

“Intendo dire… che tu non l’abbia fatto per ottenere l’approvazione di Ho-Oh.”

“No, professore… si calmi. Io non voglio diventare… diventare come Rosso” disse Luisa con decisione, ma guardando altrove.

“Mi fa piacere sentirtelo dire” mormorò l’uomo. Lance vide che non era convinto e chinatosi su di lui gli disse: “Professore, mi creda… noi non stiamo facendo nulla per ottenere il consenso dei Pokémon Leggendari o di Ho-Oh…assolutamente niente.”

“Se volesse, potrebbe chiederlo anche al nonno di Bill” intervenne Argento. “Ha più parlato con lui?”

Oak annuì e disse: “Sì, certo…in varie occasioni. Di voi, m’ha detto che non c’è da preoccuparsi, ma comunque…”

“E allora, di cosa si preoccupa?” esclamò Luisa. “Si fidi di lui, se non di noi… e non si preoccupi. Tutt’al più, se potesse…” Esitò e guardò i suoi fratelli, in cerca di sostegno. Proseguì: “Dicevo, se potesse… se ha un po’ di tempo, dia un’occhiata a Blu, dal momento che ora…”

Il professore capì le sue intenzioni prima ancora che la ragazza finisse di parlare. Sollevando una mano, si affrettò a rassicurarla dicendo: “Non temete…ci penserò io, per almeno qualche giorno, a occuparmi di Blu. Vedrete che sarà di certo tornato a Biancavilla…per un po’ di tempo, me lo terrò vicino. E per il resto…ma prima o poi se ne farà bene una ragione.”

“Lo spero per lui” commentò Luisa a bassa voce.

Più o meno convinto, il professor Oak si decise comunque a lasciar loro il beneficio del dubbio e a porre fine così, cordialmente, alla propria visita. Quando lo scienziato li ebbe lasciati, Luisa si riposò per qualche minuto, bevve un po’ d’acqua e si disse disposta a vedere Celebi.

Inizialmente, Celebi entrò in forme umane, le forme che aveva assunto per venire a salvarla. Ma poi, quando Argento ebbe chiuso la porta alle sue spalle, allora si lasciò andare e rilassò le membra stanche e di nuovo fu Celebi, un’ombra, una nube, un soffio, una presenza, Celebi di nuovo…

“Papà” esclamò Luisa tendendogli le braccia.

“Quanto coraggio hai dimostrato oggi! Mai nessuno avrebbe potuto aspettarsi tanto, neppure da una principessa! Se tu sapessi quanto sono orgoglioso di te” mormorò Celebi nelle sue orecchie.

“Ho preso da te” disse Luisa staccandosi da lui. “Grazie per avermi salvata.”

“E per cosa mi ringrazi?” domandò Celebi. “Per non averti voluta perdere per la seconda volta?”

Guardò Lance e Argento e divenne uomo, nelle forme che aveva assunto tanti anni prima per contrarre matrimonio mortale: “Dovrete aiutarla per qualche tempo. Per una o due settimane dovrete rinunciare ai vostri viaggi… io ho potuto salvarla, ma è giusto che la ferita segua il suo corso.”

“Ti ringrazio” disse la ragazza. Si toccò il petto e disse ancora, guardando altrove: “Questa è stata la mia ultima vittoria su Rosso. Ma ora lui ha perso e non potrà dimostrare di meritare il consenso di Ho-Oh… della sua vita piò decidere da solo, ma mi dispiace per Blu. Che ne sarà di lui?”

“Non pensarci, ora” disse Celebi. “Dopotutto, se non sono in grado di vivere insieme soltanto perché Rosso si aggrappa, come un folle, a una qualche immagine inesistente, è solamente loro la colpa.”

Luisa sorrise senza convinzione, ma non parlò più di Rosso e di Blu.  Celebi rimase con lei per un’altra mezz’ora, poi la lasciò perché riposasse. A quel punto Lance, guardando l’orologio, disse che era bene che Luisa fosse trasportata su per la notte.

“È ridicolo che tu debba dormire nella sala operatoria di un centro medico” affermò. “Ti porteremo nella tua stanza, poiché ormai non vi è pericolo. Là potremo tenerti compagnia stanotte e soprattutto potrai riposare meglio.”

Luisa si mise a ridere. “Ti credi molto forte” esclamò. “Non penserai di portare su tutto il letto con me sopra!”

“Che scema che sei! Non sei poi questa gran principessa” la rimbeccò Lance sorridendo. “Basterà una barella.”

Andò a chiamare Joy per chiederle di portare la barella, mentre Argento restava con lei.

“Ti ho ammirata molto per quello che hai fatto, sai” disse Argento, immobile presso la porta. “Ma ho anche avuto molta paura.”

“Ne ho avuta anch’io” mormorò Luisa abbassando gli occhi. “Di non rivedervi, di non… credevo di non farcela. E di umiliarmi dandogliela vinta.”

“In nessun caso ti saresti umiliata” disse Argento. “È troppo grande quello che hai fatto, quello che hai dimostrato…anche se Rosso avesse vinta la battaglia, credi che per entrambi quella vittoria avrebbe avuto un qualche valore?”

“No, certo. Ma…”

“Ma?”

“Sento come se mancasse qualcosa” disse Luisa. Si prese il viso tra le mani. “Non è ancora finita, Argento, io e Rosso non abbiamo ancora finito…manca qualcosa tra noi due.”

“Tu hai vinto, Luisa. E da un anno voi due sapevate entrambi che questa sarebbe stata la vostra ultima battaglia.”

“Lo so, ma non è una battaglia quella che ci manca, ora. Abbiamo finito di scontrarci... entrambi sappiamo che sono io la migliore, e non abbiamo certo bisogno di dimostrarcelo ancora l’uno con l’altra. No, è qualcosa di un po’ diverso…”. Sospirò nuovamente. “Dobbiamo rivederci per l’ultima volta da avversari. Per l’ultima volta dobbiamo essere nemici… e dopo, non importa quel che accadrà. Ciò che diventeremo, dopo il nostro ultimo incontro… sarà un’altra storia. Capisci quel che voglio dire?”

“Come potrei non capirti?” chiese Argento per tutta risposta.

In quel momento rientrò Lance. Aveva chiamato Joy e l’infermiera veniva dietro di lui portando una barella pieghevole. Pochi minuti e un gran numero di scossoni dopo, Luisa si ritrovò sul suo piccolo letto fresco e domandò di poter vedere il filmato della Lega. Joy scese di corsa e le procurò in breve tempo il filmato.

“Puoi metterlo tu, Lance?” domandò la ragazza porgendo la videocassetta all’amico. Egli la prese e la inserì nel registratore del piccolo televisore posto davanti al letto.

“Sei sicura di volerla vedere?” le chiese mentre tornava a sedere sul letto accanto a lei. Luisa assentì col capo.

“Assolutamente. Voglio capire cos’è successo…io non mi ricordo.”

Era seduta sul letto, le gambe ripiegate contro il petto sfregiato, appoggiata alla spalla di Lance. Il filmato partì. Ed era il primo scontro, Rosso che combatteva Lorelei: partita persa in partenza…

“Mio Dio” mormorò Lance, gli occhi puntati su quella furia violenta e rabbiosa, contro cui Lorelei non

poteva se non soccombere.

“Sta malissimo” disse Argento incredulo.

C’erano quegli occhi rossi e gonfi, che sullo schermo risaltavano paurosamente, quello sguardo disperato di chi ha una sola possibilità, quel fremito impercettibile delle labbra quando urlava, quel continuo puntare gli occhi su Blu… Luisa si strinse ad Argento e gemette: “Hai visto con chi ho combattuto, io! E come avrei potuto perdere?”

“Avresti potuto, invece” disse Lance. “La domanda è: come hai potuto vincere?”

Il filmato proseguì. Con eguale forza, anche il Blastoise di Rosso infieriva sui Pokémon di Bruno, che non erano in grado di incassare il colpo…

“Anche i suoi Pokémon sono disperati” mormorò Argento.

“Bah! Tu lo saresti se dovessi passare la tua vita con un individuo ossessionato dagli allenamenti” borbottò Lance, ma non era una battuta.

Luisa non si curò egualmente delle sue parole. Mormorò: “Thyplosion, quando ha capito che volevo vincere, ha continuato a combattere…allo stesso modo, i suoi Pokémon sanno che devono vincere se lui rivuole Blu. Per questo combattono così…”

E poi Agatha, che non aveva speranze contro il Charizard di Rosso; e poi Lance…

E quell’inchino. Luisa volle riavvolgere il nastro e rivedere ancora quella scena.

“Cosa gli hai detto?”

“Che si sarebbe inchinato a sua volta se avesse perso.”

“Non ti ha ascoltato” commentò Argento. Lance scosse il capo.

“No, certo…lo so. Ma sono sicuro che ne aveva l’intenzione. Se fosse andata come avrebbe dovuto, credo che l’avrebbe fatto senza dubbio.”

Luisa non rispose. Pensava a che cosa mancasse a lei e a Rosso, a quelle due anime in pena che solo scontrandosi potevano ambire a un po’ di pace e che forse erano tanto simili da riuscire a capirsi e a comprendersi, alla fine.

Abbandonò la testa sul petto di Lance. Egli le circondò le spalle con un braccio e la strinse forte a sé, baciandole la fronte: “Come stai?”

“Mi sembra un’altra persona. Non l’ho mai visto da vicino come in questo filmato, mai: ci siamo sempre guardati così da lontano… non avevo mai visto così da vicino quei suoi occhi così disperati e… credo di essere la persona che sulla faccia della terra lo capisce meglio, sai: non so nulla di lui, neppure so molto del suo passato se non quello che da altri mi è stato raccontato… ma sono come lui, e per questo penso di poterlo comprendere.”

Si coprì la faccia con le mani mentre sullo schermo si susseguivano le immagini: una rapida vittoria sul suo Pikachu e sul suo Espeon, il suo sguardo disperato ma infuocato, i suoi propri colpi che erano crudeli e feroci, ma dannatamente pietosi; e poi la terribile scena della sua caduta… Luisa rabbrividì.

È quasi finita, si disse durante gli ultimi minuti dello scontro. Quasi, però. Dobbiamo essere avversari ancora una volta: per l’ultima volta mi dovrò scontrare con le fiamme che ardono negli occhi del mio nemico… e quello che diventeremo dopo, lo decideremo in seguito.

 

Capitolo assurdamente lungo, ma che non avrei saputo come tagliare o abbreviare e che per questo posto così com’è, tutto bello lungo e sudato. Spero vi sia piaciuto, sebbene questo fosse uno degli elementi forse più infantili e banali dell’intera storia (che peraltro ho progettato a 8 anni, dunque…)

Un bacio alla cara Emma Bradshaw. A presto!

Afaneia ;)

   
 
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