Nei giorni seguenti, trascorsi quasi
interamente
sull’Altopiano Blu, l’Indigo ferveva di preparativi
per la Lega.
Lance indossava e smetteva la sua
maschera di Campione per
organizzare il tutto al meglio. Questa doveva essere la grande Lega,
disse, la
più grande di tutte, quella durante la quale il mito di
Rosso sarebbe
definitivamente crollato oppure sarebbe stato innalzato. Non si sapeva
ancora.
Solo Luisa dimostrava di non avere alcun dubbio.
La ragazza si guardò
attentamente, come Celebi aveva detto,
ma non notò nulla che potesse rivelarsi pericoloso, neppure
quando gli
allenatori cominciarono ad affluire per le iscrizioni… tra
loro c’era Rosso.
Lance, che come al solito soprintendeva alle operazioni di iscrizione,
lo
guardò con attenzione e si pose deliberatamente alle spalle
dell’addetto che lo
stava registrando. Rosso lo notò, ma non fece commenti.
“Ha
portato le
medaglie della Lega di Johto” mandò a
dire ai suoi compagni.
“Non
ha avuto il
coraggio di sfidare Blu” disse Luisa, che osservava
le operazioni, con
Argento, seduta sul davanzale di una finestra aperta, con le gambe che
dondolavano nel vuoto.
“Ha
un altro astuccio
nella giacca. Se posso fare una supposizione, sono le medaglie di
Kanto… senza
quella di Smeraldopoli, ovviamente.”
“Che
romantico”
pensò Luisa, ridendo.
In quel momento Rosso levò
gli occhi su di lei e la guardò.
Luisa rispose al suo sguardo e vide le sua labbra sillabare queste
parole: non studiare gli altri,
sarò io a vincere.
E Luisa rispose: Lo
so.
Lance intuì questo scambio
di battute, ma non guardò Luisa e
fece anzi per allontanarsi. Prima di entrare, però, Rosso si
voltò verso di lui
e lo chiamò: “Lance!”
“Cosa
c’è?” rispose Lance girandosi, le mani
dietro la
schiena.
Con un sorriso, Rosso
sollevò due dita. Lance avvampò e
barcollò come per un colpo ricevuto. Rosso
scoppiò in una risata ed entrò
nell’edificio.
“Hai visto?”
esclamò Argento. “Cosa si saranno detti? Che
gesto ha fatto Rosso?”
Luisa s’incupì.
“Questo gesto” rispose sollevando le dita.
“Cosa diamine significava,
lo sai?”
La ragazza si passò una
mano sugli occhi. “Sostanzialmente,
significa: stai attento, perché
questa
sarà la mia seconda vittoria su di te.”
I tre assistettero alle eliminatorie
dal palco privato di
Lance, come imperatori su di un’arena.
Rosso sconfisse tutti con gli occhi
pieni di noia. A ogni
vittoria, guardava in su, verso la tribuna, e guardando Lance ripeteva
quel
gesto. Oppure, guardando Luisa, le rivolgeva un sorriso. Frattanto, gli
ospiti
stupivano di un allenatore tanto forte.
Il giorno della Lega, i Capipalestra
raggiunsero l’Indigo.
Blu era tra di loro, e nonostante il caldo teneva addosso il mantello.
Era
pallidissimo, cogli occhi innaturalmente grandi e cerchiati, le labbra
pallide;
spesso beveva da una bottiglietta d’acqua, che
finì molto presto. Aveva la
febbre e, impietosita, Jasmine mandò a prendergli
dell’altra acqua.
Nonostante la freddezza che
dimostrava e l’arroganza e la
strafottenza, Rosso non riusciva a impedirsi di guardarlo. Durante una
pausa,
dopo aver sconfitto Bruno, Lance mandò un uomo a portargli
un biglietto. C’era
scritto: Lance chiede se Rosso desideri
sapere
della salute di Blu.
Rosso lesse il biglietto e girandolo
scrisse sul suo retro: Rosso ringrazia
infinitamente e accetta
l’offerta.
Non avrebbe accettato nulla se non si
fosse trattato di Blu,
probabilmente. Quando gli arrivò il biglietto seguente,
sorrise, rasserenato.
Diceva: Solo qualche linea di febbre
nervosa.
Infine, Rosso sconfisse Agata e venne
il turno di Lance.
Tutto era avvenuto così in fretta che ancora il sole non era
alto- dovevano
essere le undici.
Era la prima volta che Lance si
mostrava preoccupato per una
battaglia. Cercò di non darlo a vedere, eppure non ne era
capace. Scese in
campo e cominciò a combattere.
Era straziante vederlo soccombere
sotto i colpi incessanti
del nemico; Luisa afferrò la mano di Argento. Pochi minuti
dopo, Rosso vinceva.
Gli applausi furono pochi e brevi.
Blu sorrise appoggiandosi
sulla fronte un fazzoletto umido, nel quale badò, forse
troppo tardi, di
nascondere il proprio sollievo.
Lance rimase a lungo fermo al centro
della propria
postazione, incredulo. Rosso avanzò fino al centro del campo
e si fermò ad
aspettarlo.
“Paura?” chiese
muovendo appena le labbra.
Il Superquattro si riscosse.
Socchiudendo gli occhi,
raggiunse l’avversario. La stretta delle lor mani fu breve ed
evidentemente
fredda.
“Non è per te
che sono qui. Tu non c’entri niente.”
“Lo so. Ma non riuscirai a
sconfiggerla…neppure questa
volta.”
Rosso guardò direttamente
Blu. “Ce la farò, invece.”
Lance sospirò. Spingendo
indietro il piede, fletté il busto
in un inchino rapido ma che tutti videro, e che sprofondò
l’Arena intera in un
silenzio incredulo.
Per la prima volta, Lance si era
inchinato pubblicamente a
un avversario. Rosso rimase immobile a guardarlo. Sollevandosi
rapidamente,
Lance gli rivolse un sorriso.
“E tu farai lo stesso con
lei, se vince.”
In un gesto anco più
veloce, sbatté i tacchi e gli diede le
spalle, dirigendosi a passo svelto verso la tribuna.
Stupito, Rosso gettò uno
sguardo preoccupato su Blu, quindi
si ritirò a sua volta.
Lance raggiunse i suoi compagni sul
palco. Luisa gli tese le
braccia, ma egli rimase immobile a guardarla.
“Sapevo che non ne sarei
stato in grado. Tutti lo sapevamo.
Ora tocca a te.”
“Vieni qui” disse
la ragazza. “Abbracciami. Dammi un po’ del
tuo coraggio.”
“Che coraggio?”
replicò Lance, ridendo d’una risata che
nulla aveva di gioioso.
“Il coraggio
d’inchinarti. Tu sai che io non l’avrei
trovato.”
“Ci sono cose che si devono
fare.”
Luisa si protese verso di lui e lo
baciò sulle guance. “Sarà
bene che vada giù, ora. Non posso stare qui. Sono troppo
emozionata.”
Alzandosi, si accostò alla
porta del palco. Soffermatasi
sulla soglia, si appoggiò per un istante allo stipite.
“Lance…”
“Dimmi tutto.”
“Avevi ragione tu, sai.
Questa sarà una grande Lega. E poi…”
sorrise. “C’è mio padre a vegliare su di
me.”
“Vai, ora”
mormorò Lance senza guardarla.
“Aspetta, Luisa”
disse invece Argento, infrangendo per la
prima volta il proprio silenzio. Quando Luisa si voltò a
guardarlo, si stupì di
trovarlo molto preoccupato.
“Quello che tuo padre ti
diceva… lo sento anch’io, ora. È
nell’aria, è nell’Arena… un
pericolo su di te. Fai attenzione, ti prego.”
“D’accordo”
riprese Luisa. “Starò attenta. Promesso. Ma cosa
può accadermi mai? È solo una sfida.
Andrà tutto bene.”
Argento le rivolse un sorriso tirato.
“Può darsi.”
Colpita da quella risposta, Luisa
aggrottò le sopracciglia.
Non gli rispose. Scese in fretta le scale e raggiunse
l’uscita del breve
tunnel.
Ecco, inizia la battaglia. I due si
schierano sul campo,
l’uno per il suo sogno e forse per il suo amore,
l’altra per difendere ciò che
ha ottenuto.
“Combatti bene”
disse Rosso. “Questa sarà l’ultima volta
che
ci sfidiamo.”
“L’ultima?
Davvero non mi sembra vero” rispose Luisa con gli
occhi scintillanti di provocazione.
E il pubblico non capiva che cosa
stessero dicendo, poiché solo
loro sapevano.
Rosso schierò il suo
Pikachu, e Luisa che voleva umiliarlo
avrebbe potuto scegliere il suo Sandslash o il suo Aerodactyl, ma
scelse
Gyarados.
“Combatti bene anche tu,
Rosso, perché oggi ci guardano e lo
sai” e ammiccò con gli occhi verso il cielo.
Rosso avvampò e le
inveì contro furente, indignato, ogni
istante più disperato: “Io non posso perdere oggi
e anche tu sai perché!
Combatti allora, dai!”
E ripresero a lottare, quelle due
anime che non erano capaci
di fare altro. E a ogni metro di terreno che perdeva, Rosso tremava. Ma
Luisa
non aveva pietà e infieriva su di lui come una belva ferita,
perché voleva che
capisse che non da lei dipendeva la sua felicità o il suo
amore, né da
Thyplosion né da Charizard, e neppure da Ho-Oh o da Celebi:
dipendeva da lui.
E non poteva imputare niente a Ho-Oh
o a lei, o al suo
Pikachu o al suo Espeon che persero entrambi… o al suo
Venusaur che sparò verso
il suo Thyplosion foglie aguzze come lame, ma che forse non aveva fatto
i
dovuti calcoli.
Luisa vide avvicinarsi quella foglia
e stupidamente continuò
a guardarla, vicina, ogni istante più vicina,
finché non poté più vederla e
pensò che se ne fosse andata, e poi sentì un
bruciore tremendo e quel bruciore
le strappò un grido…
“NO!”
Era la voce di Argento, o quella di
Lance… ma perché quel
grido?”
E… perché
quando si toccò il petto bruciante, ritirò la
mano
sporca di sangue?
E perché le venne da
piangere, ritrovandosi a terra,
impolverata e sanguinante?
Perché Rosso faceva di
corsa il giro del campo per venire da
lei…?
“VAI VIA!”
Rosso si fermò a
metà strada, stupito; guardò lei,
guardò
Lance, chiedendo con gli occhi cosa dovesse fare.
“Torna
là… finiamo qui! Vai!”
“No, tu stai male, ti esce
il sangue” balbettò il ragazzo.
“No! Finiamo, voglio
finire!”
“Luisa! Basta ora,
continuerete poi!” gridò Lance, in piedi
sulla tribuna, appoggiato alla balaustra.
“No…no, ora,
ora!”. Era disperata. Sollevò gli occhi,
ch’erano grigi ma ora arrossati e pieni di lacrime,
sull’avversario. “Gli hai
promesso un anno…oggi è un anno. Finiamo, e Ho-Oh
sarà qui per attenderti,
Rosso!”
Suonò come una minaccia.
Rosso tremò e guardò in alto. Lance
si voltò verso Argento.
“Vuol
combattere… senti, lo senti come batte il suo
cuore?”
domandò egli con gli occhi fissi.
“Vuol
combattere… lasciamola” disse Lance.
Guardò Rosso e
annuì. “Vai, allora.”
Stupito, Rosso tese la mano alla
ragazza e l’aiutò ad
alzarsi. Luisa barcollò: quanto sangue, quanto dolore, e
com’era leggera la sua
testa!
“Vai ora, o
morirò prima che…”
Non finì la frase, ma
Rosso aveva capito prima ancora
ch’ella parlasse. Tornò di corsa al proprio posto.
Luisa combatté fino allo
stremo, tenendosi con le braccia
quella ferita che le attraversava il petto intero… sulle
tribune, sua madre
urlava per farsi sentire, per farla smettere. Lontano e vicino alla
figlia,
Celebi pregava. Chi? Neppure lui sapeva.
“Lance! Lance, falli
smettere! Per amor di Dio, Lance, tu
sei suo amico, falli smettere, falli smettere!”
Ma Lace non ascoltava, pregava: curvo
sul parapetto della
tribuna, la fronte tra le mani, gli occhi chiusi; al suo fianco,
Argento era in
piedi, proteso in avanti a osservare la battaglia…
Le mani lividissime strette sul ferro
della balaustra, Blu
guardava, incapace di fare altro; nel sedile accanto al suo, Sandra si
era alzata
e mormorava: “Mio Dio, morirà se nessuno fa
qualcosa! Perché Lance non dice
niente?”
“Perché lei non
saprebbe accettarlo” rispose Blu a bassa
voce.
Luisa continuava a battersi, nel
frattempo. Non capiva più
niente: si sentiva la mente vuota. Non sentiva neppure più
il dolore.
Thyplosion agiva senza attendere il suo ordine, lei non riusciva
più a pensare.
E diceva a bassa voce: “Papà, papà, non
so se ce la faccio…”
Neppure Rosso riusciva a
concentrarsi. Luisa lo notò e
singhiozzò: “Non ti distrarre! Questa
sarà l’ultima volta e voglio che sia
indimenticabile!”
E Rosso capì
perché combattevano, e perché doveva obbedirle.
Riprese ad attaccare, sempre
più forte e con maggiore
intensità. Era migliorato davvero.
“Sei bravo, sai! Sei
diventato bravo davvero, forse stavolta
mi batti.”
“Non parlare, stupida! Non
sprecare le forze!”
“Che vuoi che
m’importi a questo punto?” E voltandosi Luisa
ebbe un conato e vomitò sangue scuro…Rosso
rabbrividì, ma subito si riscosse:
“Getto d’acqua!”
“Lance, Lance, digli che
smettano, falla smettere o morirà!”
“Ruotafuoco!”
Mew volava sopra di loro, troppo
leggiadro perché qualcuno
potesse vederlo; solo Luisa percepì la sua presenza.
“Mew…sto
bene.”
Mew non rispondeva. Luisa
continuò a combattere fino a
ritrovarsi in ginocchio. Nessuno demordeva. Infine, Rosso
chiamò Charizard, la
sua ultima carta. A Luisa sanguinava la bocca e non poté
dire nulla, e
Thyplosion agì per suo conto...
Rosso arretrò vedendo
Charizard sconfitto, Charizard, il suo
caro amato Charizard… si voltò a guardare Blu, ma
il Capopalestra non rispose
al suo sguardo.
Luisa era a terra. Con un balzo,
Argento scavalcò la
balaustra e le fu vicino. Lance fece un segno ai paramedici e si
lanciò lungo
le scalette. Quando la luce cessò di accecarlo per un
attimo, fuori dal breve
tunnel, vide una barella già a terra e quattro camici
bianchi già pronti a
caricavi la ragazza. Argento era immobile presso di loro.
“Lance, Lance,
perché l’abbiamo lasciata combattere?”
Il Presidente rimase in silenzio,
guardando la compagna
disposta sulla barella, col sangue sulla bocca e una gran macchia nera
e densa
sul petto.
“Perché
dovevamo…ci avrebbe perdonati altrimenti? Voi, a che
ospedale la portate? Fiordoropoli?”
“No, non ce la
facciamo” disse uno dei medici. “La
ricoveriamo qui, poi si vedrà.”
“Oh, Lance, non
può morire ora, è una semi…”
Argento si
bloccò, imporporandosi. “Lance! È una
semidivinità!”
“Parla più
piano! E allora?”
“Lance, le
trasfusioni!”
Lance barcollò, si
appoggiò alla spalla di Argento e
mormorò: “No, no, bisogna bene che non la
tocchino!”
Si lanciò di corsa verso
il piccolo tunnel. Rosso era già
scomparso dall’Arena. Argento fece per inseguire Lance, poi
si ricordò della
mamma della ragazza. Tornò di corsa verso le tribune e la
cercò con gli occhi
nella folla che premeva, pigiava per uscire e avere notizie della
Campionessa.
“Signora! Signora Monica,
venga, di qua!”
Monica lo vide e, voltandosi, a
fatica fendette la folla col
suo piccolo corpo per raggiungerlo. Si curvò si di lui e gli
tese le braccia,
esclamando: “Come sta? Come sta?”
“Non so ancora. Venga, la
mando da Lance.” Dicendo questo,
Argento le tese un braccio, aiutandola a scavalcare la tribuna, e la
depose a
terra, nell’Arena. Le indicò il tunnel.
“Passi di là sotto, eviterà gran parte
della folla, vada di corsa e chieda di Lance! Vada!” e la
spinse via.
Rimasto solo si guardò
intorno, domandandosi dove Rosso
potesse essere finito.
Blu era rimasto solo nel palco dei
Capipalestra. Teneva il
viso nascosto nel fazzoletto. Argento lo raggiunse con poche falcate e
si
appese al parapetto per parlargli. Blu lo vide e allontanò
il fazzoletto dal
volto. Stava piangendo, ma stavolta non si curava di mascherarlo.
“Argento…che
piacere. Mi sai dire come sta Luisa? Sono in
pensiero” disse coma parlando del tempo.
“Non so ancora, sto andando
da Lance, è a parlare con i
medici, io…devo fare una cosa qui, prima. Perché
sei solo?”
“Preferisco restare un
po’ qui. A nessuno dispiace, vero? Mi
piace questo posto.”
“Blu, Rosso
è…”
“Argento. Non parliamone
più, ti prego. Ho fatto voto di
dimenticarlo se… e adesso, hai visto. Ti prego.”
Era pallido, febbricitante. Argento
balzò a terra dal
parapetto. Si stava avviando di corsa verso il tunnel quando,
d’un tratto,
sentì la presenza di Mew. Con la coda dell’occhio
vide la punta del suo musetto
rosa.
“Mew! Cosa ci fai
qui?”
“Celebi mi ha mandato. Sta
venendo qui.”
“Sta arrivando?”
“Sì.
Sì occuperà lui di sua figlia. Non devono
toccarla.
Lance discute con loro, ora. Va’ da lui.”
Argento non rispose neppure, ma si
mise a correre. Percorse
il tunnel come una folata di vento e prese il passaggio segreto che
Lance aveva
mostrato loro alcuni mesi prima, la notte in cui era cambiato tutto.
Sapeva che
avrebbe impiegato meno tempo raggiungendo l’edificio per via
esterna, ma
sospettava che si sarebbe certamente trovato imbottigliato nella ressa
che
certamente si stava formando al piano terreno e davanti alle porte.
Raggiunse
dunque dall’alto il primo piano, dove la ragazza era
ricoverata. Vedendo fuori
dalla finestra la folla che premeva sull’ingresso, e poi
quella che aveva già
raggiunto il piano terra, si disse d’aver fatto bene a
impiegare quei pochi
minuti in più.
Lance era di front alla porta del
pronto soccorso che era
stato rapidamente adibito, con strumentazioni di fortuna, per
ricoverare la ragazza.
Era rosso in viso, e sul suo volto accaldato si mischiava un insieme
umido di
sudore e lacrime. Gridava: “Lei è contraria, per
la sua religione… il sangue
immondo… e gli estranei non devono… non vuole,
non potete farlo!”
“Lance” lo
interruppe il dottore con sguardo severo “Morirà!
Sta già morendo. Ti sei preso la responsabilità
di lasciarla combattere, ora
non prenderti anche quella di lasciarla morire!”
“Aspettate, aspettate un
attimo!”
“Lance!”
gridò Argento, facendosi largo a stento tra la
folla. “Lance, sta arrivando…il dottore!
“Eh? Che dottore?”
“Il suo
dottore…quello del sangue!” e soggiunse:
“Celebi.”
Lance s’illuminò
vedendo i proprio dubbi fugati da quella
parola.
“Sta arrivando il dottore,
il suo dottore, il medico che la
segue. Lui può toccare il suo sangue, voi no. Lui
è…”
“Una specie di
sacerdote” disse Argento.
Il medico con cui lance si era
dibattuto fino ad allora era
un bell’uomo, sulla quarantina, di capelli folti e scuri,
cogli occhi neri e le
labbra livide e strette.
“E tra quanto arriva,
questo vostro dottore?”
“Poco” rispose
Argento. “Lui è molto veloce.”
“È
vicino” aggiunse Lance. “Manca poco. Due, tre
minuti.”
Il dottore strinse le labbra.
Scrutò con gli occhi i
colleghi, quindi rispose: “Molto bene. Stiamo preparando i
ferri e le siringhe.
Se tra cinque minuti non è qui, noi iniziamo.”
“Grazie”
risposero in coro i due Prescelti.
Nessuno dei presenti si era accorto
che, nei pochi minuti
che Lance e Argento avevano strappato ai medici, Mew si era seduto sul
petto
della ragazza e, col proprio respiro, le aveva donato qualche minuto di
vita.
Le voleva molto bene.
La scala che conduceva dal piano
terra al primo era stata
bloccata. I solo che avessero il permesso di passare erano i cosiddetti
addetti
ai lavori. La madre di Luisa non era riuscita a raggiungere la scala,
probabilmente. Argento si sporse sui gradini, quindi li discese a
grandi
falcate per vedere meglio. Sopra di lui, Lance consultava un orologio.
“Quanto è
passato?”
“Un minuto, un minuto e
mezzo…”
“E ora?”
“Manca ancora un
po’” mormorò Lance, scrutando con occhi
affannati il gran lavorio dei medici che si adoperavano intorno alla
stanza.
Eccolo là, nella folla: un
signore distinto e bello, d’età
indefinibile, cogli occhi grandi e languidi d’un verde
luminoso, e fu da essi
che Argento lo distinse.
Istintivamente la gente si scansava
al suo passaggio. Celebi
raggiunse senza problemi la scala. Argento scese di corsa ad aprire il
cordone
per farlo passare.
“Sei tu? Non
c’è tempo per sbagliare.”
“No, non ce
n’è. Portami da lei.” E salì
di corsa le scale
mentre Lance, trionfante, abbassava l’orologio.
L’infermiera Joy
aprì la porta della saletta. Mew si sollevò
immediatamente fino al soffitto, ma poi, riconosciuto Celebi,
tornò ad
abbassarsi.
“Grazie” gli
disse Celebi distrattamente, curvandosi sul
petto della figlia. La forza di Mew le permise di aprire gli occhi un
momento e
guardarlo, e quegli occhi erano mostruosamente grandi e colmi di
lacrime nel
viso pallido e il suo stesso sangue le gocciolava dalla bocca sul petto
e sulle
spalle.
“Fate chiudere la
porta” disse il sedicente medico
togliendosi la giacca. “Voi potete restare”
soggiunse rivolto a Lance a
Argento.
Joy richiuse la porta, cui Mew
andò ad appostarsi davanti,
sorta di sentinella. Celebi tolse il corto giubbotto della figlia, le
sfilò la
maglia rosa intrisa di sangue. Il reggiseno, che era stato tranciato a
metà
dalla traiettoria della foglia, penzolò miseramente sui
fianchi insanguinati
della ragazza. Celebi lo scacciò con rabbia. La ferita
attraversava quasi per obliquo
il torace della ragazza, aveva bordi slabbrati e irregolari che a
Celebi non
piacquero; ma più ancora egli temeva lesioni interne al
corpo della figlia…
fece cenno a Lance a Argento di voltarsi di lato e poi, con gli occhi
stretti
contro la paura e contro la morte, cacciò due dita di una
sua mano mortale
dentro la ferita.
D’improvviso la ragazza
diede in uno spasmo incontrollato:
il suo corpo s’inarcò innaturalmente ed ella
sgranò gli occhi e gettò un grido
atroce che squarciò l’aria
dell’Altopiano…
“Ferma! Tenetela
ferma!”
Istintivamente Lance si
gettò sul lettino dov’era adagiata
la ragazza e afferrandola per la vita la tirò di nuovo verso
il basso, poiché
Celebi non poteva rischiare che si agitasse mentre la toccava
così
profondamente… si sentì montare addosso una gran
nausea, ma poi, dopo pochi
secondi, ecco una sensazione nuova, diversa… che
cos’era?
Ecco, lo vedeva: dalle dita di Celebi
scaturiva una luce
ch’era divina ed era luce d’amore e di vita, una
luce dorata che s’infondeva
nelle carni della ragazza e portava via un poco di vita da quella di
Celebi,
che però era immortale… sì, risentiva
lui stesso di quella luce ch’era dio ed
era amore, ed era la vita del mondo, e si sentì in qualche
modo lui stesso più
in forze.
Celebi gridò:
“Argento! Prendi la valigetta che ho portato.”
Argento si volse: la valigetta cui
Celebi si riferiva era su
un tavolo vicino alla porta. Corse a prenderla. Quando si
trovò di nuovo vicino
al lettino, vide che Luisa giaceva di nuovo senza forza sul telo prima
bianco e
ora intriso di sangue al punto tale da gocciolare, ma che il suo corpo
intero
veniva scosso da brividi come di febbre… Lance era caduto su
uno sgabello,
bianchissimo in viso, e si fissava le mani e le maniche della giacca e
il
mantello sporchi di sangue…
“Argento! Apri la
valigetta.”
Celebi si era discostato dal lettino
della figlia e ora
stava in piedi, ma con le gambe leggermente ripiegate, appoggiato con
la
schiena al muro, e si arrotolava con la mano la manica della camicia
azzurra.
“Passami una siringa.”
Argento obbedì: gli tese
la siringa, ma quasi a casaccio,
verso Celebi, poiché i suoi occhi vagavano,
irresistibilmente attratti, verso
le ultime scintille dorate che finivano di risanare la ferita,
riaccostandone i
lembi al di sopra della carne… Celebi afferrò lui
stesso quella siringa e se la
cacciò nel braccio umano, dentro le vene azzurrine che
pulsavano sul suo
incarnato bianco e luminoso…
Ecco, qualche minuto dopo, era
finita: una flebo gocciolava
piano, lentamente…
“Perché il tuo
sangue?” domandò Lance dopo un momento.
Ancora egli si fissava le macchie quasi nere che spiccavano sulle sue
braccia,
sul suo mantello scarlatto… “Non sarebbe bastato
quello di…”
Prima che potesse finire di parlare,
Celebi sollevò le mani.
“Sono il solo essere come
lei su questo pianeta” disse.
Sorrise guardando la figlia, che aveva coperto di un leggero telo verde
da
ambulatorio.
“Devi lasciarci
subito?”
“No”
mormorò Celebi.
Lance assentì col capo.
“Sarà utile che
avvertiamo sua madre che va tutto bene”
disse. “Vorrà entrare per
vederla…”
Ed egli già accennava a
uscire dalla stanza, ma Celebi
mormorò: “Aspetta. Vorrei farlo io.”
Sorpreso, Lance si fermò
sussultando e si volse a guardarlo.
Ma poi vide che nei suoi occhi di dio e d’immortale
c’era un rimpianto infinito
che pareva non quietarsi mai, neppure col sonno, neppure con la morte,
e che in
lui brillava qualcosa che non era né etereo né
trascendente, ma incredibilmente
immanente e amaro, era qualcosa di umano e infranto, era il suo amore
perduto e
carico di dolore…
“Molto bene”
disse fermandosi, e discretamente distolse lo
sguardo dalla porta e chinò gli occhi. Celebi
baciò sulla fronte la ragazza e
poi gli passò accanto senza guardarlo, leggero come un
fruscio. Argento restava
immobile, ora seduto accanto al lettino, con gli occhi vacui e spenti e
una
pallida mano insanguinata, che non era la sua, stretta tra le grandi
mani
forti…
Riconoscendo Monica, Joy
l’aveva aiutata a salire al primo
piano ed ella attendeva ora nell’ingresso. Incapace di stare
seduta, la signora
aveva abbandonato la borsa a terra e passeggiava in su e giù
lungo il
corridoio, coi lunghi capelli che, dallo chignon castigato della sua
vedovanza,
ora scendevano sfatti e nervosi attorno al suo collo bianco, sul suo
volto
arrossato e sfatto, ma sempre bello…
Celebi tossì per farsi
sentire. Monica si voltò e si
precipitò da lui; quegli sorrise, e, sollevando le mani,
mormorò: “Vive.”
“Oh, ma grazie, grazie!
Dio, grazie, grazie!” gridava la
donna sciogliendosi in lacrime, e afferrandogli le mani le
baciava…
Ma il sorriso dell’uomo si
fece più triste ed egli mormorò:
“Dio, grazie: hai detto bene!” poi alzò
la voce e disse, sorridendo: “Via, via,
che ho fatto io? Ora non esageri. Sua figlia è forte, il
merito è suo.”
Ma il pianto della donna non
accennava a smettere: ella
piangeva di gioia, piangeva d’amore… Celebi
l’allontanò da sé e sorridendole le
disse: “Se vuole può entrare a vederla. Ma non
pianga troppo forte! Non bisogna
far rumore.”
Monica annuì, muta,
pulendosi gli occhi col fazzoletto, e
guidata da lui entrò nella stanza. Luisa riposava, ora,
pallidissima ma salva
nel suo letto di fortuna, e quella fu la prima volta, dopo molti anni,
che
Celebi e quella donna da lui idolatrata si trovavano insieme al
capezzale della
figlia.
Trascorsero varie ore prima che tutto
si acquietasse intorno
a loro. Solo verso le sei di quel pomeriggio l’Altopiano Blu
si svuotò
definitivamente e il vasto ed eterogeneo gruppo degli spettatori, degli
allenatori e dei giornalisti finì per disperdersi
intieramente. All’Indigo rimasero
in pochi: l’inferma e i due Prescelti, Monica, Celebi, i
Superquattro e poi,
persino, i due professori che, prima di far ritorno ai rispettivi
laboratori,
desideravano far visita alla Campionessa. E infatti, fu poco dopo le
sei che
Luisa si svegliò. Al suo fianco c’erano i suoi
compagni.
A fatica, la ragazza tentò
di alzarsi dal letto e
immediatamente Argento si precipitò a trattenerla.
“Argento…che
cosa è successo?” domandò allora Luisa
con
spavento. Aveva paura di scoprirlo. Si toccò il petto col
braccio libero dalla
flebo: il leggero telo di lino verde le era scivolato di dosso
scoprendole il
petto, ed ella lo sollevò più per abitudine che
per vergogna dei suoi compagni.
“Perché sono qui? Cos’è
successo?”
“È tutto a
posto” rispose Lance inginocchiandosi accanto al
letto per prenderle la mano. “Come ti senti, piccola? Che
cosa ti ricordi?”
“La battaglia”
borbottò Luisa, contraendo dolorosamente la
fronte per ricordare. Sussultò a quel pensiero.
“Rosso! Chi ha vinto?”
“Tu, ovviamente”
disse Argento dolcemente. “Sei svenuta
subito dopo e ti hanno operata d’urgenza qui.”
“Il sangue!”
esclamò Luisa. “Il mio sangue non
è…”
“Sht” disse
Lance. “Lo sapevamo. Non ti preoccupare. È stato
tuo padre a salvarti.”
“Papà
è stato qui?”
“È ancora
qui” replicò il ragazzo alzandosi. “Vuoi
che te lo
andiamo a chiamare?”
“Non subito…e la
mamma?”
“Anche lei è qui
e ora è con Joy ad aspettare che tu possa
vederla.”
“Devo vedere prima lei.
Sarà preoccupata, e deve tornare a
casa…papà capirà.”
“Certo. Vado a
chiamartela” disse Argento scomparendo in
corridoio.
Luisa rimase in silenzio nel letto,
cupa e pensierosa.
Sedendosi accanto a lei sul materasso, Lance le sorrise.
“Come ti senti?”
“Così,
come…benino” disse Luisa. “Che
è stato esattamente?”
“La foglia ti ha tagliata
da qui a qui” spiegò Lance,
indicandole sul proprio petto la traiettoria che aveva avuto luogo sul
suo.
“Tuo padre ha bloccato l’emorragia e curato le
lesioni interne, poi ti ha dato
il suo sangue perché tu potessi…”
Poiché la ragazza chinava
lo sguardo, Lance non terminò la
frase.
“E Rosso?
Dov’è finito Rosso?”
“È scomparso, si
è dileguato nella confusione…non sappiamo
dove sia, ora.”
“Capisco.”
“Tu, invece. Come ti
senti?”
“Bene, credo. Me
l’hai già chiesto.”
“Intendevo…”
“Ah.” Luisa non
lo lasciò finire. “È che per un
momento…mi è
parso…che sarei morta.”
“Perché hai
voluto continuare a combattere, Luisa? Sapevi
che era una pazzia.”
“Secondo te?”
“Non sarà stato
per Blu?”
Luisa scosse lentamente il capo. Gli
sorrise. “No…no, che
sciocchezza. Io volevo combatter, Lance, volevo semplicemente avere la
mia
ultima battaglia con Rosso… indimenticabile, proprio come
desideravo che
fosse.”
Lance si alzò dal letto e
s’inginocchiò accanto a lei, sul
pavimento della stanza, per prendere quella sua pallida mano accasciata
sulle
coperte. “Sei stata molto coraggiosa, lo sai?”
“No, Lance. Credo di essere
solo stata stupida. Penseranno
che l’abbia fatto solo per fare un po’ di
scena.”
“Non dire così.
E poi… noi sappiamo qual è la
verità.”
“Grazie, Lance”
disse la ragazza. E tese le braccia per
stringerselo al petto. “Ho avuto paura, sai. Non lo
dirò a nessuno oltre a voi,
forse… qualcuno potrà pensare che io
l’abbia fatto così, senza pensare, per il
semplice gusto di combattere perché semplicemente volevo
farlo, ma non è per
questo. Volevo che questa battaglia fosse quella decisiva, volevo
ricordarla
sempre…”
Lance la guardò
sorridendo. “Sei una persona molto forte, lo
sai.”
La porta si aprì a questo
punto. Argento ne fece capolino
mormorando: “Luisa, il professor Oak e il professor Elm sono
rimasti per
vederti, ma tra poco dovranno andare via… te la senti di
vederli insieme a tua
madre o preferisci che tornino a trovarti domani?”
Luisa guardò Lance e
riportò lo sguardo su Arento. Disse
lentamente: “Sì, purché ci siate anche
voi…più tardi farete entrare mio
papà.”
Argento annuì e, aperta la
porta, si volse indietro e disse
a qualcuno alle proprie spalle: “Se la sente di vedervi tutti
e tre.” E fece
entrare i due uomini, e al braccio del più giovane, pallida
e stravolta da non
reggersi in piedi, c’era Monica che immediatamente cadde
seduta dove poco prima
Lance si era alzato.
“Dio, come sei stata
stupida a voler continuare a
combattere!” gemette, piangendo ma sollevata, con la bocca
coperta dalle mani.
“Mi dispiace
d’averti fatto preoccupare” disse Luisa con un
sorriso colpevole.
“Oh, ma se non fosse
arrivato quel dottore…quel dottor…”
“Si chiama Jude”
disse Lance immediatamente. “Dottor Jude.”
“Mai sentito”
mormorò Oak con gli occhi bassi. A quelle
parole, fulmineamente, gli sguardi dei tre giovani corsero a
incontrarsi.
“Sospetta
qualcosa…non
ha mai sentito parlare di un medico così abile” disse
Luisa, colpita.
“Potremmo
dirgli che
viene da Hoenn” replicò Argenti,
prendendole la mano per dissimulare quel
silenzio.
“No.
Come avrebbe
potuto arrivare così presto?” disse
Lance. Disse ad alta voce: “Luisa è
stata avventata, ma oggi ha scritto un capitolo nella storia della Lega
Pokémon. Mio padre avrebbe voluto vedere una sfida
simile.”
“E lei, professore? Che
cosa ne pensa?” domandò la ragazza
volgendosi verso Elm. Sentendosi chiamato in causa, egli
sollevò la testa e le
disse sorridendo: “Penso che tu abbia avuto un coraggio
inusitato, Luisa. E che
il tuo sprezzo del pericolo…”
“Non è stato
sprezzo del pericolo” lo interruppe Luisa, ma
senza freddezza: “Ho avuto paura.” Poi, baciando la
mano della madre, mormorò:
“Non sarai per caso arrabbiata con me?”
E la donna dovette scuotere il capo,
esausta, pallidissima,
dicendo: “No, ma è vero che mi farai
morire!”
“Luisa” disse il
professor Oak, con voce nitida e forte
“Presto avrò bisogno di parlarti in privato per
qualche minuto, ma dato che non
è urgente, posso tornare domani.”
Luisa avrebbe volentieri trovato
qualche scusa, e in effetti
non sarebbe stato difficile, per rifiutare di parlare con lui da solo a
sola.
Ma poiché sapeva che Lance amava molto quell’uomo,
e soprattutto a causa della
propria curiosità, gli disse che appena sua mare fosse
tornata a casa avrebbero
potuto parlare.
Difatti sua madre la
lasciò pochi minuti dopo, in compagnia
del professor Elm. Rimasta sola coi propri compagni e col luminare, la
ragazza
gli chiese per quale motivo le avesse richiesto un colloquio privato.
Egli sedette per prima cosa e
prendendole la mano le disse:
“Luisa, tu ricordi quella conversazione che avemmo, circa un
anno fa, nel mio
laboratorio…”
“Sì,
professore…la ricordo.”
“Hai pensato a quello che
vi dissi?” domandò Oak molto
seriamente. Luisa gettò uno sguardo ai suoi fratelli e
rispose sorridendo: “Sì,
professore, ci abbiamo pensato moltissimo!”
“Voglio augurarmi che tu
non l’abbia fatto per quel motivo”
disse l’uomo molto seriamente.
“Per…per quel
motivo?” domandò Luisa senza capire.
“Intendo dire…
che tu non l’abbia fatto per ottenere
l’approvazione di Ho-Oh.”
“No, professore…
si calmi. Io non voglio diventare…
diventare come Rosso” disse Luisa con decisione, ma guardando
altrove.
“Mi fa piacere sentirtelo
dire” mormorò l’uomo. Lance vide
che non era convinto e chinatosi su di lui gli disse:
“Professore, mi creda…
noi non stiamo facendo nulla per ottenere il consenso dei
Pokémon Leggendari o
di Ho-Oh…assolutamente niente.”
“Se volesse, potrebbe
chiederlo anche al nonno di Bill”
intervenne Argento. “Ha più parlato con
lui?”
Oak annuì e disse:
“Sì, certo…in varie occasioni. Di voi,
m’ha detto che non c’è da preoccuparsi,
ma comunque…”
“E allora, di cosa si
preoccupa?” esclamò Luisa. “Si fidi di
lui, se non di noi… e non si preoccupi. Tutt’al
più, se potesse…” Esitò e
guardò i suoi fratelli, in cerca di sostegno.
Proseguì: “Dicevo, se potesse… se
ha un po’ di tempo, dia un’occhiata a Blu, dal
momento che ora…”
Il professore capì le sue
intenzioni prima ancora che la
ragazza finisse di parlare. Sollevando una mano, si affrettò
a rassicurarla
dicendo: “Non temete…ci penserò io, per
almeno qualche giorno, a occuparmi di
Blu. Vedrete che sarà di certo tornato a
Biancavilla…per un po’ di tempo, me lo
terrò vicino. E per il resto…ma prima o poi se ne
farà bene una ragione.”
“Lo spero per
lui” commentò Luisa a bassa voce.
Più o meno convinto, il
professor Oak si decise comunque a
lasciar loro il beneficio del dubbio e a porre fine così,
cordialmente, alla
propria visita. Quando lo scienziato li ebbe lasciati, Luisa si
riposò per
qualche minuto, bevve un po’ d’acqua e si disse
disposta a vedere Celebi.
Inizialmente, Celebi entrò
in forme umane, le forme che
aveva assunto per venire a salvarla. Ma poi, quando Argento ebbe chiuso
la
porta alle sue spalle, allora si lasciò andare e
rilassò le membra stanche e di
nuovo fu Celebi, un’ombra, una nube, un soffio, una presenza,
Celebi di nuovo…
“Papà”
esclamò Luisa tendendogli le braccia.
“Quanto coraggio hai
dimostrato oggi! Mai nessuno avrebbe
potuto aspettarsi tanto, neppure da una principessa! Se tu sapessi
quanto sono
orgoglioso di te” mormorò Celebi nelle sue
orecchie.
“Ho preso da te”
disse Luisa staccandosi da lui. “Grazie per
avermi salvata.”
“E per cosa mi
ringrazi?” domandò Celebi. “Per non
averti
voluta perdere per la seconda volta?”
Guardò Lance e Argento e
divenne uomo, nelle forme che aveva
assunto tanti anni prima per contrarre matrimonio mortale:
“Dovrete aiutarla
per qualche tempo. Per una o due settimane dovrete rinunciare ai vostri
viaggi…
io ho potuto salvarla, ma è giusto che la ferita segua il
suo corso.”
“Ti ringrazio”
disse la ragazza. Si toccò il petto e disse
ancora, guardando altrove: “Questa è stata la mia
ultima vittoria su Rosso. Ma
ora lui ha perso e non potrà dimostrare di meritare il
consenso di Ho-Oh… della
sua vita piò decidere da solo, ma mi dispiace per Blu. Che
ne sarà di lui?”
“Non pensarci,
ora” disse Celebi. “Dopotutto, se non sono in
grado di vivere insieme soltanto perché Rosso si aggrappa,
come un folle, a una
qualche immagine inesistente, è solamente loro la
colpa.”
Luisa sorrise senza convinzione, ma
non parlò più di Rosso e
di Blu. Celebi
rimase con lei per
un’altra mezz’ora, poi la lasciò
perché riposasse. A quel punto Lance,
guardando l’orologio, disse che era bene che Luisa fosse
trasportata su per la
notte.
“È ridicolo che
tu debba dormire nella sala operatoria di un
centro medico” affermò. “Ti porteremo
nella tua stanza, poiché ormai non vi è
pericolo. Là potremo tenerti compagnia stanotte e
soprattutto potrai riposare
meglio.”
Luisa si mise a ridere. “Ti
credi molto forte” esclamò. “Non
penserai di portare su tutto il letto con me sopra!”
“Che scema che sei! Non sei
poi questa gran principessa” la
rimbeccò Lance sorridendo. “Basterà una
barella.”
Andò a chiamare Joy per
chiederle di portare la barella,
mentre Argento restava con lei.
“Ti ho ammirata molto per
quello che hai fatto, sai” disse
Argento, immobile presso la porta. “Ma ho anche avuto molta
paura.”
“Ne ho avuta
anch’io” mormorò Luisa abbassando gli
occhi.
“Di non rivedervi, di non… credevo di non farcela.
E di umiliarmi dandogliela
vinta.”
“In nessun caso ti saresti
umiliata” disse Argento. “È
troppo grande quello che hai fatto, quello che hai
dimostrato…anche se Rosso
avesse vinta la battaglia, credi che per entrambi quella vittoria
avrebbe avuto
un qualche valore?”
“No, certo.
Ma…”
“Ma?”
“Sento come se mancasse
qualcosa” disse Luisa. Si prese il
viso tra le mani. “Non è ancora finita, Argento,
io e Rosso non abbiamo ancora
finito…manca qualcosa tra noi due.”
“Tu hai vinto, Luisa. E da
un anno voi due sapevate entrambi
che questa sarebbe stata la vostra ultima battaglia.”
“Lo so, ma non è
una battaglia quella che ci manca, ora. Abbiamo
finito di scontrarci... entrambi sappiamo che sono io la migliore, e
non
abbiamo certo bisogno di dimostrarcelo ancora l’uno con
l’altra. No, è qualcosa
di un po’ diverso…”. Sospirò
nuovamente. “Dobbiamo rivederci per l’ultima volta
da avversari. Per l’ultima volta dobbiamo essere
nemici… e dopo, non importa
quel che accadrà. Ciò che diventeremo, dopo il
nostro ultimo incontro… sarà
un’altra storia. Capisci quel che voglio dire?”
“Come potrei non
capirti?” chiese Argento per tutta
risposta.
In quel momento rientrò
Lance. Aveva chiamato Joy e
l’infermiera veniva dietro di lui portando una barella
pieghevole. Pochi minuti
e un gran numero di scossoni dopo, Luisa si ritrovò sul suo
piccolo letto
fresco e domandò di poter vedere il filmato della Lega. Joy
scese di corsa e le
procurò in breve tempo il filmato.
“Puoi metterlo tu,
Lance?” domandò la ragazza porgendo la
videocassetta all’amico. Egli la prese e la inserì
nel registratore del piccolo
televisore posto davanti al letto.
“Sei sicura di volerla
vedere?” le chiese mentre tornava a
sedere sul letto accanto a lei. Luisa assentì col capo.
“Assolutamente. Voglio
capire cos’è successo…io non mi
ricordo.”
Era seduta sul letto, le gambe
ripiegate contro il petto
sfregiato, appoggiata alla spalla di Lance. Il filmato
partì. Ed era il primo
scontro, Rosso che combatteva Lorelei: partita persa in
partenza…
“Mio Dio”
mormorò Lance, gli occhi puntati su quella furia
violenta e rabbiosa, contro cui Lorelei non
poteva
se non soccombere.
“Sta
malissimo” disse Argento
incredulo.
C’erano
quegli occhi rossi e gonfi,
che sullo schermo risaltavano paurosamente, quello sguardo disperato di
chi ha
una sola possibilità, quel fremito impercettibile delle
labbra quando urlava,
quel continuo puntare gli occhi su Blu… Luisa si strinse ad
Argento e gemette:
“Hai visto con chi ho combattuto, io! E come avrei potuto
perdere?”
“Avresti
potuto, invece” disse
Lance. “La domanda è: come hai potuto
vincere?”
Il filmato proseguì. Con
eguale forza, anche il Blastoise di
Rosso infieriva sui Pokémon di Bruno, che non erano in grado
di incassare il
colpo…
“Anche i suoi
Pokémon sono disperati” mormorò Argento.
“Bah! Tu lo saresti se
dovessi passare la tua vita con un
individuo ossessionato dagli allenamenti” borbottò
Lance, ma non era una
battuta.
Luisa non si curò
egualmente delle sue parole. Mormorò:
“Thyplosion, quando ha capito che volevo vincere, ha
continuato a
combattere…allo stesso modo, i suoi Pokémon sanno
che devono vincere se lui
rivuole Blu. Per questo combattono
così…”
E poi Agatha, che non aveva speranze
contro il Charizard di
Rosso; e poi Lance…
E quell’inchino. Luisa
volle riavvolgere il nastro e
rivedere ancora quella scena.
“Cosa gli hai
detto?”
“Che si sarebbe inchinato a
sua volta se avesse perso.”
“Non ti ha
ascoltato” commentò Argento. Lance scosse il
capo.
“No, certo…lo
so. Ma sono sicuro che ne aveva l’intenzione.
Se fosse andata come avrebbe dovuto, credo che l’avrebbe
fatto senza dubbio.”
Luisa non rispose. Pensava a che cosa
mancasse a lei e a
Rosso, a quelle due anime in pena che solo scontrandosi potevano ambire
a un
po’ di pace e che forse erano tanto simili da riuscire a
capirsi e a
comprendersi, alla fine.
Abbandonò la testa sul
petto di Lance. Egli le circondò le
spalle con un braccio e la strinse forte a sé, baciandole la
fronte: “Come
stai?”
“Mi sembra
un’altra persona. Non l’ho mai visto da vicino
come in questo filmato, mai: ci siamo sempre guardati così
da lontano… non
avevo mai visto così da vicino quei suoi occhi
così disperati e… credo di
essere la persona che sulla faccia della terra lo capisce meglio, sai:
non so
nulla di lui, neppure so molto del suo passato se non quello che da
altri mi è
stato raccontato… ma sono come lui, e per questo penso di
poterlo comprendere.”
Si coprì la faccia con le
mani mentre sullo schermo si
susseguivano le immagini: una rapida vittoria sul suo Pikachu e sul suo
Espeon,
il suo sguardo disperato ma infuocato, i suoi propri colpi che erano
crudeli e
feroci, ma dannatamente pietosi; e poi la terribile scena della sua
caduta…
Luisa rabbrividì.
È quasi finita, si disse
durante gli ultimi minuti dello
scontro. Quasi, però. Dobbiamo essere avversari ancora una
volta: per l’ultima
volta mi dovrò scontrare con le fiamme che ardono negli
occhi del mio nemico… e
quello che diventeremo dopo, lo decideremo in seguito.
Capitolo
assurdamente
lungo, ma che non avrei saputo come tagliare o abbreviare e che per
questo
posto così com’è, tutto bello lungo e
sudato. Spero vi sia piaciuto, sebbene
questo fosse uno degli elementi forse più infantili e banali
dell’intera storia
(che peraltro ho progettato a 8 anni, dunque…)
Un bacio
alla cara
Emma Bradshaw. A presto!
Afaneia ;)