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Autore: PrimaveraRossa    19/06/2012    1 recensioni
Quando ero bambina passavo ore ed ore a guardare nel fuoco, persa nelle volute rosse di un caminetto acceso. Potevo immaginare di tutto: spade e guerrieri, o lampi, vite tempestose e vorticanti che si divoravano l’un l’altra fino a cadere in pezzi. I ceppi di legno erano una mano protesa che veniva troppo presto divorata dalle fiamme. Fin d’allora, mi sentivo ammaliata dal rosso del fuoco, che mi stupiva e soggiogava in ogni sua manifestazione.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero bambina passavo ore ed ore a guardare nel fuoco, persa nelle volute rosse di un caminetto acceso. Potevo immaginare di tutto: spade e guerrieri, o lampi, vite tempestose e vorticanti che si divoravano l’un l’altra fino a cadere in pezzi. I ceppi di legno erano una mano protesa che veniva troppo presto divorata dalle fiamme. Fin d’allora, mi sentivo ammaliata dal rosso del fuoco, che mi stupiva e soggiogava in ogni sua manifestazione.
Anni dopo, guardando una sigaretta accesa, provavo la stessa sensazione. Ne ricordo una in particolare: era tarda sera. Le vetrate della finestra innanzi a me erano totalmente nere; il mio riflesso era in loro, mentre davo un tiro ed assaporavo il tabacco secco sudamericano. Ed ecco il rosso brillare, più forte e vivido delle umili luci cittadine, lontane da me, fredde e sbiadite.
La vita si srotolava in quella sigaretta, sfiorando l’amore e tutte le cose che avevo perduto.
Ciò che avevo vissuto non mi apparteneva; ogni ricordo sembrava il frammento della vita di qualcun altro, ed ogni inquietudine, ogni memoria, si sperdevano e sbriciolavano dinanzi alla semplice banalità del momento. L’istante in cui vivevo pareva non appartenermi, come se esso stesso dovesse andare ad ammucchiarsi su tutta una pluralità di momenti e tempo sprecato.
L’unica cosa che mi parve allora reale erano i miei libri, le storie che avevo amate e vissute mentre ascoltavo il canto di un cuore che conosceva la vita meglio, forse, del mio. Era dolce la sera, paragonata alle sere indefinite e lontane passate con un buon libro in mano, era ben lungi da me tutto il resto. Mi parve d’esser vissuta in un sogno, il cui unico punto reale era proprio quel che era stato inventato: il racconto.
Gli attimi si spengono, gli uomini restano. Allora un coro di mille voci pareva ardere in me, al di là dell’arte che le aveva veicolate. Ricordo che quella sera bevvi. Il resto è buio.
Anni dopo, ancora, fissavo il camino come attendendo una risposta alle domande che mi si ponevano nella mente, cui ancora forse non ero capace di dare voce. Era settembre: già si annunciava l’autunno, e con esso nuove decisioni ed un’infinità di scelte. Ero infatti innamorata: lui era bello, buono e forte, o così mi pareva. Ovviamente mi stavo illudendo, ma come non ricordare, con un filo di amarezza, l’inquietudine dinanzi alla paura della separazione, provata di fronte al camino? Egli era dietro di me, ma stava per partire. Io non sapevo che fare.
Il fuoco allora mi disse di scegliere: avrei potuto lasciarlo, andare avanti nella mia vita e non vederlo più, oppure progredire silenziosamente al suo fianco. Fuoco, fuoco mio, cosa vuole il mio spirito? Non so se mi giunse una risposta, ma io non la udii. Rimasi con lui e tante lacrime avrebbero spento quel camino.
Il fuoco forse per me fu sempre il simbolo della mia impotenza, della ragione che viene sconfitta dalle ragioni del cuore, della forza delle viscere che entrano in possesso della nostra facoltà di intendere e ce la strappano. Fumavo; sono cardiopatica. Guardavo il fuoco: intanto i miei genitori  litigavano. Ed io sapevo cosa fare, ma non avevo il coraggio di ammetterlo. Il fuoco è la rabbia repressa, la mia vera natura.
Lo compresi una sera, guardando il camino che avevo fatto mettere nella cucina della mia casa. Un uomo era al mio fianco, era mio amico. L’uomo migliore che avessi mai conosciuto. Lui stava per partire, per cercare di raggiungere un’altra e non sarebbe mai più tornato da me. Allora il fuoco mi disse di agire ed agii: lo baciai.
Egli però non mi amava che come una sorella. Ah, come è duro seguire il proprio cuore, dopo anni di repressione, per vederlo umiliato dinanzi ad un altro! E fu terribile, ma quel gesto continuo a sentirlo mio. Non rinuncerei mai all’aver baciato Davide, come il fuoco mi suggerii, mai vorrei tornare indietro. Fu grazie a questo che ruppi trent’anni di melanconia, fu il gesto che feci che mi dette la possibilità di andare avanti.
La vita era un susseguirsi di strade chiuse fino ad allora, che di volta in volta avevo dovuto percorrere. Dopo quel gesto, tutte si spalancarono.
Potei scegliere e scelsi: mi gettai nel lavoro. Allora intrapresi un viaggio in sud America, in un periodo in cui il fuoco dei camini sarebbe stato spento. Lavorai, mi gettai nelle mie passioni. Io ero divenuta fuoco, non avevo più bisogno di guardarlo.
E, dopo anni di questo, sono seduta nella mia cucina ed accendo il camino, tanto per compagnia, mentre scrivo. Ho bisogno di sfogare i miei pensieri così: i miei nipoti sono troppo piccoli per ascoltarli.
E’ tornato mio marito dalla sua passeggiata serale. Alla fine mi ha amato: non quella che ero, una bambina insicura. Davide si è innamorato della donna forte che sono diventata; infine ha intrapreso con me l’avventura maggiore.
Mi concedo un tiro di tabacco sud americano, l’ultimo ricordo di mille avventure. Esse sono come i miei libri, mi appartengono, non sono pezzi rubati alla vita di un altro. Sono grata ogni giorno al mio dio fuoco di avermi spinta a rischiare; possa l’amore che mi ha donato ispirare molti altri ad esplorare il proprio mondo interiore.

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Ciao ragazzi! Questa è la mia prima storia su efp, per favore commentate! Voglio sapere cosa ne pensate, grazie!

  
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