Capitolo
14
– Love
will tear us apart (*)
Los Angeles
March 2011
h 11.25 am
Il mattino seguente, Shannon l’aveva accompagnata
in aeroporto, dove si sarebbe incontrata con Victoria per prendere insieme il
volo di ritorno per New York. Il breve tragitto in auto dall’Hollywood Boulevard
fino al Los Angeles International, sembrò protrarsi per ere geologiche,
tanto era opprimente e assordante il silenzio che riempiva l’abitacolo.
Quella notte pazzesca, anziché avvicinarli li aveva
divisi, era chiaro.
Per quanto nessuno di quei due sciagurati volesse
ammetterlo, entrambi si sentivano vigliaccamente sollevati, ora che la loro
storia aveva raggiunto quell’empasse. Che entrambi ne soffrissero si
vedeva a milioni di anni luce e niente al mondo avrebbe impedito a Serena di
versare tutte le lacrime che aveva inzuppando il maglione di lui, quando
l’aveva salutato, in piedi davanti al mostruoso Suv nero. Né Shannon avrebbe
potuto fare a meno di stringerla forte a sé, esitando un secondo di troppo,
come se mai e poi mai avrebbe desiderato lasciarla andare.
Victoria scese dal taxi che aveva accostato davanti
all’ingresso delle Partenze, a pochi metri di distanza da loro. Occhiali scuri
per imprigionare i segni del tempo che le solcavano il viso, rossetto rosso
sangue come l’impermeabile che indossava, i capelli a caschetto neri stile Pulp
Fiction tagliati con millimetrica precisione ed una sigaretta già accesa stretta
tra le lunghe dita ossute. Si guardò intorno per un istante prima di
individuare Serena e Shannon e rivolgere a quest’ultimo un saluto entusiasta agitando
la mano e sorridendo a trentadue denti, ignorando quasi del tutto la sua assistente.
Shannon rispose con un cenno della testa ed un sorriso imbarazzato “What the
hell is wrong with her?” sussurrò tra i denti rivolto a Serena “I guess
you have a new fan…” Serena si ricompose, cercando di asciugare le lacrime
senza dare nell’occhio: non aveva alcuna intenzione di mostrare le sue
debolezze, soprattutto non di fronte a Victoria. Quest’ultima tuttavia era già
immersa in una fitta conversazione con quello che aveva tutta l’aria di essere un
pilota della British Airways. A quanto pareva, per costringerlo a farle da
facchino, per scaricare i suoi bagagli e caricarli sul carrello.
Shannon si sbattè i pugni in tasca e si guardò
intorno, come a cercare ispirazione in ciò che lo circondava, prima di tornare
a concentrarsi su Serena.
“Beh, ci fosse stato mio fratello al posto mio,
sono sicuro che avrebbe trovato un bel discorso maledettamente poetico da fare
in questo momento…”
“Non mi interessano i grandi discorsi, pensavo che
ormai l’avessi capito…Però una cosa vorrei saperla, prima di andarmene…”
“Cosa?” Shannon alzò lo sguardo, abbagliato dal
raggio di sole che illuminava il volto di lei, facendole brillare gli occhi.
Perse per un istante il filo della conversazione, mentre cercava di assorbire
quanti più dettagli e sensazioni possibili di quel momento: il suo profumo, il
modo in cui si riavviava i capelli, dopo che una folata di vento li aveva
scossi….ma soprattutto quell’azzurro-verde dei suoi occhi, impossibile anche
solo da descrivere. Temeva che, con il tempo, il ricordo di quel colore sarebbe
sbiadito, come le pagine di una vecchia rivista. Quando lei parlò, faticò un
po’ per mettere a fuoco le sue parole e ritornare con i piedi per terra.
“Lo pensavi davvero quello che mi hai detto stanotte?”
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire…” Serena prese a fissarsi le punte dei
piedi, a disagio, giocherellando con una ciocca di capelli “…dai, hai capito….”
Shannon le prese il mento con la mano e lo sollevò,
finché i suoi occhi ambrati non imprigionarono lo sguardo di lei. Aveva capito
benissimo a cosa lei si riferisse.
“Verrò a cercarti fino in capo al mondo se
necessario, Kid.”
“Ti prego, non farmi promesse che non potrai
mantenere…So bene che non ci rivedremo più, a meno di non volerlo entrambi….e invece
io devo concentrarmi sulla mia carriera e tu sulla tua, è giusto così.”
Shannon la lasciò andare e alzò un sopracciglio,
scettico. “Sei sicura che sia per colpa della carriera? Perché a me sembra solo
che tu abbia una paura maledetta e ti stia nascondendo dietro la scusa del
lavoro! Se è così, dimmelo subito, smettiamola con le cazzate…è chiaro che se
non vuoi rischiare, vuol dire che pensi non ne valga la pena!” Si morse il
labbro, come a volersi rimangiare ciò che aveva appena detto. Sapeva di averla
messa spalle al muro in questo modo.
Non
costringermi a farlo, Shannon, ti prego. Eppure non vedo altra soluzione….
“Hai ragione, Shannon, voglio essere onesta con te.
Io ti voglio bene, ovvio, ma l’amore è tutt’altra cosa. Non voglio farti
credere di ricambiare i tuoi sentimenti, né sono disposta a sacrificare la mia
carriera e la mia vita per inseguire una chimera…credimi, è meglio per entrambi
se non ci vediamo più.”
“…neppure se ti vedo piangere
riesco ad essere felice
neppure se ti parlo veramente
quando ti dico
che per me non conti niente…”
Si era giocata tutto e lo sapeva. Lottò con tutte
le sue forze per trattenere le lacrime amare che premevano per uscire e per
continuare a guardarlo dritto negli occhi, per non tradirsi. Una parte dentro
di sé, da dietro le sbarre nella quale era rinchiusa, urlava, la implorava di
restare con lui. Ma ormai aveva preso una decisione, era troppo tardi per
tornare indietro.
“Se è così che stanno le cose…non abbiamo altro da
dirci.” Shannon le rivolse uno sguardo deluso e rassegnato, gli occhi ambrati fiammeggianti
di rabbia. Anche se l’orgoglio gli impediva di dimostrarlo, aveva incassato il
colpo ed ora l’unica cosa che voleva, era mettere un bel tot di chilometri di
distanza tra lui e lei. Si avviò verso il lato del guidatore ed aprì la
portiera, mentre dal cielo iniziavano a cadere di nuovo pesanti e fredde gocce
di pioggia.
Serena, incapace di proferire parola, lo guardò
sbattere la portiera, avviare il motore dell’auto, accendersi una sigaretta e
ripartire a tutta velocità, effettuando un’inversione a U, da ritiro della
patente a vita.
Oddio,
se n’è andato veramente…e adesso??
Il panico iniziò a serpeggiare dentro di lei, come
un veleno che si propaga….lo sentiva pulsare nelle vene e lentamente
raggiungere ogni singola parte del suo corpo.
Allora
è così? E’ vero che bisogna perdere una persona per renderci conto di quanto
teniamo ad essa! Addio Shannon….non odiarmi, ti prego….
I suoi pensieri furono interrotti dal vibrare del
cellulare. Rispose senza neanche darsi pena di controllare chi fosse,
inconsciamente sperando che fosse lui.
“Serena, ma insomma ti muovi?? E’ mezzora che ti
aspetto qui al gate, capisco che devi salutare il tuo bel fusto, ma devi
guardarmi i bagagli, voglio andare a fare un giro al duty free!”
“Scusami, arrivo subito. E quel bel fusto
non è mio…non lo sarà mai.”
*******
Per evitare di ripensare a ciò che era successo e
quindi di sentirsi talmente in colpa e incazzata con se stessa, tanto da
progettare nei minimi dettagli il suicidio, aveva approfittato della scorta
personale di ansiolitici e tranquillanti di Victoria, così da riuscire a
dormire per gran parte del volo di ritorno. Quando mancava ormai meno di
mezzora all’atterraggio, infreddolita dopo aver dormito per diverse ore, si
alzò per recuperare l’impermeabile dal vano porta bagagli, lo infilò e stava
per riaccomodarsi al suo posto, quando una hostess alle sue spalle la chiamò.
“Miss!
You lost this.” Disse, porgendole un foglietto di carta ripiegato
che evidentemente doveva esser scivolato fuori dalla tasca del suo
impermeabile.
“Thank
you, I didn’t notice…” rispose confusa. Che
diamine era quella roba? Sedette al suo posto, allungando le gambe nel sedile
vicino vuoto e, accendendo la luce, si accorse che si trattava in realtà di un
foglio contenente quella che aveva l’aria di essere una poesia…o meglio, una
canzone, scritta con la calligrafia di Shannon!
“Your
song”???... (**)
Lesse e rilesse quelle parole più volte, senza
riuscire a smettere. Aveva scritto quella canzone per lei. ”…Stick with me
until tomorrow comes”, le stava chiedendo di restare con lui? Già
immaginava come sarebbe andata a finire tra di loro? L’aveva deluso, ecco il
perché del suo risentimento quando l’aveva salutata…
Bene Serena, ora è ufficiale:
sei un’emerita testa di cazzo!
Lui l’aveva già intuito, che
avresti scelto la tua vita, la strada più facile, senza rischiare
di mettere in gioco i tuoi
sentimenti per stare con lui…
eppure, nonostante tutto, ti
aveva dato una possibilità….e tu l’hai sprecata!
Sarai fiera di te stessa,
adesso….resterai sola e zitella a vita!! Quando sarai una manager del cazzo, al
massimo avrai 2-3 gatti - tanto per avere qualcuno ad aspettarti a casa la sera
tardi - che assisteranno impotenti alla tua morte solitaria, in una fredda
notte d’inverno.
Probabilmente nevicherà pure
quella notte, rallentando i soccorsi.
Che comunque sarebbero inutili,
perché non ti troverebbero prima del giorno dopo, come minimo. Ed è
precisamente ciò che ti meriti, per aver lasciato andare quell’uomo stupendo,
che,
Dio solo sa perché, ma si
ostina ad amarti!!
Ma tanto ormai è andata,
chiaramente non vorrà più vedermi…
Senza rendersene conto, stava stringendo il foglio
tra le mani, stropicciandolo, mentre una lacrima fredda e inconsapevole,
scendeva a rigarle il volto.
Perso per sempre….
********
Erano circa le nove di sera, quando Serena e
Victoria uscirono dal LaGuardia Airport, saltando sul primo taxi
disponibile, che le portò dritte in direzione del centro di Manhattan.
“Ricordami domattina appena arriviamo in ufficio di
chiamare l’ufficio stile, per sentire se hanno già i risultati dei test delle
pelli del nuovo campionario….poi senti Josh se è tutto pronto per mercoledì…”
“Per mercoledì….?” Serena riemerse dai suoi
pensieri, domandandosi di cosa diavolo stesse parlando…
“Serena, svegliati! Mercoledì partiamo per la sede
centrale in Italia, per l’anteprima delle collezioni, te ne sei dimenticata??”
“No, certo che no…ero solo sovrappensiero, scusami.
Controllerò i documenti e le prenotazioni domattina.”
Victoria alzò gli occhi al cielo, sbuffando “Certo
che quello Shannon ti ha proprio fatto perdere la testa, eh? Scommetto che ti
sei anche dimenticata di contattare Emma per l’invito per lei e Jared Leto a
Parigi…”
“Beh, avrò pur diritto di perdere la testa anche io
ogni tanto, no?? Non sono mica un robot!” sbottò lei interrompendola, incapace
di trattenere oltre la sua irritazione, causata sì dai continui rimproveri di
Victoria, ma soprattutto dal sentir pronunciare quel nome. Victoria rimase di
stucco per un istante, prima di rivolgere altezzosamente lo sguardo verso il
finestrino, fingendo di guardare il panorama. “Della tua vita privata non mi
interessa, sono affari tuoi. Però sul lavoro, ogni tuo errore si ripercuote su
di me, quindi vedi di tenere gli affari di cuore e il lavoro separati.”
Serena non rispose. Sapeva che non sarebbe stata
capace di trattenersi dall’urlarle in faccia di andarsene al diavolo, qualora
avesse aperto bocca….e in realtà la sua mente era ancora imprigionata nel
ricordo dell’amarezza in quegli occhi color nocciola, quando si erano posati su
di lei per l’ultima volta.
*******
Dopo aver fatto scendere Victoria a casa sua, in
Park Avenue, il taxi risalì la Madison, facendosi strada a fatica nel traffico.
L’intro di Night of the hunter risuonò nell’abitacolo e Serena si disse
che avrebbe presto dovuto cambiare suoneria, per evitare di avere il cuore in
gola ogni volta.
“Hey
Josh! What’s up?”
“Hey
S.! Are you back in the City already? You know, I think I might have put you in
trouble with Victoria and I’m sorry about that…”
“Are
you kidding me? No need to apologize, it’s not your fault at all! I don’t know
what I was thinking when I jumped on the first flight to LA, without warning
you nor the Boss, that I wasn’t coming to work…”
“Well,
I bet you knew exactly what you were thinking…I guess you joined your
boyfriend, didn’t you?” disse lui con aria maliziosa.
“Well,
let’s say you’re not completely wrong: yes, I stayed in LA with Shannon, but
no, he’s not my boyfriend….not anymore…”
“You
sound really sad sweetie…how about me picking you up and go have a blast in the
city tonight?”
“You’re
really sweet Josh, but….I don’t know…” Il senso di colpa le attanagliò lo stomaco,
guadagnando lentamente terreno dai recessi della sua mente. Non si sarebbe mai
punita abbastanza, per ciò che aveva fatto a Shannon, per come l’aveva deluso e
tradito la fiducia che riponeva in lei…Ormai aveva rovinato tutto, non le
restava niente. Tanto valeva arrivare a toccare il fondo, era l’unica speranza
che aveva per poter risalire…
“…è una vita spesa male,
ma tanto ormai è finita e lo sai
perché è finita.
È colpa mia
che non mi curo delle tue speranze
per piccoli egoismi e altrettante bugie
e nessuna spiegazione…” (***)
“What
the hell….I’m in! Let’s
say 11 o’clock?”
“Great!
Dress up to kill, cause there’s a huge new club opening
event at the Village I don’t wanna miss!”
“Dance
music? Ewww….but I guess that’s exactly what I need right
now. See ya later!”
FINE
CAPITOLO 14
NOTES:
Come
al solito, scusatemi per l’imperdonabile ritardo, ma è un periodo un
po’…complicato e la creatività è ai minimi storici purtroppo L Tuttavia spero vi sia piaciuto il
capitolo, se volete lasciare un commento sarà ben gradito! ^_^
Ringrazio
di cuore la mia Donnah Lexie ed i suoi amorevoli calci nel sedere, per
spronarmi a scrivere <3 e ovviamente tutte le mie adorate Crazy for GOT
<3 <3 <3.
E
infine grazie a voi tutti, lettori e recensori, spero di riuscire a regalarvi
qualche emozione <3
(*) Il titolo si
riferisce all’omonima canzone dei Joy Division
(**) Vedi capitolo 12
(***) Il Teatro degli Orrori – E’ colpa mia http://www.youtube.com/watch?v=t0CK_spHYrE