Capitolo
15
– Can
you feel it? Things are changing…
New York
June 6th
2011
Serena’s place
“HOLY
SHIT!!!”
Serena sputò fuori dai denti una serie di
imprecazioni, dopo aver sbattuto il ginocchio contro il tavolinetto del salotto
di casa sua, saltando in piedi dal divano. Massaggiandosi l’arto dolorante, si
fece largo saltellando su un piede solo, tra lattine di birra, bottiglie di
vodka, indumenti vari e posaceneri improvvisati in bicchieri di carta riempiti
d’acqua per metà, finché non recuperò il blackberry dall’interno della sua
borsa: la sveglia suonava già da un pezzo, per quanto riuscisse a ricordare. Si
stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco il display per leggere l’ora
e si appoggiò con una mano alla libreria, nel vano tentativo di fermare la
stanza che continuava a girare.
“Josh,
wake the fuck up, it’s 8:20 already! I have to pick up Victoria in less than an
hour!”
Si precipitò verso la finestra, spalancando le
tende ed aprendola, per far entrare la luce del sole nel vano tentativo di
dissipare l’odore decadente di alcol, fumo e sesso che impregnava la stanza. Si
lasciò avvolgere dal sole tiepido di giugno, affacciandosi dal davanzale e
soffermandosi per un istante per trarre lunghe boccate d’ossigeno, cercando di
organizzare mentalmente le cose da fare prima di partire. L’aria newyorkese era
sì, intrisa di smog, ma ciononostante Serena respirò a fondo, un po’ per
cercare di scrollarsi di dosso i vaghi ricordi della sera precedente, ma anche
per arginare la sensazione di panico che
la assaliva puntualmente ogni mattina, prima di gettarsi a capofitto nella
giornata. Ormai non si sforzava neanche più di cercare di mettere insieme i
pezzi della sera precedente. Fintanto che era insieme a Josh, sapeva che non le
sarebbe successo niente di male….o almeno, niente di male dal punto di vista
fisico. Per quanto riguardava il buco nero che si sentiva nel petto beh, non
c’era niente che nè Josh, né nessun altro, avrebbero potuto fare; tutto l’alcol
del mondo non sarebbe mai servito a colmare quel vuoto dentro che sentiva. Si
soffermò a guardare il panorama dal quinto piano del suo appartamento e di
nuovo avvertì quella familiare morsa allo stomaco, sentendosi risucchiare dal
vuoto sottostante…senza rendersene conto si era aggrappata al davanzale con
tutte le sue forze, sudando freddo e sbiancando in volto, finché due mani non
la afferrarono saldamente per i fianchi.
“Ehy, dove credi di andare?”
“P-perché?” Balbettò lei, colta alla sprovvista.
Josh, i capelli biondo miele arruffati e la barba sfatta, le scostò i capelli e
la baciò lungo il collo, il torace premuto contro la sua schiena, che si alzava
ed abbassava al suo stesso ritmo.
Le era stato molto vicino negli ultimi mesi, a suo
modo. Se c’era una cosa della quale Josh Greenwood (*) era sicuro, era l’efficacia di una sana sbornia, come rimedio
ai problemi di cuore. Ciò faceva di lui un qualunquista? Forse. Ma in quella
metropoli frenetica e costantemente in evoluzione nella quale viveva, in
qualcosa bisognava pur credere. In fondo si divertivano insieme, lui e “S.”,
anche se sapeva che lei era mossa più che altro dalla necessità di buttarsi
alle spalle i postumi della relazione con Shannon. Per lei era più semplice
gestire i postumi di una sbronza, piuttosto che continuare a tormentarsi.
La scrutò per un attimo socchiudendo gli occhi e
soppesando la possibilità di continuare il discorso. Quella spirale
autodistruttiva nella quale si era cacciata, prima o poi sarebbe
degenerata…quanto ancora avrebbe potuto reggere, buttando giù quantitativi assurdi
d’alcol quasi tutte le sere, dormendo 2-3 ore per notte, per poi alzarsi e
sopportare giornate lavorative lunghe almeno 12 ore consecutive? Josh capiva
che quella era una specie di contorta e malata punizione che Serena tentava di
auto infliggersi…tuttavia si sentiva responsabile per lei, visto che - a parte
qualche amico - a New York era sola in realtà e temeva che avrebbe commesso
qualche cazzata peggiore, se non ci fosse stato lui a riportarla con i piedi
per terra. Ciò includeva l’assicurarsi che riuscisse a rientrare a casa sana e
salva, quando la riaccompagnava in taxi alle 6 del mattino, ma anche sorbirsi
le sue crisi isteriche ogni qual volta erano in un locale pubblico e una
canzone dei Mars passava alla radio. Questo ed altro, era costretto a sopportare,
ma non riusciva a fargliene una colpa. Dopotutto, grazie a lei era persino
riuscito a salire di grado in azienda, finalmente….Senza parlare del fattore
sesso che, diciamocelo, ha sempre un certo spessore – sogghignò tra sé.
“Dai
Josh, è ora di muoversi” Serena si divincolò dalla sua stretta e iniziò a
freneticamente a recuperare i resti della serata precedente dal pavimento del
salotto.
“Tranquilla,
me ne stavo andando. Anche io ho un lavoro, sai?” Josh alzò gli occhi al cielo,
sbuffando “però prima di andare mi faccio una doccia. Nel frattempo potresti
anche prepararmi un caffè, tanto per ringraziarmi della serata…”
“Stronzo.
Il caffè te lo fai da solo, io devo essere pronta e fuori di qui in meno di
mezzora!”
“Hey
S, cos’è tutta questa gentilezza di prima mattina? Guarda che potrei anche
abituarmici, eh!”
“Scusa,
ma ho troppo mal di testa anche solo per pensare a come risponderti,
quindi fammi il favore…”
“Seee
seee…grazie a Dio te ne vai per qualche giorno…ma cos’ho fatto per meritarmi te??”
“Ah,
non lo so, ma nella tua vita precedente devi averla fatta grossa!” Sorrise,
ironica, mentre lui fingeva uno sguardo truce, prima di chiudersi alle spalle
la porta del bagno.
Valigia. Abito per la serata di
gala già spedito all’hotel. Documenti per il viaggio. Mi farò prendere dal
panico più tardi, per l’incontro con Jared di domani. Paris, j’arrive.
June 7th 2011
@ Gibert Joseph (**)
Paris
Il locale è già pieno zeppo di
gente e anche la strada di fronte.
L’auto è costretta a deviare
nella stradina laterale chiusa al traffico, per farci entrare dal retro. In
realtà non ci aspettavamo tutta questa ressa, per questo siamo venuti tutti
insieme in un’unica auto. Odio queste cazzate da VIP di entrare di nascosto dal
retro dei locali, per non essere costretti a passare in mezzo alla gente, ma ci
hanno obbligato per “motivi di sicurezza”. Sento di perdermi la parte migliore
di questo lavoro, quando devo privarmi dell’opportunità di stare in mezzo agli
Echelon….fino a pochi anni fa, era tutto diverso. Non dico che fosse migliore,
ma sicuramente diverso. Prima e dopo i concerti potevamo restare per ore a
chiacchierare e ubriacarci con i ragazzi che venivano a sentirci, non dovevamo
rispondere a nessuno di quel che combinavamo…e affanculo la “sicurezza”! Però
che cazzo, non voglio mica lamentarmi di aver ottenuto questo successo enorme
con l’album, sarei un ipocrita se dicessi il contrario…oltretutto mi sono fatto
il culo per arrivare fin qui e la strada da percorrere è ancora lunga. Non mi
ha mai regalato niente nessuno e sarà sempre così, non puoi permetterti il
lusso di prenderti una vacanza, quando “giochi” a questi livelli….ma se fosse
facile, qualunque stronzo riuscirebbe a farlo, no?
L’Audi nera accosta davanti ad
una porticina di ferro antipanico, tenuta aperta da una donna sui 35-40 anni,
bruttina, ma con un gran sorriso zuccheroso e al collo un cartellino di riconoscimento
con il logo del negozio e la scritta “Store Manager”.
“Bonjour….Geraldine!”
Mi avvicino per leggere il suo nome stampato, sfoderando la mia migliore
finta “erre moscia” alla francese. Lei arrossisce fino alla punta dei capelli
di un biondo incartapecorito.
“Ehm….goodmorning! Please, come inside Mr
Leto”
I francesi che parlano inglese.
Poi prendono in giro me, quando mi sforzo di parlare francese il meglio
possibile. Non faccio storie e la seguo all’interno, in una stanza piena zeppa
di scatole e scatoloni, riviste di musica e libri impilati, una scrivania
consunta e diversi vecchi pc ingialliti, il tutto incastrato alla buona in non
più di venti metri quadrati di spazio, senza finestre.
Shannon mi segue, facendo un
rapido cenno a Geraldine, mentre Tomo si toglie gli occhiali da sole e la
saluta educatamente. Mi affaccio cautamente alla porta che dà sull’interno del
negozio e vedo Emma già dietro al tavolo allestito col nostro merchandising, tra
l’angolo riservato ai dischi vinili e le scale mobili per il piano superiore.
Mi saluta con la mano, appena mi vede, per poi battere col dito sull’orologio
al polso, impaziente. Le sorrido e le faccio cenno di rilassarsi, tanto per
farla incazzare un po’.
“Mr Leto, you will find everything already in
place. How much time do you have?”
“Time?
Not much really. I’m afraid our time on this
planet is limited, my friend.” Dico
appoggiandole la mano su una spalla. Lei mi guarda sgranando gli occhi,
attonita, come se le avessi appena chiesto di sacrificare il suo primogenito.
Mi guardo attorno cercando sostegno, ma Tomo ha già alzato gli occhi al cielo,
mentre Shannon sta armeggiando con il cellulare, isolato dal mondo. “Laisse
tomber” dico rassegnato a Geraldine, “Abbiamo solo un’ora di tempo,
purtroppo…Spero di riuscire ad accontentare tutti!”
“Tutti?
In un’ora? Mr Leto, ci saranno almeno 300 persone qui fuori, di sicuro non
riuscirete ad autografare tutti…”
“Volere
è potere, cara Geraldine.” Di nuovo mi guarda come se fossi pazzo….ma ormai
non ci faccio più caso. Stasera c’è quella stramaledetta Vogue’s Night Out,
alla quale devo andare e non ne ho nessuna voglia. Se potessi resterei qui, a
chiacchierare con questi ragazzi…ma purtroppo si tratta di pubblicità e non ho
potuto rifiutare.
Sento gli occhi di Shannon
piantati sulla mia schiena come pugnali. Da qualche giorno si rivolge a me solo
tramite grugniti e mi lancia certe occhiate, neanche volesse incenerirmi. Gli
rode il culo al solo pensiero che il sottoscritto stasera incontrerà lei…Beh,
ma non è mica colpa mia! Devo andarci per forza, non faccio i salti di gioia….gli
ho anche rimediato un pass, qualora cambiasse idea e decidesse di venire con
me, ma niente da fare…dice che “E’ meglio così” e su questo non posso dargli
torto…mi dispiace solo che stia così di merda…
“Mr Leto it’s all set. If
you want, you can come out and go to your place” Geraldine, col suo inglese
precario, si affaccia alla porta del magazzino/ufficio/retrobottega/scantinato
nel quale ci siamo accomodati. Tomo è al cellulare, tanto per cambiare e Shan è
metà dentro, metà fuori dalla porta che dà sul vicolo esterno, a polverizzare
l’ennesima sigaretta di oggi e chiacchierare con i due uomini della sicurezza e
l’autista.
“Merci mon chèrie! Nous venons tout de
suite.”
“Si
dice MA chèrie, non mon.” Alza gli occhi al cielo esasperata ed esce
richiudendo la porta, borbottando qualcosa che assomiglia a “Américains!”
Mi
volto verso il resto della band, battendo le mani una volta per avere la loro
attenzione e infilo gli occhiali da sole.
“Gentlemen
we’re ready to go. Let’s do this.”
FINE CAPITOLO 15
Notes:
Chiedo umilmente perdono a tutti voi, per l’enorme ritardo! Vi
ringrazio davvero tantissimo anche perché, nonostante la mia imperdonabile
lentezza nel postare, avete avuto la pazienza di restare con me (e Serena) per tutto questo tempo!
<3 <3 <3
(*) Scusate, non ho
potuto farne a meno! :D Ora avrete capito a chi mi sono ispirata per il
personaggio di Josh, quantomeno per l’aspetto fisico: al nostro Babu! <3 .
Per i lettori estranei al mondo Marziano: Robert Greenwood è il – presunto (?) – fratellastro
di Jared e Shannon Leto; per darvi un’idea di chi sia: http://www.youtube.com/watch?v=NwD8Yug55cA
(**) Le foto dell’evento
parigino le trovate qui:
http://www.shannonletoarmy.com/gallery/thumbnails.php?album=430