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Autore: BeeMe    21/06/2012    3 recensioni
Una giornata qualunque. Una chiassosa giornata qualunque.
E' questo l'inizio della fine.
Incomprensioni, amori, cuori spezzati infrangono l'ordine delle cose a Jump City e i Teen Titans s ritrovano nell'occhio del ciclone.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo chi ama impara a sognare,

ma solo chi sogna impara a volare.

 

Dopo il bacio, Corvina e Robin erano ritornati dentro la piccola stanzetta dell’ospedale.

Pochi minuti dopo un’infermiera più dolce di quella che li aveva accompagnati lì entrò nella camera e, afferrato Robin per un braccio, lo trascinò fuori sbattendosi la porta alle spalle.

Corvina era certa di averla sentita borbottare qualcosa che suonava come un insulto verso i ‘giovani d’oggi che non riescono a stare lontano dalle belle ragazze’.

Si stese sul duro letto bianco che occupava metà stanza e si addormentò subito.

A dispetto di quello che cercava di dimostrare agli altri, la palla di fuoco non le aveva fatto un male fisico, ma la sua mente era sfinita dallo sforzo che aveva affrontato per creare quella piccola barriera.

Nella stanza adiacente, Robin appoggiò la testa al muro, cercando di riordinare i suoi pensieri.

Aveva detto a Corvina quel che provava. L’aveva baciata. 

Aveva infranto una promessa.

Robin sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma il suo istinto aveva preso il sopravvento. C’era stato qualcosa di giusto nel dirle tutto, c’era stato qualcosa di speciale.

Corvina non scherzava quasi mai con lui, non rideva alle sue battute e non si sdraiava a guardare le stelle sul tetto di un ospedale.

Eppure quella sera l’aveva fatto.

Il leader dei Teen Titans sospirò e si accasciò su una poltrona abbandonata in una angolo e si lasciò andare al sonno.

Un sottile raggio di sole lo svegliò il mattino dopo.

Robin sbatté le palpebre diverse volte prima di ricordarsi dove fosse. Per un momento non aveva riconosciuto le quattro pareti bianche che lo circondavano.

Si alzò e si diresse alla porta.

Il grande specchio a muro nel corridoio riflesse l’immagine di un ragazzo coi capelli in disordine, le occhiaie e una maschera che stava per cadere.

Robin si fermò ad osservarsi, per poi sistemarsi alla meno peggio.

Quando ritenne che i suoi capelli non sembravano più un campo di battaglia, si decise ad uscire dalla stanza.

Si ritrovò davanti alla porta di Corvina, indeciso sul cosa fare.

Non poteva certo entrare così, oppure sì? In ogni caso non poteva restare lì, sulla soglia.

Bussò piano e, quando nessuno gli rispose, spinse la porta che si rivelò essere aperta.

Il sole filtrava attraverso le tende lasciate socchiuse e illuminava la sagoma di una ragazza addormentata.

Robin non seppe trattenersi e si avvicinò all’amica. Aveva i capelli sparsi sul cuscino e le labbra incurvate in un sorriso appena accennato. Sembrava così dolce, così indifesa.

Per un attimo il ragazzo contemplò la possibilità di restare lì, a pochi passi da lei, senza fare nient’altro che guardarla dormire.

Poi lo sferragliare di un carrello che avrebbe dovuto portare la colazione ruppe il silenzio che si era formato e Corvina emise un basso brontolio.

Non era ancora sveglia, ma ormai non stava più dormendo.

Robin si accucciò al suo fianco e le scosse dolcemente un braccio: -E’ ora di svegliarsi...

Lei sbuffò e si girò dall’altra parte: -Non sei mia madre, Robin.

Lui ridacchiò, poi riprese a parlarle: -No, ma ti devi alzare. Tra poco arriverà la colazione, ma non ho la minima intenzione di mangiare quella cosa che si ostinano a chiamare cibo.

L’Azarathiana si mise seduta e lo guardò alzando un sopracciglio: -E per evitare quella tortura, cosa avresti intenzione di fare?

-Dimostriamo a tutti che sei in grado di tornare a casa prima che passi l’infermiera.

Detta così sembrava davvero semplice e Corvina dubitava realmente della riuscita dell’impresa che, a dispetto di ogni previsione, riuscì.

I ragazzi incontrarono un’infermiera diversa dalle due del giorno precedente che non si fece problemi nel dimettere Corvina senza nemmeno chiedere il permesso ad un superiore.

-Buona giornata! - li salutò agitando la mano.

-Anche a lei!

Appena la porta scorrevole dell’ospedale si chiuse dietro di loro, Robin si girò verso l’amica: -Ce la fai a volare fino all’isola?

-Perché, hai per caso un’idea migliore di come tornare a casa?

-Te lo chiedo perché la mia moto è parcheggiata poco lontano da qui.

Gli occhi ametista dalla ragazza brillarono: -La tua moto?

-Esattamente. Se aspetti qui per qualche minuto vado a prenderla.

Lei annuì e il ragazzo si allontanò verso un vicolo buio che Corvina inizialmente non aveva notato.

La maga si sentiva felice con lui, la rendeva capace di amare senza distruggere niente.

Il rombo di una moto la riportò alla realtà: -Ci hai messo meno di quanto credessi.

-La mia piccola è velocissima. - affermò Robin, accarezzandone la fiancata rossa.

Corvina sbuffò -Sembri Cyborg quando parli così.

Lui le tese una mano: -Dai, andiamo.

L’Azarathiana la guardò per un secondo prima di afferrarla. Le dita affusolate e pallide della ragazza strinsero forte la mano guantata di Robin e lui la issò dietro di lui con un unico fluido movimento.

-Pronta a volare?

Non aspettò la sua risposta e partì sgommando.

Il paesaggio scorreva velocissimo accanto a loro e Corvina non faceva in tempo a mettere a fuoco un particolare che quello spariva dietro di loro.

-Puoi aggrappati a me, se vuoi. Altrimenti rischi di scivolare.

Lei cinse la sua vita e si tenne stretta. Non voleva cadere e perdersi la fine di quel meraviglioso viaggio.

Era meglio che volare.

Era essere liberi.

Arrivarono alla baia davanti alla T Tower in meno tempo del previsto e Robin parcheggiò in una grotta nascosta da dei cespugli.

-Perché ti sei fermato?

Lui la guardò come se stesse chiedendo l’ovvio: -Le moto non galleggiano.

La ragazza avrebbe voluto tirarsi una pacca sulla testa da quanto si riteneva stupida, ma non era quello il momento.

In quel momento le era arrivata un’idea: -Pronto a volare?

Robin la guardò con un sorriso appena accennato sul viso: -Ho già sentito questa domanda...

Lei ricambiò il sorriso e lo afferrò da sotto le braccia. 

Un secondo dopo erano a dieci metri da terra.

-Apri le braccia

-Che cosa? – Robin aveva gli occhi aperti, ma era fermamente aggrappato all’amica.

-Apri le braccia. –ripeté lei con un piccolo sorriso –E’ molto più bello.

Lui girò la testa, cercando i suoi occhi. Li trovò a qualche centimetro dal suo volto.

-Fidati di me.

Robin annuì e poi, lentamente spalancò le braccia.

Il vento gli accarezzò le mani e l’aria che sferzava sul suo viso sembrava più dolce.

-Avevi ragione… E’ fantastico! –urlò il leader dei Teen Titans.

La sua accompagnatrice ridacchiò e accellerò il volo.

  
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