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Autore: Luce14    21/06/2012    2 recensioni
Ciò in cui credevo, ora é Cenere.
Ciò che amavo, ora é lontano.
Ciò che volevo, ora non sarà più mio.
ANGOLO AUTRICE: Ho iniziato a scrivere questa storia circa un anno fa, di recente l'ho ripresa perché tengo molto a questo progetto, fantasy, talvolta romantico (molto) e drammatico. Esprime molto di me, e spero che voi l'apprezziate per la sua semplicità (inizialmente) e per la passione con cui l'ho scritta. Accetto critiche, molto volentieri. Nessuno è perfetto ed io men che meno! Ancora più gradite saranno le recensioni positive. Ringrazio di cuore tutti coloro che leggono, leggeranno ed hanno letto Cenere!
Luce14
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Il sogno.

"Rebecca sono qui"  Una voce molto familiare continuava a chiamarmi.
Mi  trovavo in un bosco, la neve scendeva a fiocchi tutto intorno a me era ghiacciato , bianco, magico. Faceva freddo probabilmente la temperatura era scesa di molto sotto lo zero.  Avevo paura  e quella voce era sempre più vicina. Intorno a me c’era silenzio, l’unico rumore era quello dei miei respiri affannati e sempre più irregolari.  Iniziai a camminare in direzione di un pino alla mia destra, purtroppo mi trovavo su una sottilissima lastra di ghiaccio, così lentamente iniziai a muovere i primi passi verso la salvezza.  Sentivo  ad ogni mio movimento il ghiaccio che si sgretolava sotto il mio peso. Ero terrorizzata e ancor di più sconfortata.
“Rebecca tesoro vieni” Solo allora riconobbi quella voce così dolce: Era mia madre.
Mi girai di scatto e la vidi a pochi passi di distanza da me, nella direzione da cui ero venuta. Consapevole della mia idiozia e di quello che stavo per  fare le corsi incontro. La mia mano era a pochissima distanza dalla sua,  speravo di poterla toccare per l’ultima volta dirle che stavo bene e di non preoccuparsi per me che papà faceva il possibile per  rendermi  felice.
La  verità delle mie parole mi sconvolse.
“Piccola mia” Disse ancora. Eravamo molto vicine… avrei potuto riabbracciala….
 Se quella maledetta crepa che mi ero lasciata dietro  non si fosse aperta in quell’istante i miei desideri si sarebbero avverati. E il dolore avrebbe cessato d’affliggermi.
 Così  finii nell’acqua gelida che mi aveva spudoratamente separata da mia madre …
“Noooo …!” Esclamai. Mi svegliai, ero tutta sudata.  La luce che proveniva da fuori si proiettava attraverso la finestra sul mio letto come tanti diamanti. Sospirai, l’ennesimo incubo. Da quando mia madre era morta  tre  anni prima continuavo a fare  dei sogni molto strani e maledettamente surreali.
Quella sera di ottobre inoltrato  stava tornando a casa da lavoro in auto,come d’abitudine, quella  volta però successe una tragedia. Una pazzo, probabilmente ubriaco, che guidava in contromano, finì per scontrarsi frontalmente con il suv di mia madre,  la lasciò lì e se ne andò senza chiamare aiuto. Fortunatamente arrivò una signora anziana in compagnia di un ragazzo, loro chiamarono il pronto soccorso che mandò nel giro di pochi minuti un’ambulanza. Non trovarono il corpo di mia madre, solo un mucchietto di cenere bianco sul sedile  del conducente ed una collana. La sua collana, quella che indossava sempre, la sua preferita, dietro la quale c’era scritto il suo nome: Elly. Mio padre chiese di chiudere il caso, di non cercarla, perché era tempo sprecato. Non capii neanche ‘ io cosa volesse dire. Ancora oggi non riesco a chiederlo a mio padre, mi faceva  paura  la verità, preferivo l’inganno. Stavo ingannando me stessa, ne ero consapevole ma allo stesso tempo terrorizzata.
 Mia madre era una splendida persona …  Mi sarebbe davvero piaciuto poterla abbracciare per l’ultima volta, stringerla per poi non lasciarla più andare via. Lo ammetto, mi manca, ma d’altronde so che lei lassù sta bene. Perciò sono contenta così , non ho rimpianti né rimorsi.
Una lacrima mi rigò il viso al suo ricordo.
 Erano le otto di mattina,  non mi sentivo molto bene e comunque ero già in ritardo per scuola così decisi di non andarci definitivamente.  Mi alzai, andai in bagno per lavarmi, ma quando vidi il mio riflesso nello specchio, scoppiai a piangere come una bambina. I miei occhi mi ricordavano mia madre soprattutto per il colore. Erano di un azzurro  che poteva ricordare il colore del ghiaccio, ed era proprio da lei che avevo ereditato questa caratteristica. Ghiaccio, come quello che mi aveva separata da mia madre nel sogno ... Ghiaccio, come il mio cuore, ora e per sempre.
 Mi ripresi, ma ci volle un po’, così mi feci la doccia rapidamente  e scesi a fare colazione. Lì trovai mio padre seduto sul divano che leggeva il solito giornale.
“ Buongiorno, Rebecca cosa ci fai ancora qui? Oggi non c’è scuola?”Mi chiese accigliato.
“Sì, in teoria sì, ma questa notte non ho dormito molto perché mi sono sentita male… “ Dissi. Mi sentivo in colpa.
” Okay va bene però ora io vado a lavoro torno dopo pranzo. In frigo ci sono dei panini, se hai fame. Ora mangia qualcosa. ”Ed accennò un sorriso che ricambiai.
 Così mangiai una brioche ancora calda e mi misi a fare i compiti e a ripassare per le varie verifiche ed interrogazioni.  All’ora di pranzo rinunciai nel mangiare quei panini, così decisi di prepararmi un piatto di pasta asciutta. Misi in una pentola  un po’ d’acqua a bollire. Poi misi gli spaghetti che dopo qualche minuto furono cotti.  Questa volta mi erano venuti molto bene, forse una volta potevo prepararli anche a papà… Mentre discutevo mentalmente sui i miei meriti culinari, papà entrò in cucina e si mise a sedere vicino a me. Rimase in silenzio per un po’ ma quando terminai i miei spaghetti disse:
“Lascia Reby  faccio io” Così dicendo prese il mio piatto e lo lavò.
“Grazie. Mmmm… Io vado a finire di studiare.” Dissi e il piccolo colloquio terminò.
Andai in camera mia e mi misi a studiare.  Iniziai a pensare a cosa studiare. Scelsi di ripassare un po’ matematica dato che in quest’ultima ero abbastanza carente. Così mi persi nella bellissima materia che è l’algebra …
“Rebecca tesoro scendi c’è un persona per  te.” La voce di mio padre interruppe i miei pensieri … e mi svegliò dal coma in cui ero caduta a causa della matematica …
“Sì papà scendo subito.”Dopo tanto silenzio la mia voce gracchiava.
Con passo deciso, mi affrettai  a scendere dalle scale e a raggiungere l’ospite misterioso che mi aspettava in salotto. Senza farmi notare spiai nel salone  dall’angolo della scala, tenendomi stretta allo scorri mano per non cadere.  Purtroppo il nostro  ospite era girato di spalle, perciò subito non riuscii a riconoscerlo;  Così spinta dalla curiosità entrai in salotto e salutai educatamente:
” Ciao.”
Finalmente riconobbi lo sconosciuto  che si girò non appena udì la mia voce… Era Lucas. Era il mio amico d’infanzia, ed il mio vicino di casa, ci conoscevamo da quando eravamo bambini,  l’unico che mi capiva davvero. Sicuramente era venuto per informarmi su ciò che avevano fatto durante la mattinata a scuola.
“Ciao Becky come stai?” Mi domandò e mi abbracciò entusiasta.
“Molto meglio grazie e tu?” Abbozzai un sorriso.
“Beh, bene direi … Ecco ti ho portato i compiti.” E mi porse un foglietto.
“Oh, ti ringrazio… Ce ne hanno dati molti?”Gli domandai anche se non mi interessava molto.
“Beh, sì abbastanza.” Mi disse a malincuore pur sempre con il sorriso.
“Okay, avete fatto dei nuovi argomenti?” In quel momento mio padre se ne andò
“Mmmm, no mi pare di no.” E mi fece l’occhiolino; Era davvero bravo a scuola, non che io fossi mai stata da meno, però  durante le lezioni non seguiva mai le spiegazioni.  In quel momento mi persi  su un altro dettaglio. Per la prima volta notai che aveva chi occhi marroni, nocciola. Erano così belli e maledettamente reali … erano così grandi … potevo perdermi nel loro calore …
“Becky stai bene?” La sua voce  mi fece sobbalzare e tornai alla realtà.
“Ehm… Sì, ti va di restare ancora un po’?  Così studiamo insieme.” Gli sorrisi e mi sedetti su divano bianco del salotto vicino a lui.
“Okay ti ringrazio per l’invito” Così mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia che mi fece arrossire.
“Figurati, vuoi qualcosa da bere? Un thé?” Gli dissi ma mi girai per non fargli notare il rosso innaturale che predominava sulle mie guancie.
“Sì, caldo per favore, solo se anche tu lo prendi” Così dicendo estrasse  dal suo zaino il libro di epica.
“Ok, vada per il thé, torno subito.” Dissi, gli sorrisi e andai in cucina.
Così passai quel pomeriggio di novembre inoltrato in compagnia di un amico, tra chiacchiere, studio e risate. Dopo tanto tempo finalmente ritrovai me stessa.
   
 
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