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Autore: MrEvilside    22/06/2012    4 recensioni
Se proprio avesse dovuto trovare qualcosa per cui biasimarsi, sarebbe stato lui.
Tony e Loki, l'angelo Asmodel e l'angelo caduto Shemihaza, hanno una relazione segreta che l'uno vorrebbe trovare la forza di terminare e che l'altro ogni volta, inevitabilmente, lo persuade a proseguire.
Angels!AU per la Notte Bianca.
[ IronFrost ]
Genere: Commedia, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non chiedete. XD Ho letto Angels!Avengers e dovevo fillarlo. DOVEVO. Shame on me, dovevo. X'DD
"Ergofilo" è un neologismo di mia proprietà, comunque, che viene dal greco ergon, "lavoro, fatica, opera" e phileo, "amare".

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Those eyes
 
Se c’era una cosa di cui era grato agli esseri umani, era l’alcol.
Il suo organismo era troppo diverso da quello mortale per esserne affetto al punto da ubriacarsi – il massimo che riusciva a ottenere era un’eccessiva allegria – ma rimaneva comunque un modo utile per dimenticare ciò che, al contrario, avrebbe meritato la sua piena attenzione.
Odino naturalmente disapprovava il suo comportamento, ma dopotutto il generale delle schiere angeliche disapprovava un gran numero di cose e, una più una meno, non faceva molta differenza.
Tony stappò la bottiglia di scotch e se ne versò una generosa quantità nel bicchiere, sin quasi a farlo traboccare. Tony. Quel nome, quell’identità cominciava a piacergli davvero, se non altro perché gli dava l’illusoria sensazione di essere libero, di non essere più prigioniero delle catene di principi morali e innumerevoli compiti legati alla sua natura angelica.
Asmodel era un angelo annoiato, obbligato a vigilare sugli uomini, a vivere a stretto contatto con loro senza avere mai la possibilità di allungare una mano e sfiorare anche solo con un dito la loro libertà.
Anthony Stark era un mortale geniale, che aveva portato nel mondo una tecnologia avanzata di trent’anni e adesso viveva dei frutti di quella “scoperta”. Forse aveva abusato dei propri poteri, poteva ammetterlo, ma non riusciva proprio a pentirsene e a ritrarsi con ripugnanza da quanto aveva fatto.
D’altra parte, non c’era un vero motivo per cui i superiori avrebbero potuto rimproverarlo: anche in quella forma, non aveva smesso di combattere i demoni e assicurare la pace nella città di New York insieme agli altri “vendicatori”, come li avevano soprannominati non soltanto in Cielo ma anche sulla Terra. Se però Tony era convinto che gli esseri umani avessero dato loro quel nome in buona fede, grati della loro protezione da ogni minaccia, era altrettanto certo che in Paradiso, al contrario, si facessero beffe di loro.
Non che le opinioni degli altri angeli lo tangessero in alcun modo, ormai era abituato a essere la pecora nera del Cielo.
Asmodel, l’unico angelo che non amava smodatamente la propria professione; Asmodel, l’unico angelo a cui piacesse mescolarsi con i mortali; Asmodel, l’unico angelo che non era in grado di arrivare puntuale neppure nelle occasioni più importanti.
Il suo nome era da sempre sulla lista nera di Odino, eppure era ancora vivo, vegeto e piuttosto brillo: i pettegolezzi di qualche ochetta schiamazzante del Paradiso non lo sfioravano neppure.
Sottraendolo alle sue riflessioni, la porta scivolò sui cardini, ma Tony finse di non accorgersene.
Rimase immobile dove si trovava, seduto sulla sua poltrona di pelle, rivolta verso la finestra dietro la scrivania e dunque di spalle rispetto alla soglia dell’ufficio. Sollevò con noncuranza la mano che stringeva il bicchiere e sorseggiò con calma il suo scotch.
I passi alle sue spalle, felpati ma perfettamente udibili, perché il loro proprietario voleva che lui sentisse, erano ogni istante più vicini, tuttavia Tony li ignorò deliberatamente.
Se proprio avesse dovuto trovare qualcosa per cui biasimarsi, sarebbe stato lui.
Dopo una manciata di secondi, che parvero prolungarsi nel tempo fino a diventare millenni, il visitatore si fermò dietro la poltrona e si chinò fin quando le sue labbra non furono abbastanza prossime all’orecchio di Tony perché lui avvertisse il suo respiro caldo sulla pelle. «Fingi di non vedermi, Stark?»
Una delle caratteristiche che meno apprezzava del corpo umano era che non poteva controllarne le reazioni: mentre la sua forma eterea di angelo poteva essere plasmata a suo piacimento, non poteva impedire a quell’involucro di carne di rabbrividire all’udire la voce di quell’uomo, al percepirne la carezza tiepida nella conchiglia di cartilagine del lobo. Le sue dita fremettero, lo scotch rischiò di strabordare.
Perlomeno il tono non lo tradì, sornione e sicuro di sé come di consueto, sebbene fosse indubbio che lui si fosse accorto dell’effetto che aveva la sua sola presenza. «Oh, non potrei mai, Loki».
Aveva notato – non senza un certo meschino compiacimento – la punta di fastidio nelle sue parole. Lo conosceva abbastanza bene da sapere bene che, se gli veniva negata l’attenzione, Loki poteva diventare molto, molto irritato.
Manie da primadonna”, così soleva chiamarle Tony. “Consapevolezza di essere superiore e degno di ammirazione” lo correggeva Loki.
Quest’ultimo tergiversò con grande abilità verso un argomento che gli era molto più favorevole. «È una delle tue giornate “oh cielo, sono proprio un angelo cattivo, chissà cosa mi farebbero se scoprissero che…”?»
«Loki, ti prego». Tony alzò lo sguardo verso di lui per la prima volta e si trovò quasi ad affogare in quei suoi occhi azzurri, così chiari, eppure nient’affatto limpidi. Inghiottì il groppo che non aveva mancato di serrargli la gola e si sforzò di riacquistare l’atteggiamento tragicomico di un momento prima. «Così sembro una ragazzina».
«Ti comporti come tale» fu la secca risposta, accompagnata dalla lingua lasciva di Loki che scorreva con una lentezza tormentosa sul retro del suo orecchio. «Sai che odio essere ignorato, Anthony Stark».
«E io odio essere definito “ragazzina”, siamo pari» fu il meglio che Tony poté mettere insieme, distratto com’era dalla scia di saliva che Loki stava disegnando sul suo collo.
Approfittando del suo calo d’attenzione, concentrata nel tentativo di parlare senza gemere, Loki gli prese di mano il bicchiere e lo svuotò con una risatina, per poi appoggiarlo sulla scrivania. Che Tony non poteva raggiungere se non ruotando la poltrona e affrontandolo.
Decisamente, l’unico errore di una vita altrimenti – più o meno – retta e irreprensibile non poteva essere che Loki.
Non tanto perché era Shemihaza, l’angelo bandito dal Cielo perché, a capo di una schiera di ribelli, era sceso sulla Terra e si era accoppiato con delle umane, e Fury – l’angelo che presiedeva alle operazioni dei vendicatori – gli avrebbe strappato le ali se l’avesse saputo, quanto più perché aveva una sconcertante passione per i dispetti di cui si prodigava a dare prova in particolar modo con coloro che gli interessavano.
Ciò significava, peraltro, che in una lista lui avrebbe occupato uno dei primi tre posti, considerato il gran numero di scherzi di cui era stato vittima, ma non avrebbe saputo affermare se fosse una cosa buona o meno.
Mentre soppesava la bottiglia di scotch con lo sguardo e prendeva in considerazione la possibilità di bere dal suo collo, Loki appoggiò una mano sullo schienale della poltrona e la fece girare su se stessa finché Tony non gli fu di fronte; allora la bloccò senza sforzo, prima che prendesse troppa velocità, e increspò le labbra in un sorriso, compiaciuto dell’attenzione che adesso era inevitabile ricevesse.
«È un vero peccato, lo sai?» La sua voce scese di un’ottava, insinuante e pericolosa come il sibilo di un serpente in procinto di attaccare.
Gli sottrasse anche la bottiglia, la levò alla bocca e bevve un lungo sorso con una noncuranza assolutamente non necessaria, la cui ovvia conseguenza fu che un rivolo di liquore color ambra colò sul suo mento e macchiò d’oro la pelle pallida, priva di imperfezioni – se Tony si era concesso qualche difetto fisico per meglio confondersi con gli umani, Loki non aveva rinunciato a una bellezza trascendentale che il più delle volte, sfortunatamente, mozzava il fiato anche a lui.
Loki abbassò la bottiglia con un sospiro soddisfatto fin troppo eloquente, sottolineato anche dall’occhiata maliziosa che gli rifilò nell’abbandonare la bottiglia accanto al bicchiere. Fece poi leva con i palmi sul bordo della scrivania e vi si issò seduto sopra con un gesto elegante. «Credevo che ti avrebbe fatto piacere ricevere una mia visita».
Ogni suo singolo gesto nella mente di Tony si collegava a un’unica conclusione. E quel che era peggio era che una conclusione del genere non gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Per quanto ogni volta si ripetesse che sarebbe stata l’ultima, per quanto si sforzasse di pensare a Loki come a un nemico, per quanto fosse davvero preoccupato che qualcuno potesse scoprirli, quando lo rivedeva Loki era sempre capace di persuaderlo a fare ciò che desiderava.
Poiché non rispondeva, incerto se la voce e le parole l’avrebbero tradito o meno, Loki afferrò la sua cravatta di seta scarlatta e si piegò in avanti fino a che nel suo campo visivo non vi fu che il suo volto, i suoi denti bianchi scoperti in un sogghigno, i suoi occhi blu – quegli occhi blu che stillavano lussuria, desiderio, sesso. Quegli occhi.
Nel momento in cui le palpebre calarono su quegli occhi e Loki inclinò la testa di lato, Tony chiuse i propri e prese la decisione di fingere di non avere un cervello – sempre la scelta migliore, a suo parere, quando Loki era nei paraggi.
Poi le labbra dell’angelo caduto incontrarono le sue e Tony seppe di aver fallito ancora, di aver perso ancora.
Dopo i primi istanti di semplice sfiorarsi, Loki scattò come una pantera si getta su una gazzella in trappola: prese completamente possesso della sua bocca, con i denti che mordevano ogni singolo frammento di pelle con cui entravano in contatto, la lingua che si contendeva il controllo del bacio con quella di Tony, le labbra che premevano con insistenza contro quelle del suo amante, come a voler ribadire la loro proprietà assoluta su quel territorio.
Forse, allora, Tony avrebbe ancora potuto ritrarsi e rifiutare, non fosse stato per la sensualità, l’indecenza di quel bacio, che non faceva altro che fargli desiderare di precipitare in quel baratro di dissolutezza che Loki gli offriva.
Prima che riuscisse anche soltanto a pensare di combattere il desiderio, Loki sedette a cavalcioni su di lui con foga sufficiente perché i loro bacini si scontrassero duramente e in quel preciso momento Tony comprese di avere oltrepassato il punto di non ritorno. Quasi di volontà propria, le sue mani afferrarono i fianchi dell’angelo caduto per tenerlo aderente al suo corpo, ora bollente e preda di fremiti incontrollabili.
Thor avrebbe fracassato ogni suo singolo ossicino, se fosse venuto a sapere che il suo adorabile fratellino aveva ogni intenzione di sfilargli i pantaloni e che Tony non aveva più alcuna rimostranza a riguardo.
A volte si sentiva davvero in colpa, perché, di tutti i vendicatori, Michael, per quanto troppo ingenuo e troppo fiducioso nella sola forza fisica, era uno dei pochi a essersi guadagnato la sua simpatia. A volte avrebbe davvero voluto lasciar perdere quella relazione non tanto per il timore di essere punito o perché si trattava di Shemihaza e nessuno – nessuno che fosse sano di mente – si fidava di Shemihaza, ma perché Thor ne sarebbe stato ferito, se avesse scoperto che suo fratello lo evitava ma non disdegnava di trascorrere il suo tempo con uno dei suoi compagni.
L’ostacolo principale alla realizzazione di quel buon proposito – uno dei pochi che avesse mai avuto, avrebbe commentato Steve – era proprio Loki.
Loki, che adesso era a corto di fiato e ansimava e gemeva contro la sua bocca, instancabile, seducente; Loki, che aveva appena finito di sbottonargli i pantaloni e stava insinuando una mano nei boxer – oh, cielo; Loki, che nelle poche pause tra un bacio e l’altro lo scrutava intensamente da sotto le ciglia nere e sapevano entrambi che quello sguardo avrebbe potuto piegare Tony ogniqualvolta l’angelo caduto l’avesse desiderato.
Thor, Fury, Odino e chiunque altro cessavano semplicemente di esistere.
«Gradirei che mi spogliassi, Stark» commentò Loki, spezzando il silenzio carico di tensione sessuale che era venuto a crearsi, con quella sua voce che pareva dare un ordine anziché un suggerimento. «Temo sia piuttosto difficile concludere qualcosa con il mio attuale abbigliamento, non sei d’accordo?»
Possibile che fosse così eccitante quando gli chiedeva di fare sesso in maniera tanto beneducata, come avrebbe potuto offrirgli un caffè dopo un incontro di lavoro?
«Hn, naturalmente, milady» lo schernì e fece appello a quel poco di autocontrollo che ancora possedeva per concentrarsi sui suoi vestiti e non su quanto fosse abile con quella mano, che, malgrado la richiesta, non accennava a volersi fermare.
Bastardo, fu l’unico pensiero coerente che riuscì a formulare mentre faceva per slacciargli la cintura, ma il suo amante lo scacciò e lo canzonò con un’occhiata divertita.
«Oh, non credo proprio che sarà così semplice, signor Stark» sussurrò, gli afferrò il polso e condusse la sua mano alla cravatta verde scuro che gli cingeva il colletto dell’immacolata camicia bianca, ora spiegazzata dall’impeto con cui Tony lo aveva stretto a sé. «Comincia con questo, vuoi?»
Rischiava di non riuscire a cominciare con niente, ringhiò tra sé Tony, se quelle dita non avessero smesso di tormentargli l’erezione ormai prominente anche solo per cinque dannati minuti.
E poi, di colpo, senza che potesse anche soltanto capire cosa stesse succedendo, Loki svanì.
Il suo corpo si lamentò immediatamente della mancanza di quello caldo dell’angelo caduto, della sua mano nei pantaloni, del suo fiato bollente sul collo, ma all’improvviso Tony era diventato perfettamente lucido, come aveva desiderato fino a quel momento, sebbene non riuscisse a rallegrarsene.
Perché, ad avergli fatto riacquistare in un istante il proprio contegno – o almeno una parvenza di esso –, era stato Steve, in piedi sulla soglia del suo ufficio, che fissava un punto preciso in mezzo alle sue gambe con un’espressione a metà tra l’incredulo, il rassegnato e la caratteristica espressione da Steve sono-un-verginello-inesperto-che-si-vergogna-di-dire-“sega”, come l’aveva battezzata Tony.
Il suo volto però non mostrava tracce di rabbia, che significava che Loki era riuscito a smaterializzarsi prima che l’arcangelo Gabriel lo vedesse.
Non che gli fosse di particolare conforto, quando Steve lo guardava allucinato, senza dubbio convinto che si fosse eccitato mentre lavorava ad alcuni documenti sull’andamento delle Stark Industries.
Finalmente Tony ritrovò la voce che fino a quell’istante gli era mancata. Era troppo rauca, troppo grondante rimasugli di desiderio. «Steve. Giuro. Non è quello che sembra».
Di tutto ciò che avrebbe potuto accadergli, quello che meno si sarebbe aspettato era che, un giorno, l’arcangelo Gabriel l’avrebbe sospettato di essere ergofilo. Proprio lui, la persona più timida al mondo circa la sfera sessuale. Non avrebbe potuto essere più fortunato.
«Non…» Steve dava l’impressione di avere uno scoiattolo incastrato in gola. «Non sembra niente, Tony. Cosa… dovrebbe sembrare?»
Era quasi peggio che dover spiegare a Fury come mai Loki andava a letto con lui, considerò Tony, atterrito. Quasi, però. Respirò profondamente diverse volte, ingollò un intero bicchiere di scotch e allargò le braccia verso Steve in un gesto di benvenuto e insieme di richiesta di comprensione. «Senti, Steve, posso, uhm, spiegare. Se mi prometti che non dirai a nessuno quello che hai appena visto. Ti giuro che è una spiegazione sensata».
L’arcangelo esitò – per la verità, Tony sospettò che fosse sul punto di fuggire dalla stanza – ma alla fine chiuse la porta e acconsentì a sedersi dall’altra parte della scrivania.
Tony non aveva la più pallida idea di dove iniziare o quale giustificazione inventare.
Passato qualche secondo di imbarazzante, cupo silenzio, ammiccò in direzione della bottiglia di scotch. «Ti va un drink?»
Il suo sbaglio, il suo problema e la sua più grande maledizione era senza dubbio Loki.
E la consapevolezza che, la prossima volta che quegli occhi blu si fossero posati su di lui, ne sarebbe stato soggiogato di nuovo, inevitabilmente.

  
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