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Autore: Beads and Flowers    22/06/2012    2 recensioni
Era tutto iniziato e finito con un leggero formicolio, come quello delle formiche che amavano arrampicarsi sulle dita della bambina.
Il suo cuore mancava di qualcosa lontanamente simile ad un'anima.
Mona era morta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Formicolio

 

  Mona si era sempre paragonata ad un briciola  che, raccolta ad un tratto da una formica, si ritrovava automaticamente segnata da un unico destino. Era un destino forse poco rispettabile, ben poco faticoso e facilmente eseguibile. Ma, con i suoi grandi occhi verdi di bambina, a Mona era sempre parso alquanto orribile: consisteva nell’essere condotta  nella profondità della terra, appoggiata in un umido angolo del magazzino di un formicaio e nell’ attendere pazientemente di divenire muffa. Tutto questo, solo per essere divorata in seguito dalle voraci bocche delle formiche.
  Mona aveva sempre temuto le formiche, ma al contempo ne era stata attratta. Il solletico che le loro piccole zampine procuravano alla sua pelle la emozionava. I loro corpi neri ed eleganti l’affascinavano. I loro occhi invisibili sembravano fissarla dalla parte più oscura della luna, come lo sguardo dei ciechi.
  Mona era convinta che le formiche non fossero malvagie, solo preoccupate. Una formichina era semplicemente in ansia per la sorte di una briciola lasciata al suo destino. Forse, il piccolo cervello della bestiolina la spingeva automaticamente a raccogliere la briciola e a condurla al sicuro, nel magazzino del formicaio, al riparo dal vento e dalle tempeste. E la formichina non si fermava di fronte a nulla per compiere al meglio il suo dovere. Riusciva ad attraversare infinite distese di cemento, a superare tortuosi monti di foglie morte, a correre attraverso le crepe dei muri degli uomini. Anche nella morte, la formichina si accertava che vi fosse qualche compagna accanto a lei che potesse prendere la briciola, per condurla al sicuro, nel formicaio.
  Non appena giungeva a destinazione, adagiava la briciola nel magazzino e riprendeva la sua ricerca per altro cibo. Quando tornava a far visita alla sua ospite, dopo qualche giorno, nel magazzino non rimaneva mai altro che un po’ di muffa.
  E che cosa pensava allora la formichina?
  “La briciola deve aver chiesto a qualche altra operaia di condurla nuovamente fuori, nel mondo esterno al formicaio. Per ringraziarmi, deve avermi lasciato qui un po’ di muffa deliziosa. Ma che gentile …”
  E divorava con ignara voracità la sua stessa ospite.
  Questo pensiero aveva sempre reso Mona molto irrequieta. Non bisogna dimenticare che lei si era sempre paragonata alla briciola, non alla formica.
  Perché un simile pensiero si era formato nella mente di una bambina di appena sette anni? Nessuno lo sapeva. Nessuno sapeva niente di Mona. Era semplicemente nata con una mente diversa da quella di tutti gli altri. Da quella di sua madre, di suo padre, di sua sorella, di suo fratello, della sua maestra di ginnastica, i quali la consideravano tutti una bambina sempre pronta a perdersi tra le nuvole invisibili della sua mente.
  Le ricordavano che non stava bene fissare per ore ed ore le formichine che scorrazzavano a piccoli passi attraverso il giardino. Dicevano che era anomalo agitare le mani sopra un formicaio in quella sciocca maniera. Insistevano sulla stranezza dell’ignorare le parole degli altri solo perché si era concentrati sul riflesso di un arcobaleno sul pavimento, filtrato dal vetro di una finestra. La imploravano di non affermare che gli alberi riuscissero a cantare con il loro silenzio: non era possibile! E, per l’amor del cielo, perché mai continuare a rispondere con monosillabi a maestri e compagni di scuola? Non era normale.
  Allora anche i conoscenti di Mona superavano miliardi di ostacoli, trascinandola da uno psicologo all’ altro ed iscrivendola ad una quantità infinita di scuole, fino a diventare per lei autentiche formiche che, credendo di poter salvare la loro piccola briciola, in realtà la segregavano in una prigione di false regole e concrete bugie, che tramutavano la bimba in un semplice ammasso di carne ammuffita.
  Mona amava perdersi nei suoi pensieri. Amava provare ad immaginare come doveva essere il mondo fuori da quella società tenebrosa, come la luce dovesse richiamare dai formicai e dagli alveari tutti gl’ insetti della primavera. Amava credere che gli arcobaleni fossero qualcosa di più di un semplice riflesso filtrato da uno specchio o da un vetro. Amava illudersi della realtà delle sue fantasie, amava sperare in una qualche alba per riuscire a superare quella notte infinita.
  A quei sogni, che Mona riusciva a presentare agli estranei come luce attraverso i suoi grandi occhi verdi, gli psicologi scuotevano con rimprovero la testa. E la delusione negli occhi dei suoi genitori smorzava sempre di più, giorno dopo giorno, quella luce nei suoi occhi. I sogni diminuivano, ma non erano sostituiti dalla realtà. Nel suo sguardo rimaneva solamente, dura ed eterea, l’assenza.
  Le sue dita non danzavano più sull’entrata indaffarata dei formicai, non esaminavano i cristalli che riflettevano il sole estivo, non giocavano con le argentate foglie degli alberi. I suoi occhi verdi avevano cessato di riconoscere i particolari del loro mondo unico ed invisibile, di percepire l’ aria profumata della fantasia e della fede in quella luce arcana e misteriosa.
  Un giorno, la luce che filtrava attraverso gli occhi di Mona si spense del tutto. Le sue mani caddero a terra, incapaci di resistere ulteriormente alla realtà delle frustate che i suoi genitori le infliggevano.
  Era tutto iniziato e finito con un leggero formicolio, come quello delle formiche che amavano arrampicarsi sulle dita della bambina.
  Mona era morta.
  Il suo cuore non aveva certo cessato di battere, le sue cellule non avevano sicuramente smesso di riprodursi in un’incessante fase chiamata ‘crescita’. Il corpo non era cadavere.
  Ma era vuoto. Mancava di qualcosa lontanamente simile ad un’anima.
  Mona era stata derubata. Era stata privata del più ricco e glorioso dei tesori: la vita. Quella vita piena di particolari, basata su regole diverse da quelle di qualsiasi altra persona.
  Ma ora, ora che la muffa l’avvolgeva, nulla aveva più importanza. Era solo un’altra briciola, in mano a delle formiche nere e cieche.
 

   
 
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