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Autore: chaska    22/06/2012    1 recensioni
Quell'essere non era umano, di questo Arthur ne era ormai abbastanza sicuro.
O almeno lo credeva. Altrimenti non si sarebbe spiegato quello strano peso che sentiva opprimerlo all’altezza dello stomaco. O ancora meglio, non si sarebbe spiegato la lingua in cui parlava.
Ebbene sì, quell'essere aveva anche parlato. A onor del vero non era proprio come se l'era immaginato dalle parole di Iain: più che una lenta nenia malinconica, la sua voce gli era parsa abbastanza nervosa. Ma nonostante questo particolare, ne era rimasto incantato: mai aveva udito un suono così melodioso provenire dalle labbra di qualcuno.
E poi, tanto per scongiurare ogni altro dubbio, non aveva capito nulla di quello che aveva detto.
Quindi, che fosse sogno o realtà, lui di sicuro non era umano.
Ormai ne era convinto, doveva essere un elfo.
Prima classificata al "Hetalia: Axis Powers' Contest - About North" indetto da Rota sul Forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Islanda
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Autore: chaska
*Personaggi: Arthur Kirkland/Inghilterra - Jóhann/Islanda
*Pair: Inghilterra/Islanda
*Numero capitoli: 3
*Generi: Introspettivo, Storico, Maliconico
*Avvertimenti: Shonen-ai, possibile presenza di OOC
*Rating: giallo
*Numero parole: 5244
*Note dell'autore: Il titolo di questa fic è preso dall'ominima canzone di Gréta & Jónsi.
Fra gli avvertimenti ho inserito un possibile OOC per due principali motivi. Il primo è che è la prima volta che scrivo su un nordico, quindi non sono affatto sicura di essere riuscita a rendere al meglio il suo carattere. Il secondo motivo riguarda il fatto che mi sono attenuta molto agli eventi storici riguardanti la seconda guerra mondiale e al comportamento del popolo islandese al riguardo, quindi posso essermi scostata dalla caratterizzazione originale di Himaruya.
Con Hans mi riferisco a Danimarca, con Iain a Scozia e con Jóhann a Islanda.
Ho scritto che Danimarca e Norvegia sono dei fratelli di Islanda, ma non essendo affatto ferrata sui nordici, non so quanto questa affermazione possa essere veritiera.
Ultimo appunto, con il bosco di Scarborough mi riferisco ad un bosco in Gran Bretagna in cui si credeva un tempo vivessero delle creature fatate.
Mi pare di aver detto tutto, oui :)
*Note storiche: Con Luftwaffe intendo l’aviazione militare tedesca, mentre con il termine Blizt mi riferisco al bombardamento di quest'ultima sulla città di Londra durante la seconda guerra mondiale. Per il resto delle informazioni storiche, mi sembra di aver chiarito tutto nel corso della fiction :)
*Note post contest: Chi ci avrebbe mai creduto? Questa fiction si è classificata prima al contest a cui ha partecipato, nonostante la presenza di diversi difetti, me ne rendo conto. Gioia e tripudio, dunque! :D
Ringrazio davvero con tutto il cuore Rota, che ha indetto il contest  Hetalia: Axis Powers' Contest - About North e che con una velocità impeccabile ha fornito i risultati e il giudizio, che potete trovare qui.
Spero che questa fiction possa piacere a voi lettori nella stessa maniera in cui ha divertito me nel corso della scrittura.
Ergo, buona lettura!
 
 
 
 
 
 






 
 
 
 
Mundu Eftir Mér
capitolo 1
 
 
 
 
Arthur si strinse più che poté alla corteccia dell'albero dietro di cui si stava nascondendo.
Non riusciva a crederci, stava succedendo per davvero. E no, non era sicuramente un sogno.
Il piccolo inglese chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
A pensarci bene, nonostante la pelle che prudeva contro il legno e la leggera pioggia che sentiva scivolargli sulla pelle, poteva essere davvero un sogno, non era poi un ragionamento così insensato.
Arthur si guardò intorno con fare agitato e poi lasciò per qualche momento il suo nascondiglio sicuro.
Per essere un sogno era accurato, doveva ammetterlo.
Era proprio come glieli aveva sempre descritti suo fratello Iain: capelli così bianchi da sembrare raggi di luna, pelle pallida dal colore quasi malato e occhi dai riflessi di un colore mai visto in vita sua, che gli ricordavano due ametiste preziose.
Così gli si presentava davanti agli occhi quella figura esile e più bassa di quanto si aspettasse, sembrava poco più grande di lui. E intanto la stessa si muoveva lentamente e senza alcuna fretta, mentre con sguardo vacuo osservava prima la vegetazione, poi il cielo plumbeo.
La sua sola presenza dava l'impressione all’inglese che fosse uno spirito vagante, perso fra le foreste delle sue terre. E quella giornata uggiosa, con le nuvole che annullavano tutti i colori nel grigio, non faceva che aumentare quella sua impressione, notando come gli abiti dai colori sbiaditi e i capelli bagnati lasciati cadere sul volto godessero di una strana e innaturale lucentezza ai suoi occhi.
Quell'essere non era umano, di questo Arthur ne era ormai abbastanza sicuro.
O almeno lo credeva. Altrimenti non si sarebbe spiegato quello strano peso che sentiva opprimerlo all’altezza dello stomaco. O ancora meglio, non si sarebbe spiegato la lingua in cui parlava.
Ebbene sì, quell'essere aveva anche parlato. A onor del vero non era proprio come se l'era immaginato dalle parole di Iain: più che una lenta nenia malinconica, la sua voce gli era parsa abbastanza nervosa. Ma nonostante questo particolare, ne era rimasto incantato: mai aveva udito un suono così melodioso provenire dalle labbra di qualcuno.
E poi, tanto per scongiurare ogni altro dubbio, non aveva capito nulla di quello che aveva detto.
Quindi, che fosse sogno o realtà, lui di sicuro non era umano.
Ormai ne era convinto, doveva essere un elfo.
Arthur non riuscì a trattenere un sorriso esultante, era il suo primo elfo! Da quel momento in poi nessuno dei suoi fratelli l'avrebbe più preso in giro perché non riusciva a vedere le creature del mondo fatato!
Fu mentre si crogiolava in quella sua dolce e vittoriosa constatazione, che desiderò con tutto se stesso che la presenza di quell’essere non si rivelasse come il semplice frutto di un sogno.
La piccola nazione britannica abbassò lo sguardo abbandonando quella strana figura al suo destino, e poi sospirò tristemente.
Cosa gli era venuto in mente? Lui che incontrava un elfo?
Oh, inutile dire che quell’eventualità gli sarebbe piaciuta, e anche tanto. Poter finalmente vedere quelle creature tanto decantate dai fratelli e dalla madre!
Eppure, se in centinaia d’anni non era riuscito a scorgerne nemmeno uno, come poteva sperare che così, d’un tratto, un elfo si potesse presentare a lui senza alcun motivo?
Senza più alzare lo sguardo triste, il piccolo si girò dalla parte opposta e cominciò a camminare, facendo scricchiolare le foglie e i rametti ai suoi piedi.
Se si era addormentato e quello era uno stupido sogno, e sicuramente era così, doveva trovare il modo di svegliarsi al più presto.
Doveva tornare a casa, non ci teneva a farsi rimproverare di nuovo dallo scozzese, e poi…
«Hey þú, litli strákur!»
Arthur si fermò.
Qualcuno gli stava rivolgendo la parola. E non aveva capito un accidente di cosa gli avesse detto.
Velocemente si voltò verso l’origine di quel richiamo, che guarda un po’, coincideva con il luogo in cui si trovava l’elfo.
E a conferma di ciò che il piccolo aveva intuito, ma in cui non osava sperare, ci furono un paio di occhi viola a fissarlo da meno di due metri di distanza.
Oh god. Non poteva essere.
«Kan du forstå dette sprog?»
Ancora altre parole dal suono straniero, ancora silenzio in risposta dal piccolo, che intanto stava iniziando a tremare.
«Bölva, adesso riesci a capirmi?»
Finalmente Arthur comprese le sue parole dallo strano quanto affascinante accento.
«Abiti vicino a questa foresta?»
L’elfo continuò a parlare, leggermente seccato dal silenzio del suo piccolo interlocutore. Insomma, d’altra parte Arthur non sapeva come reagire. Doveva scappare urlando più che poteva? O era meglio aiutarlo senza troppi pensieri?
Fin troppe erano le creature maligne che popolavano le storie dei suoi famigliari e della gente del villaggio, magari lui era uno di quelli!
E intanto, sempre più indispettito da quel discorso a senso unico, l’albino stava pensando di lasciare quel piccolo selvaggio dov’era e di continuare per la sua strada, sempre se ne avesse trovata una, per inciso.
L’elfo gli stava ponendo l’ennesima domanda, quando a metà di questa il piccolo aprì bocca e parlò.
«Tu non dovresti essere qui.»
Nh, simpatico.
«Concordo con te pienamente. Quindi non potresti darmi una mano?»
Così sarebbe potuto andare dal diretto responsabile di quella situazione, suo fratello Hans.
Djöfullinn, lui e le sue fantomatiche gite fuori porta. Gliel’avrebbe fatta pagare, anche se poi non ci sarebbe riuscito, come sempre.
E intanto Arthur corrucciò lo sguardo.
Non sembrava cattivo, non cattivo cattivo, almeno. Avrebbe potuto esorcizzarlo, o qualcosa del genere. Nel senso che l’avrebbe portato a casa sua e così avrebbe salvato la foresta da quell’essere perduto. Non era male come idea.
«Da dove vieni?»
O magari era come vociferavano giù nel villaggio, quell’elfo proveniva dal bosco di Scarborough. Sperò ardentemente di no, quel luogo era troppo lontano, non ce l’avrebbe mai fatta a ritornare prima del tramonto.
«Da nord, oltre il mare. Se mi indichi dov’è il nord posso cavarmela.»
Sì, insomma, d’altronde la sua capacità di orientarsi in terre straniere faceva veramente pena. E poi quello era il compito della sua pulcinella di mare, Mr. Puffin, non sua. Pulcinella che, in quell’esatto momento, stava beccando la cresta di Hans. Ah, almeno stava facendo qualcosa di utile.
«T-tu non dovresti andare a nord. Devi seguire l’ovest, non il nord.»
L’albino fissò stranito il piccolo britannico.
«Perché l’ovest?»
Arthur sussultò e ricominciò a tremare. Ah, quanto sarebbe voluto scappare e rintanarsi dietro un cespuglio in quel momento! Beh, di certo a quel tempo non era una cima in quanto a coraggio.
«T-tutti dicono che vivete a-ad ovest.»
«Vivete?»
Non riusciva proprio a capire cosa intendesse.
«Sì, dove vivete voi… voi elfi.»
L’albino si prese qualche momento per capire per bene quella frase. Forse si sarebbe messo anche a ridere alla fine, se solo la sorpresa mista all’ira ancora pulsante per il fratello non lo avesse reso meno incline che mai a quel tipo di esternazioni.
«Gli elfi non sono come me. Sono diversi.»
Arthur lo fissò evidentemente deluso.
«Quindi non sei un elfo?»
«No, però li conosco.»
Questa volta il piccolo inglese lo guardò nuovamente in preda alla curiosità.
«Allora puoi vederli?»
L’albino osservò assorto i suoi occhi verdi sgranati per la meraviglia. Forse, se gli avesse detto qualcosa sugli elfi, poi lui l’avrebbe aiutato. Sì, come diceva a volte Nor, un reciproco scambio di informazioni, cose da adulti come Nor e Dan.
Ma in verità gliene avrebbe parlato anche se in cambio gli avesse dato un calcio negli stinchi. Lui amava parlare di elfi, non avrebbe saputo resistere ad un’occasione del genere.
«No, a loro non piace essere visti dagli umani.»
Stavolta Arthur rimase davvero confuso dalle sue parole. I suoi fratelli li vedevano senza problemi, e sua madre anche. Quel… come poteva definirlo? Insomma, doveva essere un bugiardo.
«Non li vedo, ma loro esistono sul serio.»
Disse traducendo in maniera sbagliata il silenzio del piccolo britannico.
«Se vuoi posso insegnarti un trucco per individuarli.»
Arthur ne fissò le labbra, sembrava che stesse sorridendo, quando poi fu catalizzato dalle sue parole che sembravano tingersi di un pizzico di euforia.
«Individuarli?»
E nel frattempo pensava a lui che riusciva a stanare elfi e gnomi, nemmeno fossero dei conigli.
Oh, l’idea non era tanto male, forse non erano tutte bugie.
Il biondo annuì con forza e guardò in trepidante attesa l’albino, aspettando la sua prossima mossa.
Quest’ultimo con pochi passi gli girò attorno, fino ad arrivare alle sue spalle.
«Siediti.»
Gli disse cercando di emulare un tono autoritario, ma riuscendo a emettere solamente delle parole tutt’al più atone, come al suo solito. Ma nonostante questo suo piccolo fallimento, Arthur seguì la sua indicazione e si sedette a terra, subito seguito dall’albino alle sue spalle.
L’inglese stava letteralmente morendo d’eccitazione. Che cosa avrebbero fatto dopo? Quel tipo avrebbe parlato nella sua strana lingua per attirare qualcuno degli esseri fatati a loro? Avrebbe usato qualche metodo a lui segreto, come tutti i personaggi delle leggende che più amava? Oppure chissà cos’altro!
Questi pensieri vorticavano senza sosta nella mente del piccolo, il quale fu colto alla sprovvista dalla mossa dell’altro. L’albino, infatti, posò delicatamente i palmi delle fredde mani sugli occhi di Arthur, intrecciando le dita fra loro, attento a non coprirgli nient’altro se non le palpebre, pressandogliele leggermente.
«Dimmi cosa senti.»
Arthur trattenne il respiro al contatto con le sue gelide mani.
Ora ne era sicuro, anche se non era un elfo non doveva essere umano, nessuno poteva essere freddo quanto la neve stessa.
«Non… non sento nulla.»
Disse esitando. Era una foresta, cosa doveva sentire?
Umano o meno, sicuramente lo stava prendendo in giro.
L’albino, dal suo canto, si limitò a strattonargli leggermente il capo.
«Concentrati.»
Disse una sola parola, ma essa fu più che convincente per Arthur.
Concentrarsi, diceva. Come se fosse stato facile! Le sue fredde mani non gli permettevano di far alcun ragionamento logico, e poi c’era anche la pioggia a distrarlo…oh.
Arthur trattenne per un attimo il respiro a quel pensiero.
C’era la pioggia, con il suo ticchettare costante sul terreno e sulle pietre.
«La pioggia…c’è la pioggia.»
Disse confuso. E c’erano anche le foglie degli alberi che ne attutivano la caduta, formando un suono ovattato intorno a lui.
C’erano i grilli che stridevano, e degli uccelli solitari che, incuranti delle piccole gocce d’acqua, volavano nel cielo, facendo sentire a gran voce i loro richiami.
Quella foresta pullulava di rumori, ma al contempo di silenzi.
I silenzi dei conigli e degli animali più piccoli, tutti stretti nelle loro calde tane.
E c’erano odori che, ora che vi prestava attenzione, erano così forti da inondargli le narici fino a fargli mancare il respiro.
E poi c’era il respiro quieto, quasi impercettibile, dietro il suo capo, gelido come il vento del nord.
C’era il silenzio, la mancanza di quella voce sottile, fanciullesca quasi, il cui tono sembrava volergli raccontare di lande desolate e di leggende a lui sconosciute.
E poi c’erano le mani che gli gelavano il volto, di contro sempre più accaldato. Mani il cui profumo ricordava quello della neve all’alba.
Arthur, per tutto quel tempo, rimase in religioso silenzio.
Gli sembrava di aver scorto un mondo a lui sconosciuto, ma quel contatto non era durato che qualche secondo. C’era qualcosa che gli sfuggiva, ma non riusciva a capire cosa.
«Hai capito?»
La voce dell’albino lo colse alla sprovvista, facendolo uscire da quella specie di stato di trance in cui era entrato.
«Forse.»
Borbottò insicuro mentre l’altro scioglieva l’intreccio delle mani dal suo volto.
In pochi istanti si alzò e si scosse i pantaloni, cercando inutilmente di pulirli dalle tracce di terriccio. Appena si arrese, l’albino lo guardò con gli occhi violetti.
«Presta più attenzione a ciò che ti circonda. Capirai che molte cose sono celate alla vista.»
Arthur lo guardò con gli occhi sgranati, intuendo appena il significato di quelle parole.
Poi l’altro si diede un’occhiata attorno. L’inglese non ne era sicuro, ma gli sembrò che le sue labbra si piegarono per formare un ghigno.
«Addio.»
Disse e cominciò a incamminarsi in tutta fretta verso la parte opposta dal punto in cui l’aveva visto vagare all’inizio.
Subito Arthur si alzò e lo rincorse.
«Ma il nord, non vuoi più sapere dov’è?»
Gli disse, stupito dal fatto che, chissà perché, c’era qualcosa in lui che lo voleva trattenere ancora.
L’albino, di contro, si fermò e con l’indice gli indicò un punto non troppo lontano fra gli alberi in cui erano immersi.
Arthur acuì la vista e, fra i grandi tronchi degli alberi secolari, notò diverse figure dall’aspetto imponente camminare.
«Loro sapranno riportarmi a casa.»
«Ah.»
Fu tutto ciò che riuscì a dire il piccolo britannico in risposta.
«Di nuovo, kveðja
E dopo pochi minuti riuscì a raggiungerli, per poi scomparire fra gli intrecci della foresta.
Per qualche tempo il piccolo stette immobile, indeciso se credere in quell’incontro, o seguire il suo inconscio che gli suggeriva l’ipotesi che fosse stato solamente un vivido sogno.
Poi sembrò risvegliarsi e subito si girò e ritornò di corsa a casa, sperando di arrivare prima che il sole tramontasse, impresa che tra l’altro fallì.
Ma nonostante tutto, per Arthur quell’esile e curioso albino rimase e rimarrà sempre il suo primo contatto con il mondo magico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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