Il brutto anatroccolo
Lei continuava a guardare quel libro: la copertina
sgargiante attirava i suoi occhi che guizzavano veloce sulla figura al centro
della copertina.
Un anatroccolo. Marrone, piccolo, brutto. Sì, brutto, ecco la parola
giusta. Quella era la storia del brutto anatroccolo, che poi riusciva a
trasformarsi in un bellissimo cigno. Odiava quella storia, la detestava perché quella
favola somigliava così tanto alla sua vera vita, che leggerla la riempiva di
tristezza infinita.
Il brutto anatroccolo era lei. Disprezzata, non
voluta, brutta e goffa. Però l’anatroccolo diventava un bellissimo cigno. Lei
no.
L’anatroccolo
viene deriso, è troppo brutto perché possa piacere agli altri.
« Piccola, perché piangi?» chiese una voce
preoccupata ed ansiosa. La voce della sua mamma.
«Non ho nulla, mamma, tranquilla.» rispose la voce
della bimba incrinata per il pianto.
«Voglio sapere perché piangi. È successo qualcosa a
scuola?»
Lei smise di piangere e guardando teneramente la
madre negò. La mamma, però, non dava segno di voler desistere e continuò a
chiederle, ottenendo solo di farla innervosire e chiudere di più.
Alla fine, sentendosi sconfitta, si alzò dal letto
sperando che nulla di grave agitasse la sua piccola figlia.
Come poteva lei dirle che le sue lacrime erano solo
il risultato finale degli sberleffi dei suoi compagni?
Erano piccoli eppure la prendevano in giro, le
dicevano che lei a quel gioco non poteva giocare, che non era adatta e che
aveva degli occhi così grandi da fare paura.
E lei non capiva il motivo di quelle brutte parole,
però la ferivano e le facevano uscire le lacrime, come quando inciampava
sbucciandosi un ginocchio.
Eppure sangue non ne vedeva, ma dolore ne sentiva.
E si addormentava così, con il cuore un po’ umido e
la mente confusa.
L’anatroccolo
cresce, ma gli altri lo cacciano via. Fa paura perfino un colore differente.
Si rifugiava spesso nel ricordo di quella storia,
nonostante non la sopportasse perché aveva un lieto fine che a lei non
spettava.
L’anatroccolo avrebbe dovuto passare l’inverno da
solo, rischiando di morire congelato.
Per lei era inverno ogni giorno, fiocchi di neve
tutte le dicerie che le sue compagne dicevano su di lei.
Ci aveva provato – ma davvero l’aveva fatto? – a tentare di creare qualche rapporto ma
i suoi erano solo vani sforzi.
Che aveva che non andava? Sì, era timida e tendeva a
non esporre mai la sua opinione, annuendo leggermente quando qualcuno le
parlava.
Ma nessuno le si avvicinava. E sentiva quelle
chiacchiere cattive e non sapeva come zittirle; così tra una campanella e
l’altra viveva sola, a quel primo banco, come se i due accanto a lei fossero
perennemente vuoti.
L’anatroccolo
supera l’inverno, nonostante le difficoltà. Ma è ancora solo.
Giorno dopo giorno, lei si fa forza e prosegue.
La mamma ha smesso di chiederle cosa non va, ad ogni
colpo sentiva il muro della figlia crescere e alla fine, affranta, non se ne
era più interessata.
Quello che lei non sa è che ha iniziato a desistere
pochi attimi prima che il muro cedesse completamente, pochi giorni prima che la
figlia fosse completamente pronta.
Ma poi lei ha smesso e i mattoni hanno iniziato a
ricomporsi.
La mamma però questo non lo saprà mai, come non è
mai riuscita a comprendere niente.
La ragazza ancora, certe volte, riprendeva quel
libro tanto colorato e tanto infelice che aveva fin da piccola. Ma all’ultima
pagina non ci arrivava, faceva male.
La paura di affrontare qualcosa è più tremenda
dell’azione in sé, allora lo ributtava in quella vecchia scatola di giochi
mentre i mattoncini si accumulavano sempre più.
L’anatroccolo
arriva in un lago di cigni che lo accolgono felici. Stupito, si guarda nel lago
e si vede trasformato, ora non è più un brutto anatroccolo.
Quando lei lo incontra, non sa che lui l’aiuterà.
Con quel sorriso un po’ storto e le dite callose.
Però nota che continua a starle attorno, a cercarla benché lei non voglia tutte
quelle attenzioni.
Non può davvero credere che lui le voglia stare
vicino perché gli fa piacere. A nessuno ha mai procurato gioia averla intorno.
Però poi un giorno – ancora lo ricorda così bene,
quel 4 Marzo – lui tra una frase e l’altra le dice che non si era mai accorto
che lei avesse gli occhi così grandi.
E lei si ritrae, spaventata, offesa, con il cuore
già sofferente.
Ma lui non s’impressiona e resta calmo, dicendole
tranquillamente che è una bella cosa.
«Gli occhi grandi sono sinonimo di un grande cuore.
E poi sono di un colore molto bello.» ecco, sì, le aveva detto proprio così.
Lei non crede molto in quel proverbio, però sorride
e si sente felice, per la prima volta.
L’anatroccolo
ora è diventato un bel cigno. Ha trovato chi lo apprezza e la solitudine non c’è
più.
E si ricorda che, alcuni mesi dopo, aveva avuto la
forza di tornare a casa e di abbracciare quella mamma che non l’aveva mai
capita.
Era stanca e vecchia e ancora non comprendeva, però
sorrideva perché ora la figlia non piangeva più.
Lei era tornata in quella che era la sua stanza e
aveva ripreso quel libro.
L’aveva aperto ed era andata alla fine, ora non
faceva più male.
Aveva sorriso, consapevole che finalmente anche lei
aveva trovato il suo lago con i cigni.
Non era bella come lui, ma aveva smesso di essere
sola e mal giudicata.
Finalmente era iniziata la primavera.
Fine.
Non so da dove mi sia uscita fuori, però ve la
beccate ugualmente u_u
Ho appositamente scelto di non dare un nome alla
ragazza e ho deciso di usare uno stile semplice, quasi favolistico per rendere
l’intreccio meglio tra l’anatroccolo e la ragazza.
Spero vi piaccia.
EclipseOfHeart