GHOST
2° PARTE – PRESENZE
“Mi dispiace così tanto lasciarti sola, cara!”
Bulma abbracciò sua madre, ferma all’ingresso della Capsule Coorporation.
I suoi
genitori avevano vinto un viaggio-premio e avevano deciso di partire e
concedersi una seconda luna di miele.
“Poco male, per lo meno c’è una coppia
che non si è mai lasciata…”
pensò Bulma, con un sospiro triste. Si chiese se avrebbe mai avuto un
matrimonio duraturo come quello dei suoi genitori, ma
ogni volta che guardava al suo futuro vedeva solo un buio pesto.
”Non preoccuparti, mamma. Baderò io alla casa e agli animali mentre voi sarete via!”
”Quando parli di animali intendi anche che ti occuperai di Vegeta?”
domandò il dottor Brief spuntando alle sue spalle. “Ha distrutto tutte le
attrezzature che gli avevo costruito per allenarsi.
Quell’uomo è una belva!”
La signora Brief batté le mani, contenta. “Oooh, sì! Avevo scordato di
comunicarti che Vegeta è tornato stamattina! Così non
sarai completamente sola, ma in tenera compagnia!”
La donna strizzò l’occhio, maliziosa e Bulma si vide
costretta a sbuffare per non mostrare quanto in realtà le faceva piacere stare
sola con Vegeta.
Ormai non aveva più paura di lui, e si era prefissata come missione quella di
rieducarlo a persona civile e umana… Sapeva che ci avrebbe messo molto tempo, ma
difficilmente Bulma Brief rinunciava a qualcosa su cui aveva puntato gli occhi.
Sia che fosse un gioiello, un abito o… uno scimmione
venuto dallo spazio!
Rimase a
guardare la macchina volante dei genitori allontanarsi, e quando non fu
diventata altro che una macchiolina rossa nell’azzurro del cielo, Bulma si
decise a rientrare in casa.
Aleggiava una strana pace, il tipico senso di tranquillità che solitamente precede la tempesta… Il silenzio era assoluto all’interno
delle stanze vuote della Capsule Coorporation, e per la prima volta nella sua
vita Bulma pensò che avrebbe preferito vivere in una casetta molto piccola
piuttosto che in un’enorme villa fredda e silenziosa.
Fortunatamente
arrivò Vegeta a salvarla dall’angoscia della solitudine.
Il saiyan era appena uscito dalla doccia: aveva ancora qualche goccia d’acqua a
bagnargli la fronte ed un asciugamano annodato intorno alla vita.
Era il suo
unico indumento.
Bulma si
ritrovò ad immaginare cosa si nascondesse dietro quel leggero telo bagnato. Non
si sorprese di questo pensiero così poco innocente, anche perché non era la
prima volta che studiava Vegeta e quel suo corpo talmente
perfetto da sembrare scolpito sulla roccia.
Ma Bulma sapeva bene che si trattava di semplice
attrazione fisica e non le aveva mai dato alcuna rilevanza.
”Ciao Vegeta! Ma dove sei stato in tutti questi giorni?”
Lui non rispose e semplicemente la superò di qualche passo senza degnarla di attenzione.
”Ok, anche se non rispondi è facile indovinare… ti sei allenato in qualche
posto sperduto del pianeta nella speranza di diventare super saiyan. Ho visto giusto?”
Sul volto di Vegeta apparve qualcosa di molto simile ad un sorriso.
Era sconcertato da come quella ragazza riusciva a leggergli nella mente, a
capirlo, a sapere cosa faceva e perché lo faceva.
Senza voltarsi
a guardarla, le domandò “Dov’è tuo padre?”
”Non lo sai ancora? Lui e mia madre sono partiti per un luuunghissimo
viaggio.”
Vegeta imprecò e aprì la porta della sua camera da
letto. Con un cenno fece intendere a Bulma che doveva sbirciare dentro, e
quando la ragazza si affacciò oltre la soglia vide pezzi di ferro e piccolo
chips ai piedi del letto.
Le attrezzature per gli allenamenti di Vegeta erano ridotti
a pezzetti!
”Non so che farci, Vegeta! Se tu fossi meno brutale,
magari i robot di mio padre ti durerebbero di più…”
”Devi aggiustarli. Non posso aspettare il ritorno del vecchio! Mi devo
allenare!”
Bulma incrociò le braccia, e gettò un’altra occhiata
all’interno della stanza di Vegeta.
”D’accordo… Vedrò cosa posso fare. Portami tutto in laboratorio, più tardi.”
Vegeta annuì, soddisfatto e Bulma si allontanò in
camera sua.
Si gettò nel
letto e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì la sua attenzione cadde sul piccolo
carillon di legno che Yamcha le aveva regalato.
Si mise seduta e lo strinse tra le mani, aprendolo. La melodia che risuonò
nella stanza le mise una tristezza che mai avrebbe immaginato di provare in
vita sua.
La musica suonava come un lamento, come un pianto. Bulma si sentì colpita per
ciò che stava sentendo fuori e dentro. Il dolore era
tangibile nell’aria, così come l’odore della morte.
“Basta!” Bulma
chiuse di colpo il carillon, e la musica terminò immediatamente.
Eppure la sensazione di una presenza oscura all’interno
della stanza non cessò.
Bulma tremò e capì di non essere sola.
CONTINUA…