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Autore: _f r a n c y_    24/06/2012    5 recensioni
Konoha, alcuni anni nel futuro. Gai Maito è caduto in un coma profondo. Neji Hyuuga è morto durante una missione.
Il dramma di quelli che restano. Tenten e Rock Lee, due amici che dovranno contare soltanto sulle proprie forze per ricominciare.
Tenten POV (che spero voglia dire point of view XD).
Non esisteva più nulla intorno a noi. [...] C'era soltanto una spiaggia immacolata, immersa in un tramonto senza fine. Neji ed io stavamo lì, seduti sulla finissima polvere d'oro, baciati da quell'eterno torpore, gli sguardi persi nel mare dolcissimo.
Le onde di seta cangiante scivolavano sulla sabbia sempre con la stessa delicatezza, mai monotone ai nostri occhi. Il loro fruscìo incessante era sempre suono, affidabile e vitale come il battito di un cuore, mai rumore.
Quel mare era il nostro amore. [...]
- Tenten, sai... di primavera. -
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neji Hyuuga, Rock Lee, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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That fragrance of you








Non mi ero mai resa conto di quanto fosse difficile ricordare un odore. Si può richiamare alla mente un suono, un'immagine od una percezione tattile. E' possibile ricreare persino un sapore: lo sentiamo sciogliersi sulla nostra lingua, di nuovo, anche se si tratta di un'illusione.
Ma un odore, un semplicissimo odore, è dannatamente arduo da rammentare. Come talvolta accade con un sogno, subito dopo esserci svegliati: di esso rimane un residuo confuso ed impalpabile, e più cerchiamo di definirlo più i frammenti mancanti si allontanano dalla nostra memoria, sparendo in un buio senza spazio né tempo.
Spesso cerco di ricostruire l'odore di Neji. Quello che aveva appena uscito dalla doccia, quando, infilati i pantaloni blu e la maglia bianca che indossava sempre in casa mia, si buttava sul letto, accanto a me.
Tirava un sospiro, appoggiava la testa al muro e chiudeva gli occhi. Era stanco, dopo giorni e giorni di missioni ad alto livello. Era terribilmente stanco ed io lo intuivo già proprio da quel tonfo, così insolito per il leggiadro Neji Hyuuga.
Sorridevo ogni volta: si sentiva a casa più nel mio appartamento di periferia che nella sontuosa Villa del clan.
Lui, senza muovere un muscolo, mi ammoniva subito: non era per nulla affaticato, stava soltanto esaminando se nel rapporto avesse inserito ogni dettaglio.
Io soffocavo una risata nell'enciclopedia delle armi. Nell'arco di dieci minuti, Neji dormiva col braccio intorno alla mia vita, il viso sprofondato nel mio grembo, tra le pieghe della casacca.
Lo amavo nel modo più puro e totale in quei momenti. Perfino di più che in quelli di intimità e passione. Perchè si svestiva del formalismo da shinobi modello e mostrava un altro se stesso, più vero e spontaneo. Come un ruscello costretto per la maggior parte del suo tragitto a scorrere lungo un letto stretto, prima di potersi adagiare in uno più ampio.
In quei momenti, Neji era libero: un ragazzo poco più che ventenne, senza un cognome ingombrante, senza doveri imposti dal clan, senza un sigillo della morte impresso sulla nuda pelle.
Allora, gli passavo le dita tra i lunghi capelli d'ebano, ancora umidi dalla doccia. Non sono mai stata una patita delle smancerie tra innamorati e neppure Neji lo era. Però quel gesto era ormai un rito, una brezza di massaggio con cui cullarlo, dopo che aveva accumulato tanta tensione. Una brezza che soltanto a me permetteva di soffiargli.
Ad ogni carezza sprigionavo il profumo neutro e delicato del sapone. Quello che per me, sera dopo sera, era diventato il suo profumo.
Un profumo che adesso è svanito insieme a lui: il flacone nel mobiletto del bagno non c'è più. Neji lo aveva finito il giorno prima di partire...


D'un tratto, mentre cammino per il centro di Konoha, lo avverto. Sembra proprio quella fragranza, un'alchimia equilibrata di pulito, di fresco e di mare. Mi volto di scatto e soltanto allora realizzo la moltitudine di persone che affollano la strada. E' sorprendente che sia riuscita a non scontrarmi con nessuna, malgrado non le vedessi.
Cerco la fonte dell'odore, ma ecco che già è svanito. Sono certa che fosse reale.
Ma se si fosse trattato di te, e non di un altro uomo, ora vedrei la tua figura svettare tra la gente.
Ti immaginavo seguirmi silenziosamente, ovattato tra così tante persone, mimetizzato in così tanto rumore. Ti saresti palesato soltanto dopo che il dubbio della tua presenza mi avesse torturato lentamente. Una punizione per aver creduto a chi, tornando dalla missione, ti aveva dato per morto.
Sei stato visto cadere in un fiume impetuoso, gravemente ferito ed al limite delle forze.
Ma non abbiamo mai ritrovato il tuo corpo, giusto?
Mi infilo in un vicolo e cerco di rilassare la schiena contro il muro gelido. Vorrei potesse ghiacciare anche il mio cuore. Vorrei potesse congelare anni di esperienze che continuano a riaffiorare in ogni singolo, quotidiano, banale gesto che compio. Vorrei potesse anestetizzare la mia fantasia e assiderare la mia speranza.


Sono passati sei mesi...


Dal giorno in cui Rock Lee, la faccia bianca e dura come la pietra, si è presentato alla mia porta e mi ha dato la notizia, non dormo più nel mio letto. Le poche ore di sonno che ho alle spalle le trascorro sul divano o su una sedia della cucina.
Dipendesse dalla mia volontà, e non anche dal mio corpo e dalla mia mente, non dormirei nemmeno. Farlo significa rivivere tutto dal principio, ogni volta che riapro gli occhi. Svegliarsi alle prime luci dell'alba che mi pungolano il viso e chiedersi perché non sia nella mia camera, magari accanto a Neji, se non ha passato la notte alla Villa.
Significa darsi una risposta. La risposta.
Non riesco neppure a guardarlo, quel letto. Non guardo più niente. Attraverso la vita con inerzia. Svolgo missioni ed insegno all'Accademia, ma i miei sensi sono intorpiditi. Con inerzia incoraggio gli allievi e impartisco ordini alla squadra. Con inerzia mi infastidisco, rimprovero e sorrido.
Come se fossi in una campana di vetro, che però, invece di proteggermi dall'esterno, mi imprigiona nell'eco del dolore che porto dentro.


Avrei dovuto essere preparata al rischio che stavo correndo. Quando si ha una relazione con un ninja, è la prima verità da accettare. Specialmente se si svolge a propria volta questo stile di vita.
Neji lo aveva sempre saputo meglio di me.
Una mattina, schiudendo le palpebre, lo scoprii a fissarmi, sdraiato su un fianco accanto a me. Non era uno sguardo indagatore né di desiderio. Nessun sorriso né alcun cruccio. Neji mi fissava, semplicemente.
A disagio, portai una mano sulla tempia ed esclamai divertita:
- Cielo, cos'è, il gioco a chi ride per primo? Vincerai tu sicuramente, non lo sai? -
Neji non rispose. Si avvicinò e mi sfiorò la fronte con un bacio. Mi circondò con le braccia ed immerse il volto tra le onde dei miei capelli.
Quella gestualità, in apparenza abitudinaria, mi investì come una cascata: in un istante, Neji stava riversando su di me ogni goccia del suo affetto. Se ne deliziava, come con un nettare proibito. Come si fa con qualcosa che non si assapora da molti, troppi anni, e che si era creduto di non poter provare mai più. Qualcosa che non si vuole perdere di nuovo.
Avevo il cuore in gola. Per un attimo, sangue e muscoli furono ghiaccio bollente. La voce era morta.
- E' successo qualcosa? Qualcosa che riguarda il lavoro? - chiesi infine.
- No. - mormorò lui serenamente e compresi che non mentiva. - Inoltre, se fosse successo qualcosa, non potrei essere qui adesso, no? -
Mi scostai con fermezza.
- Che cosa intendi dire? -
- Lo sai perfettamente. - rispose serio.
Uscii dalle coperte con un fruscio secco e mi alzai:
- Vado a preparare la colazione. -
Lo udii sospirare indisposto e dopo pochi secondi comparve in cucina. Si piazzò accanto alla porta ed incrociò le braccia.
- Cosa stai facendo, Tenten? Prima mi domandi se stia per affrontare una missione potenzialmente mortale e poi scappi davanti alla prospettiva concreta che accada? Ti comporti da ipocrita. -
Presi una padella dalla credenza e la misi su un fornello. Aprii il frigo e ne estrassi un alimento a caso.
- Tenten. -
- Ho capito, Neji. Hai ragione. - dissi frettolosamente.
- Non sviare. Devi accettare questa possibilit... -
Con stizza lanciai cibo e coltello nel lavello e mi voltai rabbiosa: - Come puoi? Come puoi parlarne con tanta leggerezza? -
- Puoi infuriarti quanto preferisci, - fece lui, per nulla scosso, - ma rimane il fatto che devi superare questo blocco. -
- Perché tu ci sei riuscito, non è vero? Come puoi convivere tanto pacificamente col pensiero che io possa morire? Possibile che... -
Mi morsi il labbro e gli occhi mi si riempirono di lacrime ardenti. Tornai a puntare le sue iridi di neve al crepuscolo:
- Possibile che tu non abbia dei progetti? Dei progetti... su noi due? -
Neji sciolse le braccia dall'intreccio, perplesso.
- Non siamo più ragazzini, Neji. Io comincio ad avere una prospettiva diversa sul nostro rapporto. Se per te... - deglutii, spostando altrove lo sguardo, - Se per te non è lo stesso, non ha senso continuare. -
Quando risollevai il capo per fronteggiarlo, Neji era arrivato di fronte a me. In un unico movimento mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Un bacio lungo ed intenso, decine di parole mute ed invisibili che entravano direttamente in me, stordendomi di significati e sentimenti.
- Credi che una persona lungimirante come me non abbia fatto dei progetti? - sussurrò lui, poggiando la fronte alla mia. - Ma tu... Pensavo fosse ancora presto. -
Risalii con le dita fin dietro al suo collo e bisbigliai, quasi fosse una minaccia:
- E' da quando ho quattordici anni che preparo piani su di te, Neji Hyuuga. -
Lui accennò ad un sorriso, uno dei suoi rari ma meravigliosi sorrisi. Quelli che mi testimoniavano, ogni volta, quanto lui mi fosse riconoscente per la luce che avevo portato nella sua vita.
- Dunque, dimmi, - proseguii, ciondolando, - vorresti abitare nella degradata ma onesta periferia di Konoha oppure nella Villa pomposa ma... -
Neji afferrò le mie mani e le sciolse, portandole davanti a sé.
- No, Tenten. Ogni cosa a suo tempo. Sai che prima di tutto dovrei presentarti ufficialmente al clan e non sarà impresa semplice. Inoltre, le minacce che in questo periodo il villaggio sta ricevendo dall'esterno la renderebbero persino più critica. -
- Lo so, lo so. Anche Naruto e Hinata stanno rimandando per lo stesso motivo. Ma questo non ci impedisce di parlarne, no? -
- Invece sì, Tenten, e il motivo è l'argomento con cui abbiamo iniziato questa conversazione. Se un giorno non dovessi tornare... Se un giorno non dovessi tornare... - ripeté, stringendo più forte le mie mani e stroncando la mia protesta. - ...non voglio che tu debba soffrire anche a causa di questi rimpianti. Non voglio che diventino una prigione. -
Soltanto oggi colgo appieno la logica delle sue intenzioni e comprendo che se ora mi trovo sull'orlo del baratro, e non sul suo fondo, lo devo proprio ad essa.
- Se ti azzardi a morire, - dissi a denti stretti, - giuro sulla mia arma più preziosa che verrò a cercarti e ti ucciderò... E guai a te se mi fai notare che quanto ho appena detto non ha senso. -
Neji nascose la sua risata tra i miei capelli di cioccolato. Mi aggrappai alla sua schiena e chiusi gli occhi. Adoravo potermi nutrire avidamente di quel contatto: ogni fibra del mio essere ne veniva dissetata. Non esisteva più nulla intorno a noi: nessuna cucina, nessuna casa, nessuna Konoha, nessun mondo in guerra.
C'era soltanto una spiaggia immacolata, immersa in un tramonto senza fine. Noi stavamo lì, seduti sulla finissima polvere d'oro, baciati da quell'eterno torpore, gli sguardi persi nel mare dolcissimo.
Le onde di seta cangiante scivolavano sulla sabbia sempre con la stessa delicatezza, mai monotone ai nostri occhi. Il loro fruscìo incessante era sempre suono, affidabile e vitale come il battito di un cuore, mai rumore.
Quel mare era il nostro amore. *
- Primavera. - fece Neji, dopo un tempo incalcolabile.
- Come? -
- Sai... di primavera. - riflettè ad alta voce.
Quando era praticamente digiuno da giorni, il che ricorreva spesso di ritorno da un lungo incarico, l'autocontrollo da Hyuuga era piuttosto fallace.
- Si chiama balsamo ai fiori di ciliegio, Neji. -
- No. Sei proprio tu. -
Mi appoggiai al ripiano del mobile, impettita e con una ciocca che ricadeva tentatrice sul viso.
- Ossia frizzante, imprevedibile e bella come un fiore? - scherzai.
Neji mi lanciò un'occhiata interdetta: doveva essersi reso conto di quanto mi aveva confidato. Si voltò per uscire.
- Veramente, volubile e capricciosa. -
Rimasi di sasso. Dovetti appellarmi a ogni briciolo del mio orgoglio femminile per non scivolare rozzamente lungo la credenza.
- Dove... dove staresti andando? -
- Shikamaru vuole incontrare la squadra che è rientrata ieri. - rispose, sparendo in salotto.
- Che strano, non mi avevi detto che fossero sorte complicazioni durante la missione. Tantomeno, mi risulta che qualcuno abbia telefonato, stamattina. - insinuai, sfregando placidamente le mani.
Cadde il silenzio. Quando mi affacciai nell'altra stanza, lo smascherai ad usare il Byakugan.
- Che c'è, Neji? Cerchi forse le chiavi per aprire la porta? Te le do io, le chiavi! - urlai, prima di prendere la rincorsa ed atterrarlo.


E' per ragioni come queste, ingenue come queste, che il mio appartamento ora è un inferno di allucinazioni. Persino l'oggetto più comune ed innocuo rievoca lui. Al tavolo della cucina si è seduto a mangiare o a elaborare strategie di attacco; davanti allo specchio del lavabo si è spazzolato i denti; sopra il termosifone della camera da letto ha appoggiato l'asciugamano bagnato...
Non convivevamo in senso pieno. Neji trascorreva da me soltanto alcuni giorni, alcune notti. Eppure, è bastato anche così poco.
Non ho mai pianto dopo l'accaduto. Posso piangere dalla rabbia o dalla gioia, ma a quanto sembra non so piangere dal dolore. Per giorni non ho emesso un sol verso. Fin quando mi sono imbattuta in alcuni suoi effetti personali sparsi per la casa, che ora giacciono in una scatola in fondo al mio guardaroba. Ma, anche allora, sono solamente riuscita a spremere qualche lacrima e ad intonare qualche sospiro strozzato. Malgrado mi sentissi soffocare, come un animale in una gabbia troppo piccola, una morsa invisibile mi impediva di allargare le sbarre ed avere libero sfogo.
Mi sono imposta di mettere tutta me stessa nel lavoro e l'intero villaggio è sorpreso dal fatto che gli standard delle mie prestazioni, come insegnante e come kunoichi, non abbiano subìto alcuna variazione. Sorpresi al punto che le male lingue non si sono certo fatte attendere.
"Stava con uno Hyuuga esclusivamente per il prestigio".
"Lei non ha un cognome, lui odiava il suo. Si erano trovati!"
"Ha usato lui per arrivare ad essere insegnante all'Accademia."
D'un tratto, il campanello mi ridesta.
Apro la porta e trovo Rock Lee. Non mi ero accorta che si fossero fatte le sette di sera.
Quasi tutti i giorni, lavoro permettendo, Rock Lee è a cena da me.
Tutto è cominciato quando, alcuni mesi fa, scoprì che non mi concedevo un pasto decente da settimane.
Inizialmente, affrontò il problema invitandomi a casa sua, dicendo che sua zia aveva già preparato da mangiare anche per me. Mirare al senso di colpa che avrei avvertito se avessi reso vana la fatica di quella donna adorabile era il solo stratagemma per convincermi.
Un giorno, tuttavia, per caso Lee constatò che il mio frigo continuava a restare vuoto. Così prese l'abitudine di presentarsi da me per cena senza preavviso, di modo che mi sentissi in dovere di avere sempre del cibo a disposizione. Considerato che Lee è una buona forchetta, molto cibo.
E' l'unica persona che sia entrata in casa mia negli ultimi sei mesi.
Gli sono grata per le cure che mi sta rivolgendo, ma vederlo mi fa così male. Significa rivedere anche Neji, nelle esperienze che noi tre abbiamo raccolto lungo la strada.
Non parliamo mai di lui. Non abbiamo mai più parlato di lui. L'unico tempo delle nostre conversazioni è il presente: le missioni in programma, gli allievi di quest'anno, gli amici e le loro attuali vicissitudini.
Immancabile, naturalmente, la mia domanda sul maestro Gai. Domanda idiota, ne sono cosciente: se si svegliasse dal coma, Lee me lo direbbe per prima cosa e senza neppure aspettare l'ora di cena. Ma non posso impedirmi di sperare, ogni singola volta, che le sue labbra non si curvino in un sorriso debole ed il suo capo non si scuota leggermente.
- Tutto buonissimo, Tenten. - si compiace Rock Lee, tamburellando con le dita sulla pancia.
Mi lascio andare ad una debole risata:
- Vedo, vedo. Vai a darti una sciacquata alla bocca, sei peggio di un bambino. Il bagno è in fondo alla camera da letto. -
Dopo avermi aiutato a rigovernare la cucina, Lee si scusa per non potersi fermare più a lungo.
- Devo incontrarmi con i ragazzi che mi accompagneranno nella prossima missione. -
- Non preoccuparti. - dico, sollevando un blocco per gli appunti, - Anche io ho da fare, devo preparare la lezione di domani. -
Con un gran sorriso che mi fa venire nostalgia dei vecchi tempi, mi saluta e se ne va.
Faccio per sedermi sul divano, carta e penna in mano, quando noto che la luce in camera da letto è accesa. Lee deve averla dimenticata.
Entro nella stanza e sfioro l'interruttore con l'indice. E' un attimo a tradirmi. L'attimo in cui con noncuranza, le difese abbassate davanti all'inoffensività del mio gesto, gli occhi incrociano il letto.
Per un istante Neji è lì, in piedi, chinato a posarmi un bacio tra i ciuffi della frangia, pochi minuti prima di partire. L'ultimo ricordo che ho di lui.
Due secondi dopo, mi ritrovo raggomitolata su un fianco sopra le lenzuola. Sono ricoperte da uno spesso velo di polvere e odorano di stantio. Ecco come degenera ciò che abbandoniamo.
Ho abbandonato anche Neji.
E' morto da solo.
Dove sarà adesso il suo corpo? All'idea che fiere o avvoltoi possano averne fatto scempio, un gemito sfugge alle mie labbra e le mani corrono sul ventre, a zittire la fitta di dolore puro.
Quali saranno stati i suoi ultimi pensieri? Quali, una volta realizzato che stava spegnendosi in un luogo distante decine e decine di chilometri da casa e dai suoi affetti?
E' morto da solo.
Forse è sopravvissuto ancora per alcune ore, magari un giorno intero. Aveva ingegno e forza di volontà da vendere. Forse ha sperato che rifuggendo le braccia della Morte per un po', avrebbe potuto resistere fino al momento in cui qualcuno sarebbe arrivato a soccorrerlo.
E' morto da solo.
Se solo riuscissi a ricordare il suo odore.
La porta dell'appartamento si apre e la voce di Rock Lee mi fa scattare seduta.
- Tenten? Ho dimenticato le carte per la missione di dopodomani. Scusa se sono entrato: ho suonato, ma non rispondevi. -
Fa capolino nella camera da letto e mi trova in piedi, le dita che si attorcigliano convulsamente sul grembo, gli occhi gonfi e rossi. Annuisco con rigida disinvoltura, dicendogli di non preoccuparsi.
Sono certa che mi abbraccerà. Invece, Lee tira su col naso e va verso la finestra alle spalle del letto, spalancandola.
- Questa camera ha bisogno d'aria. -
- Hai ragione. - mormoro io in un brivido, - Ehi, ti andrebbe una tazza di té? -
Lee assente con un cenno del capo e si lascia cadere sul bordo del materasso, la schiena ritta e un sonoro respiro.
Quando torno per avvisarlo che in cucina è tutto pronto, lo trovo coi gomiti sulle ginocchia, una mano sulla bocca e l'altra che regge una cornice. E' la foto che il maestro aveva scattato a lui, Neji e me una volta che tutti e tre avevamo conseguito il titolo di jounin. L'avevo scaraventata dietro la cassettiera diverse settimane fa. Soltanto adesso rammento di non averla nascosta insieme agli altri oggetti, in seguito.
Non proferisco parola. Non so cosa dire. Trattengo il fiato.
Solamente quando Lee scosta la mano dalla bocca, posso capire che stava cercando con tutto se stesso di soffocare il pianto.
- Dio, - biascica, la voce impastata dalle lacrime, - mi manca così tanto. Mi mancano persino i suoi difetti, persino le litigate che erano all'ordine del giorno. Questa espressione imperturbabile ed altezzosa, quella sua maniera arrogante di ridimensionare il mio entusiasmo... Mi manca tutto di lui. Non riesco a... Non ci riesco. -
Si ripiega su se stesso, un braccio a proteggere la testa, vulnerabile e agonizzante, come una foglia caduta che si accartoccia su se stessa e muore.
Non avrei mai immaginato che neppure Lee, smisuratamente forte d'animo, non avesse ancora pianto per Neji.
E' come udire me stessa, la me stessa che ho costretto al silenzio, murata viva dietro una parete costruita troppo ciecamente per essere solida.
Lo abbraccio, celando il volto tra le sue scapole. Gli sussurro di allentare qualsiasi morsa reprima il suo cuore e, mentre ogni fibra del suo corpo urla una sofferenza incommensurabile, sento un fiume rivoltarsi dentro di me, rompere argini ed abbattere dighe. Sta annegandomi. Sta uccidendomi.
Non ho mai visto Rock Lee piangere così tanto. Non ho mai visto me stessa piangere così tanto.
Siamo tornati bambini. Questo forse ci terrorizzava: riconoscere di non poter affrontare il dolore con maturità e distacco. Ammettere a noi stessi di essere ancora tremendamente fragili e spogli di ogni saggezza o consolazione. Accettare di dover precipitare nel vuoto, malgrado le esperienze raccolte, malgrado più che ventenni. Esporci al dolore in modo assoluto, viverlo con tutto il nostro essere. Gridarlo con tale sforzo da poter essere uditi persino in cielo.


Quando riapro gli occhi è notte fonda. Il té ormai si sarà depositato sul fondo delle tazze.
Scopro di essere sdraiata sul letto, di nuovo. Ma questa volta Rock Lee riposa accanto a me. Le nostre mani sono l'una nell'altra, saldate insieme dalle lacrime che vi abbiamo versato.
Siamo come orfani che comprendono di dover proseguire il cammino con le loro sole forze, da quel momento in avanti.
- Ehi, Lee. - lo chiamo. - Perché non partiamo? Verso sud, sperduti nei boschi e nelle praterie, fuori dai confini politici, dove la guerra non potrà raggiungerci. Costruiremo una casa col nostro sudore e vivremo dei prodotti della terra. Porteremo anche Gai sensei con noi. Sono certa che non resterà insensibile al profumo della vita vera. Si riprenderà. -
Lui sorride, le palpebre abbassate.
- Tenten, non vorresti mai diventare un ninja traditore. Non di questo vilaggio che ami tanto, soprattutto. -
- Ma non abbiamo già dato abbastanza? - chiedo con un fil di voce, - Prima il sensei, poi Neji... Quanto dobbiamo sacrificare ancora? -
- La pace arriverà. - dice con fermezza, fissando le iridi di cielo notturno nelle mie, - Perché vivo per questo. Quel giorno, potremo viaggiare ovunque, senza limiti, insieme a Sakura-chan, Naruto, il sensei e tutti gli altri. -
La mia mente vola alla classe che gestisco all'Accademia, a quella ventina di bambini che crescono con questa guerra negli occhi, e faccio una promessa a me stessa. Nessuno di loro, una volta conseguito il diploma, dovrà popolare i campi di battaglia.
Una brezza frizzante entra dalla finestra. Lee chiude gli occhi ed inspira a fondo, gustandola avidamente.
- Tenten, lo senti? L'odore della primavera... E' alle porte. -
"Sai... di primavera."
"Veramente, volubile e capricciosa."
Qual é l'azione più improbabile che potrei compiere ora?, domando a me stessa.
- Lee, organizziamo una festa ed invitiamo il maggior numero di persone possibile? -
Lui allarga la bocca in un enorme sorriso, di quelli che non risplendevano da forse un anno:
- Adoro questa stagione. E' la più giovanile in assoluto. -
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* E' stato più che altro un processo inconscio e non intenzionale, ma per correttezza immagino sia meglio scrivere che questa immagine mi è stata ispirata dal racconto I Santi di Dino Buzzati.

Grazie a telesette, che inconsapevolmente mi ha ispirato questa fanfic!
Spero che il riferimento a questa persona non vi impedisca di recensire la mia fanfic, qualora desideriate farlo. Confido nella vostra intelligenza.

A chiunque avessi detto che non avrei mai scritto fanfic tragiche... potrete usare quelle dichiarazioni contro di me, ahahah!

Grazie a chi vorrà recensire. E' la prima volta che sperimento il genere drammatico, sarei felicissima di conoscere le vostre opinioni e ricevere i vostri consigli :)

francy
  
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