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Autore: Kiasan    24/06/2012    0 recensioni
“I girasoli sono i figli del sole, lo seguono nel suo cammino, per questo sono in grado di indebolirci o, addirittura, ucciderci. Noi siamo invece gli schiavi della luna e, per tanto, dobbiamo obbedirla, se non desideriamo una maledizione peggiore di quella che già ci invade.”
Ciao a tutti, sono Jenny Murray e questa… beh, non è propriamente la mia storia, ma non vi dispiace se sarò io a narrarla, vero?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. La verità




<< Mmh >> cominciai incerta quella sera, nel tentativo di dire a mia madre delle ripetizioni.
<< Faccio ripetizioni al nuovo arrivato in città, così che possa più facilmente superare gli esami d’ammissione. In più mi pagherà qualcosa >>.
Mia madre, che stava lavando i piatti, si fermò e mi guardò sottecchi. << Ian, giusto? >>.
Le sorrisi, non c’era da stupirsi che sapesse il suo nome: a Welley tutti sapevo tutto (o quasi) su tutti.
<< Si, sei d’accordo? >> chiesi, per renderla partecipe.
<< Certo, se le ripetizioni non le farete a casa sua >>.
Scoppiai a ridere: << Mamma!! Lo conosco appena >> esclamai, arrossendo.
<< A maggior ragione >> rispose tranquilla. Come faceva a riuscire ad avere sempre l’ultima parola?! Sinceramente Ian ed io avevamo deciso di vederci a casa sua, ma non pensai fosse necessario dirlo a mia mamma... in quel momento per lo meno.
<< Jack non sarà geloso? >> domandò poco dopo lei, mentre le davo una mano a sistemare la cucina. << Ma che avete tutti in questo periodo? Jack è mio amico… punto! >> sbuffai.
<< Abbassa la voce signorina, i tuoi fratelli dormono e, comunque, tutti non ti faremmo questa domanda se tu e lui non vi comportaste in maniera diversa dal solito >>.
Beh, io non avevo mai avuto un ragazzo in vita mia, quindi forse mia madre si aspettava di vedermi impegnata ben presto… ok, la prima affermazione potevo risparmiarmela, ma fa parte di questa storia quindi, che vi piaccia o no, ingogliatevela.
<< Ok, ok ho capito l’antifona, vuoi rassettare la cucina da sola >> risposi sarcastica.
Lei scoppiò a ridere: << Mmh, non era proprio questo che volevo dire, ma hai fatto bene a provarci >>.
Le cacciai un’occhiataccia, ma continuai comunque ad aiutarla.


Dopo quell’allettante discorso con mia madre, vedere Ian non mi sembrava poi così terribile, così quando bussai alla sua porta per le ripetizioni fui sicura e disinvolta… beh, perlomeno fino a quando non lo vidi: i suoi occhi cobalto si fermarono sui miei, le sue labbra si aprirono in un sorriso indefinito e… caspita il suo il viso!!
<< Allora entri, oppure hai intenzione di rimanere lì a contemplarmi? >> il suo tono di voce era scherzoso, ma l’ultima parola mi fece avvampare le guance: avrei dovuto contenermi di più, sia nei pensieri che nelle azioni.
<< Guarda che mica sei sempre al centro dell’attenzione >> dissi, mascherando i miei pensieri.
Scoppiò a ridere, ma poi tornò serio e decise che era giunto il momento di rimboccarsi le maniche: << Bene, mettiamoci in camera mia >>.
Comincia con le spiegazioni di base sui verbi inglesi e sui vari tempi presenti; fu piacevole stare in sua compagnia e, dedussi, per lui valeva la stessa cosa, dato che stava cominciando, come me d'altronde, a sciogliersi un poco.
<< Ok, quindi i verbi che finiscono in “ing” si usano per il gerundio… questo lo sapevo già, ma non capisco cosa c’entra il gerundio nel passato >> era bellissimo con la fronte corrugata nel tentativo di capire qualcosa di quella per lui così difficile materia.
<< Sei una merda! >> sbottai ridendo. << Te l’ho già detto mille volte! La forma in “ing” nel passato viene tradotta con l’imperfetto >>.
Si grattò la testa: << Cazzo, è vero! >>.
<< Quindi >> cominciò dopo aver pensato un poco. << E’ giusta la frase: “I did sitting there”? >>.
<< Ti uccido! >> sbottai, stappando il suo evidenziatore verde, per poi colorargli la mano.
<< Ehi!! >> si lamentò, guardandosi la mano colorata.
<< Riprova e sarai più fortunato… o più colorato >> risi malvagia, impugnando la mia arma.
Il fatto che se avesse sbagliato la frase avevo pieno diritto (beh, più o meno) di colorarlo di verde mi rese veramente allegra.
<< Ok… allora: “I were sitting there”? >> provò. Cominciai a colorargli la faccia, al che mi buttò sul suo letto e mi bloccò.
<< Sei… tutto… colorato >> dissi, tra una risata e l’altra.
<< Si, ora vedi che ti faccio >> non l’avesse mai detto: mi ritrovai colorata di verde ovunque!
Alla fine della battaglia mi portò nel suo bagno e cercammo di ripulirci dalle macchie verdi di cui eravamo saturi.
<< Come va? >> chiesi, mostrandogli il viso.
<< Ce ne è un altro qua >> fu la sua risposta e, dolcemente, posò il panno bagnato vicino al mio naso. Il mio cuore cominciò a galoppare e per non scappare da quel tocco dovetti fare appello a tutte le mie forze.
Probabilmente lui se ne accorse, tant’è che sfoggiò un sorrisetto compiaciuto. << Smettila >> sbottai, scostandomi.
<< Stavo solo cercando di essere dolce >> ribatte innocuamente.
Alzai un sopracciglio e mi appoggiai al lavandino, decisa a cambiare discorso: << Allora, dimmi quella benedetta frase con il Past Continous >>.
<< I was sitting there >> questa volta era sicuro, d'altronde se non è zuppa è pan bagnato. << Quanto mi manca per essere pronto per l’esame? >> chiese poco dopo, una volta tornati in camera.
<< E’ il primo giorno! >> dissi ridendo. << Ti manca ancora un po’, ma vedrai che lo passerai >>.
Mi sorrise: << Quanto ti devo? >>.
<< Macchè!! Me li dai alla fine di tutte le ripetizioni >>.
<< Naaaa, aiutare le fanciulle in difficoltà è il mio forte, o sbaglio? >> mormorò maliziosamente.
Scoppiai a ridere: << La situazione sta veramente cadendo sul ridicolo, ergo ci vediamo domani a scuola >>.
Mi accompagnò fino alla porta senza ribattere (stranamente), ma una volta giunti sulla sogna mi bloccò e guardandomi negli occhi mormorò: << Grazie, per le ripetizioni >> e mi baciò la fronte.
Rimasi di stuccò, cos’era quell’atto di dolcezza?
<< Tu hai una doppia personalità >> risposi sorridendo.
<< E tu hai una corazza esteriore che non ti si addice >> lo sentì rispondere quando ormai me ne stavo andando. Forse perché ero ancora allibita a causa del suo comportamento, o forse per altro, fatto sta che non capi esattamente il significato di quella frase.


Quel mese passò in fretta, mentre Ian mi dava sempre più soldi del dovuto per le ripetizioni, liquidando ogni mia domanda a riguardo con un semplice: << Mio padre è un uomo ricco, molto! >>. Io e lui cominciammo finalmente a legare e cominciai ad ammettere, almeno a me stessa, che quel ragazzo mi piaceva ogni giorni di più.
Quella notte ( in seguito capii che in realtà era mattino presto) fui destata dal sonno da un colpo di tosse. Poi un altro… e un altro ancora. Qualcuno stava soffocando!! Mi tirai su dal letto con gli occhi sbarrati e colmi di paura. Seguì quel rumore che mi portò fino alla camera di Sophia e Gemma: la visione che ebbi fu veramente orribile: Sophia era in braccio a mia madre, con la testa china sul pavimento e tossiva a non finire: un attacco d’asma. Lei aveva sempre sofferto di questa tremenda malattia, ma rare volte stava così male.
<< Jenny! >> mi chiamò mia madre, mentre cercava in tutti i modi di sorreggere la bambina.
<< Devi andare dal signor Grayn a prenderle il ventoline, subito! >> il signor Grayn era il farmacista della nostra città, ma come avrei potuto andare in farmacia a quell’ora? Sarebbe stata certamente chiusa!
<< Vai a casa sua, siamo amici, capirà che abbiamo bisogno e ci aiuterà >> aggiunse, vedendo il mio viso confuso. Io annuii, senza capire troppo e mi riversai per le scale, infilandomi qualche vestito a caso, mentre Sophia era scossa da una nuova ondata di tosse.
<< Mamma dobbiamo chiamare anche il 118? >> chiesi, mentre aprivo la porta.
<< No, mi basta il ventoline, tu sbrigati!! >> esordì lei. << Se me la vedo male li chiaamerò io >> aggiunse, ripensandoci.
Corsi fuori il più in fretta possibile, mentre il cuore mi batteva all’impazzata. Non era la prima volta che Sophia si sentiva così male per l’asma, ma eravamo sempre provvisti di medicine, salvo questa volta! A quell’ora della mattina, ovviamente, in una città come la mia non vi era nessuno per le strade e riuscì ad arrivare velocemente (sebbene mi costò una pedalata ardua) alla casa del nostro amico farmacista.
Suonai il campanello con mano tremante e, sebbene riluttante, dopo qualche minuto (porello, l’avevo svegliato nel pieno sonno) si affacciò un viso pelato e alquanto assonnato. Mi ritrovai davanti un signor Grayn, magro come uno stuzzicadente, immerso nel suo smisurato pigiama grigio, che mi guardava circospetto. Tuttavia, appena mi riconobbe, aprì del tutto la porta e mi accolse con un sorriso: << Che succede bambina? Qui a quest’ora? >>.
<< Ehm… salve… Avrei bisogno del ventoline per Sophia, sta male e lo abbiamo finito >> balbettai, parecchio presa dal panico.
<< Tranquilla figliola, ho gli scatoloni in cantina >> mi tranquillizzò, vedendomi preoccupata. << Corro a prendertelo >>.
<< Grazie, ti faremo avere i soldi appena mia sorella starà bene >> gli urlai. << Entro oggi, sicuramente >> aggiunsi.
<< Stai tranquilla >> mi rassicurò l’anziano uomo. << Ora va, corri a casa >> non me lo feci ripetere due volte, saltai in sella alla bici e cominciai a pedalare freneticamente. Decisi di passare dalla campagna, avrei sicuramente fatto prima.
I campi di grano circondavano la strada sassosa che percorrevo (si, lo so, è orribile da transitare in bicicletta, ma mi avrebbe condotto a casa molto prima che se fossi passata dal centro di Welley), il cielo cominciava in quel momento a rischiararsi ed il sole fece lentamente capolino dietro alle montagne, congedando la luna, che formava un mezzo cerchio perfetto.
Inaspettatamente mi trovai davanti una persona... così, dal nulla! Probabilmente ero stata distratta dal panorama e ciò mi aveva impedito di avvistarla in lontananza.
Ah, no, non è vero. Le persone erano due: una stesa al suolo e l’altra in piedi, accanto alla prima. Improvvisamente realizzai cosa realmente stavo vedendo e caddi dalla bicicletta, facendo rovinare a terra il farmaco per Sophia.
Dinnanzi a me vi era una ragazza, all’incirca della mia età, con il corpo dilaniato e il sangue che sgorgava fuori dal suo corpo. Gli occhi vitrei della vittima erano rivolti al cielo e i vestiti stracciati avevano assunto il colore del sangue, che aveva impregnato persino i sassi vicini. Ma, cosa ancora più terribile, la persona in piedi era Ian, ricoperto di sangue su tutto il corpo ma, come notai in seguito, privo di lacerazioni, a differenza della ragazza. Come poteva perdere sangue se non era ferito? Cercai di riprendere a respirare regolarmente e chiesi: << S-stai bene? >>.
Ian si girò verso di me, il viso digrignato in un ringhio, le mascelle ben visibili; se fossi risalita in sella alla bicicletta, la vista del suo volto mi avrebbe fatta nuovamente cadere. Sembrò accorgersi della mia espressione spaventata, così chiuse la bocca, quasi si sentisse in colpa. Forse la banda di serial killer che aveva attaccato Matt aveva fatto lo stesso anche con Ian e la ragazza al suolo… ma il mio amico sembrava sano e la smorfia spaventosa sul suo viso non affermava affatto di appartenere ad un oppresso.
Immediatamente un pensiero si modellò nella mia mente prima che io potessi accettare anche solo l’idea di ciò che vedevo: il sangue che ricopriva il corpo di Ian non era suo, ma della ragazza stesa al suolo.
Ian era un assassino.
Deglutii e mi proibii di svenire o andare in apnea: Sophia aveva bisogno di me e niente e nessuno mi avrebbe fermato.
Così, piena di dubbi e assai sgomenta, risalii in sella e, recuperato il medicinale con mani tremanti, cominciai a pedalare.
<< Jenny >> sentii la voce di Ian chiamarmi. << Aspetta!! >> ma oramai ero troppo lontana per tornare indietro.


Sophia grazie al medicinale si era finalmente ripresa ed io avevo già riaddormentato anche le altre pesti, che preoccupate erano venute a controllare la salute della piccola gemella… ma per quanto riguarda me, beh, non riuscivo più a riprendere sonno. L’immagine di Ian e della povera ragazza continuava ad opprimermi la mente, provocandomi un orribile senso di nausea. Sospirai, cambiando posizione per l’ennesima volta e, quando la sveglia mi annunciò che erano le sette, ringraziai il cielo e mi alzai.
Ovviamente dormivano ancora tutti tranne mia madre, che trafficava in cucina.
<< Buongiorno >> borbottai.
<< Ciao Jenny… allora oggi non è l’ultimo giorno di ripetizioni per Ian? Insomma non sei emozionata? Si vedranno i frutti del vostro lavoro >> arretrai a quella sfilza di domande, come se mia madre mi avesse schiaffeggiato.
<< Oh… certo! >> riuscii a dire in risposta, per poi chiudermi in bagno.
Poco dopo stavo già uscendo di casa, quando mia madre urlò: << Non hai fatto colazione! >> ma, prendendo la scusa di non aver sentito, mi dileguai verso la scuola.
Tuttavia la solitudine lasciava le redini ai pensieri, che galopparono senza sosta nella mia mente. Magari era stato solo un’allucinazione e non avevo realmente visto Ian sporco di sangue, come quei miraggi che vedi quando sei nel deserto, solo che questo “miraggio” non era per nulla piacevole!!
Oppure avevo visto tutto, però Ian non era l’assassino ma una delle tante vittime del serial killer che si aggirava in città ed io non avevo notato le sue ferite perché, come mi era stato dimostrato per ben due volte, quel dannato ragazzo guariva in un baleno dalle lesioni.
Ma… eh, te pareva che non c’era un ma! Ma ciò non spiegava il volto del mio amico contratto in un ringhio, le mascelle e i denti in vista, quasi fosse un animale.
Giunta a scuola frenai la cascata di pensieri e domande che mi opprimevano la mente e, dato che non vi era traccia di Ian o Katrin, che arrivava sempre all’ultimo minuto, mi appoggiai al muro della scuola, come faceva sempre Jack.
<< Jenny >> il mio nome, pronunciato in quel modo pochi secondi dopo il mio arrivo, mi fece trasalire.
<< Jenny >> ripeté la voce di Ian. Mi allontanai da lui, senza sapere esattamente cosa fare davanti a un assassino… perché era un assassino Ian… o no?
<< Ti prego, lasciami spiegare >> continuò.
<< Senti, rispondimi solo a una domanda… sinceramente >> dissi in risposta, cercando di utilizzare un tono piatto e sicuro, ma ciò che ne uscì fu solo uno squittio.
Sospirò, sembrava così stanco! Aveva due grandi occhiaie sotto gli occhi e i capelli spettinati, tuttavia non mi lasciai ingannare dal suo aspetto.
<< Ok… Hai ucciso tu quella ragazza? >>.
Lui mi guardò, poi aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente.
<< Ian >> la mia sembrò più una supplica, una supplica a rispondermi che non era stato lui l’aggressore, ma semplicemente un oppresso, proprio come la ragazza.
<< Io posso spiegarti ogni mia azione, ma ho bisogno di tempo… vediamoci all’entrata del parco, oggi, dopo la scuola… tanto ti saresti comunque fermata per darmi ripetizioni >> la sua frase era satura di momenti di pausa.
<< Che giustificazione c’è ad un omicidio? >> quasi strillai.
<< Non ho detto che mi sarei giustificato, ma che ti avrei spiegato le mie azioni >>.
<< Tu sei un assassino! >> cominciavo a diventare isterica.
<< Ti prego, Jenny! Lascia che io possa almeno parlare con te e poi potrai fare la tua scelta >>.
Sembrava così triste. Presi un profondo respiro: << E chi mi dice che non ucciderai anche me!? >>.
<< Pensavo che noi fossimo amici... >> mormorò, quasi acido, ma poi ad alta voce disse: << Come potrei farti del male? >>.
Quelle parole lasciarono in sospeso ogni mia intenzione di rispondergli a tono.
<< Ok, verrò e ascolterò ciò che hai da dirmi >>.
Lui mi regalò mezzo sorriso: << Grazie >>.
Fortunatamente vidi spuntare dietro le spalle di Ian la mia migliore amica: << Chi ascolterà cosa? >> chiese curiosa.
<< Il discorso sulla responsabilità del preside se non ci sbrighiamo ad entrare! >> le strillai e, prendendola per un braccio, mi allontanai il più possibile da Ian.
<< Sembra a me o questa era una fuga in grande stile dal tuo amore? >>. La spintonai, ma non dissi nulla: come avrei potuto contraddirla?


Durante l’orario scolastico cominciarono a subentrare le mie solite paranoie mentali, che in quel caso erano anche giustificabili, riguardo Ian. Insomma, e se veramente aveva intenzione di uccidere anche me? Dopotutto non aveva negato di essere il responsabile della morte della ragazza, che tra l’altro aveva portato lo scompiglio a scuola. Gli insegnanti difatti dopo aver riportato la calma nell’ istituto avevano deciso di dedicare un minuto di silenzio a Greta Dysen, ragazza diciottenne uccisa da un misterioso assassino.
Talmente il suo corpo era sciagurato che non l’avevo riconosciuta quella mattina ma, sentendo pronunciare quel nome, capii immediatamente chi fosse, sebbene ci conoscessimo solo di vista. Quella ragazza era assai emarginata dalla società per i suoi denti storti, i suoi terribili occhiali e il suo aspetto che non era di certo fra i migliori; questo spiega il perché si trovasse sola nel bel mezzo di un campo di grano all’alba di un giorno scolastico.
Cercai di concentrarmi sulla lezione di storia ma, neanche a dirlo, mi fu impossibile. Continuò così fino alla fine delle lezioni, allorché congedai Katrin, abbastanza incazzata per il mio comportamento taciturno e misterioso, e mi avviai verso il parco con il cuore ai mille.
Dopotutto avrei anche potuto deviare e correre a gambe levate verso casa, ma qualcosa dentro di me, strano e sicuramente molto stupido, faceva si che continuassi ad avanzare verso il luogo prefissato.
All’entrata del parco scorsi finalmente la figura slanciata di Ian, con le mani in tasca, in attesa. Presi un profondo respiro e, cercando di non essere codarda, lo salutai con la mano.
<< Grazie per essere venuta >> parlò con tono tranquillo, come se dovessimo disquisire sulla scuola o sul suo esame di inglese che si sarebbe tenuto l’indomani. Avrei tanto voluto rispondergli che non ero venuta per lui, ma per capire cosa diavolo stesse succedendo, ma fortunatamente tenni per me i commenti acidi.
<< Ti dirò la verità, nuda e cruda a patto che tu mi lasci finire il mio racconto senza scappare o chiamare la polizia >> cominciò, invitandomi a passeggiare accanto a lui.
<< Perfetto, è un serial Killer >> sbottai sottovoce, ma per qualche sfortuna Ian mi sentì e sospirò.
<< Non sono un serial Killer… tu però mi devi promettere che ciò che ti sto per dire non lo dirai a nessuno >>. Non potevo promettere una tal cosa! Vedendomi indugiare mi prese per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi: << Eravamo amici… >> ma poi si fermò e sembrò quasi intenzionato ad andarsene.
<< Ok, io ti voglio bene e ti prometto che terrò per me qualsiasi cosa tu mi stia per dire, a patto che se sei un assassino sfrenato e avido di dolore altrui provi a cambiare >> non so perché ne come avessi avuto la forza di dire questa frase e, una volta pronunciata, non sapevo se esserne orgogliosa o se prendermi a bastonate.
Lui fece mezzo sorriso, poi guardo avanti e cominciò a parlare: << Tanto tempo fa >> oh povera me! << Non avrai intenzione di… >> ma lui si posò un dito sulle labbra: << Lasciami finire, fai la brava >>. Io annuii, sebbene poco convinta e lo lasciai continuare.
<< Tanto tempo fa la chiesa narra che Dio, arrabbiato per il comportamento dell’uomo, mandò un forte temporale e incaricò Noe di salvare gli animali, accogliendo nella sua arca una coppia di ogni specie, poiché loro non avevano colpa >>.
<< La conosco questa storia >> lo informai. << “Ascoltare e basta” non sta nel tuo vocabolario vero? >> chiese divertito, per poi divenire nuovamente serio.
<< Tuttavia esistono anche altre forze, misteriose e potenti, che dirigono il corso della vita della nostra terra >> continuò.
. << Stai disertando la potenza di Dio? >> chiesi, senza capire il perché di questo suo escursus nel passato.
Rise: << No, Jenny. Stai zitta un secondo. Non sto dicendo che queste forze siano potenti più di Dio, ma che esse hanno una grande potenza e sono state incaricate, da Dio o da qualcun altro, di coordinare la vita sulla terra e quella della terra stessa. Tali forze comprendono quella della natura, la più importante, dato che la terra è composta da quest’ultima. Ci sei? >>.
Annuii, trattenendomi dal fare domande.
<< Bene, mio fratello mi ha raccontato che queste forze, questi Spiriti, per punire l’uomo non si sono accontentate della punizione di Dio e hanno creato una maledizione per tutti gli uomini che vivevano nella parte della terra, la cui superficie era illuminata maggiormente dalla luna, la parte sinistra >>.
<< Tuo fratello? >> chiesi, cominciando a perdermi.
<< Mio fratello… lui è stato colpito da questa maledizione ed è divenuto schiavo della luna >> fece una breve pausa, per poi ricominciare tristemente: << E io anche >>.
<< E… >> iniziai. << Cosa prevede esattamente questa maledizione? >> chiesi, desiderando di non sentirmi la protagonista di un orribile film.
<< Prevede la trasformazione di questi individui in essere spregevoli che, ogni qual volta la luna raggiunge la sua metà sinistra perfetta, vengono assaliti dall’istinto animale e tutto ciò che desiderano è uccidere >> mi spiegò.
<< E tu… tu sei…?>> non riuscivo a formulare una domanda di senso compiuto. Come poteva la luna creare una maledizione? Come potevamo esistere delle forze misteriose che trasformavano le persone? E Ian cos’era? Un Vampiro? Un Lupo Mannaro? Improvvisamente mi ricordai del fatto che lui non moriva, per lo meno non come potevano morire le persone normali. Ma, dopotutto, cos’è normale?
<< Sono >> cominciò Ian, costringendomi a guardarlo. << Sono un demone, Jay. Mi trasformo in pantera quando la luna raggiunge la sua metà perfetta >>.



SPAZIO AUTRICE: Ooooook, leggermente in ritardo… soooolo un mese xD Sorry, tra vacanza, fine della scuola e poca voglia questo capitolo non si scriveva.
Comunque senza perdere tempo in chiacchiere e scuse varie vi lascio alla lettura del capitolo, ringraziando chiunque volesse lasciare un commento. :D

  
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