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Autore: crissi    24/06/2012    12 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo - cap. 15 Promesse






Cap. 15: “Promesse”



7 settembre 1784
    
Il momento che precede l’alba è il più silenzioso. Quando la notte è davvero fonda e perdura da tanto che non si spera più che il sole possa sorgere.
E’anche il momento perfetto per gli agguati.
Ombre si muovevano furtive intorno a palazzo Plessis Bellière. Ombre si muovevano caute all’interno, sulla scala, nel corridoio, davanti alla camera che era stata chiusa a lungo.
Le assi che dovevano scricchiolare non lo fecero.
La maniglia che avrebbe potuto cigolare, non lo fece.
Ciò che avrebbe potuto andare bene, andò storto.
Nemmeno Oscar, dal sonno sempre leggero, ancora stretta ad André, finalmente serena, si avvide del pericolo se non quando una guardia reale l’afferrò brutalmente per i capelli e la strappò via da lui.
In un istante fu il caos.
Ella non poté evitare di cacciare un urlo, tentando di afferrare il soldato che la stava trascinando via, facendola cadere dal letto, sbattendola brutalmente sul pavimento, immobilizzandola a terra. André saltò sul letto, ma il calcio di un fucile lo colpì in pieno alla spalla. Ed anche lui urlò accasciandosi per il dolore, urlò il nome di lei.
-    Oscar! Lasciatela! – gridò mentre altri gendarmi lo trattenevano.
-    André! No! Lui non c’entra! – fu il primo pensiero di lei, mentre veniva sollevata di peso da terra. Inutile era il suo scalciare, inutile la sua furia.
La trascinarono fuori dalla stanza, tirandola per le braccia quando puntava i piedi a terra, tirandola per la vita quando si gettava sul pavimento, opponendo resistenza col proprio peso, e la spintonarono per farle perdere equilibrio, bloccando ogni suo tentativo disperato di rialzarsi, di liberarsi, di andare da lui.
La condussero in malo modo giù dalle scale, facendola cadere, obbligandola a rialzarsi, spingendola violentemente contro lo stipite dell’uscio aperto e poi fuori, fino nella strada dove Bouillè in persona li attendeva a cavallo con altre guardie.
-    Oscar Françoise De Jarjayes, in nome di Sua Maestà, il re, vi dichiaro in arresto per l’omicidio del marchese di Fréville e per attività sovversiva. Portatela via! – terminò mentre un soldato le legava le mani dietro la schiena ed un altro la imbavagliava affinché non potesse replicare.
-    No! Fermi! Fermi! – gridò André che si era fatto strada fino al cordone di soldati che proteggeva il generale e al tempo stesso lo separava da Oscar. – Non è possibile! Lei … Lei era con me! – mentì.
-    Plessis Bellière … Vi informo che la vostra posizione è spaventosamente in bilico per aver dato asilo ad una assassina e rivoltosa. Non tirate la corda! – lo mise sull’avviso il generale.
-    Quali prove avete per queste accuse? – tentò André, fingendo di non aver recepito la minaccia insita in quell’avvertimento.
-    Le guardie di Fréville la riconosceranno come colei che è fuggita dalla residenza e, poiché ci tenete tanto ad atteggiarvi a suo difensore, aggiungo che un suddito fedele ci ha informati di dove si trovava. Cercate di non indurmi a dubitare della vostra fedeltà al re, barone!
André non poté far altro che obbligarsi al silenzio per non peggiorare quanto di peggiore stava già accadendo.  A stento si trattenne dall’intervenire mentre i soldati la issavano su un cavallo perché impossibilitata a farlo da sé, lì, scalza, seminuda, con addosso la sola camicia di lui.
Lo sguardo di Oscar non gli rimproverava nulla per quel silenzio; anzi, solo dispiacere poteva leggerle negli occhi, per come finivano le cose tra loro, per il fatto che lui ci fosse andato di mezzo.
Eppure André era incapace di darsi pace a quell’immagine di lei, maltrattata, umiliata, forzatamente inerme.
Doveva fare qualcosa per aiutarla.




***

Il silenzio era assoluto come solo in una chiesa gelida e deserta poteva essere. La pallida luce del primo mattino filtrava dalle imponenti vetrate della cappella principale di Versailles, ma non portava il minimo calore.
Victor stava immobile, sdraiato prono sul marmo freddo con la speranza che quel freddo potesse gelargli il cuore, che potesse intorpidirlo come le sue membra addormentate che non riuscivano quasi più a muoversi.
“Gelami il cuore, Dio, affinché non soffra più”, pregava.
Era lì da ore, da quasi tutta la notte, solo, nel silenzio, ma con quel rumore a tormentarlo nella testa: frasi, ordini, pensieri.
Le accuse di Bouillè, il suo disprezzo, la vergogna, la rabbia.
Cos’era accaduto? Come poteva essere accaduto?
Tornò con la mente al pomeriggio precedente.
Camelia gli aveva fornito alcune ipotesi su dove supponeva potesse trovarsi Oscar: al caffè del Palais dove si incontrava con Robespierre, qualche altro ritrovo di persone non gradite alla monarchia, e poi quel nome, “dal suo André”, aveva detto Camelia; a quel punto, Victor non aveva avuto bisogno di sentire altro. Dopo la sorpresa, incredibile e spiacevole, arrivò la certezza di comprendere finalmente. E sentiva che sarebbe stato inutile cercare Oscar altrove: sapeva che l’avrebbe trovata da lui. Era una convinzione che gli veniva da dentro.
Si era recato là, a villa Plessis Bellière; li aveva visti entrare e come in trance era rimasto sotto la pioggia ad aspettare una soluzione, consapevole che non sarebbe arrivata dal cielo, ma incapace di prendere una qualsiasi decisione.
Il danno era fatto. Irreparabile, con tutte le sue conseguenze.  
Forse nessuno era realmente colpevole in quella storia, ma certamente, nessuno era totalmente innocente.

La luce che si era spenta a quella finestra, era stata come uno scossone, come un brusco risveglio; era quindi tornato a Versailles, mestamente, dove Bouillè lo aveva accolto nel modo peggiore. Neppure il tempo di tentare di scansare il confronto; di esitare una replica, confondere una versione, di ragionare su soluzioni: qualcuno aveva parlato, gli dissero, fatto il nome di Oscar, fatto il nome di chi la ospitava.
Il cerchio si era stretto attorno a Victor: la sua fidanzata, il suo migliore amico.
Possibile che egli non sapesse? Possibile che non fosse coinvolto?
Non aveva saputo rispondere. Non aveva risposte.
Se non che aveva fallito.
Come uomo, come ufficiale.
Poteva reggere la responsabilità affidatagli? Poteva salvaguardare la famiglia reale quando non aveva avuto il minimo sentore degli intrighi che accadevano sotto il suo naso?
In coscienza, aveva dovuto rispondere di no. Non sapeva spiegarsi questa sua imperdonabile cecità. Era il primo ad accusarsi per tutto quanto.
E l’accusa era stata pronunciata: venne posto in stato di fermo nei suoi appartamenti fino a quando Sua Maestà avesse deciso la sua punizione e poi, quasi certamente, sarebbe stato trasferito alla prigione militare dell’Abbazia.



Umiliato, sotto scorta dei suoi stessi soldati, era poi finito lì, l’ultimo rifugio, cosa che gli era stata concessa.
Quando gli esseri umani non hanno più appigli, si appellano a Lui, anche se quotidianamente lo ignorano.
Victor era stato compassionevolmente lasciato solo, a pregare.
Inizialmente, lì, nel buio e nel silenzio della cappella, era stato ritto in piedi, come un pari.
Poi si era abbassato in ginocchio, come un servo.
Infine, sempre più consapevole della immensa gravità della sua situazione, si era prostrato a terra, come un disperato colpevole. Ed aveva atteso.
“Ci sei Dio? So che ci sei. Ma allora parlami, dimmi, perché? Che dovevo fare? Condannare la donna che amo? Condannare quella che avrei amato? E perché lui, Dio: mio fratello … Come posso condannare loro per la richiesta di un re? …”, aveva pregato.
Sapeva che avrebbe dovuto pentirsi per quell’ultimo pensiero, che già quello rappresentava un tradimento; ma non poteva mentire a sé stesso. Non poteva ripetersi fandonie cui non credeva più da molto. Dogmi imposti dalla monarchia, che era stato educato a rispettare ma nei quali mai aveva riposto fede.
Guardò le iniziali di San Luigi nel mosaico di marmo del pavimento proprio sotto la sua fronte.
 “Luigi … Luigi Augusto, non sei Dio.”
Sentì un rumore di passi, l’eco di stivali che percorrevano la navata. Un suono lento, ma regolare.
Due piedi si fermarono accanto a lui. Volse appena lo sguardo sul marmo freddo.
-    Così sei qui, André? – mormorò.
Si alzò da terra e restò in ginocchio, seduto sui talloni, lo sguardo rivolto all’altare dove l’immagine del figlio di Dio caduto in disgrazia veniva calato dalla croce da mani pietose – Suppongo che i miei uomini ti abbiano fatto visita, André …
-    Sono qui per supplicarti, Victor: lei … - esordì l’amico - Lo sai, lei non merita questo. Non per uno come Fréville …
-   Tu supplichi me, André? Supplica lui! – esclamò stancamente, indicando il Cristo deposto, pronto a risorgere – E’ lui l’onnipotente. Io nulla posso.
-    Puoi intercedere per lei, chiedere clemenza! Sei il comandante della Guardia Reale, sei rispettato ..
-    Io sono cosa??? – Si alzò ringhiando, in un repentino cambiamento d’umore. – Vedi forse onorificenze su questo petto? – domandò afferrandosi i lembi dell’uniforme slacciata - Vedi forse gradi, André? Vedi forse il segno esteriore di tutto quanto per me aveva valore?  Ciò per cui io, l’ultimo dei Girodelle, ho lavorato ogni giorno della mia esistenza?
André restò perplesso osservando l’uniforme nuda, dalla quale Bouillè in persona aveva strappato i segni del comando.
-    Aiutarti??? – Victor rise amaramente per la propria caduta in disgrazia - Come potrei? Non ci sono più i simboli del comando su questa uniforme! Mi sono stati tolti, così come la mia autorità. Sono sotto inchiesta perché la mia fidanzata, che sarebbe entrata nella cerchia più ristretta dei cortigiani, si è rivelata una ribelle, oltre che un’assassina. E non posso fare nulla per frenare questa indagine. Non posso aiutare lei più di quanto possa aiutare me stesso! In questo momento incaricati del re stanno mettendo a soqquadro anche palazzo Jarjayes e lo stesso generale sta subendo questa infamia senza poter alzare lo sguardo. Tutti hanno ingannato tutti! Mi accusi di essere un delatore, anche se non a parole, te lo leggo in volto, e vieni a chiedere a me di aiutarla? Come non mi conosci, amico mio … - mormorò arreso.
-    Ma …
-    No, non sono stato io a denunciare Oscar! – lo interruppe - Non sono stato io a mandare le guardie reali a casa tua. Qualcuno ha risolto il mio dilemma e ha deciso per me. Mi è stato riferito che un servo devoto di Sua Maestà, ha comunicato anonimamente dove si trovava l’assassina di Fréville. Dal suo amante!
Lo sguardo iroso completò il pensiero.
-    Anch’io ero all’oscuro Victor. – si giustificò André.
-    Ti sei divertito al mio fidanzamento??
-    Non sapevo nulla, posso giurartelo!
-    Giura … giura … Ma poi? Poi sapevi ed hai taciuto!
-    Che potevo dirti, Victor?!
-    Potevi essere onesto! O la nostra amicizia valeva così poco?
“Valeva? Passato, André …”
-    Non sapevo .. Cosa … Come ..
-    La verità! André, la verità!
-    E tu l’avresti ascoltata la verità? – si irritò André che sentiva il tempo prezioso scorrere veloce e vano, come sabbia in una clessidra troppo piccola.
-    Non lo saprai mai.
Si chinò a raccogliere il proprio fioretto abbandonato sul pavimento.
-    Hai tradito la mia fiducia col tuo silenzio, e hai tradito la mia amicizia … Io, … l’avrei amata! Totalmente, per tutta la vita! – gridò disperato.
-    Io l’amo. - mormorò André spalancando le braccia come in un gesto di resa, con  tutta la semplicità della verità, non potendo negare le accuse di Victor e rendendosi conto che le speranze di salvarla si affievolivano sempre più.
La sua espressione era così disperata e sincera che Girodelle esitò, ma …
-    Sei niente altro che un essere ignobile. Battiti!
La ragione gli diceva che non pensava davvero questo di André, ma quel cuore spezzato faceva troppo male.
L’amico in uniforme blu continuava a tenere il capo chino. Victor si avvicinò e lo spintonò, una volta, due volte. Lo fece barcollare.
-    Usciamo di qui e battiti se sei un uomo! Battiti per il tuo onore, se ne hai! O sennò, battiti per la tua vita, perché non ti lascerò andare comunque!
-    Non voglio!
-    Non vuoi? – ripeté caustico - Pensi che ogni mattina mi alzo e faccio solo ciò che voglio? Mi vedi come un giullare idiota in questo spettacolo osceno? E’ questo che pensi sia un nobile? Un nobile, un vero nobile, ha regole di condotta, ha doveri da adempiere, obblighi ai quali non può sottrarsi! Un passato da ricordare, un futuro da costruire! Essere nobile non significa vivere a Versailles, agghindarsi, mascherarsi e fare solo ciò che si vuole. Tu hai pensato questo di me?
-    No, mai.
Lo spinse fuori della cappella, mandandolo a sbattere contro le colonne dell’atrio.
-    Battiti!
-    Victor …
-    Battiti!!! – gridò sferzando l’aria con la lama, mandandola a colpire una delle colonne.
Lo guardò, ansimante di rabbia.
-    Prometto! … - sussurrò a sé stesso.
Brandì un altro colpo contro la colonna. Piccolissime schegge di pietra saettarono tutto attorno, accompagnate dalle scintille del ferro.
-    … di essere buono! – esclamò.
Victor Clément. Vittoria e clemenza. Un nome che era stato un impegno.
-    … di essere giusto e generoso! – sferrò un altro colpo sulla colonna successiva, mentre André cominciava ad arretrare.
Prometto di essere buono. Il giuramento del bimbo.
Prometto di riuscire nello studio, nel lavoro. Quello del ragazzo.
Prometto di non alzare la mia spada sul debole, di essere giusto e generoso. L’impegno dell’uomo.
Correttezza, fedeltà, nobiltà.
… Ora solo parole vuote che riecheggiavano nel nulla di quel luogo.
-    Victor … Non voglio battermi contro di te! - ribadì André cercando di mantenersi il più determinato e calmo possibile.
Ma Girodelle non pareva di quell’avviso.
-    La tua volontà non è vincolante, André. – sibilò.
E suo malgrado, André si trovò costretto a parare.
Un colpo dopo l’altro: assalto, difesa, assalto, difesa e si ritrovarono nella piazza d’armi, attirando lo sguardo di tutti coloro già al lavoro e di alcune guardie che erano rimaste di piantone ad attendere Girodelle.
Nella testa di Victor il rumore era ripreso. Pressante, assordante, incalzante.

Pensava che avrebbero indagato ancora, fatto pressione su di lui, sarebbe saltato fuori il ruolo di Camelia che al momento era la sola non sotto indagine.
Certi rappresentanti di sua Maestà sapevano come far affiorare la verità, specialmente la verità che faceva loro più comodo. Avrebbe resistito qualche giorno, ma poi avrebbe ceduto ai pestaggi, alla tortura.
Era combattuto per Camelia: “l’odio e l’amo”.
Era combattuto per Oscar: “le avrei dato tutto ma per lei ero niente.”
Non era combattuto per André, il suo migliore amico, finalmente, sinceramente, totalmente innamorato di una donna, ma avrebbe tanto voluto che non fosse stato zitto quella sera in campagna.
E ci fu un attimo di esitazione in lui.
Un attimo fatale.
André, allenato da tutti i combattimenti con Oscar, reagì istintivamente all’ultima mossa e disgraziatamente Victor non parò il colpo. Avvenne tutto in una frazione di istante e André sentì sé stesso disperarsi ed urlare il proprio dolore ancor prima che la lama affondasse completamente nel fianco dell’amico.
-    Nooooo!!!
Victor si accasciò, trapassato da parte a parte dalla lama che veloce era affondata e subito era stata ritratta dalle sue carni.
André lanciò il fioretto e sostenne il corpo dell’amico, che rovinava al suolo.
Accorsero guardie. Alcune strapparono via André, altre presero Victor.
Vennero separati e nessuno dei due vide più l’altro.





***

Si guardava attorno, passeggiando piano nell’umida cella nella quale, in tempi più agitati, i prigionieri venivano stipati a decine. Ora era sola e sola sperava di rimanere: l’ultima cosa che desiderava era trovarsi in compagnia di qualche vero criminale in un posto come quello.
Vero criminale?
Sospirò: lei era un criminale! E non doveva farsi illusioni sulla possibilità di uscire viva da lì.
Si coprì gli occhi con le mani, mugolando quello che doveva essere un grido trattenuto di impotenza.
E nella memoria, vide lui.
Lo sguardo inerme di André le era rimasto impresso nella mente e poteva solo sperare che non facesse qualche colpo di testa per tentare di salvarla, che la lasciasse perdere. Si augurava che agisse per il proprio bene, dimenticandola, andando oltre.
Era così facile cadere in disgrazia nella Francia dei Borbone...
L’avevano trascinata lì in camicia da notte, le avevano lanciato un paio di brache da indossare affinché non si presentasse in maniera indecorosa davanti al giudice, come se la sua nudità potesse aggravare i suoi reati, come se l’oltraggio fosse quello e non la farsa di un processo dall’esito scontato.
In quel mentre, udì un clangore di metallo, chiavi che picchiavano contro le sbarre, che venivano girate in una serratura antica. E poi passi sulla pietra.
Pensò che fossero venuti a prenderla per condurla al tribunale.
Pensò anche che fosse ancora troppo presto per un tribunale. Non capiva che ora fosse, visto che non vi erano finestre dalle quali poter vedere il cielo, ma non doveva essere mattina inoltrata. Non ancora.
Quando il nuovo arrivato venne illuminato dall’unica torcia appesa nel corridoio, si sentì gelare. Non si aspettava una sua visita.
-    Padre?
Jarjayes fece un cenno alla guardia, che contrariamente al regolamento li lasciò soli. Segno che forse il nome di quel casato valeva ancora o che forse valevano i denari coi quali Jarjayes lo aveva convinto.
-    Sì, Oscar, tuo padre. Dimmi, quanto c’è di vero nelle accuse? – disse avvicinandosi alla grata che li separava con quell’incidere autoritario che lo distingueva.
Oscar arretrò di un passo. Forse l’inconscio terrore collegato ai ricordi di quando da piccola si era trovata in colpa verso il genitore, forse il ricordo delle punizioni, forse anni di timore inculcatole. Anche quando non aveva torti, Oscar si era sempre sentita colpevole dinnanzi a lui.
-    Suppongo ci sia tutto di vero. Forse meno che nella realtà. – lo sfidò con un sorriso sfrontato.
-    Non è il caso di mostrarsi arrogante, Oscar. La situazione è seria: sei accusata di tradimento!
-    Niente altro? – obiettò fingendosi delusa.
-    Oscar, sappi che sei sempre mia figlia – mormorò Jarjayes stranamente comprensivo e quell’atteggiamento la spiazzò. – Ho sbagliato, ti ho allevata come un maschio per soddisfare un mio assurdo capriccio. Ti ho privata di tutto ciò che rende felici le altre donne, ho scatenato la tua rabbia, ti ho indotta ad odiarmi. Ma Oscar, non è troppo tardi per rimediare.  Confessa i tuoi errori, chiedi la clemenza di Sua Maestà! Il nostro re sa essere magnanimo, Oscar. Non gettare la tua vita! Non è troppo tardi, pensaci: un matrimonio, una vita tranquilla, dei figli … E’ ancora possibile! E se non ti piace Girodelle, troveremo qualcun altro...
Ella scoppiò a ridere.
-    Padre, sapete benissimo che quando in una famiglia nobile c’è un traditore, la sola soluzione è la morte! Non condannerò i miei “complici”, come sono stati chiamati con disprezzo. La responsabilità di quanto accaduto è mia e mia soltanto. Ma state tranquillo: morirò chiedendo perdono a Dio e senza maledirvi. Anzi, suppongo che dovrei ringraziarvi! – esclamò e, sorprese sé stessa, perché ne era davvero convinta - Allevandomi come avete fatto, mi sono state permesse cose che le altre donne neppure sognano. Ed una volta assaporata la libertà, non se ne può più fare a meno. Io lo so e molti francesi lo stanno scoprendo; è solo questione di tempo perché tutto il mondo che conoscete crolli come un castello di carte. E per quanto riguarda l’amore … - esitò solo un istante, in imbarazzo perché non credeva si sarebbe trovata un giorno ad affrontare un simile argomento col generale - … allevarmi come un maschio non mi ha certo impedito di innamorarmi di un uomo.
Jarjayes esitò un attimo per quell’ultima confessione, ma non chiese altro, preferendo tornare a ciò che gli premeva.
-    Oscar, fai i nomi di chi proteggi col tuo silenzio!  E’ stato uno di loro a tradirti, non merita la tua lealtà!
L’espressione di Oscar non nascose sorpresa, né la seguente immediata delusione intuendo chi potesse essere stato.
-    No, io non mi abbasserò al tradimento. Quale infamia può essere peggiore della delazione? No, posso essere più “uomo” di lui, del Cavaliere Nero, superiore alle sue invidie, alla sua piccolezza. Non tradirò la bontà di un ideale solo per la miserabilità di un piccolo uomo convinto che tutti i nobili siano uguali, privi di volontà e spina dorsale. Ha sicuramente pensato che volessi tradirlo, io, che … andavo a letto col nemico … - ridacchiò.  
-    Te lo chiedo ancora una volta, figlia: pensaci. Quando ti porteranno davanti al giudice, salva la tua vita! Pensa al dolore che la tua morte recherebbe a tua madre! Pensa al dolore per le tue sorelle!
-    Veramente, temo che il dolore più grande, madame e le sue figlie lo provino per la vergogna di avermi in famiglia … - mormorò memore di una infanzia in solitudine – Dovrei supplicare, prostrami, passare il resto della mia vita in ginocchio? No, non avrebbe senso. Non ho intenzione di cambiare idea, no, padre, non lo farò.
-    La vita è un dono: non sprecarla, Oscar!
-    La vita è una partita con la dea fortuna e l’accetto come viene, padre. Quando non hai niente, non hai niente da perdere. – concluse amara. (*)
-    Puoi mentire a me, ma non mentire a te stessa, figlia mia. – Terminò l’uomo, e si volse, nascondendo il tremito nella voce. – Voglio sperare che cambierai idea, per questo non ti dico addio.
Si avviò al cancello che una guardia gli stava già aprendo.
-    Perdonate! … - mormorò improvvisamente Oscar – Perdonate se vi ho dato solo dispiaceri. – si trovò a dirgli suo malgrado, come addio.
Jarjayes esitò, ma non si volse: avrebbe voluto dirle che non poteva perdonarla: arrendersi alla fine ingloriosa non era comprensibile per lui. Ma non lo fece. E se ne andò consapevole che ormai anche la sua vita finiva lì con lei, perché nonostante tutto, l’aveva amata davvero e l’aveva già persa il giorno in cui non aveva rispettato la sua scelta.


***
 

André era stato posto in stato di fermo in una stanza sorvegliato da due guardie reali intenzionate ad esser per nulla gentili con il feritore del loro comandante, ma fino a quel momento si erano limitati a guardarlo con aria minacciosa.
Bouillè si affacciò.
-    Come sta lui? – si premurò André, scattando in piedi.
-    Barone di Plessis Bellière, – esordì quello gelidamente, ignorando la domanda – siete in arresto per ordine di Sua maestà. L’accusa è di complotto ai danni del sovrano e della Francia, nonché di tentato omicidio nella persona del conte Victor Clement de Girodelle. Accusa che rimarrà tale per poco prima di diventare omicidio, viste le sue condizioni disperate … -
-    E’ stato un incidente, non volevo… Non voleva …
-    Non tentate di discolparvi! I fatti parlano chiaro. Il rapporto intrattenuto con la spia è confermato dalla servitù dei Jarjayes e per quanto riguarda il vostro amico … è incosciente, non potrebbe difendervi neppure volendo, cosa di cui dubito. Sappiate inoltre che i medici si sono espressi negativamente sul suo stato: Girodelle sta morendo e voi, per me, siete già il suo assassino. Portatelo via!
-    Dove mi state portando?
-    Andrete a tener compagnia alla vostra amante alla Bastiglia. Un gesto di compassione prima della inevitabile condanna per entrambi, Plessis Bellière!

***

Aveva temuto di poter crollare.
Sotto l’esame di un giudice, di una commissione. Sguardi di disprezzo oltre che di condanna.
Per un istante, l’istinto le aveva strillato nella testa: “Salvati! Pensa a te stessa”.
Ma poi la paura era passata. Vedersi con gli occhi dei suoi carnefici, vedersi con il loro disgusto, l’aveva portata a ritrovare tutta l’energia, tutte le motivazioni che l’avevano condotta a saltare la barricata.
Non era vero che non aveva nulla e nulla da perdere: aveva André e lui era tutto. Ma poteva solo pensare che sarebbe stato meglio senza di lei, che non attirava altro che guai. Sarebbe morta, portando con sé tutto quanto di negativo si trovava addosso e lui l’avrebbe dimenticata. Sarebbe tornato a vivere.
Il giudice aveva ritenuto oltraggiosa la sua reticenza e l’aveva condannata alla fustigazione per questa alterigia e alla morte per l’omicidio di Fréville e per il tradimento nei confronti della corona.
Aveva temuto ancora di cedere sotto i colpi di frusta. Pochi, ma dolorosi. Invece aveva superato anche quello.
Ora la stavano riportando in cella e all’alba dell’indomani sarebbe finito tutto.
E fu invece tra quelle mura che venne invasa dal terrore.
Perché ci trovò lui.
Le guardie la gettarono dentro, spingendola a terra, senza scrupoli o riguardi.
-    André? Ma come … Perché? … - riuscì solo a balbettare quando lui si avvicinò per sollevarla.
Un ufficiale irruppe nel corridoio antistante la loro cella, svolse un documento che stringeva tra le mani e con voce tonante iniziò a leggere la sentenza.
-    Oscar Françoise De Jarjayes e André Grandier De Plessis Bellière! In nome di Sua Maestà vi comunico che siete stati condannati per omicidio e tradimento. La pena è la morte che avverrà mediante impiccagione domattina all’alba.
Picchiò i tacchi e ripiegando il foglio se ne andò.
Oscar venne presa da brividi.
-    No …
André cercava di sollevarla da terra, impietrito davanti alla camicia lacerata sul di lei dorso che lasciava ben vedere la pelle scorticata e in alcuni punti sanguinante.
-    Oscar …
-    No … Tu non dovresti essere qui! Perché? – con uno scatto cercò di alzarsi – Guardia! Guardia! – d’improvviso sentiva la necessità di confessare: avrebbe scambiato la vita del mondo intero con quella di André.
Egli la zittì e la strinse. Sapeva bene che nulla avrebbe potuto cambiare la sentenza, ormai.
Sussurrò parole incomprensibili per quietarla, la guidò a terra, fra le sue braccia, cullandola in carezze, adagiandola fra le sue gambe, con la giacca blu a coprirle la schiena nuda e ferita. Le spiegò quindi del duello con Victor e lei non riuscì a proferir parola in merito, perché anche quella disgrazia era colpa sua.
-    Non doveva andare così tra noi … - mormorò lei tra le lacrime.
-    Shss … - la zittì carezzandole le labbra.
-    No, è la verità. C’è qualcosa di ingiusto, André. Saresti dovuto comparire sul mio cammino molto tempo prima. Se avessi avuto te al mio fianco, non saremmo qui ora. Noi avremmo dovuto stare sempre insieme, fin da piccoli. Vivere una vita intensa, travolgente. E alla fine morire insieme, perché solo con te sento di vivere.
-    E allora sarà così: tutti e due vivi o tutti e due morti.
Oscar, con un singhiozzo, allungò la mano sulle sue labbra, come già aveva fatto lui.
-    Non dire così. Saperti qui per colpa mia …
-    Dove altro dovrei essere se non accanto a te?
Si strinse a lui, piangendo silenziosa. Forse era così, forse era il destino e non gravava tutto sulla sua coscienza. Forse André sapeva mentire bene per farla sentire meglio.
In ogni caso, nulla potevano più fare.
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Oscar era pian piano scivolata in un sonno agitato, più simile ad uno stato di semi-incoscienza. Parlottava e piangeva, respirava male, stringeva la camicia di lui, la lasciava, la stringeva ancora.
André le toccò la fronte: febbre. Forse per il freddo e la pioggia del giorno prima, forse per le frustate, anche se le lesioni non parevano infette. Le carezzò il capo, la guancia accaldata.
Ma in fondo, che importava: dovevano comunque morire … Anzi, l’avrebbe preferita incosciente, inconsapevole. Non sopportava di vederla soffrire.


Udì un vocione al di là della porta, un vocione conosciuto, sempre più nitido man mano che si avvicinava al cancello in ferro dell’ala dove erano ospitati.
-    Grazie, amico! Allora giovedì ci vediamo alla locanda per due boccali in compagnia! Davvero, mi fa molto piacere che tua sorella si sia sposata!
-    Hai cinque minuti, Alain, non uno di più – rispose quello con aria severa.
Alain restò buono e sorridente finché il carceriere non richiuse il cancello e si allontanò, quindi si avvicinò veloce alla cella.
André fece scivolare con cautela Oscar sulla paglia, si alzò e si avvicinò all’inferriata.
-    Alain, che ci fai qui?
Il colorito dell’amico non era dei migliori e la baldanza ostentata parlando col carceriere era completamente svanita.
-    Come sarebbe “che ci fai qui?” – esclamò – Tu, che ci fai qui!? Sono venuti in caserma, hanno perquisito il tuo ufficio; D’Agout ha chiesto spiegazioni e gli hanno detto di Girodelle, che è morente.
André chinò il capo.
-    Non hai colpa: è andata così. Poteva accadere a te. E poi Girodelle è “morente”, non morto: non è colpa tua se riccioli d’oro è delicato!
André lo guardò di sbieco, sorridendo appena per il tentativo maldestro di fare umorismo.
-    Ho ingannato un amico. Il mio silenzio ha peggiorato le cose. E’ colpa mia. Ma come hai fatto ad entrare?
-    Sono uscito un paio di volte con la sorella del tizio qua fuori. Gli ho detto chiaramente che tu ed io traffichiamo con le derrate del reggimento e non so dove nascondi la mercanzia, quindi dovevo parlarti. Gli ho promesso una parte e non ha fatto storie … Sai, un bellimbusto imbranato gli ha messo incinta la sorella e lui deve mantenerli tutti.
-    Finirai nei guai!
-    I tuoi sono più urgenti. Ho parlato coi ragazzi e sono d’accordo: troveremo un modo per farti uscire!
-    Alain, no. Ho vissuto fregandomene di tutto, mi sentivo un re, amavo e lasciavo. Aveva ragione Marie: la vita è qualcosa di più delle notti di Versailles. Ho gettato il mio tempo quando al mondo c’era lei e dovevo solo cercarla: lei la mia vita. Ora l’ho trovata, la sto perdendo, nulla avrebbe più senso senza di lei. Anni fa, ho ricevuto una fortuna e non l’ho saputa utilizzare. Tu sarai migliore di me, ne farai buon uso e magari i Blessis Bellière non finiranno con te.
Alain sgranò gli occhi, preoccupato.
-    Che intendi dire?
-    Ho monetizzato quel che ho potuto: tutti i documenti necessari al passaggio delle proprietà e del titolo sono in una cartella di cuoio nello studio, in casa. Vacci prima che le guardie saccheggino la villa e mi privino di questo mio diritto. Da oggi sei legalmente il nuovo Barone di Plessis Bellière.
Lo sguardo di Alain si incupì ed il volto cominciò ad assomigliare ad un vulcano sul punto di eruttare.
-    Ti-sei-bevuto-il-cervello?! – tuonò – Io non ti permetto di farti ammazzare e compiere pure un grande gesto! Ti ho perdonato l’amicizia col damerino, André! Ti ho anche compreso quando ti sei perso dietro alla bionda che, te lo concedo, ha un arsenale di tutto rispetto, ma fare di me di nuovo un aristocratico, dopo tutto il letame che da anni spando sulla categoria, no, questo non te lo permetto!
-    Non voglio sentire obiezioni: hai una madre ed una sorella cui pensare. Il mio destino è deciso, il tuo è ancora da scrivere. Sei stato un amico impareggiabile, Alain. Porta un saluto ai ragazzi ed un bacio alle signore da parte mia. – aggiunse tornando a sedersi accanto ad Oscar, mentre Alain, senza parole, piangeva come un ragazzino messo alle strette da quella scelta irrevocabile.
-    Alain! I cinque minuti sono passati, devi andartene! – gli intimò il carceriere.
Le mani di Alain ancora strette alle sbarre, scivolarono piano sul ferro.
-    Lo sapevo che per lei ti saresti fatto ammazzare. – mormorò – Stupido romantico … - borbottò piano allontanandosi, portando la mano al berretto in un ultimo saluto al capitano. – Sei uno stupido romantico, André ...
André riprese Oscar tra le braccia e, rassegnato, si preparò a trascorrere la sua ultima notte.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso, quando il cancello in ferro si aprì di colpo facendolo sobbalzare.
Entrarono due uomini.

Uno prese ad armeggiare con il mazzo di chiavi per aprire la cella mentre l’altro immobile, ben piantato sui piedi, li fissava con uno sguardo gelido, accentuato da due occhi di un azzurro intenso, degni di un angelo ma con una espressione che mise André in allarme.
La serratura scattò e i visitatori entrarono uno dopo l’altro nella cella.
Non erano ben vestiti, ma i modi di fare non parevano quelli di due miserabili addetti alla prigione.
Quello dallo sguardo determinato, portava una giacca posata sulla spalla ed un sacco tra le mani. I capelli chiari, forse biondi, un po’ più scuri, sciolti, gli incorniciavano il volto, toccando appena le spalle, e contribuivano a rendere più penetrante lo sguardo fisso su André, come a volerlo sfidare.
-    Spogliala! – ordinò all’improvviso al compare – E facciamo in fretta!
André la strinse più a sé, terrorizzato, immaginando che il peggio, che ancora non le era stato riservato, stesse per accadere.
-    Non sprecare energie! Così ci fai solo perdere tempo e non cambierà ciò che dobbiamo fare. – disse l’uomo dallo sguardo affilato, sbattendolo al muro e bloccandolo lì, mentre l’altro gli portava via Oscar, intontita dalla febbre.
 Si immobilizzò, impaurito più per Oscar che per sé stesso, terrorizzato dalla consapevolezza di non poter far nulla per fermarli.
Tentò ancora una reazione, ma l’altro lo bloccò premendogli l’avambraccio sul collo.
-    Tanto coraggio … fuori luogo. – mormorò il carceriere. E la frase sibillina, incomprensibile portò André a fissare l’uomo negli occhi in modo interrogativo, mentre questo, con la mano libera, lanciava il sacco all’altro impegnato a spogliare Oscar, che, incapace di reagire se non con deboli “no” e qualche schiaffo privo di forze, dovette lasciar fare.

***

Alla fine era arrivata l’alba del loro ultimo giorno.
8 settembre 1784.
I due carcerieri li stavano guidando fuori, nel cortile della prigione, dove erano stati approntati un palco per le autorità e la struttura per l’esecuzione.
Oscar a malapena si reggeva in piedi. Entrambi avevano le mani legate dietro la schiena. Indossavano delle giacche informi sulle larghe camicie portate disordinatamente fuori dei calzoni.
Oscar si poggiò al suo braccio con la fronte.
-    Se avessi saputo prima cosa avrei perso … - mormorò.
André sorrise per quella sua incapacità nel pronunciare due semplici parole.
-    Sì, anch’io ti amo.
-    Hai … paura? – mormorò Oscar mentre anch' egli fissava i due cappi penzolare nel mezzo del cortile davanti a loro.
André annuì.
-    Mi piacerebbe svegliarmi domattina, senza sapere cosa mi capiterà, chi incontrerò, dove mi troverò … (*) – cominciò.
-    Imparare ad accettare la vita come viene, così ogni singolo giorno avrebbe il suo valore.(*)  – aggiunse Oscar – André, e … se invece…?
-    Non pensarci. – la interruppe. Sì voltò e le sorrise mestamente. – Siamo insieme, Oscar. Mi dispiaccio per tante cose: per il tempo buttato, per il male causato, ma non per essere con te.
Il commissario dal palco fece un cenno e le guardie li spinsero in avanti.
Salirono al patibolo, uno dopo l’altra, preceduti e seguiti dai loro boia che infilarono loro i cappi attorno al collo.
-    Tutti e due vivi… - sorrise lui guardandola un’ultima volta.
-    … o tutti e due morti - rispose lei.
Una lacrima le solcò la guancia per quel gioco da re, sfuggitole di mano il giorno stesso in cui si era innamorata, perché non poteva esserci spazio per l’odio con André nella sua vita. Si rammaricava di essersene accorta quando oramai era troppo tardi.
I respiri si fecero più affannosi quando i carnefici si fecero ancora appresso; nuvolette di vapore per il freddo diventarono più dense sulle loro labbra.
Il boia ed il suo aiutante infilarono loro i cappucci sul capo e, armeggiando sotto il bordo di questi, strattonarono la corda per verificarne la tenuta, per esser certi che fosse ben stretta. Entrambi i condannati si agitarono,  un apparente ultimo istinto di sopravvivenza ben sapendo quanto fosse inutile, ma i carnefici li costrinsero a calmarsi.
Ci fu uno scambio di sguardi tra il boia dagli occhi azzurri ed il commissario, circondato da pochi testimoni. Quindi un cenno di assenso.
Le leve vennero tirate, le botole si sganciarono ed i corpi caddero giù, appesi nel vuoto.
Nel silenzio innaturale, tra quelle fredde mura, un lugubre corvo gracchiò e si alzò in volo, libero.

Era finita.
Tutto aveva trovato il suo principio e la sua conclusione in poco meno di un’ estate. Poche settimane frenetiche in ascesa e 48 ore in rovinosa caduta.
Era il destino di chi si atteggia a re: salire fino alla cima e cadere.
A volte.

 
- continua

* frasi “rubate” a “Titanic”

 
 
Nooooooooooooooooooooooooooooooooooo! :$
Eppure … sì.
O no?
Continua? Sì, continua!
Perché continua? Come continua!?
Eppur … continua: la mongolfiera dovrà pur servire a qualcosa, no?
Leggere per credere! …
Il prossimo capitolo però è davvero l’ultimo :D … e spero di non metterci un’eternità.
Grazie per la pazienza.

   
 
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