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Autore: Swifite    25/06/2012    0 recensioni
Salve Inazumiani!
Allora, questa è la mia prima long, è una ShawnxOC ambientata dopo il FFI.
Emmy è una ragazzina allegra e svampita che vive ad Inazuma-cho con sua zia e si è appena diplomata alla Raimon. Ha un innato talento nell'inciampare e farsi male, delle amiche a cui tiene molto e una scuola che sta per lasciare con rammarico.
E con ancora più rammarico, si renderà conto di quanto la sua vita stia per cambiare...
Spero che qualcuno voglia leggere quest'obbrobrio, recensioni e critiche sono bene accette.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio telefono squilla, svegliandomi malamente dal mio meraviglioso mondo dei sogni con la fastidiosa suoneria che preannuncia l’arrivo di un messaggio. Chissà perché mi ostino a non cambiarla nonostante mi dia così sui nervi!
Maledico mentalmente quel genio che ha inventato i cellulari così rumorosi e mi appresto ad alzarmi per vedere chi è stato ad osare svegliarmi alle otto del mattino anche adesso che sono in vacanza: Celia. Cosa vuole la mia migliore amica a quest’ora?
Passo a prenderti tra poco. Oggi escono i quadri, non te n’eri dimenticata, vero? E non ti ho appena buttata giù dal letto, vero? Cerca di non fare tardi, pigrona!
Oh, giusto, oggi escono i quadri. Un momento... I QUADRI!?
«Oh, no!» strillo, buttandomi immediatamente giù dal letto. Naturalmente la buona sorte non è dalla mia parte, così quando faccio per correre verso l’armadio per preparare i vestiti, inciampo nella coperta che avevo buttato scomposta a terra e finisco dritta, dritta di faccia sul pavimento. Mia zia dal piano di sotto non si scompone minimamente: sa che ogni volta che in casa si sentono rumori molesti sono io in uno dei miei soliti capitomboli.
Mi rialzo, massaggiandomi il naso indolenzito, e apro le ante dell’armadio per scegliere qualcosa di abbastanza fresco da mettere. Alla fine prendo una canotta e un paio di shorts, abbinati ad un paio di infradito rossi che stanno tutto meno che bene sotto quel completo, ma in fondo non mi sono mai preoccupata troppo del mio modo di vestire: fosse per me, andrei in giro con la divisa scolastica!
Sbuffo, seccata dal brusco risveglio e dalla brutta caduta, e lascio la mia stanza in uno stato di caos assoluto, entrando nella perfezione minuziosa che trasuda da ogni singolo mattone della mia casa; al piano terra, zia deve avermi sentita cadere, perché l’odore di uova e pancetta si è già diffuso dappertutto.
Passando per la cucina, borbotto un ‘buon giorno’ appena sussurrato e mi dirigo strisciando i piedi verso il bagno; di bagno purtroppo ce n’è solo uno, ma per un’adulta e una ragazzina che vivono da sole è più che sufficiente. Faccio per entrare, ma -al solito- dimentico l’esistenza del gradino e finisco coll’inciampare di nuovo; mi mordo la lingua per non inveire contro la mia sbadataggine cronica e mi butto sotto la doccia, per poi uscirne pochi minuti dopo. Mi infilo i vestiti e mi lavo i denti, accorgendomi di non aver ancora fatto colazione solo quando mi fisso allo specchio schiumante di dentifricio: sopravvivrò fino all’ora di pranzo.
Sputo un po’ d’acqua nel lavello, mollo lo spazzolino e, afferrato il pettine, mi dedico alla difficile arte di districare la matassa rossa che ho in testa: e pensare che c’è pure chi dice che i capelli lisci sono facili da gestire! Io la mattina li ritrovo così aggrovigliati che a volte mi ritrovo addirittura col pettine che mi rimbalza in bocca!
Una volta che sono certa che più nessun nodo mi si nasconde in testa, mi passo le dita fra i capelli, disordinandoli in maniera quasi indecente; in molti quando mi vedono arricciano il naso, ma a me, che l’ordine non è qualcosa che concepisco volentieri, piacciono molto, penso che scarmigliati qua e là mi diano l’aria solare e sbarazzina che mi contraddistingue.
Mi prendo del tempo per specchiarmi. Alcuni dicono che sono piuttosto graziosa, ma non so se lo dicono perché ho un aspetto quantomeno decente o perché sono talmente patetica e svampita da fare tenerezza. Opterei più per la seconda, però.
Torno in cucina, dove zia mi saluta con uno dei suoi classici caldi sorrisi che ha in comune con mia madre e me. «Buon giorno. Hai fame?»
Scuoto la testa e sorrido: non mi ha nemmeno chiesto se mi sono fatta male; da quando ha imparato a convivere con me e le mie cadute, sa che la maggior parte delle botte che prendo neanche le sento più.
«Vado a scuola.» dico. «Oggi escono i quadri.»
«In bocca al lupo, allora.»
Le faccio l’occhiolino e mi dirigo saltellando verso la porta, tanto vale che esco subito, sicuramente Celia sarà già sul ciglio della strada.
È fatta così lei, per le cose che le importano davvero è precisa come un orologio svizzero. Quando va a villa Sharp a passare qualche giorno con suo fratello, te la ritrovi un’ora prima fuori dalla porta con un sorriso da orecchio a orecchio stampato in faccia. Sicuramente i quadri sono qualcosa di cui le importa, soprattutto considerato che ha voti migliori dei miei!
Ha un anno in meno di me, l’anno prossimo farà la terza, mentre io passerò alle superiori. La cerimonia del diploma è stata una settimana fa. Sono un po’ nervosa. Non per i voti, con quelli bene o male me la cavo, ma lasciare la Raimon mi dispiace un sacco!
Celia è fortunata, ha ancora un anno da godersi nella mia meravigliosa scuola. Spero solo che se la cavi: da quando l’Inazuma ha vinto i mondiali le iscrizioni al club di calcio, di cui lei è membro dello staff, si sono quadruplicate.
Per quanto mi riguarda, il calcio non mi interessa granché, anche se i giocatori che venivano in classe con me sono piuttosto simpatici. Soprattutto Mark: l’idea che possa essere imbranato quanto me, me lo rende subito amico.
Torno alla realtà quando Celia mi scuote per svegliarmi da quel mondo tutto mio in cui spesso mi perdo. Ci metto un po’ a focalizzare la sua immagine, quando ci riesco, la saluto con il più allegro dei sorrisi. «Ehilà!» esclamo.
«Buondì.» risponde lei, stringendo con più forza la cartellina che tiene abbracciata. Con ogni probabilità ci tiene degli appunti per l’ultimo numero del giornalino scolastico dell’anno; quando sei una reporter, le vacanze cominciano sempre in ritardo!
Senza dire una parola, ci avviamo per le strade del nostro quartiere. Inazuma-cho è una delle zone più tranquille di Tokyo, un posto ricco di verde dove le persone che lo abitano si conoscono un po’ tutte. È davvero bello viere qui, l’aria è molto più respirabile rispetto a quella del centro, e la notte molto meno caotica. Purtroppo però, dai tempi in cui la Raimon ha vinto il Football Frontier, la situazione è cambiata... con tutti gli iscritti a scuola la confusione è diventata troppa persino per me!
Fisso Celia mentre camminiamo; indossa la divisa scolastica, quella che io non ho voluto indossare per via del caldo asfissiante, e il caschetto corvino le ricade sulle spalle, mentre la frangetta è saldamente tenuta ferma dal paio di occhiali rossi che porta sempre con sé. Non li usa mai, credo che li porti solo perché odia i frontini, ma i capelli senza qualcosa che li faccia stare fermi le danno fastidio. È parecchio più alta di me, ma penso sia normale: non ci vuole molto ad essere più alti di me! Sono talmente bassa e minuta che chi non mi conosce mi da minimo tre anni in meno!
Parlottiamo un po’ su qualsiasi cosa ci passi per la mente, ridacchiando di continuo e mettendo in mostra le ragazze allegre e spensierate che siamo, poi, quando arriviamo all’ultimo incrocio prima del cancello della scuola, mi prende il polso. Sorrido tra me e me: lo fa tutte le volte che attraversiamo la strada; visto che sa che la mia goffaggine potrebbe benissimo portarmi ad inciampare all’arrivo del rosso e finire spiaccicata come una sottiletta sotto un camion, preferisce prevenirsi e portarmi lei stessa sana e salda sul marciapiede.
Il brulicare della gente è una cosa incredibile! Studenti dappertutto! Chi va, chi viene, i più grandi e i più piccoli. C’è persino qualche studente già diplomato che viene a ficcanasare tra i voti degli altri.
«Però!» dico. «Non sapevo che la scuola contasse tutti questi iscritti.»
«Fidati, quando sei nel giornalino scolastico, a meno che tu non ami la tua professione come la sottoscritta, ti ritrovi ad odiare la popolosità del mondo!» risponde la mia amica sghignazzando.
«Andiamo a cercare le nostre pagelle!» propongo con entusiasmo. Sono proprio curiosa di sapere con che voto ho superato l’esame!
Mi avvio verso l’ala destra della scuola quando Celia mi blocca. Quando mi giro vedo che mi guarda storta.
«Che c’è?» chiedo. Lei mi guarda come se avesse capito male, poi, portandosi una mano alla fronte in un gesto disperato e mandando l’altra ad indicare la direzione opposta a quella che sto prendendo io, mi dice: «I quadri sono da quella parte.»
Mugolo un ‘oh’ stranito e la seguo senza troppe storie. In fondo stavo prendendo la direzione contraria rispetto a quella presa da tutti gli altri studenti.
Entriamo nell’atrio ampio e luminoso dove gli studenti si ammassano davanti ad una parete.
Io e Celia ci scambiamo uno sguardo prima sconvolto, poi pensieroso, infine assolutamente malandrino. Ci facciamo strada sgusciando ovunque troviamo posto; per me è più facile visto che sono così piccola, ma nemmeno lei se la cava male ad avanzare a spintoni.
Quando riesco finalmente a vedere uno spiraglio di luce oltre i vestiti colorati degli alunni alti il doppio di me, cerco con lo sguardo la mia classe, fino a trovarla sulla mia sinistra, poco distante da quella della classe di Celia, che sta già prendendo appunti sui suoi voti.
Con un certo nervosismo, sposto lo sguardo e trovo senza alcuna difficoltà il mio nome in cima alla lista: Amelia Allen. Tanto per la cronaca, io sono Emmy. Non che Amelia non mi piaccia, ma Emmy è molto più orecchiabile, quindi pretendo di essere chiamata così!
I voti sono quelli che mi aspettavo, i soliti voti mediocri di una studentessa mediocre. Diversi sette e sei sparsi un po’ ovunque, otto in ginnastica e, ovviamente, dieci in musica. Mio padre era un pianista, figuriamoci se in musica non prendevo dieci! In condotta me la cavo con un misero sette, ma di certo non mi aspettavo di più, considerato che se non parlo con chiunque sia a portata d’orecchio sto sempre con la testa tra le nuvole, senza ascoltare mai la lezione. A sorpresa, invece, agli esami di stato spicca in bella vista un nove! Controllo diverse volte che il voto sia il mio, ma è impossibile sbagliare quando sei in cima, e mi chiedo più volte se non ci sia stato un errore, ma il nove è proprio mio. Si vede che il saggio su Mozart che ho consegnato come tema e la tesina sui grandi musicisti classici agli orali devono aver avuto un discreto successo. Non posso fare a meno di sentirmi orgogliosa!
Gongolante, sposto la mia attenzione sui risultati di Nelly: una sfilza di dieci che parte dalla prima materia e finisce con la lode al voto d’esame.
In molti sparlano di lei, per via della sua media altissima, dicono che prende voti così alti solo perché è la figlia del preside e le danno della raccomandata. Io, che invece la conosco bene, so perfettamente che non è così; Nelly butta nello studio sudore e sangue e tutti i suoi voti sono assolutamente meritati.
Annuisco con vigore, come a dare conferma ai miei pensieri, e scendo ulteriormente la lista fino a trovare il nome di un’altra mia grandissima amica: Silvia Woods.
È una ragazza solare e adorabile, nonché una delle studentesse migliori della nostra classe; la sua media oscilla tra l’otto e il nove, ma posso affermare che non è il tipo di persona che passa giornate intere col naso sui libri: è che assimila molto in fretta tutto quello che legge, quindi non ha bisogno di perdere ore ed ore a memorizzare i paroloni dei nostri libri.
Com’era da immaginarsi, un dieci tondo, tondo spicca in inglese. Ovvio, con tutte le ore che passa al telefono con i suoi amici americani, parla inglese come una madre lingua! A volte, quando mi aiuta con qualche passo di Shakespeare particolarmente difficile, mi ritrovo a fissarla come se avesse tre occhi dopo nemmeno dieci minuti.
Visto che Celia non ha ancora finito, mi concedo qualche altro minuto per sbirciare i voti dei ragazzi del club di calcio. Axel e Jude sono usciti con nove e dieci quasi in tutte le materie, Nathan con diversi otto sparsi ovunque e Mark, che pensa solo ed esclusivamente al calcio, con sei sudati un po’ dappertutto.
Ora che la mia curiosità è placata, mi sposto verso Celia, tutta intenta a scribacchiare appunti su un foglio, e, sorridendole, do un’occhiata anche ai suoi risultati: il voto più basso è stato un unico otto in matematica.
Sono davvero fiera di lei! È davvero in gamba. Oltre allo studio, deve dedicarsi al giornalino scolastico e alla squadra di calcio, e, nonostante tutto, trova il tempo per prendere ottimi voti a scuola.
Io, invece, della scuola me ne infischio, e anche se non ho nient’altro da fare, mollo immediatamente i libri dopo una lettura veloce.
«Fatto. Andiamo?» mi fa, chiudendo di scatto il quaderno. Faccio di sì con la testa e cerchiamo i uscire indenni dalla calca di studenti che minaccia di schiacciarci entrambe.
Quando riusciamo finalmente a vedere ad un palmo dal nostro naso, troviamo Nelly ad attenderci.
Tutte le volte che la vedo, nonostante la conosca da un bel po’, non posso fare a meno di sentirmi intimorita: insomma, è davvero bellissima; i suoi capelli rossi sono davvero splendidi, non come i miei che, lunghi fino alla vita, mi fanno sembrare una carota! No, sono di uno meraviglioso rosso rame e le danno un qualcosa di raffinato che si sposa perfettamente col suo portamento elegante.
Anche se lei è riservata e silenziosa e io sono tutto il contrario, penso che potremmo benissimo definirci amiche.
«Allora, come è andata?» chiede.
«Non bene come a te.» rispondo.
Celia invece le fa il resoconto completo dei risultati di praticamente tutta la scuola. Ma come diavolo fa a dire così tante parole in un solo minuto!?
Devo faticare un sacco per tenere il filo del discorso, ma non ci riesco e mi ritrovo a perderlo circa ogni dieci secondi. Nelly invece sembra perfettamente a suo agio, ascolta tutto con una concentrazione assurda, attenta a cogliere ogni singola sillaba con le braccia conserte, finché, quando finalmente Celia si ferma per riprendere fiato, annuisce soddisfatta. Mi domando cosa sia riuscita a capire da quel fiume in piena di parole.
Quando apro bocca senza nessuno mi interrompa, sono talmente sconvolta da non riuscire a dire altro se non un: «Okaaaay... Allora, dov’è Silvia?»
Ricevo come risposta un lieve cenno con la testa dalla figlia del preside, che ci fa strada fino al campo da calcio dove, ovviamente, i ragazzi stanno giocando una partita. Silvia è seduta sulla panchina e incita i giocatori col suo fare raggiante; vicino a lei, una ragazza dai capelli lilla se ne sta timida al suo posto ad osservare il match in silenzio. La conosco, è Camelia Travis, la figlia adottiva dell’allenatore. È una ragazza timida e pacata, dolce e tranquilla.
Personalmente la conosco solo di vista, non viene a scuola e gli esami li ha dati, per scelta del padre, da privatista, e non essendo io parte dello staff della squadra, non ho mai avuto modo di conoscerla se non attraverso le descrizioni di Silvia, Nelly e Celia. Ma da come loro mi parlano di lei, sono certa che è una ragazza assolutamente adorabile.
Ci salutiamo con la formalità di due estranee, mentre Silvia ci rivolge un sorriso allegro.
Lei e Celia attaccano subito a parlare, mentre Nelly ascolta tutto in silenzio.
Do uno sguardo veloce alla partita, ma non mi interessa più di tanto, perciò decido che è ora di tornare a casa; sicuramente zia si starà già chiedendo se non sono finita sotto una macchina e ho anche dimenticato il cellulare, meglio non farla preoccupare troppo.
«Ragazze, io vado. Ci sentiamo, ok?»
«Cerca di sentire il cellulare ogni tanto, d’accordo?» mi fa Celia.
«Ehi!» ribatto io. «Guarda che oggi l’ho sentito subito!»
«Solo perché ce l’hai sempre sul comodino accanto al tuo letto.» risponde lei. Io metto su il broncio: detesto che sappia sempre come chiudermi la bocca!
Silvia scoppia letteralmente a ridere, mentre Nelly si sforza di mantenere la sua solita classe ridacchiando con la mano sulla bocca, ma credo che stia lottando contro se stessa per non umiliarmi ulteriormente. Camelia sorride appena e mi lancia un’occhiata veloce, forse turbata dalla mia insolita presenza a bordo campo.
Dopo neanche un minuto, esplodo anch’io, unendomi alle risate. Dalla porta, Mark ci guarda come se fossimo pazze.
Alla fine, saluto tutti e mi avvio verso casa.
Quando attraverso la porta d’ingresso, trovo zia ad attendermi con un’espressione corrucciata sul volto.
«Emmy» dice. «ti devo parlare.»
Sbianco. Soltanto due volte ho sentito queste parole, e tutte e due significavano che la mia vita stava per cambiare irrimediabilmente...



N.d.A.
Weihlà!!! :D
Allora, comincio facendo i miei più sentiti complimenti a tutti quelli che sono arrivati fin qui dopo questo lunghissimo primo capitolo.
Sinceramente non ho idea di quello che ho combinato, però questa fic ce l'avevo in mente da un po' e ci tenevo un sacco a scriverla. Posso chiedervi di recensire? Avrei bisogno di qualche consiglio per non far sfumare troppo i personaggi nell'OOC e al tempo stesso non farli sembrare piatti.
I personaggi ci saranno un po' tutti, anche se ad alcuni ho cambiato i nomi o perché non li sapevo o per questioni di comodità, però i nomi dei personaggi principali sono quelli.
Spero di aggiornare presto, anche se non so se ce la faccio.
Grazie a chiunque leggerà!! :*
  
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