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Autore: Shini Chan    26/06/2012    3 recensioni
Uno sguardo.
Non dura che qualche istante, ma lascia un segno indelebile.
Uno sguardo può fare la differenza, anche in modo radicale.
Peccato l'avessi capito troppo tardi.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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M
in Cha mi stava fissando con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, coperta però dalle sue mani tremanti. Era incredula, ovviamente, proprio come avevo previsto. L’unica differenza da prima, stava nel fatto che ero uscita allo scoperto e avrei potuto passare per bugiarda.

Delle lacrime silenziose scivolavano sul mio viso, ma ero troppo concentrata a catturare ogni minimo movimento della mia migliore amica per poterle scacciare via.

«Sung... Sung Tae, io...» cominciò, spostando lo sguardo alle luci del tramonto.

«Non c’è bisogno che tu mi dica niente – la incalzai – so già che non credi a una parola di ciò che ti ho detto.»

Lei deglutì, sbatté due o tre volte gli occhi e poi tornò a fissarmi «Non è che non ti credo, solo...»

«Solo...?» la incitai a continuare, ma lei prese un gran sospiro e rimase zitta.

Arricciai le labbra e cercai di trattenere le altre lacrime che minacciavano di sfuggirmi al controllo.

Lo avevo sempre saputo. La gente non avrebbe mai potuto comprendere la mia situazione, perché era troppo improbabile per una come me. Ciononostante continuavo a sperare in qualche anima sensibile che avrebbe potuto consigliarmi o, perlomeno,confortarmi un po’. Ero cosciente del fatto che, se avessi aperto bocca, sarei sempre passata per la ragazzina viziata che voleva mettersi in mostra, dicendo che conosceva qualche personaggio famoso, del fatto che mi sarei fatta odiare per una cosa che sarebbe sempre stata travisata, del fatto che avrei potuto perdere i pochi amici che avevo per questa faccenda. Ma allora perché, in quell’istante, vedendo la faccia dubbiosa di Min Cha, sentivo il petto fare così male? Non avrebbe dovuto essere così. Ero pronta alle conseguenze, perché le avevo sempre sapute. Eppure era dannatamente doloroso. Così tanto, che mi ritrovai a dover digrignare i denti.

Ad un tratto sentii una mano su una spalla, poi un braccio che mi attirava addosso a qualcuno.

«Solo... Non voglio vederti ridotta così, Sung Tae – riprese Min Cha, stringendomi in un abbraccio – Davvero, non sopporto vederti in queste condizioni.»

Le sorrisi «Il problema è che non posso stare meglio se non risolvo questa situazione. So che non ti sembra possibile una cosa del genere, ma...»

«Okay, okay, ascolta – mi interruppe, senza slacciare mai l’abbraccio, ma percepii comunque tensione attraverso il suo corpo – Devo... Devo prendermi qualche tempo per elaborare la situazione, ma non nego che potrei anche cominciare a credere a ciò che mi hai detto.»

Strabuzzai gli occhi e mi irrigidii.

Lei rise sommessamente «Sì, certo, devo ammettere che questa storia sembra una di quelle tipiche trame da film adolescenziali, ma se analizzo le tue reazioni, non posso pensare che tu mi abbia detto una grande menzogna. Soffri ed è evidente, perciò... sì, proverò a crederti» continuò.

«Min Cha...» iniziai, ma le parole mi morirono in gola.

Non sapevo cosa dire. Le sue parole mi avevano sconvolto.

Le mi strinse più forte a sé e mi carezzò i capelli «Sì?»

Mi tremarono le labbra, ma riuscii a mantenere la calma «G-Grazie. – mi scappò un singhiozzo – Grazie, davvero. Anche solo per voler dare una possibilità a ciò che ti ho raccontato, per non aver dubitato subito.»

Aumentai l’abbraccio e affondai il viso nei suoi capelli, abbandonandomi ad un pianto liberatorio.

Lei mi diede qualche colpetto sulla schiena «Non devi dirmi grazie, sei mia amica: è normale che ti dia qualche chance.»

«Non far sembrare la cosa così impossibile. – la istigai – Ti lascio tutto il tempo che vuoi, ma alla fine dovrai crederci per forza di cose: è la verità.»

Le si scostò da me «Sì, sì, va bene, come vuoi - ribatté, con un ghigno – Ora però torniamo al Central, perché, se arriva il direttore e non ci trova, ci licenzia senza scusanti.»

«Oddio, il Central! – esclamai – Ce ne siamo andate, lasciandolo incustodito!»

Lei si grattò la nuca e rise istericamente «Appunto, che ho detto io?»

La afferrai per un polso «Muoviamoci, porca miseria!» e la trascinai giù per le scale che portavano all’interno dell’edificio, lasciandomi alle spalle quel tetto tinto dei colori di un tramonto che, da ormai troppo tempo, non riuscivo più a guardare.


Quando arrivammo davanti alla porta a vetro con impressa la scritta “Central Café”, rallentammo la corsa e ci piegammo in due per riprendere fiato. Avevamo corso come delle pazze per giungere prima dell’orario di chiusura, ma le luci erano già tutte spente.

Guardai Min Cha con aria interrogativa e lei fece spallucce.

Provai ad aprire la porta, ma rimase bloccata dov’era. Quando anche lei ci tentò e ottenne lo stesso risultato, spalancammo entrambe gli occhi.

«Non dirmi che...» cominciò lei.

«Mi sa proprio di sì, invece. – replicai – Il direttore è stato qui e ha chiuso lui.»

La sentii mandar giù un groppone grande quanto una mela «Siamo nei guai, lo sai, vero?»

Annuii «Grossi guai.»

«E se andassimo a cercarlo? Magari se n’è appena andato, faremmo ancora in tempo a raggiungerlo.»

«Ma tu sei pazza! – sbottai – Così poi pensa che lo abbiamo pure pedinato!»

Min Cha si mise a braccia conserte e sbuffò «Allora adesso che cosa facciamo? Non voglio di certo rimanere senza lavoro...»

La presi per le braccia e le inchiodai gli occhi addosso «Adesso andiamo, da brave bambine, a casa a dormire e poi, domattina, con calma, penseremo a come scusarci.»

Lei inarcò un sopracciglio poco convinta «Scusarci? Domattina? Come pensi che possa perdonarci: gli abbiamo abbandonato il Café per andare al bar a prendere un tè!»

Cercai con tutte le forse di non ridere come una scema per la frase che aveva detto e tentai di imprimermi in faccia un’espressione il più comprensiva e seria che riuscissi a fare.

«Beh, teoricamente non siamo andate a prendere un tè: ero un po’ sotto shock e mi hai aiutato a riprendermi. Potremmo sempre dire che non mi ero sentita bene e quindi mi hai accompagnato...»

«Aspetta, aspetta, aspetta. – mi interruppe, con una strana luce negli occhi – Ma lui non sa dove siamo andate. Voglio dire, sa che non eravamo qui... Ma dove fossimo esattamente lui non può saperlo... – un ghigno furbetto le si dipinse sulle labbra - Sa solo che non eravamo al Central, quindi...»

«Non ci crederà mai» ribattei, bloccandola, dato che avevo capito subito dove avesse voluto andare a parare.

«Perché no? Portarti al pronto soccorso non sarebbe un atto eroico? Non avrebbe motivo di licenziarci, così» spiegò, convinta.

Mi portai una mano al mento «Sì, ma potrebbe andare a controllare e facilmente scoprire che lo abbiamo preso in giro, arrabbiandosi ancora di più» osservai.

Min Cha fece cascare le braccia lungo i fianchi «Allora possiamo già ritenerci disoccupate.»

«Oh, smettila! – risposi, fingendomi scocciata – Non sappiamo nemmeno se è stato lui a chiudere il Central, perché salti a già alle conclusioni?»

Lei mi guardò di sbieco.

«Che hai adesso?» le domandai.

Un sorrisone le si allargò sul viso «Niente, hai detto bene: non sappiamo nemmeno se è stato lui a chiudere il Central.»

Soffiai, facendo sollevare la frangetta, e ruotai gli occhi al cielo «Prendi troppo sul serio ciò che dico.»

«Beh, però in fondo è vero: non è detto che sia stato lui.»

«E chi altro, allora? Ti ricordo che solo lui ha le chiavi» ribattei.

Lei fece spallucce «Per esempio la moglie.»

Mi coprii il viso con la mano «Dio Santo, ma che ho fatto di male per meritarmi un’amica del genere?»

Entrambe scoppiammo a ridere come due sceme, poi lei mi fece segno di abbassare la voce perché era tardi.

«Dai, ora vado a casa, mia madre mi starà aspettando per la cena» disse poi, con ancora un ghigno.

Le accarezzai velocemente un braccio «Va bene, vado anche io allora, anche perché stiamo letteralmente impazzendo.»

Lei sghignazzò «È l’effetto dei troppi tè che abbiamo bevuto. – ammiccò - Vuoi un passaggio?»

Sventolai la mano «No, no vado a piedi. Ho bisogno d’aria fresca.»

«Non fa poi così caldo, da aver bisogno d’aria.»

«Tranquilla, vado a piedi» insistetti.

«Come vuoi – abbozzò un sorriso – E, per quello che mi hai raccontato, stai tranquilla: penso proprio che, in un modo o nell’altro, finirò per crederci.»

«Lo spero davvero tanto, perché altrimenti scoppierei.»

Lei sospirò «Okay, allora io vado.»

Annuii «Buona serata, salutami i tuoi.»

Lei mi salutò a mo’ di militare e poi girò i tacchi verso il parcheggio riservato al personale del Central Café.

Quando fu talmente lontana da essere grande quanto un puntino, decisi di muovermi anche io: non avevo nessuno a casa che mi aspettava per la cena, ma questa di certo non si sarebbe preparata da sola e io stavo morendo di fame. Così mi incamminai, stretta nel cappotto, per le strade di Seoul, ancora illuminate e brulicanti di persone che saettavano da una parte all’altra dirette chissà dove.

Il Natale era passato solo da una manciata di giorni, ma i negozi erano ancora addobbati, così come lo erano i bar e i vari locali nelle vie. Qualche bambino guardava, non del tutto soddisfatto, gli ultimi giocattoli esposti nelle vetrine, col viso e le manine appiattiti contro i vetri.

Alzai gli occhi al cielo e mi ritrovai a singhiozzare.

Stupida.

Ancora non l’avevo accettato. Ancora non ero riuscita a comprendere che ogni volta avrei trascorso il Natale come lo avevo fatto negli ultimi tre anni, ossia da sola. O perlomeno, senza di lui.

Lui, Sang Hyun.

Un altro singulto mi rimbalzò nel petto e mi fece scuotere le spalle.

Sang Hyun. Lui non sarebbe più dovuto esistere per me. Ormai se n’era andato, aveva fatto carriera, aveva accumulato altri pensieri nella testa. Pensieri più importanti e seri, di una vecchia amica dimenticata.

Dimenticata, appunto.

Era chiaro, ormai: non era più necessario che aspettassi ancora di festeggiare con lui. Erano tre anni che non lo facevamo più. Tre anni. Tre anni, e ancora io adornavo l’albero nella speranza vana che mi facesse visita e cenassimo insieme, come ai vecchi tempi.

Stupida.

Sfilai accanto a una vetrina tutta colorata che catturò la mia attenzione, ma, appena sollevai lo sguardo sui cartelloni delle offerte, notai che era un negozio di cd e che nel centro della vetrina era appeso un poster di un nuovo Mini Album.

No.

Non un nuovo Mini Album, il nuovo Mini Album.

Mi pietrificai.

“MBLAQ – 4th Mini Album, Scribble”.

Erano loro. Proprio come nel pop-up che avevo visto nel pomeriggio.

MBLAQ. CheonDoong.

Sentii un mancamento e mi si appannò la vista.


Sang Hyun mi prese le mani e, dopo aver slacciato il giubbotto, le appoggiò sul suo addome per tenermele al caldo. Eravamo sotto uno dei tanti alberi addobbati a tema natalizio che adornavano le strade di Seoul e il freddo pungente ci aveva fatto diventare rosse le punte dei nasi.

«Va un po’ meglio?» mi chiese lui, cercando di scaldarmi, mentre una nuvoletta di condensa gli uscì dalla bocca.

Io annuii, le guance improvvisamente calde e arrossate «G-Grazie, ma non ce n’era bisogno.»

«Ma se stavi diventando un cubetto di ghiaccio! – ribatté, con un ghigno – Ora hai almeno le mani al caldo.»

«Sì, tu però geli» replicai, fissando il suo giubbotto aperto per far spazio alle mie dita congelate.

Lui tirò su col naso e sospirò «L’importante è che non ti ammali tu.»

Arrossii violentemente e abbassai lo sguardo «M-Ma che cosa dici...»

Lo sentii sghignazzare «E adesso perché sei diventata tutta rossa?»

«Non so, vedi tu... – borbottai – Se queste sono cose da dire...»

Lui mi diede un buffetto sulla testa, stando attento a non farmi togliere le mani dal suo corpo e solo in quel momento me ne resi conto per davvero. Le mie mani. Le mie mani erano adagiate sulla sua felpa, a pochi millimetri sopra dai suoi addominali.

Istintivamente le ritrassi e me le portai al petto, fissando un punto impreciso alla mia destra.

Sang Hyun me le afferrò di nuovo e le strinse tra le sue «Ma che fai? Sono ancora ghiacciate.»

«N-Non ho così fred...» non mi lasciò nemmeno il tempo di terminare la frase che mi prese per le braccia e mi attirò a sé.

«Va bene, allora facciamo finta che sia io a gelare dal freddo e stai ferma così per un po’» replicò, stringendomi a sé.

Io appoggiai il capo contro il suo petto e, titubante, infilai nuovamente le mani sotto il suo giubbotto.

«Okay – sussurrai – stiamo così per qualche attimo.»

Lui in risposta aumentò la stretta e sospirò, quasi sollevato.

«Buon Natale, Sung Tae» mormorò poi, appoggiando il mento sui miei capelli.

Chiusi gli occhi e sorrisi, felice «Buon Natale anche a te» risposi e qualche istante sentii le sue labbra sfiorarmi la fronte.







~ L'Angolo dell'Autrice ~
E finalmente, dopo circa sei mesi d’assenza, ecco che mi decido a postare il terzo capitolo! ^^ Mi dispiace averci messo così tanto, ma tra la scuola e mille altri impegni non ho più avuto tempo per mettere mano a questa storia… Kekeke ^^” Per il momento, i nostri MBLAQ non sono ancora apparsi, ma non temete: arriveranno presto, anzi, prestissimo (quindi raddrizzate le antenne)! ^^
Bene, se anche questo capitolo vi è per così dire “piaciuto”, vi aspetto nel prossimo!
A presto,
Asuka.
  
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